| "Era da tanto che non vedevo la luna piena", rifletté Marco guardando fuori dalla finestra. Fissare il cielo stellato lo rendeva sempre malinconico e nostalgico, perché abbinava questa visione all'estate: le scappatelle notturne al mare, i falò sulla spiaggia, la trasgressione e la libertà che solo in vacanza era possibile provare. Sorrise amaramente a questo pensiero, rendendosi conto di non aver mai vissuto queste esperienze e che forse per lui fosse troppo tardi per sperimentarle. "E' uno strano dolore, morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai": Baricco era uno degli scrittori che più era riuscito a toccare le corde del suo cuore, e con questa frase aveva colto nel segno; si chiese se esistesse un termine per descrivere quella sensazione, ma ormai era abituato a non saper esprimere a parole i suoi sentimenti. Continuò a galoppare con la mente attraverso tristi considerazioni e inquieti ricordi, poi rivolse la sua attenzione a Laura, che giaceva alla sua destra. "Dorme ancora", pensò, e la osservò rannicchiata al suo fianco, rivolta verso di lui: riposava tranquilla, con la gamba sinistra distesa e la destra piegata, posta inconsciamente a coprire la sua nudità; aveva un braccio poggiato sulle cosce e l'altro allungato sul petto, ma col passare dei minuti la sua mano sinistra era scivolata fino a mostrare il suo seno destro. Era una visione che suscitò in Marco un senso di dolcezza, più che di lussuria: era per lui una creatura angelica, ma anche estremamente terrena, quindi fragile. Ricordò di aver letto che dormire sul fianco sinistro poteva creare incubi e si afflisse all'idea di non poterla proteggere nei suoi sogni, tale era il sentimento che provava nei suoi confronti. La sua mano, poggiata sul volto, dava l'impressione che Laura si stesse accarezzando da sola: si avvicinò a lei e le cinse con dolcezza la vita, per sentire la morbidezza della sua pelle. Ora le era così vicino che poteva percepire il calore del suo tenue respiro. Un sentore di rosa e biancospino gli solleticò l'olfatto, delicato e floreale. "Quanto vorrei che tu fossi mia", le sussurrò. E di colpo si rese conto di quanto in realtà loro fossero distanti. Marco assaporò quell'ultimo contatto con lei trattenendo il respiro - come se potesse servire in qualche modo a fermare il tempo - e si allontanò col groppo in gola, sperando che Laura non si svegliasse sentendolo singhiozzare: era certo che di lì a poco il suo dolore avrebbe cercato di far capolino attraverso il pianto. Odiava questo aspetto di sé: era troppo sensibile e ciò non andava bene, doveva mostrarsi forte, tutto d'un pezzo, ma faticava a nascondere la sua vera personalità. Si alzò dal letto e si sedette sul davanzale della finestra, dopo averla aperta, per prendere una boccata d'aria: era ancora nudo, ma il tepore della stanza lo opprimeva e desiderava tanto assaporare la fresca brezza notturna sulla sua pelle. Da quell'angolazione poteva farsi un quadro generale della stanza: la sua cameretta era stata ricavata da una piccola mansarda dipinta di blu notte, con un ampia finestra che si affacciava su una distesa di peschi e ciliegi disseminata di villette estive; era il suo rifugio, aveva decorato le pareti con poster musicali e riempito mobili e scaffali di libri, fumetti e dischi. Abitava in campagna, così i suoi avevano pensato di comprargli un divano-letto, affinché potesse ospitare per la notte i suoi amici e passare del tempo in compagnia. Marco pensò che erano stati piuttosto ingenui a non immaginare in quali problemi relazionali sarebbe potuto incorrere un ragazzino come lui. Ripensare ai duri anni delle medie gli suscitava ancora adesso rabbia e angoscia: era stato umiliato, picchiato, escluso da ragazzi e ragazze, punito dai