Votes taken by Shira™

  1. .
    “Le nostre tracce nel tempo”, “Psychic Detective Yakumo”, “Soul Eater”... tutti manga che già aveva. Lidia cercava qualcosa di nuovo, qualcosa che stuzzicasse la sua fantasia, che l'aiutasse ad evadere da quel mondo grigio in cui viveva. Non succedeva mai nulla di emozionante, in quella grigia città. Sempre le stesse facce, gli stessi nomi, gli stessi comportamenti, le sembrava di vivere in un eterno loop dove tutti i giorni si ripetevano, ognuno uguale al precedente. I manga la facevano evadere da quella monotonia, almeno finché non girava l'ultima pagina, a quel punto tutto ricominciava...
    Quella fumetteria era una delusione, ne avevano parlato come dell'ottava meraviglia del mondo, ma a lei non sembrava poi così fornita. Continuava a girare tra gli scaffali con la noia dipinta in volto. A quel punto, la sua attenzione fu attirata da una novità: una ragazza era appena entrata all'interno della fumetteria. Lidia inarcò un sopracciglio, osservandola con attenzione, era sicura di non averla mai vista in giro, forse si era trasferita da poco. Tornò a concentrarsi sui titoli presenti nel negozio, ma non poteva fare a meno di lanciare occhiate alla nuova arrivata, di tanto in tanto.
    Doveva ammettere che era davvero molto carina, i corti capelli rossi le solleticavano il collo, ornato da una splendida collana in oro con pendente a forma di pistola. Lidia fece scorrere lo sguardo su di lei, restando celata al suo sguardo dall'ampio scaffale: indossava una maglietta nera con delle righe rosse simili a graffi di una pantera, ed un paio di jeans che le fasciavano le gambe robuste.
    Non era magra, ma la rotondità del suo corpo faceva solo venire a Lidia la tentazione di abbracciarla stretta e affondare nelle sue forme. La giovane ragazza arrossì, distogliendo lo sguardo, ma non prima che l'altra potesse accorgersi di tutto questo interesse.
    Con la coda dell'occhio, Lidia si accorse che la giovane sconosciuta la stava guardando, e provò il forte desiderio di sprofondare tra le fauci della terra e non riemergere mai più. Finse di interessarsi a un manga di cui non aveva neanche letto il titolo, solo per nascondere il rossore accentuato sulle sue gote. Si chiese per quale motivo la giovane la stesse guardando, forse si stava solo facendo la stessa domanda... in fondo non aveva forse iniziato lei a tenere lo sguardo fisso sul suo viso e sul suo corpo? Magari si era accorta che il suo interesse era di un certo tipo... questo pensiero la fece arrossire ancora di più.
    E se anche l'altra avesse avuto quel tipo di interesse per lei? Lidia scosse energicamente la testa, posando nuovamente il manga dietro cui si era nascosta. No, questo era impossibile. Quella ragazza era davvero molto carina, mentre lei... bhe, di lei non si poteva dire la stessa cosa. Le sue rotondità non erano invitanti come quelle della sconosciuta, le sue labbra non erano altrettanto rosee, il suo seno era quasi invisibile, mentre quello dell'altra, sebbene piccolo, sembrava sodo e perfetto.
    Ok, doveva smetterla con questi pensieri.
    Lanciò una nuova occhiata alla sconosciuta, che adesso le dava le spalle e sembrava assorta nella lettura di un volume. Lidia si sporse appena, cercando di capire di quale titolo potesse trattarsi, così da avere una possibilità di attaccare bottone, ma così facendo ottenne il solo risultato di urtare una pila di vecchi fumetti e farla cadere, facendo così voltare tutte le persone presenti nel negozio. Compreso il titolare, che la guardò con occhi di brace.
    Vergognandosi come una ladra, Lidia rimise tutto a posto, sotto lo sguardo scrutatore della ragazza, che la metteva ancora più a disagio. Una volta posto rimedio al disastro, si avviò con calma verso l'uscita, cercando di non guardare negli occhi il proprietario della fumetteria, per evitare nuove occhiate di sdegno. La sconosciuta, intanto, aveva finito la sua scelta e si stava dirigendo proprio verso quel ragazzo, pronta ad effettuare il suo acquisto.
    Lidia uscì dal negozio, giurando a se stessa che, dopo una figura simile, non vi avrebbe più messo piede. Lanciò un'ultima occhiata all'affascinante ragazza, che aveva appena posato i manga che intendeva comprare sul bancone. Attraverso i vetri, Lidia vide la giovane parlare con il titolare, e quest'ultimo, con espressione leggermente stupita, annuire appena, spostando i manga scelti da lei dietro il bancone, mentre la ragazza scriveva qualcosa su un pezzo di carta. Lidia aggrottò le sopracciglia, ma poi distolse lo sguardo, in fondo non erano affari suoi, e probabilmente avrebbe rivisto quella ragazza in giro per la città, prima o poi.
    Con calma si voltò, dando la schiena al negozio e cominciò a camminare, riuscì a fare solo pochi passi, però, perché subito sentì un braccio afferrarla di scatto per il polso. La paura si impossessò di lei, e Lidia si voltò, pronta a urlare e a colpire l'aggressore con il braccio libero, se necessario.
    L'aggressore, però, era una ragazza. La stessa ragazza che aveva visto al negozio. Lo stupore era evidente nello sguardo di Lidia, forse l'aveva guardata troppo? Si era seccata per il suo atteggiamento?
    “Ho notato che mi guardavi”
    disse infatti la sconosciuta, facendo sobbalzare il cuore della giovane. La sua voce era musica, una musica bellissima che Lidia avrebbe voluto sentir risuonare per l'eternità. Adesso però aveva cose più gravi a cui pensare.
    “Ecco... io...” balbettò, indecisa su cosa dire. Non poteva certo confessarle che la stava guardando per mangiarla con gli occhi.
    La sconosciuta però non le diede il tempo di ribattere, senza attendere una risposta, si sporse in avanti, diminuendo la distanza che separava il suo volto da quello di Lidia, fino a posare le labbra morbide su quelle screpolate della ragazza.
    Fu un bacio veloce, ma bastò a Lidia per sentire il suo cuore gonfio di passione. Se non ci fosse stato nessuno, probabilmente l'avrebbe stesa sulla strada senza tanti complimenti. Ma non erano bei pensieri, e decise che la cosa migliore era tenerseli per sé.
    Quando la ragazza si staccò, Lidia la guardò sorpresa, ma felice.
    “Mi chiamo Diana” disse la giovane rossa, prendendole la mano e posandovi il biglietto che stava scrivendo poco prima. Lidia abbassò lo sguardo, scrutandolo; all'interno, in bella calligrafia, era scritto un numero di cellulare.
    “Ah... c'è un piccolo problema” continuò Diana, guadagnandosi una nuova occhiata stupita da parte dell'altra “Ecco, mi dispiace dirtelo, ma quello che ti ho appena dato è un bacio di possesso”
    Lidia sbatté gli occhi, incerta su cosa dire, ma di nuovo Diana non la fece parlare, donandole un secondo bacio, casto come il primo.
    “Adesso sei mia”
    sussurrò nel suo orecchio, per poi sorriderle e allontanarsi, per tornare nel negozio, dove aveva lasciato i suoi manga.
    Lidia restò immobile per qualche istante, stupita come un coniglietto che per la prima volta esce dalla gabbia. Poi sorrise, voltandosi e camminando con passo svelto, mentre nel pugno stringeva il numero di Diana.
    La giornata non era più così monotona, dopotutto.
  2. .
    CITAZIONE (~Røgom• @ 3/9/2013, 15:10) 
    CITAZIONE (Logan Wolverine @ 3/9/2013, 15:07) 
    Ma bisogna tirare in ballo il governo? Dì solo che pensi che la sigaretta fa male, se no rischiamo di creare una discussione inutile dai.
    Comunque carina l'idea a parer mio, non molto originale il sottofondo del ti osservano etc... ma il fatto della sigaretta le da un tocco in più

