Votes taken by InKubus

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    CITAZIONE (Cavaliere Nero 94 @ 3/10/2016, 17:54) 
    Ho aggiunto una piccola cosa alla fine che mi ero dimenticato. :sisi:

    Una piccola cosa molto figa :sisi:
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    Lo ammetto, lo ammetto. Ho dovuto leggere la spiegazione che il Cavaliere ha messo sotto spoiler. Avevo capito che l'amico era un assassino, ma non che fosse un vampiro, son pirla forte oh.

    Comunque, bella storia, non paurosissima, ma mi è piaciuta molto.
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    La lessi tanto tempo fa e tutt'ora mi da trasmette un senso di tristezza e depressione incredibile. È una bella short.
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    Sono Edward Drake, capitano della nave pirata Queen of Maelstrom e questa è la mia storia. È passato del tempo, ma ricordo tutto chiaramente.

    A lungo ho solcato i mari con i miei compagni e tutto è sempre andato bene, per quanto possa andar bene la vita di noi pirati, rischi e pericoli erano all’ordine del giorno, ma era la nostra scelta e noi eravamo contenti così.
    Man mano che il tempo passava, però, cominciarono a succedere cose strane, avevo misteriosi incubi, mi pareva di sentire i canti delle sirene in lontananza e altri avvenimenti curiosi.

    Finché accadde.

    Io e la mia ciurma avevamo da poco abbordato una nave mercantile nel mare dei caraibi, quei sudici mozzi avevano opposto resistenza e qualcuno dei miei venne ferito. Per punizione li ammazzammo tutti, prendemmo tutto ciò che di valore vi era sulla loro bagnarola e poi le demmo fuoco.
    Era un buon bottino, spezie, merci pregiate e altra robaccia che avremmo potuto rivendere per guadagnare un buon profitto. Quei cani avevano anche un’eccellente scorta di alcolici e per festeggiare la vittoria ce ne scolammo buona parte in meno di mezza giornata.
    Più tardi facemmo rotta verso un vicino porto sicuro, nel quale avremmo potuto smerciare il bottino senza che nessuno ci facesse domande, saremmo stati pagati e ce ne saremmo andati.

    Quella sera, però, il vento si placò completamente, lasciandoci fermi in mezzo al mare. Una fitta nebbia si levò, impedendoci di vedere ad un palmo dal nostro naso. Sentivo in lontananza il canto delle sirene e, nella foschia, intravedevo strane ombre. Non so quanto tempo passò, sembrarono ore, ma potevano essere anche pochi secondi, quando successe.

    Un’orda di ombre fuoriuscì dalla nebbia e ci attaccò. Era un incubo, i miei uomini non riuscirono a ferirne nemmeno una, le lame le oltrepassavano, le pallottole pure. Questi demoni erano armati con delle pistole d’ombra, forgiate dal diavolo in persona, veloci e precise, in grado di sparare più e più colpi senza fermarsi.

    Fu un massacro.

    Io solo fui risparmiato, avevo combattuto al fianco dei miei uomini e posso giurare sulla mia anima che erano impossibili da toccare, come fatti di fumo, ma il calcio della pistola che mi colpì in testa era dannatamente solido.
    Mi risvegliai diverse ore dopo in una strana stanza, con le mani legate e spogliato delle mie vesti da capitano.
    Sono passati molti giorni, ogni tanto vedo le ombre passare, mi portano del cibo e delle strane spezie, gliele sputo in faccia ogni volta. Bastardi. Ve la farò vedere io, parola di Edward Drake, solo il tempo di liberarmi da queste vesti.



    Edited by Sandwich - 30/9/2016, 14:09
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    CITAZIONE (Blind_Brain 14 @ 24/9/2016, 15:58) 
    Ok ci rinuncio mi limito a dire che è bella la storia

    Ma povero HAHAHAHA.

    Io ero d'accordo con te.