professori per i suoi occasionali scatti di ira nei confronti dei compagni. Aveva imparato a reprimere la propria interiorità, ma ciò gli aveva causato traumi destinati a influenzare negativamente la sua vita negli anni a venire. "Fanculo", pensò Marco, così si allungò per prendere dal comodino un pacco di sigarette e accendersene una. Aveva iniziato a fumare per dare un tocco di trasgressione alla sua vita: cercava qualcosa che lo aiutasse a rompere la monotonia quotidiana, a non sentire il peso della routine in cui era ingabbiato. Era confuso dall'idea di essere diventato uno di quei classici ragazzetti alternativi, quelli che tanto criticava in passato, ma per una volta, e per quanto riguardasse almeno un ambito della sua vita, voleva entrare a far parte della cerchia dei "fighi", per quanto ciò potesse risultare incoerente. "Chissà cosa sarebbe successo se avessi fumato anche in quel periodo", si chiese, e pensò che probabilmente i ragazzi non lo avrebbero trattato da sfigato, mentre le ragazze forse lo avrebbero tenuto in maggiore considerazione. Ma non poteva tornare indietro e alterare la sua vita, quindi affliggersi ulteriormente non sarebbe servito. Fortunatamente, quella fase era giunta al termine e, con essa, lo erano alcuni dei suoi problemi di allora. E così, un po' con la coda tra le gambe, dopo la terza media i suoi gli avevano concesso di riarredare la sua stanza affinché si sentisse più a suo agio: via i vecchi giocattoli e le console con cui cercava di comprarsi l'amicizia dei propri bulli e via il divano-letto, sostituito da un materasso a una piazza e mezza, simile al precedente giaciglio e più comodo di un letto normale. Marco lo osservò: le lenzuola erano finite sul pavimento, spinte giù con noncuranza, e per terra vi erano anche i loro vestiti, che avevano frettolosamente appallottolato a un angolo del letto. E lì c'era Laura, ancora placidamente distesa. "E' successo", si disse, "è successo davvero". Gli scappò una risatina, ma il sorriso svanì subito dal suo volto: da quella prospettiva si ritrovò per la prima volta a riflettere sugli eventi delle ultime ore e su come avrebbe dovuto comportarsi. Si sentì parecchio imbarazzato per tutto ciò che era accaduto e aveva quasi voglia di buttarsi di sotto all'idea di svegliarsi, l'indomani, e doversi confrontare con Paolo o con gli altri suoi amici. Ma soprattutto, doversi confrontare con Laura. All'improvviso provò un misto di forte vergogna, rabbia e senso di colpa, desiderò che tutto attorno a lui scomparisse; si sentì vulnerabile e sciocco nella sua nudità, così scese dal davanzale per infilarsi mutande e canottiera e tornò a sedersi voltandosi verso il lato esterno della finestra, raggomitolandosi in sé stesso. Cercò di creare un'immagine mentale del suo corpo esile e di altezza media, pensò alle sue braccia, alle sue gambe, alle sue parti intime, soprattutto al suo viso: credeva davvero che una ragazza come Laura potesse ricambiare i suoi sentimenti? Che, anzi, una qualsiasi ragazza potesse genuinamente innamorarsi di lui? Era sempre stato diverso dagli altri, un "outsider", doveva rassegnarsi all'idea di trascorrere da solo il resto della sua ignobile vita. Finì nervosamente la sua sigaretta e se ne accese un'altra, gettando con rabbia il mozzicone oltre il giardino sottostante. Sentì un rumore alle sue spalle e intuì subito che Laura doveva essersi svegliata: per tutta la notte avrebbe avuto casa libera ed era stata proprio l'assenza dei suoi genitori a creare quella situazione. La ragazza si era avvolta un lenzuolo attorno al corpo nudo e si era seduta accanto a lui, spostatosi in un angolo del davanzale. "Marco, fumare ti fa male", gli disse. "Lo so", le rispose lui, inspirando profondamente, "è per questo che