    È lo stato che ti vende le sigarette... Credo sia OVVIO che bisogna almeno accennare a chi per primo divulga questo veleno in giro. Sarebbe come dire che quel tizio ha ucciso qualcuno con il coltello... Ma non importa chi è stato, importa solo che è stato il coltello a trafiggerlo!

    Non proprio, è come dire che se mi uccido con un coltello la responsabilità non è mia ma di chi mi ha venduto il coltello
  3. .
    Luogo omicidi: Iran – Shiraz e altre città
    Periodo omicidi: ? - 1997
    Vittime: 3+, bambine

    La stampa lo soprannomina “il criminale dalle mille facce” per la sua capacità di travestimento. Tortura, violenta e uccide bambine intorno ai 10 anni. Adesca le vittime spostandosi da una città all'altra e cambia continuamente identità per sfuggire alla cattura. Viene arrestato dopo aver rapito una ragazzina in un villaggio, Era già stato arrestato diversi anni prima, ma era riuscito a fuggire.
    Taghiabadi viene processato e condannato per tre omicidi, ma la polizia è sicura che ne abbia commessi di più e che molte delle bambine scomparse ogni anno nel paese siano diventate sue vittime. Viene impiccato in piazza con un'esecuzione pubblica.

    Tratto da: "I serial Killer" di Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca
  4. .

    lìAgnello Vegetale (postato da XoxoXa)


    L'Agnello Vegetale della Tartaria (Latino: “Agnus scythicus” o “Planta Tartarica Barometz”) è una creatura leggendaria originaria dell’Asia Centrale che combina caratteristiche animali e vegetali. Questa pianta mitologica è ritenuta in grado di produrre pecore in luogo di frutti.Tali prodigiosi frutti ovini erano, secondo la leggenda, collegati alla pianta tramite un cordone ombelicale che permetteva alla pecora di brucare l’erba intorno entro un certo raggio dalle proprie radici: quando tutto il nutrimento della pecora si esauriva, sia la pianta che la pecora si seccavano, morendo. Nonostante il mito sia nato come modo per spiegare l’esistenza del cotone secondo il pensiero medioevale, la leggenda si basa su un pianta realmente esistente, la Cibotium barometz, o Polypodium borametz una felce del genere Cibotium, lanuginosa e con radici a fittone, solitamente in numero di quattro o cinque. L’agnello vegetale della Tartaria è noto con molti altri nomi, fra i quali Agnello della Scizia, Barometz, Borometz o Borametz, quest’ultimi essendo diverse traslitterazioni della parola tartara che indica l’agnello. Nell’antichità era d’uso produrre delle “prove” dell’esistenza della miracolosa pianta, rimuovendo le foglie dalla parte terminale del rizoma dall'apparenza lanuginosa della felce: capovolgendo il tutto, il rizoma filamentoso poteva facilmente rassomigliare ad un agnello con tanto di lana, con le gambe formate dalle basi recise dei piccioli. Il Tradescant Museum of Garden History conserva un esemplare di "Barometz" sotto vetro.

    Le versioni più antiche della leggenda descrivono l’agnello come un frutto che sorgeva da un seme simile ad un melone o una cucurbitacea, perfettamente formato, come se fosse nato in maniera naturale. Con il passare del tempo, questo concetto fu rimpiazzato dall’idea che l’agnello fosse sia un frutto che un animale. Gustav Schlegel, nel suo libro sulle varie leggende che riguardano l’agnello vegetale, riporta che l’agnello nasceva senza corna, ma con due ciuffi di bianchi, ricci capelli al posto di esse.

    220px-Vegetable_lamb_%28Lee%2C_1887%29


  5. .

    Tsuchinoko (postato da XoxoXa)



    Lo Tsuchinoko è un essere leggendario simile ad un serpente, originario del Giappone. Il nome tsuchinoko è utilizzato prevalentemente nell'Ovest del Giappone, incluse le province di Kansai e Shikoku; nel nord-est del Giappone è conosciuto come bachi hebi .

    Gli Tsuchinoko sono descritti come degli animali lunghi tra 30 e gli 80 centimetri, simili in apparenza a dei serpenti, tranne per la parte centrale del loro corpo, che è più larga della parte finale e della testa, e aventi i denti e il veleno come quello di una vipera[1]. Alcune persone dicono che possegga la capacità di saltare oltre un metro di distanza.

