Votes taken by Emily Elise Brown

  1. .
    a_Silenzio

    b_Silenzio

    c_Silenzio

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    h_Silenzio

    i_Silenzio

    j_Silenzio




    Edited by RàpsøÐy - 4/12/2017, 15:03
  2. .
    Hanno ucciso la scimmietta 8385, non si sa neanche il perché

    avrà fatto qualche sgarro alla 8384
  3. .
    La 8389 voleva vedere lo stomaco di Razor
  4. .
    La 8495 è entrata in un locale mezzo minuto prima che chiudesse.

    QUESTE PORCATE NON SI FANNOH!!
  5. .
    Ahahah ti amo!
    come un fratello :peoflow:
  6. .
    “Dylan, dobbiamo proprio farlo?” chiese Liam con voce tremante, mentre stringeva una torcia in mano. “Liam, non vorrai tirarti indietro proprio ora, vero?” rispose Dylan mentre cercava di aprire un varco nella rete del giardino, “Se non sbaglio, anche tu volevi saperne di più su questa storia, vero?” “Bhe, sì… ma non pensavo che sarebbe finita così!” ribatté il ragazzo alzando leggermente la voce.
    “Ssssssh!” fece Dylan sussurrando, mentre gli tappava la bocca con una mano: “Abbassa la voce prima che qualcuno ci scopra! O vuoi forse mandare tutto all’aria, fratellino?” Liam scosse la testa mentre fissava negli occhi la sorella. Sospirò e lei tolse la mano.
    “Secondo te cosa troveremo una volta entrati?” domandò il ragazzo. “Bha, secondo me troveremo solo un mucchio di foglie secche, rami spezzati… Forse anche qualche uccello morto o cose simili” rispose Dylan con indifferenza, mentre allargava il buco che era riuscita a fare nella rete. “Quindi, non credi alla leggenda di Lillian Bluebell?” “È solo una stupida storia che raccontano ai ragazzini per non farli entrare in questa vecchia proprietà, Liam è impossibile che sia vera” rispose la ragazza un po’ stizzita, ma Liam non poteva non pensare a quella leggenda e a quello che stavano per fare.

    La “Leggenda di casa Blubell” era una storia che conoscevano tutti in città. Secondo la leggenda la sera del 31 ottobre di dodici anni prima, Lillian Bluebell venne ritrovata morta nel suo giardino, con un terribile squarcio che le percorreva l’addome, accasciata su un letto di gigli bianchi macchiati di sangue. Il colpevole non fu mai trovato e il padre della giovane, William Bluebell, si tolse la vita pochi giorni dopo. C’è chi sostiene che la ragazza fosse stata sacrificata in onore di Satana, poiché la sua morte avvenne durante la notte di Halloween, secondo altri fu assassinata dal fidanzato che sparì quella stessa sera. Da allora, ogni anno, durante questa festività, nel giardino di casa Bluebell sbocciano dei gigli bianchi che diventano rossi quando tramonta il sole, inoltre si dice che camminando nella proprietà si possa udire Lillian cantare una ninna nanna con voce triste e malinconica.
    I pochi che entrarono in quel giardino durante la notte di Halloween, si suicidarono dopo pochi giorni, stringendo in mano dei gigli bianchi e macchiandoli con il loro sangue.