lo faccio"; trattenne ancora qualche istante, poi lasciò che il fumo si innalzasse lentamente da bocca e narici, formando una nube che andava via via disperdendosi al chiaro di luna. Laura gli diede una spallata amichevole, delicata come sempre, e gli tolse la sigaretta di mano. "Fammi fare due tiri, ti prometto che poi te la restituisco" disse lei, ancora assonnata. Sapeva cosa sarebbe successo: come sempre, avrebbe continuato con i suoi "due tiri" e lui gliel'avrebbe tolta dicendole di stare attenta a non bruciarsi; "sei arrivata al filtro e non te ne sei accorta", avrebbe aggiunto, approfittandone per finirla lui stesso. Come sempre, lei, col sorriso sulle labbra, lo avrebbe accusato di essere stronzo, lui le avrebbe dato della stupida e avrebbero finito per insultarsi in modo giocoso, prima di abbracciarsi e dimenticare quel bisticcio. Come sempre, lui l'avrebbe lasciata fumare perché ogni secondo che passava con una sigaretta in bocca era un secondo in più in cui lui poteva osservare il suo viso dolce e perfetto, i suoi grandi occhi verdi, i suoi capelli mossi e castani e le sue labbra sottili. Le sue labbra... quanto gli sarebbe piaciuto poterle assaporare, per questo aspettava con ansia il momento in cui avrebbe messo in bocca quella dannata sigaretta da lei leggermente inumidita. Spesso le diceva che fumare dopo di lei era come baciarla, e quante volte aveva sperato che Laura lo facesse davvero; invece, dopo aver visto l'espressione falsamente schifata di lui, si limitava a ridacchiare e voltargli le spalle. "Tieni, Marco", disse lei passandogliela, "stavolta non ti ho lasciato solo l'ultimo tiro"; non poté che ridere amaramente a quell'affermazione, e Laura lo notò, chiedendogli spiegazioni. "Niente, stavo solo pensando che..." iniziò lui, per poi fermarsi. "...che per ogni sigaretta, ogni boccata di fumo che ti ho concesso avrei voluto strapparti un bacio e che continuerò ancora e ancora a concerdetele, sperando che alla fine tu ricambi il mio amore": ma queste parole non lasciarono mai la sua mente, non avrebbe mai avuto il coraggio di proferirle. "...che se ora mi ripagassi per tutto ciò che scrocchi da me, sarei sicuramente ricco" disse invece, e ancora una volta aveva dovuto celare i suoi reali sentimenti dietro a un umorismo di circostanza. Marco si chiese quanto potesse servirgli un atteggiamento di quel tipo, ma anni di introversione obbligata lo rendevano estremamente cauto nell'esternare le proprie emozioni. "Ti voglio bene", gli disse Laura, poggiando la testa sulla sua spalla. Quelle parole, quel contatto gli riportarono ancora una volta alla mente gli eventi di quella sera e ciò che aveva provato. "Lasciami", la implorò dopo alcuni attimi, "lasciami, ti prego." "Marco...", insistette lei, afflitta. "No, Laura", ribadì, "per favore..." In quel momento provava sentimenti contrastanti: non riusciva ad avercela con lei senza soffrire terribilmente, ma al tempo stesso Laura lo aveva ferito e stavolta non poteva ignorarlo. La ragazza gli diede tregua e aspettò che fosse lui parlare, evitando di irritarlo ulteriormente. Si rigirò tra le dita il mozzicone della sigaretta appena terminata e buttò anche quest'ultimo oltre il proprio giardino, poi le rivolse la parola senza distogliere lo sguardo dalle siepi ai suoi piedi. "Che fine hanno fatto gli altri? E Paolo?" le domandò, tagliando corto. "Li ho mandati via quando ti ho sentito correre qui in mansarda. Ho trovato una scusa per farli andare e sono subito salita da te. Mi hai fatto davvero preoccupare quando sei sparito..." Marco si accorse che Laura aveva intenzione di abbracciarlo, ma si stava trattenendo: la parte più emotiva di lui voleva che lei cedesse alla tentazione, ma ora si stava sforzando di pensare razionalmente