    Stando alla leggenda, lo tsuchinoko ha l'abilità di parlare e un'attitudine alla menzogna, così come una propensione per l'alcol. Le leggende riportano altresì che possa ingoiare la propria coda, per poter rotolare come un cerchio.

    Esclusi Hokkaido e le Isole giapponesi del Sud, avvistamenti di tsuchinoko sono stati segnalati in tutto il Giappone. Benché un vero tsuchinoko non sia mai stato formalmente catalogato dalla comunità scientifica, esistono delle ipotesi che qualche altro animale sia stato confuso con questa creatura. Alcuni ritengono che la leggenda dello tsuchinoko si basi su avvistamenti di serpenti che abbiano appena ingoiato una preda. Anche la lucertola dalla lingua blu, il cui possesso divenne legale in Giappone negli anni settanta, sembra essere facilmente confondibile per uno tsuchinoko; l'unica grande differenza nell'aspetto sono le quattro zampe.
    Tsuchinoko

  6. .
    Luogo omicidi: Corea del Sud – Seul, Incheon, Busan
    Periodo omicidi: 2003 – 2004
    Vittime: 26, donne

    Divorziato e padre di un figlio nato nel 1993, Young-Chul soffre di problemi mentali e di attacchi di epilessia ed è stato condannato quattordici volte per stupri e furti con scasso. La moglie, una massaggiatrice, lo abbandona nel 2002 mentre è rinchiuso in prigione. Young-Chul uccide, in poco meno di un anno (settembre 2003 – luglio 2004), 26 donne (cameriere di bar, massaggiatrici e prostitute) e, quando viene arrestato, confessa immediatamente. Tra le vittime ci sono anche delle ricche donne anziane che deruba. Il suo modus operandi è sempre lo stesso: adesca le vittime presentandosi come un poliziotto, porta le donne a casa sua, ha rapporti sessuali e poi fracassa loro il cranio con un martello; smembra i corpi con un'ascia, coltelli e forbici, poi seppellisce le varie parti in posti isolati fuori dai centri abitati, soprattutto nei pressi di un tempio buddista. Dice di aver iniziato a uccidere per odio nei confronti di tutte le donne e della società in generale e pensa che le donne lo lascino perché è povero di famiglia. Voleva uccidere anche la ex moglie, ma non lo fa per non far diventare orfano il figlio. Gli psichiatri che lo hanno esaminato sostengono che l'abbandono della moglie gli ha causato un grave trauma e uno scompenso affettivo. Pratica il cannibalismo sui corpi delle vittime, mangiando alcuni organi interni “per ripulire il mio spirito e farlo diventare più chiaro”.
    Il 14 dicembre 2004, Yoo Young-Chul viene condannato a morte per 20 dei 26 omicidi e l'avvocato difensore dichiara che il suo cliente non ricorrerà in appello perché “desidera morire”.

    Tratto da: "I serial Killer" di Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca
  7. .
    L'unico caso di donna serial killer avvenuto in Giappone si è verificato nel 1995, quando la polizia ha arrestato Sachiko Eto, la autoproclamata “sacerdotessa” di una pseudosetta che aveva base nel suo stesso appartamento di Sukagawa, dove sono avvenuti anche gli omicidi. Le vittime della donna sono sei, tutti discepoli della setta che vengono picchiati a morte con delle mazze durante dei “rituali di esorcismo” che hanno lo scopo di educare all'obbedienza le “anime animali”. La “sacerdotessa” sostiene di poter resuscitare i cadaveri e considera il rituale delle percosse “un atto d'amore”. Quando la polizia fa irruzione nel suo appartamento, trova i corpi delle vittime in vari stati di decomposizione, perché la Eto non se ne è disfatta.

    Tratto da: "I serial Killer" di Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca
  8. .
    Luogo omicidi: Germania – Kempten
    Periodo omicidi: 2003 – 2004
    Vittime: 10 – 80, pazienti anziani

    E' un obiettore di coscienza e presta servizio civile presso la Croce Rossa. Nel 2002, consegue il diploma di infermiere e la sua grande passione è “aiutare il prossimo”. In tutte le strutture sanitarie nelle quali lavora, i colleghi lo considerano una persona amichevole, servizievole, affidabile e molto professionale.
    Arrestato e processato per dieci omicidi, la polizia tedesca ha fondati sospetti che Stephan L. possa aver ucciso fino a ottanta pazienti, considerando l'aumento eccessivo del numero di decessi durante i suoi turni di servizio. Inietta un miscuglio di barbiturici e di rilassanti muscolari e dice di averlo fatto perché “non riesco a sopportare di vedere la sofferenza delle persone”; giustifica i suoi omicidi sostenendo che tutte le vittime erano pazienti in fase terminale e che il suo compito era di “porre fine all'agonia”. In realtà, l'esame sui cadaveri ha accertato che molti pazienti si stavano riprendendo bene dalle malattie e dalle operazioni alle quali erano stati sottoposti ed erano sulla via della guarigione. Contro la tesi dell'eutanasia, c'è anche il fatto che la miscela letale iniettata da Stephan L provoca una morte lenta e dolorosa perché il paralizza progressivamente i polmoni e blocca la respirazione.
    Le autorità tedesche non hanno comunicato il cognome dell'assassino seriale, ma soltanto la lettera iniziale.