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    Che programmino interessante :asd:

    CITAZIONE (AndySky21 @ 19/9/2016, 21:32) 
    Se quel "ogni sistema" include anche WinSvista e WinOtto, basterebbe questo per classificarlo SCP di livello Keter.

    Classe dell'oggetto: Keter

    Procedure Speciali di Contenimento: SCP-■■■ deve essere contenuto nella sua custodia all'interno di una cassaforte del sito [DATI CANCELLATI].

    Descrizione: SCP-■■■ è un cd in grado di installare un programma perfettamente funzionante su Windows Vista.

    Note: "Windows Vista, vi rendete conto? Manco MSN girava bene su quel sistema operativo. Dobbiamo provare con Millennium, potremmo aver trovato il santo graal dell'informatica."
    Dr. D■■■■ C■■■■■■
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    "Penso di averlo trovato."

    Stavano cercando il geocache da 15 minuti, quando Paul udì Angie chiamarlo. Aveva già cominciato a scavare intorno ad una grande roccia che si era incastrata tra il terreno e le radici di un vecchio albero. Si inginocchiò e iniziò a spostare le pietre mentre lei continuava a scavare. Dopo un po’ Paul fu in grado di rimuovere la grande roccia. La mise da parte e cominciò a scavare nella terra. Infine, le dita di Paul sentirono il freddo metallo e, con un gridolino eccitato, tirò fuori la cache.

    Era una vecchia cassetta di contanti e sembrava essere più la ruggine del metallo. Paul la aprì.

    "Merda..."

    La prima cosa che Paul vide fu un vecchio pezzo di carta ingiallito, ma non era quello che aveva causato in Angie tanto stupore. Sotto il foglio di carta, c'era del denaro, un sacco di denaro, tutto arrotolato in grassi cilindri, tenuti da degli elastici. Come Paul ne prese uno l'elastico si disintegrò e il cilindro si srotolò lentamente. Vide che erano tutti pezzi da 100 dollari.

    Angie prese il vecchio foglio e lo guardò. Non appena iniziò a leggerlo, le si corrugò la fronte.

    "Leggi questo, Paul."

    Lui mise la scatola a terra e prese il foglio tra le mani. Il breve messaggio era scritto a matita ed era sbiadito col tempo, ma era ancora leggibile.

    "Provato a prendere i soldi, ma non sapevo – necessario lasciare qualcosa – Prezzo troppo elevato – Non ne vale la pena"
    "Oooooh, spaventoso" sbuffò Paul.

    "Andiamo, Paul. Mette seriamente i brividi. "

    "È uno scherzo. Qualcuno sta solo cercando di spaventare la gente." Ce la stava mettendo tutta, ma non riusciva a nascondere la sensazione di disagio che stava iniziando a sopraffarlo. Era come se qualcuno avesse rotto un gelido uovo sulla bocca del suo stomaco e la melma ghiacciata si stesse diffondendo in tutto il corpo.

    "Sono un sacco di soldi. Dovremmo semplicemente prenderli." Angie non sembrava molto sicura di sé.

    "Sì, sì... In ogni caso non mi interessa quello che dice qualche stronzo." Paul si alzò, assicurandosi di aiutare anche Angie a rialzarsi. Lei si voltò verso la via dalla quale erano venuti. Erano in mezzo al bosco, ma sarebbero potuti tornare alla propria auto in un'ora se avessero mantenuto un buon ritmo. Si chinò a raccogliere la scatola.

    "Incredibile, chi mai avrebbe potuto lasciare una scatola piena di" ma prima che lei riuscisse a completare questo pensiero, la roccia colpì la sua nuca. Si accasciò al suolo. La scatola si aprì e il denaro rotolò fuori.

    Paul la colpì con la roccia altre sei volte prima di essere soddisfatto del fatto che non si sarebbe più rialzata. Sentì il freddo scomparire dalla bocca dello stomaco mentre raccoglieva con calma il denaro e lo rimetteva nella scatola.