    “Terra chiama Liam! Allora, ti decidi a venire o hai bisogno di un invito scritto?” il ragazzo sussultò quando sentì la voce della sorella richiamarlo. La guardò e vide che si trovava già nel giardino dei Bluebell e che lo aspettava impazientemente. Si affrettò a raggiungerla ed insieme si misero a vagare tra le sterpaglie che popolavano quel luogo.
    Mentre camminavano tra l’erba alta, i due fratelli udivano in lontananza le grida e i risolini dei bambini, intenti a correre per le strade per fare dolcetto o scherzetto. Ogni tanto si sentiva anche lo scoppio di qualche petardo e l’ululare di qualche cane, il tutto mischiato al rombo delle auto che ogni tanto passavano lungo la via. Liam non avrebbe mai creduto che un giorno avrebbe festeggiato Halloween cercando di smentire una vecchia leggenda del suo paese. L’idea lo elettrizzava e lo terrorizzava al tempo stesso, ma la presenza della sorella riusciva in qualche modo a tranquillizzarlo. Tra i due, lei era sempre stata quella coraggiosa.
    Stava iniziando a rilassarsi, quando Dylan si fermò improvvisamente, come se fosse pietrificata. “Dylan! Accidenti a te! Cosa succede? Perché ti sei fermata?” la ragazza per un attimo sembrò tremare, poi si girò verso il fratello: “Niente, solo che credo di aver pestato una lumaca… Sai che mi disgustano!” “Oh” rispose lui e continuarono ad avanzare. Il giardino era davvero ridotto male, pieno di arbusti secchi e spogli, qualche bottiglia di birra, vecchi sacchetti mezzi rotti, mozziconi di sigaretta e perfino qualche depliant pubblicitario; l’erba, giallognola e secca, scricchiolava ad ogni loro passo, come in alcune storie horror che aveva letto a scuola.
    La casa era in uno stato anche peggiore: la vernice che ricopriva le pareti era quasi completamente scrostata, i vetri rotti delle finestre brillavano alla luce della luna, alcune imposte si stavano per staccare e cigolavano ad ogni soffio d’aria; ma la cosa peggiore era il vecchio dondolo posto sulla veranda, con i cuscini mezzi mangiati dalle intemperie e dagli animali, che oscillava leggermente producendo un fastidioso stridio.

    Dopo qualche minuto, Liam iniziò a sentirsi strano. Gli sembrava che l’aria fosse più rarefatta ed uno strano senso di stanchezza si impossessò di lui. Per un secondo chiuse gli occhi e gli parve di essere investito da un fascio di luce bianca. Quando li riaprì si ritrovò con il viso appoggiato sulla terra umida. Si rialzò lentamente togliendo le foglie e l’erba secche dai vestiti, nulla sembrava essere cambiato, il giardino e la casa erano nelle stesse condizioni di prima; si guardò intorno e non vide più la sorella. “Dylan? Se è uno dei tuoi soliti scherzi ti avverto, smettila immediatamente!” nessuna risposta. Continuò ad avanzare per il giardino buio, chiamando la sorella di tanto in tanto, quando un odore intenso gli pervase le narici. Era un profumo dolce e pungente al tempo stesso, che ricordava vagamente la ruggine. Un brivido lo percorse quando si rese conto che intorno a lui c’era un assoluto silenzio, rotto soltanto dal suo respiro affannato.
    Le gambe iniziarono a tremargli mentre continuava a vagare in quel giardino oscuro. “Dylan! Dove diavolo sei finita? Usciamo da qui e andiamocene!” disse Liam con voce strozzata, mentre pestava le foglie secche e cercava la sorella. L’odore iniziava a diventare sempre più forte e pungente fino a quando il ragazzo non si accorse che stava raggiungendo il giardino sul retro. Man mano che si avvicinava si rese conto che c’era una strana luce.
    “Lullaby, and good night, in the skies stars are bright
    May the moon, silvery beams, bring you with dreams
    Close your eyes, now and rest, may these hours be blessed
    Till the sky's bright with dawn, when you wake with a yawn

    A Liam gelò il sangue nelle vene.

    “Lullaby, and good night, you are mother's delight
    I'll protect you from harm, and you'll wake in my arms

    Sleepyhead, close your eyes, for I'm right beside you
    Guardian angels are near, so sleep without fear
    Lullaby, and good night, with roses bedight
    Lilies o'er head, lay thee down in thy bed”

    Era una ninna nanna, cantata da una voce dolce, triste e malinconica. Mentre la ascoltava non poteva non avvicinarsi, come se fosse il canto di una sirena o qualcosa di simile.

    “Lullaby, and good night, you are mother's delight
    I'll protect you from harm, and you'll wake in my arms
    Lullaby, and sleep tight, my darling sleeping
    On sheets white as cream, with the head full of dreams
    Sleepyhead, close your eyes, I'm right beside you
    Lay thee down now and rest, may you slumble the best”

    I suoi piedi si muovevano da soli mentre la voce si faceva sempre più chiara e distinta.