    Tratto da: "I serial Killer" di Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca
  9. .
    Sì, il senso è quello :)
    In questo caso è inquietante ma non paranormale
  10. .
    IlCavaliereNero abilitato

    Gief Troisi abilitato
  11. .
    Luogo omicidi: Sudafrica - Johannesburg, Pretoria
    Periodo omicidi: 1995
    Vittime: 38, donne nere

    Fra gennaio e ottobre 1995, più di tre dozzine di giovani donne nere vengono uccise nei dintorni di Johannesburg e Pretoria. Tutte le vittime sono stuprate e strangolate con i loro capi di biancheria intima. Almeno una dozzina di cadaveri viene ritrovata in un campo pieno di oggetti bizzarri ammucchiati intorno ai corpi: coltelli, specchi, croci, bibbie bruciate, uccelli morti impalati e trafitti da spilloni, come in un rito vodoo. Non riuscendo a catturare l'assassino, la polizia sudafricana richiede l'aiuto dell'FBI e Robert Ressler si reca a Johannesburg per una consulenza. Ai primi di ottobre, un quotidiano di Città del Capo riceve una telefonata anonima dall'assassino che descrive gli omicidi come un atto di vendetta. La voce al telefono sostiene di essere stato imprigionato in passato per una falsa accusa di stupro e di aver dovuto sopportare "torture inimmaginabili" durante i quattordici anni trascorsi in prigione, così ha deciso di infliggere sofferenze a "tutte le donne del mondo". Grazie alla telefonata, la polizia riesce a identificare l'uomo, Moses Sithole, e lo arresta in un sobborgo di Johannesburg. In prigione, confessa gli omicidi raccontando i macabri momenti dell'agonia delle vittime e confermando di odiare le donne e di desiderare di impartire loro "una bella lezione" uccidendole. Processato nel 1997, Moses Sithole è ritenuto colpevole di 38 omicidi e, a causa dell'abolizione della pena di morte, gli viene somministrata la pena detentiva massima prevista dal codice penale sudafricano: 2410 anni di carcere.

    Tratto da: "I serial Killer" di Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca
  12. .
    Mary, voglio un avatar figo come il tuo ç__ç
  13. .
    Luogo omicidi: Colombia, Perù, Ecuador
    Periodo omicidi: 1967 - 1980
    Vittime: 110 - 350+ (bambine e giovani ragazze)

    Settimo figlio su tredici di una prostituta senza soldi, nasce in uno squallido villaggio della Colombia. A 8 anni, viene esiliato dalla famiglia dopo che la madre lo ha scoperto mentre seduce una sorella più piccola. Lasciato su una strada a badare a se stesso, Lopez viene raccolto da un pedofilo di mezza età che, con la scusa di offrirgli cibo e alloggio, lo sodomizza in un edificio isolato, un trauma che causa un danno permanente a una psiche già fragile.
    Terrorizzato dagli estranei, Lopez dorme in vicoli e stalle, vagabondando in varie città e chiedendo l'elemosina per avere qualcosa da mangiare. Ha frequenti esperienze bisessuali, fino a quando una famiglia americana lo trova e decide di offrirgli una stanza e inserirlo in una scuola speciale per orfani. A 12 anni, subisce le molestie sessuali di un maestro e scappa dopo aver rubato il denaro della cassa scolastica. Durante l'adolescenza, si dedica ai furti d'auto, una vocazione che lo porta in carcere quando ha compiuto da poco 18 anni, con una condanna a diciassette anni di reclusione. E' entrato in prigione da ue giorni quando viene brutalmente sodomizzato da un quartetto di detenuti più anziani. Dopo qualche mese, Lopez riesce ad uccidere tutti e quattro i suoi aggressori con un coltello fatto a mano e, riconosciuta l'attenuante della legittima difesa, gli viene aggiunta una pena supplementare di soli due anni.
    Rilasciato anticipatamente nel 1978, Lopez inizia una carriera nomade da omicida sadico. Viaggia lungo tutto il Perù violentando e strangolando decine di giovani ragazze e bambine, rapendone la maggior parte dalle tribù indigene. Viene colto sul fatto dai parenti di un bambino che lo picchiano, lo torturano e quasi lo bruciano vivo, finché non interviene un missionario americano che gli salva la vita.
    Espulso dal paese, Lopez riprende la sua attività omicida in Colombia ed Ecuador, finché non viene definitivamente arrestato nell'aprile 1980, mentre sta cercando di rapire una bambina di dodici anni da un mercato ecuadoriano.
    In prigione inizialmente rimane silenzioso, poi si mette a confessare nei minimi dettagli tutti i suoi omicidi: dice di aver ucciso almeno un centinaio di ragazze in Ecuador, lo stesso numero in Colombia e molte più vittime in Perù.
    Lopez sceglieva le vittime che sembravano più gentili, fiduciose e innocenti, perché, avendo perso la sua innocenza a otto anni, voleva che la stessa cosa accadesse a quante più bambine poteva ("La vita è divina e viene col sesso, così se una persona innocente muore durante l'atto sessuale, è anch'essa un'azione divina. L'anima troverà il Paradiso senza soffrire in questo mondo"). Le stuprava, poi le guardava negli occhi mentre le strangolava, ottenendo un piacere sadico molto intenso da quello spettacolo di morte. ("A volte, ci volevano dai cinque ai dieci minuti perché le bambine morissero. Mi piaceva trascorrere un sacco di tempo con loro, e mi accertavo che fossero veramente morte. Usavo uno specchio per controllare se stavano ancora respirando e, qualche volta, dovevo ucciderle una seconda volta per essere sicuro"). Uccideva soprattutto di giorno per essere in grado di veder meglio l'agonia delle vittime. Disse che, dopo gli stupri subiti in carcere, era cresciuta in lui una paura irrazionale per le donne e si era convinto di non poter avere nessun tipo di rapporto sociale con loro. Faceva largo uso di libri e film pornografici e il suo grande sogno era, un giorno, di riuscire a stuprare una bambina bianca. Lopez dichiara di essere contento di essere stato arrestato perché così diventerà un personaggio famoso ("Io sono l'uomo del secolo. Nessuno si dimenticherà mai il mio nome").
    Inizialmente scettica sul numero delle sue vittime, la polizia si convince che Lopez stia dicendo la verità quando conduce gli investigatori in una località isolata in cui si trovano i resti di 53 vittime femminili di età compresa fra 8 e 12 anni. Nel 1980, Pedro Lopez viene condannato all'ergastolo per 110 omicidi, ma la polizia è convinta che il numero totale delle sue vittime possa essere superiore a 350.