e voleva che la ragazza si mostrasse genuinamente dispiaciuta. "Quando ti sei resa conto che io fossi sparito? Perché per tutta la serata non mi hai prestato affatto attenzione. Mi hai ignorato quando ti ho offerto da bere, mi hai ignorato quando cercavo di rimanere con te da solo, mi hai ignorato quando Paolo ha iniziato a provarci con te e si vedeva che non ti dispiacesse affatto." Marco si accorse che le parole, prima centellinate e proferite a fatica, ora sgorgavano dal suo cuore come un fiume in piena, spinte dai suoi sentimenti: per lui era difficile mostrare le sue reali emozioni senza finire poi per sfogarsi in modo quasi logorroico; avrebbe continuato a parlare per interi minuti, ma si impose di fermarsi quando si rese conto che la sua voce era adesso incrinata, segno che le lacrime stavano per far capolino nei suoi occhi. "Ecco", pensò, "sto per mostrarmi debole ancora una volta". Sbirciò Laura, sperando che lei non lo stesse osservando di rimando: era invece intenta a fissare la luna, ma il suo sguardo sembrava perso nel vuoto, come se volesse guardare oltre il corpo celeste alla ricerca delle parole giuste da dire; una risposta sincera, forse, o una giustificazione per il suo comportamento, non ne era certo. "Marco", iniziò lei, quasi straziata, e lo fissò negli occhi: erano lucidi, come egli temeva fossero i propri. Dal modo in cui serrava la bocca e avvolgeva le braccia attorno alle proprie gambe piegate capì che stesse cercando di dirgli qualcosa, ma non ne aveva il coraggio. Intuì dove Laura stesse andando a parare e sentì il suo cuore iniziare a battere all'impazzata, il suo volto avvampare di calore. "Non ha significato niente per te quello che è successo tra noi?", proseguì lei dopo interminabili attimi di tensione. Marco scese dalla finestra e iniziò a camminare in tondo, toccandosi nervosamente i capelli con una mano e stringendo a pugno l'altra. Camminava avanti e indietro, con passi incerti e senza fermarsi, ma, soprattutto, dando le spalle a Laura. "Non sono pronto a parlarne", si disse, "non sono pronto": non si sarebbe mai immaginato di fare l'amore con lei, non aveva mai pensato prima di organizzare i propri pensieri e prepararsi un eventuale discorso in merito; quando viaggiava con la mente e sognava di baciare una ragazza o dichiarare i propri sentimenti, quasi si divertiva nel pensare a cosa dire in quella circostanza, per essere sempre pronto. Ma andare a letto con Laura... come poteva anche solo lontanamente sperare che succedesse? Non aveva avuto neanche il coraggio di immaginarlo, avrebbe solo sofferto quando quella visione si sarebbe miseramente scontrata con la realtà. "Rispondimi, per favore..." riprese lei, e Marco era addolorato nel vederla così rannicchiata contro lo stipite della finestra: quella posizione gli trasmetteva un senso ancor più forte di fragilità e bisogno di protezione. "No, io...", balbettò lui, la cui camminata si fece ancor più irrequieta, "cioè, sì, certo che ha significato qualcosa per me. E' stato importante, ma non è questo il problema..." Col cuore che ancora gli martellava nel petto inspirò profondamente, espirò e si gettò sul materasso: aveva una tale confusione in testa che gli sarebbe servito ben più più di un banale esercizio di respirazione per schiarirsi le idee; non era assonnato, nonostante la rocambolesca nottata e l'alcool che probabilmente aveva ancora in corpo, ma quella situazione lo spossava mentalmente e fisicamente. "E allora qual è il problema, Marco? Parlamene, non trattarmi da stronza!" gli urlò lei con crescente rammarico, voltandosi verso di lui. "Devo dirglielo, non posso farla soffrire così" si disse lui, trovando la forza per aprire il suo cuore. Non era mai facile per lui parlare apertamente delle