    “Go to sleep, little one, think of puppies and kittens.
    Go to sleep, little one, think of butterflies in spring.
    Go to sleep, little one, think of sunny bright mornings.
    Hush, darling one, sleep through the night
    Sleep through the night
    Sleep through the night”*

    Quando svoltò l’angolo una figura biancastra gli si stagliò davanti. Era una visione celestiale: una ragazza giovane e bella, con lunghi capelli scuri e leggermente mossi. Indossava un lungo vestito bianco, in mano stringeva dei gigli dello stesso colore, con delle piccole macchie rosse che si ingrandivano nella zona dell’addome, fino a ricoprirle i piedi, ai quali vi era un tappeto degli stessi candidi fiori.
    La figura si voltò verso il ragazzo, sorridendo gentilmente e gli si avvicinò continuando a cantare. Liam non riusciva a muoversi, come se i suoi piedi fossero diventati un tutt’uno con il terreno. Era pietrificato dalla paura e incantato da quel canto soave, che gli stringeva il cuore. Man mano che la ragazza si avvicinava, iniziò a sentirsi avvolto da un abbraccio caldo e dolce, come una coperta. Cominciava a sentirsi stanco e, prima che se ne rendesse conto, si addormentò.

    Non fu un sonno piacevole. In sottofondo continuava a sentire la ninna nanna, ma ora risuonava distorta e la voce si stava facendo sempre più cupa e rauca. Nella sua mente continuavano ad apparire immagini disturbanti, accompagnate da urla e gigli bianchi macchiati di rosso. Era tutto confuso e sovrapposto, non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
    Qualche secondo dopo tutto cessò. La voce sparì e tutto ciò che vide era buio, poi iniziò a vedere di nuovo nitidamente, era ancora nel giardino, sdraiato sopra dei gigli. La figura di Lillian era scomparsa e decise di andare a cercare la sorella.
    Appena si alzò in piedi, si accorse che non era ancora finita. La ninna nanna risuonò ancora nel giardino buio e, a pochi passi di distanza, rivide la giovane, ma stavolta c’era qualcosa di diverso. Non era più una figura biancastra, sembrava che fosse viva e c’era qualcosa di diverso in lei. Da lontano non riuscì a capire cosa, quindi si avvicinò, cautamente, nascondendosi dietro ai cespugli. Stava per raggiungerla quando si arrestò, con un nodo alla gola ed una sensazione di terrore che gli attanagliava lo stomaco.
    Sentì dei passi alle sue spalle e, voltandosi, vide qualcuno avvicinarsi a Lillian. Non capì chi fosse, ma sentiva che stava per assistere a qualcosa di terribile. Liam rimase con gli occhi puntati sulla giovane, la quale continuava a cantare ignara di quello che stava per succedere.
    Il ragazzo voleva urlare, correre verso di lei, ma non poteva, il suo corpo era pietrificato dalla paura e la voce gli rimaneva bloccata nella gola.

    La figura continuava ad avvicinarsi alla ragazza e alla luce della luna, Liam riuscì a scorgere un luccichio che proveniva da quell’ombra. Quando fu a pochi passi di distanza da Lillian, lei smise di cantare e si voltò. Fu allora che il ragazzo si rese conto cosa c’era di diverso nella figura della giovane: era incinta e sembrava che fosse vicino al termine.
    La sensazione di terrore che lo pervadeva si intensificò, sentiva le gambe tremargli e le lacrime iniziarono a scendergli dalle guance.
    Si sentiva impotente, voleva correre da lei, salvarla, ma sarebbe stato tutto inutile e lo sapeva. Era una cosa che era già successa e non avrebbe potuto fare nulla per cambiare le cose. In lontananza le urla e le risate dei bambini che facevano dolcetto o scherzetto, contribuirono a rendere l’intera situazione ancora più macabra e surreale.

    Lillian si voltò. Tutto quello che successe dopo, accadde in pochi secondi, impedendo alla ragazza di reagire.
    Uno scintillio si scagliò contro la povera ragazza, che si accasciò al suolo, sputando sangue e respirando affannosamente. L’ombra continuò ad incidere nella carne di Lillian, mentre il suo battito si faceva sempre più debole.
    Per qualche secondo ci fu solo silenzio, poi Liam udì un rumore strano. Era una specie di pigolio acuto, che aumentava sempre più di intensità, fino a diventare dei veri e propri strilli. Il ragazzo rimase raggelato quando vide la figura prendere dal ventre della giovane un esserino minuscolo. Le urla cessarono poi ricominciarono, ma avevano qualcosa di diverso, come se fossero di un’altra creatura. Ed era così. L’ombra estrasse dal corpo di Lillian un altro bambino e, come se nulla fosse, si allontanò, tenendo i due pargoli in braccio.
    La figura si stava avvicinando al cespuglio in cui Liam si era nascosto e in quel momento riuscì a distinguere meglio i suoi contorni. Era una giovane donna, con i capelli ricci che le arrivavano fino alle spalle. Il cuore del ragazzo si strinse in una morsa insopportabile di terrore quando, alla luce della luna, scorse il viso di quella donna.