    Tratto da "I serial killer" di Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben de Luca


    Edited by Shira™ - 1/8/2013, 14:28
  14. .
    “Causa numero 25, lo Stato contro Katy McCorner”
    “Come si dichiara l'imputata?”
    “Colpevole, Vostro Onore”


    Piove. L'odore del terreno bagnato di pioggia riempie le narici di Katy, mentre l'acqua le bagna il viso e i capelli, corti e rossicci. Stringe con forza l'oggetto che porta con sé, celato dalla tasca sinistra dei jeans, mentre sorride, felice della pioggia che almeno può coprire le sue lacrime.
    Resta in attesa, con il corpo immobile ed i muscoli tesi, come una leonessa che aspetta la preda. Ma lei non caccia per fame, lei vuole solo essere libera, vuole spezzare la gabbia che da troppo tempo la incatena. Senza di lei tutto sarà più bello.
    Se chiude gli occhi vede la sua figura sorridente, accompagnata da una fitta di dolore e da un'intensa sensazione di nausea. Li riapre, scrutando il buio della notte; la porta è ancora chiusa, ma lei ha pazienza, per quella notte ha pazienza.

    “Prima che decida la sentenza, la Difesa ha qualcosa da dire?”
    “Sì, Vostro Onore! Chiediamo le attenuanti generiche per l'imputata”


    Il cuore le batte forte in petto, mentre vede la porta aprirsi piano e la sua figura fare capolino nella notte. E' allegra e sorridente e cammina al fianco di un ragazzo, probabilmente il suo fidanzato. E' un imprevisto che Katy non ha calcolato, ma non vuole arrendersi. Quello è il momento del suo riscatto, non può permettersi di restare in gabbia. Sospira piano, per farsi coraggio, ed estrae lentamente dalla tasca il coltellino, saggiandone con il pollice la parte non affilata. Sorride appena, mentre nuove lacrime le rigano il volto, ancora protette dalla pioggia che continua a cadere. Sente il freddo della lama contro le dita, che nonostante tutto le provoca una strana sensazione di calore all'altezza del cuore. Il ragazzo insieme a Karen stringe nella mano sinistra un grande ombrello rosso, che ripara entrambi. Katy muove un passo in avanti, restando, però, ancora celata dal buio di una palazzina. Anche lei avrebbe bisogno di qualcuno che la ripari dalla pioggia, in quel momento. I capelli le si sono appiccicati al viso e lei sa già che non passerà la notte senza un bel raffreddore. Ma nessuno può ripararla, è sola, e se si trova in mezzo alla pioggia è tutta colpa di quella biondina sorridente. La stretta sul coltello si fa più forte, Katy sente La Bestia che scalpita dentro di lei. E' un po' di tempo che l'accompagna, che la fa sentire viva. Senza di lei, forse, non ci sarebbe più.
    Continua ad osservare le mosse dei due fidanzati, che adesso sembrano presi da una discussione. Katy non riesce a sentire cosa si stanno dicendo, ma dopo pochi secondi il ragazzo si allontana nella direzione opposta, mentre Karen continua a camminare, da sola.
    La Bestia ruggisce ancora, e lo sguardo di Katy resta incollato alla figura, che procede allegra, coperta dall'ombrello rosso che il ragazzo le ha lasciato.

    “L'Accusa ha qualcosa da obiettare?”
    “Vostro Onore, l'imputata si è rifiutata di svelare i motivi per cui ha ucciso Karen Walter, per questo l'Accusa si oppone alla richiesta delle attenuanti”


    La Bestia le graffia l'interno del cuore, costringendola a mordersi le labbra. Prima riusciva a tenerla sotto controllo, la nutriva con il suo odio, ma adesso è diverso, ogni secondo che passa la sente più forte. Tutto questo deve finire, deve essere libera.
    Chiude gli occhi per un istante e si fa coraggio, per poi allontanarsi dall'ombra rassicurante e avvicinarsi alla giovane. Non dice niente, solo cammina verso di lei, con passo deciso, guardandola negli occhi. Un lampo di stupore attraversa quei pozzi chiari, ma è solo un attimo. Poi, la prima coltellata la raggiunge alla gola, e adesso solo gli occhi di Karen possono parlare per lei. Lo stupore diventa consapevolezza, ma anche dolore, un punto di domanda infinito che si propaga dai suoi occhi. Lo sguardo di Katy è fisso sulla ragazza sanguinante ed il suo braccio continua a colpirla, quasi meccanicamente. La Bestia ruggisce ancora più forte ed un piccolo sorriso compare sul volto di Katy, macchiato di sangue. Presto sarebbe stata libera.

    “La Difesa è in grado di rispondere alla domanda dell'Accusa?”
    “...no, Vostro Onore”


    Il sangue cola dalla lama splendente, così come dal corpo di Katy, i suoi vestiti sono pregni di quel liquido vermiglio e l'odore è forte e inebriante. Il corpo di Karen giace a terra. Quaranta coltellate, Katy quasi non sente più il braccio. Osserva il corpo ricoperto di sangue, e la mano destra con lentezza raggiunge la tasca corrispondente, posta sul retro dei jeans. Il suo sguardo non abbandona il cadavere della ragazza, i suoi occhi attoniti e sbarrati, ora gelati dal freddo della morte. Non ha mai visto prima gli occhi di un morto, sente una strana sensazione di freddo che le sale dalla schiena, mentre La Bestia ha smesso di ruggire. Se chiude gli occhi può vedere le sbarre di ghiaccio, prima fisse e salde, che si sciolgono davanti ai suoi occhi. La mano nei jeans tocca la carta ruvida e l'indice e il medio si serrano, estraendo quel simbolo.

    “Signorina McCorner, può rivelare alla Corte i motivi che l'hanno spinta ad uccidere Karen Walter?”
    “...”
    “Sia messo agli atti che l'imputata si rifiuta di rispondere”


    Un semplice biglietto. Un piccolo pezzo di carta, apparentemente privo di significato, ma fin troppo importante per Katy. E' cominciato tutto da lì, ma poi Lei ne ha decretato la fine, e tutto per colpa della ragazza che ora giace priva di vita ai suoi piedi. Appallottola il biglietto e lo scaglia con furia al suolo, macchiandolo del sangue di Karen. Resta immobile, mentre la pioggia continua a cadere, insensibile al dolore e alla morte. Katy si inginocchia e recupera il biglietto, rimettendolo in tasca. Adesso la distanza tra lei ed il corpo è minore e l'odore del sangue è ancora più intenso, misto all'odore di morte. Si rialza, mordendosi le labbra. La Bestia si risveglia, torna a raschiare, piano ma senza sosta.