    Dopo tutto, come diceva la nota, se voleva prendere la cache aveva bisogno di lasciare lì qualcosa.








    Edited by InKubus - 21/9/2016, 20:29
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    CITAZIONE (» S h i n † a k a ™ @ 16/9/2016, 19:18) 
    Nei primi messaggi io ho proposto la mia interpretazione l'autore mi ha risposto, potete leggervi per farvi un'idea più completa

    Ah, cavolo. Grazie Shin, ho letto i commenti, ma la spiegazione me l'ero persa.

    Rettifico: ho capito, gran bella storia, anche se un po' confusionaria. :asd:
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    Sono abbastanza d'accordo con Qush. Sembra che l'autore volesse a tutti i costi scrivere una creepypasta e per farlo abbia aggiunto cose a caso. È confusa, priva di senso e non incuriosisce nemmeno.
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    La mia vita! Con mio padre, una bambola-figlia;
    con te, una bambola-moglie. E i nostri figli, le
    mie bambole. Mi divertivo quando giocavi con me,
    come loro si divertono quando giocano con me.
    Ecco cos’è stata la nostra unione, Torvald.


    (H. Ibsen, Casa di bambola, Atto III)

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    Quando Frances Glessner Lee nacque nel 1878 a Chicago, la sua vita era già programmata.
    I suoi genitori, industriali divenuti milionari vendendo macchine agricole, avevano le idee molto chiare riguardo a ciò che si aspettavano da lei: sarebbe rimasta chiusa nella grande residenza di famiglia, simile a una fortezza, dove precettori privati l’avrebbero istruita sulle arti femminili del cucito, del ricamo, della pittura. Una volta diventata un’educata signorina, si sarebbe sposata e avrebbe continuato la sua esistenza all’ombra del marito, come si confaceva a una donna per bene. A una bambola perfetta.

    E Frances seguì le regole, almeno apparentemente. Dopo che i genitori si rifiutarono di farle studiare medicina ad Harvard come suo fratello (perché “una signora non va a scuola“), la giovane ragazza sposò un avvocato e gli diede tre figli.
    Eppure Frances si sentiva in segreto soffocata dalla morale del suo tempo, che non consentiva alle donne di dedicarsi a nulla di diverso dai compiti domestici: era spinta dall’irrefrenabile impulso di fare qualcosa di concreto per la comunità, ma d’altra parte non poteva contestare apertamente il ruolo sociale che le era toccato in sorte.
    Così passarono per lei molti anni amari, finché le cose non cominciarono a cambiare.

    Nel 1914 un primo, piccolo scandalo: Frances divorziò dal marito, a cui (secondo la testimonianza di uno dei figli) dava fastidio perfino che lei si dedicasse ai lavori manuali nei quali eccelleva. In poco più di dieci anni morirono, nell’ordine, suo fratello, sua madre e suo padre. Frances si ritrovò con un’immensa eredità a disposizione, finalmente libera di seguire la sua vera vocazione – che, in realtà, era quanto di più distante dai sogni che altri avevano sognato per lei.
    Perché la sua passione, alimentata dai racconti di Sherlock Holmes, era la neonata scienza criminologica.

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    Frances era legata da una profonda amicizia a George Burgess Magrath, collega del suo defunto fratello nonché famoso medico specializzato in casi di omicidio. Magrath si lamentava spesso di come gli investigatori travisassero o addirittura inquinassero le prove sulla scena del crimine: mancava ancora una vera educazione al riguardo, gli ufficiali di polizia spostavano i corpi o camminavano sulle tracce di sangue senza darsi pensiero, e di conseguenza un alto numero di omicidi restavano impuniti.
    L’ormai facoltosa ereditiera decise quindi, assistita inizialmente da Magrath, di cominciare a fare la sua parte per rinnovare il sistema. Nel 1931 concesse innanzitutto una generosa donazione all’Università di Harvard per fondare una cattedra di medicina legale; in seguito creò la George Burgess Magrath Library, e diede vita a un’organizzazione per il progresso delle scienze forensi, la Harvard Associates in Police Science.