    “Liam! Accidenti a te! Che diavolo stai facendo? Mi stavi facendo prendere un colpo! Rispondimi!” la voce di Dylan risuonava ovattata nelle orecchie del giovane, ma in qualche modo riuscì a strapparlo dall’incubo che stava vivendo.
    “Cosa diavolo ci facevi in ginocchio dietro questo cespuglio? Stavi cercando di farmi uno scherzo o cosa?”
    Liam sbatté le palpebre confuso, era sul retro del giardino rannicchiato dietro ad un arbusto secco. L’odore pungente era sparito.
    “D-Dylan? Non, non hai visto nulla? La ninna nanna, l’ombra…” balbettò il ragazzo, con le lacrime che gli rigavano le guance. “Di cosa diavolo stai parlando? L’unica cosa che sento sono le grida dei bambini per le strade con questo buio poi, è già tanto se sono riuscita a vederti dietro questo cespuglio rinsecchito!”la ragazza smise di parlare per qualche secondo e guardò il fratello. “Secondo me hai sognato ad occhi aperti, forza, torniamo a casa. Si sta facendo tardi, non vorrai che mamma e papà mandino in giro una pattuglia a cercarci, vero?” il ragazzo scosse la testa, mentre si asciugava le lacrime con il dorso della mano.
    Dylan si alzò in piedi, tirò su anche il fratello e tenendolo per mano si avviò verso il punto in cui erano entrati.

    Liam non diceva una parola, era troppo scosso. Aveva paura di quello che aveva visto e scoperto. Quando tornarono a casa, la madre li accolse calorosamente e li abbracciò con affetto. Chiese loro come era andata la serata e il ragazzo lasciò che fosse la sorella a rispondere per entrambi.
    La donna sorrideva mentre ascoltava la figlia e, quando i suoi occhi incrociarono quelli del ragazzo, ci fu una strana tensione. Per un attimo Liam intravide nel suo volto la stessa espressione di dodici anni fa, quando li aveva strappati dal ventre di Lillian.
    Quella notte, il ragazzo non si addormentò ma rimase a vegliare la sorella, che dormiva profondamente accanto a lui. In quel momento sentì l’inconfondibile profumo dei gigli e si rese conto che quello sarebbe stato il suo ultimo Halloween.


    *
    Per chi vuole ecco la traduzione della ninna nanna:
    Ninna nanna e buona notte, nel cielo le stelle sono luminose
    Che i raggi argentei della luna ti facciano sognare
    Chiudi gli occhi, ora e riposa, che queste ore siano benedette
    Fino a quando il cielo non si rischiara con l’alba, quando ti svegli con uno sbadiglio

    Ninna nanna e buona notte, sei la gioia della mamma
    Ti proteggerò dal male, e ti sveglierai tra le mie braccia
    Dormiglione, chiudi gli occhi, perché io sono proprio accanto a te
    Gli angeli custodi sono vicini, perciò dormi senza paura
    Ninna nanna e buona notte, su un letto di rose
    Gigli attorno alla testa, appoggiati nel letto
    Ninna nanna e buona notte, sei la gioia della mamma
    Ti proteggerò dal male, e ti sveglierai tra le mie braccia

    Ninna nanna, e dormi bene, mio caro dormiglione
    Su lenzuola bianche come crema, con la testa piena di sogni
    Dormiglione, chiudi gli occhi, io sono accanto a te
    Stenditi qui ora e riposa, possa tu sonnecchiare bene

    Vai a dormire, piccolo, pensa ai cuccioli e ai gattini.
    Dormi, piccolo, pensa alle farfalle in primavera.
    Dormi, piccolo, pensa al sole delle mattine luminose.
    Silenzio, tesoro, dormi tutta la notte
    Dormi tutta la notte
    Dormi tutta la notte


    Edited by Er Mortadella - 7/2/2018, 20:45
  7. .
    La festa di Halloween è ricca di tradizioni, credenze e leggende che possono variare a seconda della religione e, in alcuni casi, del Paese in cui viene praticata.
    Tra le tradizioni più famose ci sono, senza dubbio, “Dolcetto o scherzetto”, il travestirsi da mostri e non solo, la preparazione di alcuni tipi di dolci come le mele caramellate e le famosissime zucche lanterna, chiamate appunto Jack o’ Lantern.