    “In virtù della mancata conoscenza delle motivazioni che hanno spinto l'imputata al suo gesto, la Corte non ritiene che ci siano gli estremi per la concessione delle attenuanti”

    Un sapore amaro si fa strada nella sua bocca, mentre l'odore del sangue diventa insopportabile, e gli occhi gelidi di Karen sembrano trapassarle l'anima. Una cupa disperazione si fa strada nella mente di Katy, e lei torna a piangere, mentre si allontana di qualche passo, prima che arrivi qualcuno. Non vuole che la vedano così, sporca di sangue e con le lacrime che ancora le bagnano gli occhi, non vuole essere umiliata ancora di più, Karen e Lei hanno fatto abbastanza. L'hanno distrutta, l'hanno privata di una libertà che adesso non riesce più a trovare. Gli artigli della Bestia penetrano in profondità nelle sue viscere.

    “Dopo attenta riflessione, la Corte ha deciso di condannare Katy McCorner alla pena massima prevista dall'ordinamento”

    La penombra del palazzo è tornata ad avvolgerla, calda e protettiva, ma l'odore del sangue, di cui sono fradici i suoi abiti, non l'ha abbandonata. Sente il rumore delle sirene della polizia, in lontananza, qualcuno deve aver visto qualcosa. Katy sospira, appoggiandosi al muro e sporcandolo del sangue di Karen. Le sirene sono sempre più vicine, e lei dovrebbe andarsene, ma le sue gambe sembrano diventate di marmo, e lei è troppo stanca per muoversi, è troppo stanca anche per pensare. Chiude gli occhi, e le sbarre di ghiaccio appaiono di nuovo davanti a lei, ferme e solide come sempre. Non è mai stata libera, quella gabbia gelida continua a stringerla, a lasciarla incatenata alla Bestia.
    Il suono delle sirene è sempre più forte, e la testa di Katy inizia a pulsare. Ha bisogno di silenzio, quel suono continuo le fa venire il mal di testa. Si lascia scivolare al suolo, e nasconde la testa tra le mani, si copre le orecchie per non sentire, ma il suono è ormai troppo forte.

    “L'imputata dovrà quindi scontare l'ergastolo nel carcere femminile di Tehachapi”

    Il cuore batte all'impazzata dentro il petto, trattenuto solo dalle unghie della Bestia, mentre le sbarre ghiacciate si fanno sempre più vicine.
  15. .
    L'uomo dietro il banco di vendita, pensava Sara, aveva un'aria ipocrita. Sì: ipocrita! Era la parola giusta. Non somigliava affatto al signore simpatico che ci si aspetterebbe di trovare dietro il banco di un negozio di animali.
    “Che cosa desideri, piccola?” domandò l'uomo. Anche la sua voce era ipocrita, pensò Sara. L'uomo la guardava dritto negli occhi da dietro un paio di occhialetti rotondi, senza smettere di sfregarsi le mani ossute.
    “Erbagatta” disse Sara “La nostra gatta è in muta, e soffre di pallottole di pelo nello stomaco. Il veterinario dice che per liberarsi deve mangiare dell'erbagatta”.
    Sara abitava in un appartamento al secondo piano, e di conseguenza la sua gatta non poteva uscire a mangiare dell'erba selvatica. Ma in qualsiasi negozio specializzato si poteva comprare dell'erbagatta in vaso, aveva detto il veterinario.
    “Ho capito” disse l'uomo dietro il banco, con un vago sorrisetto. “Erbagatta. Aspetta un attimo. Ho qualcosa di speciale per te. Funziona sempre”. Si girò, e scomparve nel buio del retrobottega. Sara rimase in attesa nel negozio, guardandosi intorno. C'erano dappertutto cucce per cani e gatti e barattoli di vetro. Dal soffitto pendevano gabbie di ogni forma e dimensione. Il negozio era poco illuminato e stranamente silenzioso. Forse tutti gli animali stavano facendo la siesta pomeridiana, pensò Sara.
    Normalmente, un negozio di animali è pieno di cinguettii, zufolii, squittii, fruscii. Qui, invece, perfino il pappagallo appollaiato sul suo trespolo, con una catenella a una zampa, se ne stava immobile, fissando il vuoto con occhi vitrei.
    “Salve, Loreto!” disse Sara toccando cautamente la testa rossa dell'uccello, ma subito ritrasse la mano, spaventata. La testa era dura e fredda. Il pappagallo era imbalsamato! E quando passò in rassegna le gabbie, scoprì che anche gli altri animali – topi, conigli, marmotte e porcellini d'India- erano imbalsamati. Anche gli innumerevoli pesciolini tropicali se ne stavano immobili, come sospesi nell'acqua degli acquari.
    “Accidenti” pensò Sara “E' il posto più strano che...”
    “Ecco qua”. I suoi pensieri furono interrotti dalla voce del negoziante, riapparso silenziosamente dietro il banco con un vasetto quadrangolare di plastica nella mano ossuta. Nel vasetto c'erano dei semi bianchi, simili a sassolini. L'uomo posò il vasetto sul banco e lo spinse verso Sara.
    “Annaffia questo vasetto con un bicchiere d'acqua al giorno, e fra una settimana avrai la più rigogliosa e succosa erbagatta che si possa immaginare”
    “E...quanto costa?” chiese Sara.
    “Oh, a una bambina carina come te non costa niente” disse il negoziante con un sorriso.
    “Grazie mille” disse Sara, poi afferrò il vasetto e si affrettò a uscire dal negozio. Aveva ancora la sensazione che in quell'uomo ci fosse qualcosa di falso, per cui era contenta di ritrovarsi sul marciapiede, nella luce del sole.
    Poco mancò che non andasse a sbattere contro il manichino pubblicitario della tabaccheria, che teneva in mano un sigaro gigante.
    Nei giorni seguenti, Sara annaffiò ogni giorno il vasetto, che aveva collocato sulla sua scrivania. E in effetti, dopo due giorni, fra i semi bianchi erano già spuntati degli steli sottili. Sara smise di pensare a quello strano negozio di animali.