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    Anche Magrath morì di lì a poco, ma ormai Frances — nonostante non fosse un medico — aveva acquisito una conoscenza sbalorditiva in campo criminologico. Nelle foto d’epoca la si vede ritratta al fianco dei più grandi esperti del settore, come una rispettata madrina protettrice.
    Ma il suo contributo più straordinario stava ancora per arrivare.

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    A partire dagli anni ’40, Frances Glessner Lee decise di organizzare dei seminari semestrali per detective e investigatori. E qui presentò per la prima volta il frutto di innumerevoli giorni di solitario lavoro: i suoi Nutshell Studies of Unexplained Death (“studi in nuce di morte inspiegata”).
    All’apparenza si trattava soltanto di elaborate e dettagliate case di bambola, ma osservando più da vicino se ne poteva scoprire il macabro segreto: i pupazzi che le abitavano erano tutti morti.
    Ogni diorama era infatti una rappresentazione ispirata a una scena del crimine realmente accaduta, che Frances aveva studiato o visto di persona durante le indagini.



    La qualità della realizzazione era impressionante. Con cura maniacale, ogni bambola veniva vestita con minuscoli abiti ricamati a mano; utilizzando strumenti di precisione da gioielliere Frances era stata in grado di dotare i suoi modellini di finestre che si aprivano, chiavi che giravano nelle serrature, scatole di cibo nelle dispense e mille altri microscopici dettagli.
    Grazie alla sua familiarità con le autopsie e le scene del crimine, le bambole assassinate mostravano i segni realistici della violenza e della morte: ferite, ematomi, sintomi di decomposizione, schizzi di sangue sui vestiti e alle pareti, tutto era stato replicato fin nel minimo particolare.


    I diorami, ciascuno accompagnato da un foglio contenente la dichiarazione di un “testimone”, erano progettati come una sorta di enigma poliziesco da risolvere.
    Agli investigatori che prendevano parte al seminario venivano assegnati 90 minuti per esaminare una singola scena; dovevano studiare attentamente ogni indizio.
    Cos’era successo esattamente a quella famiglia massacrata a colpi di fucile? Si trattava di un omicidio-suicidio, oppure madre, padre e bambino erano stati tutti assassinati da un estraneo?
    E perché questa casalinga avrebbe deciso di suicidarsi con il gas, prendendo la precauzione di sigillare la porta d’entrata — ma lasciando nel lavandino delle patate pelate a metà? Si poteva dedurre l’ora della morte dallo stato degli alimenti nel freezer rimasto aperto?
    L’uomo nel fienile si era veramente impiccato?
    Se quest’altra donna era veramente morta mentre preparava un bagno, come mai il tappo non era nella vasca? E perché le sue gambe, in pieno rigor mortis, si erano fermate quella posizione innaturale?

    Allo scadere del tempo concesso, i detective dovevano trarre le loro conclusioni su cosa poteva essere accaduto.



    Grazie al suo lavoro eccezionale, Frances si guadagnò il titolo onorario di capitano dalla New Hampshire State Police nel 1943, diventando la prima donna nominata capo di polizia.
    Nel 1962 Frances Glessner Lee morì; ma se pensate che i suoi incredibili diorami (18 in tutto) fossero una specie di eccentrico e frivolo gioco, vi sbagliate. Sono talmente complessi e accurati da venire utilizzati ancora oggi ad Harvard per la formazione degli specialisti forensi.



    Oltre al loro valore specificamente educativo, la storia che queste opere ci raccontano è però interessante per un ulteriore motivo.