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    Ma forse non tutti sanno che Jack o’ Lantern è una tradizione ereditata dal folklore irlandese ispirato alla leggenda di un “Ne’er-do-well” (“non ne combino una giusta”) di nome Stingy Jack.

    Jack era un fabbro ubriacone al quale piaceva scommettere e, durante la notte di Halloween e dopo l’ennesima sbronza, apparve dinnanzi a lui Satana, il quale voleva impossessarsi della sua anima.
    Il fabbro chiese al demonio di concedergli un’ultima bevuta e che dopo gli avrebbe consegnato la sua anima; di fronte a questo patto, il diavolo acconsentì a questa richiesta ma, siccome Jack si lamentò di non avere più un soldo, chiese al demonio di trasformarsi in una moneta da sei pence. Non appena egli si trasformò, il fabbro agguantò la moneta e l’infilò nel suo portafoglio.

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    Siccome il borsello di Jack aveva ricamata sopra una croce, il diavolo era irrimediabilmente intrappolato e strinse un nuovo patto con il mortale: lui l’avrebbe liberato solo se il Principe delle Tenebre fosse tornato un anno dopo.

    L’anno seguente, il demonio si presentò all’appuntamento e il fabbro decise di fare una piccola scommessa con lui e lo sfidò a salire su un albero e poi riscendere. Sogghignando, il demonio accettò ma, non appena si arrampicò, l’uomo incise una croce sulla corteccia, intrappolandolo nuovamente.

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    A questo punto, Jack gli propose un nuovo accordo: avrebbe cancellato la croce se lui si fosse impegnato a non tentarlo più. Messo alle strette, il diavolo accettò e tornò nel regno degli inferi.
    Circa un anno dopo, il fabbro morì e, venendo respinto alle porte del paradiso a causa dei suoi peccati, fu costretto a recarsi da Satana. Giunto all’inferno, il demonio si rifiutò di farlo entrare, a causa delle umiliazioni a cui l’aveva sottoposto, costringendolo a vagare per tutta l’eternità nel limbo.
    Tuttavia, il diavolo donò a Jack un tizzone ardente che gli permise di illuminare la strada e l’uomo, per impedire alla fiammella di spegnersi, la infilò in una rapa vuota, ricavando una lanterna.
    Da allora Stingy Jack è alla ricerca della sua strada e si dice che durante la notte di Halloween è possibile scorgere la luce della sua lanterna.

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    Il motivo per cui ora si utilizza una zucca al posto della rapa è che quando gli irlandesi sbarcarono in America sostituirono quest’ultime con le zucche, poiché era molto più facile reperirle rispetto agli ortaggi originali.

    Un’altra versione della leggenda prevede che Jack avesse stabilito con il diavolo un intervallo di dieci anni dal loro primo incontro e che l’ultimo loro patto prevedesse che il demonio non doveva più reclamare l’anima del fabbro, perciò al momento della sua morte si sarebbe rifiutato di accoglierlo tra le anime dannate, costringendolo a vagare senza meta per l’eternità.

    Jack-of-the-lantern



    Edited by Emily Elise Brown - 9/11/2017, 22:55
  8. .
    Il primo incarico di uno stregone reale è di servire il regno, non il re. Solitamente non c’è differenza. Ma non molto tempo fa non fui così fortunato.
    Il vecchio re mi teneva sempre occupato. Gli piaceva gustare carne rara e magica. Puma, unicorni, grifoni, persino fate fritte e coperte di miele. Trascuravo gli altri miei compiti per assicurarmi che il re ricevesse il suo desiderato pasto. I suoi ministri si lamentavano senza alcun risultato.
    Ma un giorno, mi chiese di cacciare una sirena. Aveva sentito che la carne delle sirena era la più buona di tutti i pesci e alcuni dicevano che donava l’immortalità.