    “Ancora un po' di pazienza, e potrai mangiare di questa buona erba, Milù” disse, sdraiata sul letto con la gatta acciambellata sulla pancia.
    Fino a quel momento Milù aveva mostrato scarso interesse per il vasetto, e quando Sara gliel'aveva dato da fiutare, si era messa addirittura a soffiare, inarcando minacciosamente la groppa. Questo, aveva pensato Sara, era dovuto sicuramente al fatto che i semi avevano uno strano odore; ma presto, quando l'erba sarebbe cresciuta al punto giusto, Milù sarebbe stata felice di papparsela.
    Di lì al fine settimana, numerosi alti steli erano comparsi nel vasetto, e i semi bianchi erano ormai quasi invisibili. Sara partì coi suoi genitori per trascorrere un paio di giorni dalla nonna, portandosi dietro anche Milù. In quel paio di giorni Sara non avrebbe potuto annaffiare il vasetto.
    “Sai cosa faccio, Milù?” disse al momento della partenza “Gli darò una razione doppia di acqua, per non rischiare di trovare l'erba appassita al nostro ritorno”.
    La gatta voltò la testa da un'altra parte, come se la cosa non le interessasse minimamente. Sara versò la doppia razione d'acqua nel vasetto, poi prese in braccio Milù e raggiunse i genitori nell'ascensore.

    Al ritorno da quel fine settimana, il primo pensiero di Sara, appena posati i bagagli, fu per il vasetto di erbagatta.
    “Vieni, Milù” disse “Forse troverai tanta buona erba tenera”.
    Milù le strofinò la testolina contro le gambe e la seguì. Ma davanti alla porta della camera di Sara, uscì all'improvviso in un miagolio lamentoso.
    “Che c'è, Milù?” disse Sara “Ancora quelle brutte pallottole di pelo nel pancino? Ma ora ti passerà tutto, vedrai, con quella buona erbagatta”. E così dicendo, aprì la porta.
    Davanti a lei, subito dietro la porta, si levava una muraglia verde ondeggiante e dondolante.
    Impugnando ancora la maniglia, Sara rimase sbigottita a fissarla come inchiodata al pavimento. Milù si mise a soffiare, col pelo ritto sulla groppa e la coda gonfia. In quell'istante un tentacolo arricciolato scattò fuori dalla massa verde, avvinghiò Sara e l'attirò a sé. Con un miagolio stridulo, anche Milù fu trascinata dentro da un altro tentacolo...
    Il mondo si mise a girare davanti agli occhi di Sara. Agitando le braccia e scalciando selvaggiamente, la bambina cominciò a lottare con tutte le sue forze, senza sapere contro che cosa. Poi cadde violentemente all'indietro. Dappertutto intorno a lei c'erano delle cose verdi, fluttuanti. “Una foresta vergine” pensò Sara. Foresta vergine? Ma non era la sua camera? Però adesso era tutto color verde erba...
    Allora Sara intuì che cos'era accaduto. Tutte quelle cose dondolanti che la circondavano invadendo la sua cameretta, erano piante erbacee alte come tronchi d'albero. E tutto questo non poteva che essere spuntato da quel vasetto di erbagatta. Ma com'era potuto succedere? Sara non ebbe il tempo di riflettere, perché dal groviglio verde uscì un lamento stridulo.
    “Milù!” gridò Sara, protendendosi nella direzione da cui era uscito quel grido. Verdi tentacoli le si avvinghiarono immediatamente alle caviglie, avvolgendole le gambe. Lottando disperatamente per liberarsi, Sara cercò di aprirsi un varco fra predaci dita d'erba. Milù miagolò forte una seconda volta, e allora Sara la vide, sospesa a mezz'aria, nella stretta di una specie di millepiedi vegetale che le si era avviluppato intorno al corpo. La gatta, con gli occhi fuori dalle orbite, si lamentava sempre più flebilmente.
    “Milù!” chiamò di nuovo Sara, e gettandosi con tutto il suo peso sulla pianta strangolatrice gridò “Lasciala, mostro! Lasciala andare!”.
    Sferrò con tutte le sue forze un calcio contro la pianta che avvinghiava Milù. La pianta si piegò in avanti. Sara ne approfittò per saltarle addosso e strappare Milù dalla morsa che stava per soffocarla. Milù non dava quasi più segno di vita.
    “Svegliati, Milù” ansimò Sara “Dobbiamo andar via di qui!”. Il suo cervello lavorava febbrilmente. La porta... doveva raggiungerla a ogni costo. E presto! Con Milù stretta al petto, si lanciò in quella direzione. Steli contorti le saettarono contro come serpenti. Ora tutti i fili d'erba giganti e le altre piante della stanza sembravano accanirsi contro di lei, mentre la foresta verde le si agitava intorno fluttuando.
    Ma, a forza di calci e strattoni, Sara era riuscita poco per volta ad avvicinarsi alla porta. E l'aveva quasi raggiunta, quando vide qualcosa di enorme emergere torreggiando al di sopra della massa verde.
    Era una pianta conosciuta come carnivora. Una piantina che si nutriva di insetti, e che adesso era diventata un mostro. Un muso enorme dalle mascelle poderose dondolava avanti e indietro al di sopra delle altre erbe come la testa di un dinosauro; poi cominciò ad abbassarsi lentamente. Un lungo tralcio si protese di scatto, tirando Sara verso il fusto della pianta. Quando Sara si vide il muso del mostro a un palmo dalla faccia, cacciò un urlo.
    Qualcuno bussava alla porta della sua camera.
    “Sara!”. Era la voce di suo padre.
    “Papà! Aiuto!” gridò Sara, e scansando all'ultimo momento le mascelle che erano scattate per ghermirla, si liberò con uno strattone dal tralcio. Ma le lunghe dita d'erba la riafferrarono da ogni lato.
    “Sara!” gridò di nuovo il papà. Lo sentiva cercare di aprire la porta a spallate. All'interno, un fitto intrico di steli e foglie formava una solida barriera, ma poco a poco la porta cedeva. Sara riprese a sperare, il papà veniva a salvarla. Ma le fauci della mostruosa pianta incombevano di nuovo su di lei. Sara le evitò con un balzo. Inciampò. Cadde. Una flaccida foglia verde le avviluppava la faccia, soffocandola; sottili lacci d'erba la stringevano, spremendole l'aria dai polmoni.
    La porta si spalancò di schianto. Con un grido furibondo, il papà cercò di aprirsi un varco nella foresta ondeggiante.
    “Sara! Dove sei?”
    Sara avrebbe voluto rispondere, ma non le uscì altro che un fioco gemito, mentre un sapore di erba amara le penetrava in bocca. Si sentì mancare l'aria e sprofondò in una voragine buia. “E' finita!” pensò.
    Due mani robuste la sollevarono. Allontanarono da lei le piante. Sara bevve avidamente l'aria.
    “Sono io, piccola”. Era la voce del papà. “Tieni duro!”
    Il papà colpiva a calci le piante che seguitavano ad avviticchiarglisi intorno alle gambe. La testa della pinta carnivora era sopra di lui. “Vattene!” urlò il papà, e stringendo Sara e Milù con un braccio, con l'altro raccolse una grande foglia allungata e con quella frustò le fauci spalancate. La pianta carnivora stridette per il dolore, e il papà ne approfittò per precipitarsi al vano della porta, oltrepassare con un balzo la soglia e sbattersi al porta alle spalle.