    In un certo senso, Frances Glessner Lee non smise mai di giocare con le bambole, come le avevano insegnato a fare da bambina.
    Eppure gli interni borghesi, i capanni per gli attrezzi, le stanze da bagno o i vicoli ricreati nei suoi modellini parlano di una realtà fatta di soprusi e violenze, di carnefici e vittime. In maniera sottilmente sovversiva, i Nutshell Studies utilizzano il “linguaggio” del giocattolo per descrivere gli aspetti più brutali e terrificanti dell’esistenza — l’odio e il sangue che si insinuano nel rassicurante quadretto del matrimonio, della famiglia, imbrattando le pareti pulite e ordinate. È la vita concreta, con tutta la sua cattiveria, che fa irruzione nell’idealistico mondo dell’infanzia.


    Si potrebbe indovinare, in questi diorami, un segreto compiacimento della loro creatrice nel distruggere l’idillio dello spazio domestico.
    Forse mettere in scena efferati omicidi all’interno di una casetta per le bambole — trasformare cioè un perfetto passatempo da “signorina perbene” in qualcosa di macabro e terribile — era per Frances una piccola, simbolica rivincita personale.



    Le vittime dei Nutshell Studies sono, infine, principalmente donne.
    E quest’ultimo dettaglio suona quasi come un monito, un avvertimento per le giovani fanciulle: non credete troppo nelle favole, sempre prodighe di principi azzurri; non credete alle vite dorate e ovattate che gli adulti preparano per voi.

    Non credete alle case di bambola.

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    Sui Nutshell Studies sono stati realizzati un documentario visibile su YouTube e un libro acquistabile su Amazon.
    Inoltre vi raccomando caldamente di fare un salto a questo indirizzo: oltre a trovare maggiori informazioni su Frances Glessner Lee e i suoi diorami, potrete di cimentarvi con la risoluzione di alcuni degli enigmi, esplorare le scene del crimine ed esaminarne i principali indizi.




    Edited by Medea MacLeod - 16/9/2016, 10:25
  11. .
    CITAZIONE (» S h i n † a k a ™ @ 8/9/2016, 11:34) 
    Sono anche io per AR, mi è piaciuta molto.
    Non so se in parte ti abbia ispirato, ma questa tua poesia mi ha ricordato l'Antologia di Spoon River, in particolare "La Collina", il primo epigramma della raccolta: la tematica e, soprattutto, la natura di questi due componimenti è diversa, ma le atmosfere sono tutt'altro che dissimili.

    Sinceramente no, ho scritto per pura ispirazione pensando, appunto, alla mia terra. Non mi sono ispirato all'opera da te citata, ma andandola a rileggere effettivamente l'ambiente è molto simile!

    Per Rory: hai ragione su d'annunzio. Ciò che mi hai detto sulle assonanze e sull'armonia mi lusinga molto, grazie.
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    Sotto all’albero delle sorbe
    insieme a grilli e biscie orbe,
    coi fili d’erba ad oscillare
    sotto il respiro del mio mare,
    s’un colle che par montagna
    vige quieta la campagna.

    Di vecchi ulivi e muri a secco,
    orti, viti e qualche pesco
    in tempi ardui per gli ignavi
    lavoravano i miei avi,
    giacciono all’ombra dei cipressi
    loro sì, ma non i loro attrezzi.

    Ormai pochi, noi del nostro nome
    testardi, restii all’estinzione,
    teniamo in vita la memoria
    dei nostri vecchi e della loro storia
    qualcuno parte, chiunque invecchia
    ma sempre resta la campagna vecchia.




    L'ispirazione mi ha assalito e ho scritto una "poesia" sulla mia terra, la mia famiglia, la mia casa. Avrei tanto voluto farla in endecasillabi, ma non ci sono riuscito.


    Edited by InKubus - 8/9/2016, 11:18
  13. .
    Una ragazza decisa con un'idea carina in mente. Ci stà.
    Benvenuta allora e buona permanenza.
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    A parte il finale con dettagli mezzi gore completamente a caso, la storia è più drammatica che creepy.
    Magari un po' banale e poco originale, si fa leggere abbastanza volentieri perché, dopotutto, è scritta bene.
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    Cose strane sono successe ieri sera dopo la mezzanotte...

110 replies since 17/9/2012
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