    Qualsiasi stupido sa che non c’è da scherzare con le sirene. Anche se non sono così pericolose, possiedono dei poteri e non dimenticano mai nessun affronto. Cercai di dissuaderlo, ma il re disse che mi avrebbe tagliato la testa se non l’avessi fatto.
    Così mi recai sulla costa rocciosa. Catturai la canzone del vento marino, intrecciato con la luce delle stelle estive, e gettai la mia rete sopra l’oceano. Quando una sirena si alzò, incantata, la chiusi nella rete e la issai fuori dall’acqua.
    Il re l’arrostì nel burro e la servì con limone. Mi rifiutai di mangiare la porzione che mi offrì.

    Tutto il regno seppe cosa accadde. La pioggia si fermò, le nuvole sparirono e i pesci scomparvero dal mare. Qualsiasi nave che si avventurava fuori venne attaccata e distrutta, le loro ciurme trascinate sotto le onde.
    Il re non fece niente se non ordinarmi di sistemare tutto. Come se fosse colpa mia la rabbia delle sirene. Come se fosse solo un altro insignificante problema che lo distraeva dal suo prossimo banchetto.

    Fortunatamente, ricordai il mio giuramento. Trovai una soluzione. Rapii una sirena dal mare, quindi in cambio gli donai un umano della terra.
    Quando ciò accade, mangiare carne di sirena ti fa di fatto diventare immortale. Qualsiasi ferita tu abbia, il tuo corpo si cura.
    Le sirene poterono banchettare con il vecchio re per tutta l’eternità.

    A volte, vado sulla costa di notte solo per sentire le sue grida. Ciò mi fa sempre sorridere.
    Ma stanotte c’è la celebrazione del nuovo re. Non farò niente se non banchettare, bere e danzare.
    Gli dei sanno che me lo merito.





    Edited by RàpsøÐy - 16/10/2017, 16:06
  9. .
    La pioggia cadeva fredda e leggera. I tavoli posti fuori dal locale avevano cominciato a bagnarsi e la gente continuava ad entrare correndo, per riuscire a trovare un riparo da quel diluvio improvviso.
    Quella mattina in cielo splendeva il sole e non c’era neanche l’ombra di una nuvola, le temperature sfioravano i ventisette gradi e nessuno s’immaginava che di lì a poco sarebbe arrivato un acquazzone simile.

    Mentre il locale continuava a riempirsi, Elise pensava a quanto le sarebbe piaciuto slacciarsi il grembiule e farsi una bella passeggiata sotto la pioggia. Sfortunatamente per lei, erano solo le due del pomeriggio ed il suo turno era appena cominciato.
    Con malavoglia si avvicinò all’ultimo gruppetto di ragazzi che era appena entrato, fece un bel sorriso e disse gentilmente: “Buongiorno ragazzi, benvenuti al “Gabriel’s Pub”, se volete seguirmi, vi condurrò ad un tavolo e prenderò le vostre ordinazioni”. I giovani la seguirono, continuando a ridere e a scherzare tra di loro, come se lei non esistesse o come se fosse un robot o un automa. Li fece accomodare in un tavolo in fondo al locale e consegnò loro i menù, per poi dirigersi verso il bancone e continuare a servire gli altri tavoli.
    L’aspettavano un lungo pomeriggio ed una lunga serata.

    Verso le cinque la pioggia cessò e molti dei clienti pagarono il conto e si precipitarono fuori dal locale, gustandosi le ultime ora di sole prima che calasse la sera.
    Elise sospirò, constatando quanto fosse sporco il locale, senza contare il malumore di Daniel, il barista, e di Frank, il cuoco. Sapeva che dopo il pienone che c’era appena stato, quei due avrebbero iniziato ad imprecare ed a lamentarsi con lei per tutto, la usavano sempre come sacco da boxe, scaricando sulle sue spalle tutte le loro frustrazioni.
    Ma ormai c’era abituata e non ci faceva più molto caso, semplicemente annuiva e gli dava ragione. Si affrettò a prendere la spugna per iniziare a pulire i tavoli, avrebbe voluto che Daniel le desse una mano, ma era sparito, probabilmente era andato sul retro a fumare insieme a Frank. Mentre puliva, entrò nella sala Gabriel, il capo del locale.
    “Perché ci sono ancora tutti questi tavoli sporchi?! Sono già le sei e voglio, anzi, PRETENDO che tra mezz’ora sia tutto in ordine, chiaro? E dove si è cacciato quel fannullone di un barista? Perché non è dietro al bancone?” Continuando a pulire i pochi tavoli rimasti, Elise rispose: “Si è recato al bagno, ha detto che non riusciva più a trattenersi. Sarà qui a momenti, signore. Il locale sarà pronto per le sei e trenta precise, signore. Non un secondo di più.”
    Con un grugnito ed una smorfia, Gabriel tornò nel suo ufficio e, poco dopo, comparve Daniel che con un sorrisetto strafottente si mise a sistemare il bancone. Elise odiava quell’espressione che sembrava dirle: “Brava scema! Continua a sgobbare come una schiava mentre io faccio la bella vita occupandomi solo del bancone!” Avrebbe tanto voluto mandare tutti al diavolo e andarsene da quel posto, ma aveva bisogno di quel lavoro, così continuava ad ingoiare rospi ed andava avanti.