    “Incredibile!” diceva il padre di Sara, scuotendo la testa.
    “Incredibile!”. Erano trascorsi soltanto due giorni. Milù, per fortuna, si era perfettamente ristabilita, ma continuava a girare al largo dalla camera di Sara. Ma c'era un ma... l'erbagatta continuava a crescere. Verdi tentacoli facevano capolino dalle fessure della porta e si attorcigliavano lungo i muri del corridoio. La pressione contro la parete interna della porta era sempre più forte, e il battente cominciava a deformarsi.
    Il padre di Sara era continuamente sul piede di guerra. Armato di un grosso coltellaccio, falciava tutti i fili d'erba che s'insinuavano all'esterno. Davanti alla porta aveva inchiodato pesanti assi di rinforzo, e anche la finestra di Sara era inchiodata saldamente dall'esterno. In capo a quattro settimane il verde smise di far capolino dalle fessure. Il papà depose con un sospiro di sollievo il coltellaccio. In piedi nel corridoio, con la barba lunga e larghe chiazze di sudore alle ascelle, fissava con gli occhi sgranati la porta barricata.
    “Sara, tesoro, credo che abbiamo vinto. Ormai non cresce più niente”
    “Posso tornare in camera mia?” chiese Sara incredula.
    “Non ancora, piccola” rispose il papà “Aspettiamo ancora un po' per esser certi che le erbe e le piante siano veramente morte”.
    Passarono un paio di settimane, e quando un gran fetore di marcio invase l'appartamento, il papà decise che era giunto il momento di riaprire la camera di Sara.
    Il papà e Sara schiodarono le assi, aprirono la porta e avanzarono a fatica attraverso un ammasso di piante morte.
    Negli occhi di Sara spuntarono lacrime di sgomento al vedere com'era ridotta la sua camera: grovigli di strisce brunastre in via di putrefazione coprivano il pavimento, il letto e la piccola scrivania. Dai muri gocciolava un viscidume verde, e l'odore di marcio era così forte che Sara fu presa da un attacco di nausea.
    Il papà s'inoltrò fra le piante fradice per rompere un vetro della finestra e far entrare aria fresca. I pezzi del vetro caddero fra il marciume.
    Ci vollero intere giornate prima che la camera fosse ripulita e quell'odore disgustoso non appestasse più l'appartamento. Il papà noleggiò un container dal municipio e lavorò come un forzato per portar via dall'appartamento intere carrettate di piante marce. Sul pavimento accanto allo scrittoio di Sara fu trovato il vasetto di plastica ondulata, dove non c'era ormai altro che una schifosa feccia nerastra.
    “E ora, Sara, descrivimi dove hai comprato quell'erbagatta” disse il papà corrugando la fronte “Esigo una spiegazione da quel negoziante e, se sarà il caso, lo trascinerò in tribunale”.

    Il giorno seguente Sara si recò col papà nella via dove si trovava il negozio di animali. Ma, cosa strana, per quanto cercassero, non riuscirono a trovarlo. In quella via c'era un tabaccaio, e anche un supermercato, ma nessun negozio di animali. “Sono certa che era in questa via, papà” disse Sara “Accanto al tabaccaio... mi sono quasi scontrata con quel manichino dal sigaro gigante”.
    Ma accanto al tabaccaio c'era soltanto una vecchia villetta a due piani, con le finestre ermeticamente chiuse. “Allora andiamo a informarci dal tabaccaio” disse il papà. Oltrepassarono il manichino ed entrarono.
    “Buongiorno: lei sa dirmi per caso in quale punto della via si trova il negozio di animali?” chiese il papà.
    Il tabaccaio si strinse nelle spalle. “In questa via, per quel che ne so, non c'è nessun negozio di animali”
    “Eppure era qui accanto!” insisté Sara.
    “Qui accanto? Impossibile. La casa qui accanto è disabitata, e su di essa gira una storia interessante... molto tempo fa” raccontò il tabaccaio “ci abitava un tipo molto particolare, che faceva strani esperimenti con le piante: incroci e cose del genere. E inoltre aveva dei curiosi hobby, come per esempio imbalsamare animali. Ne aveva riempito la casa”
    “Dev'essere lui!” disse il padre di Sara “Mia figlia mi ha raccontato che il negozio era pieno di animali imbalsamati”.
    Il tabaccaio scoppiò a ridere. “Lei vuole scherzare, signore. Questo è impossibile. A quello strano uomo, vede, diede di volta il cervello. E alla fine venne condannato per aver tentato di far mangiare una bambina da un'enorme pianta carnivora. Successe quasi due secoli fa...”
150 replies since 22/7/2006
.