proprie debolezze, era sempre troppo colmo di imbarazzo; gli risultava più facile confessare le sue emozioni via messaggio, ma questa possibilità gli era al momento preclusa. Prese quindi un CD dal comodino adiacente al letto e se lo rigirò tra le mani, fissandolo: decise di rivolgere ad esso le sue parole, lasciando che Laura potesse sentirle. "Prima che tu salissi da me ero arrabbiato, arrabbiato e deluso per come mi avevi trattato. Poi mi hai raggiunto e diamine, è stato bellissimo. Ero soddisfatto, anzi, felice per ciò che era successo. Forse è stato grazie all'alcool che mi ha annebbiato i sensi, o forse è stato davvero grazie a te, ma in quei momenti ho smesso di sentirmi così vuoto e depresso." Marco si interruppe: vedere di sfuggita il sorriso sul volto di Laura lo aveva fatto esitare, ma non poteva fermarsi; gli sarebbe davvero piaciuto che quello stato d'animo fosse durato più a lungo, ma non era stato così. "Poi, però, ho avuto la sensazione che quelle emozioni appartenessero a un sogno, e che io le sentissi vere solo perché, in un certo senso, stavo ancora dormendo. Mi sono come risvegliato e ho realizzato che quella non era la realtà, che tutto ciò era successo, sì, ma non sarebbe mai potuto diventare la mia normalità, che da domani saresti tornata da Paolo e che forse avevi fatto l'amore con me solo per pietà, per darmi un contentino e tenere a bada il tuo amichetto." A quel punto si alzò e si pose una mano sul petto, pronunciando quelle parole con una smorfia che lasciava trapelare all'esterno la sua disperazione: "Guardami, Laura, pensi che io sia così stupido da non rendermi conto che non potresti mai e poi mai essere attratta da me? Lo so che non provi alcun sentimento per me, non i sentimenti che vorrei tu provassi, perlomeno, e che non posso fare nulla per cambiarlo. E' questo il problema, hai detto di volermi bene, ma a me non basta, e anche se stanotte ho vissuto un momento meraviglioso non posso che sentirmi terribilmente umiliato e stupido per essermi illuso!" Terminato il suo sfogo, Marco sentì un dolore lancinante al petto nel vederla scoppiare in lacrime: "Così mi ferisci", gli disse Laura, e ogni suo sussulto era per lui una fitta al cuore ben più forte della precedente. "Credi davvero che io lo abbia fatto solo per pietà? Credi che io invece non provi sentimenti? Ho sofferto nel vederti andar via e per questo ho pensato solo a raggiungerti per consolarti!" Fece per alzarsi, ma il lenzuolo le scivolò inavvertitamente per terra, mostrando il suo corpo nudo. Marco distolse lo sguardo, ma Laura, ormai singhiozzando, prese fra le mani il suo viso e lo girò verso di sé. "Guardami, Marco, adesso sono io che lo chiedo a te... Guardami, che male c'è? Tu credi che io sia una puttana, che io abbia scopato con te solo per pietà, solo per umiliarti, allora guardami!" Marco iniziò a piagnucolare tra le mani di lei, bagnandole con le sue lacrime, finché Laura non lo lasciò per coprirsi e sedersi accanto a lui. Detestava quella situazione, detestava il fatto che loro due, migliori amici da anni, si stessero facendo del male, come se a lungo avessero covato del reciproco odio represso. Ma non era odio, bensì amore il sentimento che tratteneva dentro di sé e frenava dal manifestarsi. "Scusami, non volevo farti soffrire", singhiozzò lui, "perdonami per quel che ti ho detto, ma tu per me non sei una puttana, non è quello che penso di te, io..." Laura lo abbracciò e rimasero a lungo accoccolati l'uno accanto all'altro stretti stretti, piangendo; ansimavano quasi all'unisono, come era successo non troppo tempo prima in circostanze totalmente diverse, sicuramente meno dolorose. "Ne vuoi parlare?", gli sussurrò lei, con la testa poggiata sulla sua spalla. Marco rispose facendo cenno