    Due ore più tardi arrivarono altri colleghi, tra cui due cameriere, Silvia e Monique e l’aiuto cuoco Nicolas. Verso le otto arrivò anche Rakish, il lavapiatti indiano.
    Nonostante fosse estate, fu una serata tranquilla, non ci furono troppe persone e, ad un quarto alle nove, Elise sospirò, aspettando impazientemente che passasse quell’ultimo quarto d’ora per poi recarsi a casa. Si stava già pregustando il momento in cui sarebbe tornata a casa per rilassarsi con un bel bagno e passare qualche ora a leggere.
    Sfortunatamente, Gabriel la fece chiamare nel suo ufficio, dicendole che si sarebbe dovuta fermare fino all’orario di chiusura. Il motivo? Silvia, la sua collega aveva detto di avere mal di stomaco e che non se la sentiva di rimanere. Chiese perché non poteva fermarsi Monique. Non l’avesse mai fatto, Gabriel si infurò e le disse che mancava di sensibilità perché Monique era una madre single e non poteva permettersi una baby-sitter per le ore notturne. Le ricordò anche, con un tono canzonatorio, che non tutti erano soli e tristi come lei. Le dimostrò anche di essere magnanimo e le concesse quindici minuti di pausa, durante i quali poteva comprarsi qualcosa da mangiare prima di tornare a lavorare.
    Furiosa, Elise uscì dall’ufficio del suo capo e si recò nello spogliatoio, nel quale trovò Silvia che si stava cambiando. Non le sembrava che stesse male, anzi, pareva in gran forma e pronta per andare ad una festa. Quando la collega uscì dallo spogliatoio le disse: “Divertiti questa notte, mentre io vado a stendermi sul divano con una tazza di tè bollente ed una borsa di acqua calda sulla pancia! Ahah!”
    La giovane si affrettò a cambiarsi la maglia, prese il portafoglio e ordinò una bottiglia d’acqua ed un panino. Non aveva fame, ma sapeva che non avrebbe resistito fino all’una di notte senza mangiare.

    Verso le undici e trenta il locale si svuotò nuovamente e la ragazza iniziò a sistemare alcune cose per la chiusura, lasciando fuori solo ciò che fosse veramente necessario. Era distrutta e fece tutto molto più lentamente rispetto al solito, si sentiva un cerchio alla testa, le gambe erano pesanti e come se non bastasse le facevano male, così come la schiena. Sperava che non arrivasse più nessuno, per poter fare le cose con calma, senza doversi preoccupare di altri clienti e di altre lamentele.
    Mentre stava tirando su le sedie della parte in fondo del locale, si accorse che era entrata una ragazza. Non seppe dire se fosse appena arrivata o se stesse aspettando da qualche minuto. Con uno sguardo rabbioso, si voltò verso il bancone, chiedendosi perché la barista di turno non l’avesse avvisata. Vide Sarah tutta intenta a specchiarsi sul ripiano d’acciaio vicino al lavello, controllando che il suo trucco fosse a posto.
    Figuriamoci. Doveva aspettarselo.