di no col capo, ancora chino su sé stesso. "Puoi dirmelo, non preoccuparti. So che vuoi farlo..." continuò, ma lui si alzò e si diresse verso il comodino, prese il disco con cui aveva giocherellato pochi minuti prima e lo infilò nel lettore CD lì presente. Si rese conto della curiosità di Laura, per cui la rassicurò: "Tranquilla, voglio farti ascoltare una cosa." Saltò fino all'ultima traccia, la dodicesima, e attese in piedi che la ragazza capisse di quale album, di quale canzone si trattasse: dalle casse scaturì una melodia delicata e malinconica, delineate dalle dolci note di una fisarmonica prima, e di batteria, chitarra e basso dopo. "Ma questo... questo è Disintegration dei The Cure, giusto? E' uno dei tuoi album preferiti, me ne parli spesso perché dici che descrive bene il tuo stato d'animo, no?" "Esatto", rispose Marco, avvicinandosi a lei, "e questo brano si chiama Untitled, parla del rimpianto di chi vorrebbe rivelare i propri sentimenti alla persona che ama, ma non può farlo perché ormai è troppo tardi per lui." La prese per mano e sentì nuovamente le lacrime sgorgare dai suoi occhi, ma questa volta cercò di non reprimerle. "E' troppo tardi per me?", le sussurrò, e lei lo trascinò sul davanzale dove precedentemente sedevano, accompagnati dalle tristi parole di Robert Smith. Tenendo ancora la mano di Marco nella sua, Laura iniziò a parlare: "I miei sentimenti sono molto confusi, o forse non sono abbastanza brava a leggere nel mio cuore per capire cosa io provi davvero, non lo so. Per me sei sempre stato importante e ti ho sempre voluto un bene dell'anima, ma cercavo di convincermi che tra noi ci fosse solo amicizia; mi lanciavi segnali contrastanti e questo mi faceva dubitare ancora di più che si trattasse solo di quello. Temevo di farti soffrire..." "Avevi questi dubbi anche al tempo di Andrea?", le chiese dopo un attimo di riflessione, e il solo pronunciare quel nome gli portò alla mente ricordi ancora vividi, nonostante fossero passati ormai quasi due anni dalla fine di quel periodo. Era appena iniziato il secondo quadrimestre del loro secondo anno di superiori, e stavano festeggiando il ritorno a scuola saltando la lezione di educazione fisica: erano le sue ore preferite, poiché non interessava a nessuno che lui se ne sgattaiolasse fuori al seguito di Laura; quantomeno si risparmiava l'umiliazione di essere escluso dai suoi compagni e di doverli guardare a bordo palestra, fingendo che non gli importasse. Fu la sua amica a notare quel ragazzo nuovo, un tipo dall'aria poco raccomandabile, stupido quanto imponente e con dei fulvi ricci che ricadevano ai lati della testa, dove i suoi capelli erano rasati. Laura cercò di attaccare bottone chiedendogli una sigaretta, e scoprì qualche informazione su di lui prima di rientrare: si chiamava Andrea, era al terzo anno e frequentava il classico liceo della zona per figli di papà, da cui era stato abbastanza stupido da farsi cacciare poche settimane prima per un qualche malriuscito scherzo da bulletto. Da quella conversazione Marco aveva ricavato un soprannome per il tipo, "ciuffo rosso": era l'unica sua caratteristica che potesse prendere in giro senza far capire a Laura quanto gli stesse antipatico. Per lei, invece, era l'inizio di una lunga e travagliata cotta, oltre che di un leggero vizio del fumo che col tempo avrebbe contagiato anche lui. Per tutto il resto dell'anno scolastico la sua amica aveva corteggiato Ciuffo Rosso, ormai al centro dei suoi pensieri, e Marco le era stato accanto sempre e comunque, nonostante il dolore che provava. "Per tutti quei mesi tu mi hai aiutato a conquistarlo ed ho pensato che non provassi nulla per me, non più, almeno. Credevo che quella storia non ti facesse soffrire... perché mi hai incoraggiato, allora? Perché mi hai permesso di andare oltre con lui?" Un sorriso amaro si dipinse sul volto di Marco, contornato da nuove lacrime che gli rigavano il viso. "La prima volta di Laura è stata con Andrea", rammentò, e sentì le budella contorcersi al solo pensiero. Non aveva avuto il coraggio di pronunciare mentalmente quelle parole, di ammettere che loro due avessero fatto l'amore. Eppure adesso era tormentato dalla visione di quella notte di tarda estate, immaginava Ciuffo Rosso mentre possedeva Laura, la sua Laura, e soffriva perché tutto ciò era avvenuto solo per colpa sua. "Magari anche quella notte c'era la luna piena", pensò, "magari ha tenuto anche lui per mano come sta facendo con me in questo momento." Mise da parte le supposizioni e formulò la risposta che aveva preparato da tempo: "Avrei fatto qualsiasi cosa per te, anche aiutarti con Andrea, se fosse stato ciò che volevi davvero. Io non avrei mai potuto averti, ma lui sì, così ho messo la tua felicità davanti alla mia: mi bastava per essere felice anch'io." Si chiese se Laura si fosse bevuta quel mucchio di fandonie, se davvero credesse che lui potesse esserlo rinunciando a ciò che più desiderava. Per mesi aveva ripetuto queste parole nella sua mente come un mantra, fino a crederci: erano per lui una magra consolazione, una giustificazione per la sua paura di esporsi ed essere rifiutato. Teneva a lei così tanto da fingere di non soffrire per non far soffrire lei stessa: tutto ciò era assurdo, per Marco, ma aveva smesso da tempo di interrogarsi sulla razionalità delle sue azioni. Laura interruppe il suo flusso di pensiero con una considerazione per lui disarmante: "Sapevi che dopo quell'estate avrebbe cambiato di nuovo scuola, e allora perché hai rinunciato alla tua felicità per spingermi tra le braccia di qualcuno che non avrei mai più rivisto? Sapevi che per me si trattava solo di una cotta, di un sentimento passeggero, lo avevi capito... Avresti potuto chiarire i miei dubbi su di te, su di noi." Di nuovo un sorriso amaro, di nuovo le lacrime, ma stavolta si limitò a scuotere il capo, egli stesso in cerca di una risposta sensata a quella domanda. "Sarebbe cambiato qualcosa?", chiese, ma la domanda sembrava rivolta più alle stelle nel firmamento, che alla diretta interessata. Si rese conto troppo tardi di aver pronunciato quelle parole ad alta voce, ma ormai non si preoccupava più celare i propri sentimenti. Laura si morse nervosamente il labbro inferiore, poi le unghie della mano sinistra, una dopo l'altra; erano rivolti verso il cielo e lei non distolse un attimo gli occhi dalla luna piena, ma la sua destra era ancora stretta attorno alla sinistra di Marco, i palmi che combaciavano e le dita intrecciate tra loro. "Tutte le storielle che ho avuto erano basate solo sull'attrazione fisica, senza rendermene conto cercavo di fuggire dalle mie vere emozioni. Però so cosa provo per Paolo e so cosa provavo per gli altri, persino per Andrea "Ciuffo rosso", come ti piaceva chiamarlo: sentimenti semplici, niente di profondo. Ma solo stasera ho capito quanto queste relazioni valessero poco per me... Quando sei scappato ti ho visto così abbattuto che in quel momento mi interessava solo che tu fossi felice, e per renderti felice avrei fatto qualsiasi cosa. Non ho avuto più dubbi su ciò che provavo per te, ed è stata un'emozione immensa." Lei si voltò verso di lui e lo guardò intensamente negli occhi, sorridendo con delicatezza: "Ho capito di amarti, Marco." Per lui, in quel momento, il tempo si fermò e tutte le voci nella sua testa furono messe a tacere da quella di Laura, quasi un sussurro. "Mi ama", disse tra sé, "Mi ama davvero", e più le ripeteva, più quelle parole echeggiavano nella sua mente e acquisivano valore, diventavano palpabili. Quel tono di voce, quel modo di pronunciare il suo nome: ebbe l'impressione che lei fino alla fine fosse combattuta sul confessare o meno i propri sentimenti, e che l'avesse fatto tutto d'un fiato per evitare ripensamenti. Prima che Laura potesse dire altro Marco la abbracciò intensamente, stringendole la vita. Poteva sentire le forme di lei contro il suo petto, attraverso il lenzuolo teso attorno al suo corpo. Lei gli gettò le braccia al collo e rimasero a lungo guancia contro guancia, col calore delle sue lacrime che gli riscaldava il viso e il profumo di lei a inebriarlo. "Sta succedendo davvero?", si chiese, mentre le accarezzava teneramente la schiena. Laura era aggrappata a lui e sembrava non lo volesse mai più lasciar andare. "Non so cosa farei senza di te... non voglio più perderti", gli sussurrò dolcemente. "Ti amo", le rispose, "ti amo, Laura". Quelle parole sembrarono quasi fluire dal suo cuore: lo fecero con tanta naturalezza quanto era stato il timore di pronunciarle, fino a quel momento. Non c'era niente di più spontaneo che potesse dire, avvinghiato in un caldo abbraccio all'unica persona che dava senso alla sua vita, che colmava quell'atroce senso di vuoto nella sua anima. Laura sciolse gentilmente la presa, facendo scivolare pian piano le sua mani sulle braccia di lui, fino a toccarle. Con delicatezza baciò Marco su una guancia e tornò a guardarlo in volto, lasciando che lui potesse godere del suo sorriso così amabile e innocente. Poi, un velo di tristezza oscurò il suo volto. "Prima non ti ho baciato", affermò lei, attirando la sua curiosità. "Sto ripensando a ciò che è successo e me ne sono accorta solo ora: ti ho confessato i miei sentimenti, abbiamo anche fatto l'amore, ma persino allora io non ti ho baciato." Marco si intenerì nel vederla genuinamente affranta e le mormorò "sei così sbadata...", prima di darle a sua volta un bacio sulla guancia, ancora umida per le lacrime versate. "...Ma ti amo lo stesso", aggiunse, e stavolta la baciò sulla bocca prendendo il suo viso tra le mani. "E' questo ciò che si prova, allora" pensò Marco, mentre le labbra di lei si congiungevano alle sue e tutto ciò che li circondava perdeva di significato. Voleva che quel momento di intimità tra loro non finisse mai, che potesse percepire in eterno quell'estrema dolcezza, quella sintonia che trascinava i loro corpi l'uno contro l'altro, quasi a fondersi. Marco era felice, felice di stare finalmente con Laura, e quegli anni di attesa straziante e di rassegnazione erano per lui svaniti al contatto con le sue labbra, come se lei lo avesse trascinato di forza fuori dalla depressione che lo attanagliava e lo stesse portando con sé verso una nuova fase della propria vita. Della loro nuova vita assieme. Quella notte di Giugno si sentiva come rinato e lo estasiava l'idea di avere tutta un'estate di emozioni davanti a sé. Gli sembrava che le cose per lui si fossero finalmente sistemate, che finalmente fosse il suo turno godersi la giovinezza. "In ritardo?", pensò, "Forse sì, ma non è troppo tardi." Adesso il pensiero dell'estate non lo avrebbe più reso malinconico, e la vista di una luna piena incastonata in un cielo stellato gli avrebbe riempito il cuore di una piacevole nostalgia, senza alcun rimpianto.
Alla fine mi sono convinto a postarlo, pur con molto imbarazzo per il tema e gli eventi descritti. E' un racconto scritto quasi a scopo catartico, per incanalare i sentimenti che provo in questo periodo. Non è un racconto autobiografico, però, per rendere a pieno le mie emozioni, ho rielaborato eventi accaduti a me o a persone a me vicine, quindi sicuramente è un'opera molto personale.
Edited by » S h i n † a k a ™ - 29/3/2016, 20:15 |
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