    Elise lasciò perdere le sedie e si avvicinò alla cliente, mentre tirava fuori dal taschino del grembiule il taccuino degli ordini. Mentre l’approcciava disse: “Buonasera e benvenuta al “Gabriel’s Pub”, se vuoi seguirmi, ti condurrò ad un tavolo e prenderò la tua ordinazione.”
    Soltanto quando fu davanti a lei riuscì a vederla nitidamente e rimase folgorata dalla sua bellezza: aveva lunghi capelli castano dorato, lisci ed un po’ spettinati, un bel viso ovale, labbra rosee leggermente carnose, un sorriso luminoso, vispi occhi castani, la carnagione chiara ed una corporatura magra, proporzionata.
    “Grazie, gentilissima!” rispose lei. La sua voce era così dolce e gentile che sciolse il cuore della povera Elise, che rimase ancora a guardarla, come se fosse stata intrappolata in un sogno meraviglioso, dal quale non voleva più svegliarsi.

    “Ehm… Guarda, mi posso anche sedere qui. Non c’è problema”, disse la ragazza, che aveva aspettato che Elise la condusse al tavolo. A quelle parole, la giovane si ricompose e velocemente rispose: “Oh, sì. Qui va benissimo. Scusami. Ecco, tieni la lista. Ti lascio pure qualche minuto per decidere” Stava per girarsi ed andarsene quando la cliente le disse: “Oh, aspetta. Non sono mai venuta qui; perché non mi consigli tu qualcosa? Però che sia abbastanza leggero, è un po’ tardi e non vorrei che mi rimanesse sullo stomaco”
    Impacciata ed un po’ imbarazzata, Elise cercò di consigliarle i migliori piatti che riusciva a ricordare, un’impresa ardua, visto che la presenza di quella ragazza le impediva di pensare. Dopo pochi minuti, portò la comanda in cucina, ma non sentì le lamentele di David, il cuoco in turno a quell’ora, ormai non poteva più fare a meno di guardare quella ragazza, era ammaliata dal suo viso celestiale e dalla sua voce così candida. Quando la servì, per poco non si sedette insieme a lei, per continuare ad ammirarla, fortunatamente ritrovò un briciolo di lucidità e si occupò di sistemare gli altri tavoli, cercando di osservarla solo un poco, senza sembrare una stalker od una maniaca.

    Circa venti minuti dopo, la ragazza aveva finito di consumare il suo pasto e chiese il conto, stava per andarsene quando fece una cosa che colse Elise di sorpresa: “Come ti chiami? Mi piacerebbe davvero molto conoscere il tuo nome. Il mio è Camille”. Con il viso in fiamme, la giovane cameriera rispose balbettando: “I-io mi c-chiamo E-E-Elise…” Camille le sorrise: “Piacere di conoscerti! Spero di tornare presto qui. Mi sono trovata davvero bene e tutto grazie a te. Ci vediamo Elise, buona serata”.
    La guardò mentre usciva dal pub, con il cuore che le batteva all’impazzata e con una strana sensazione allo stomaco, poi continuò a fare le sue faccende continuando a pensare a quella creatura meravigliosa, chiedendosi se fosse stata reale o se fosse solo frutto della sua immaginazione. Quando tornò a casa, non riuscì a dormire nonostante fosse stanca morta, riusciva solo a pensare a Camille, alla sua voce ed alla sua gentilezza. Con il volto di quella ragazza impresso nella mente, Elise si addormentò senza accorgersene.

    Il giorno dopo Elise si recò al lavoro felice. Si sentiva leggera come una piuma e a malapena si accorse delle continue lamentele dei suoi colleghi. Non le importavano. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era Camille e al momento in cui l’avrebbe rivista.
    A tarda serata la ragazza si presentò e, come la sera prima, la cameriera la servì e riuscì a scambiare anche qualche altra parola con lei. Nei giorni seguenti le due giovani iniziarono a conoscersi sempre di più e diventarono amiche, ma Elise sapeva di provare qualcosa di molto più profondo per lei, qualcosa che andava ben oltre l’amicizia. Non si era mai sentita così felice in vita sua e non le sembrava vero di poterlo essere, aveva paura che tutto potesse finire da un momento all’altro, così come era iniziato.
    I giorni passarono e le due qualche volta uscirono insieme per prendersi un gelato o, semplicemente, per fare una passeggiata. La vita della giovane cameriera prese finalmente una svolta.
    Ogni volta che incontrava Camille, sentiva l’adrenalina scorrerle dentro le vene e le pareva di riuscire a volare. Grazie a lei, Elise riuscì anche a trovare il coraggio di uscire dal suo guscio e finalmente sentì di non essere più sola. Ora sapeva di aver incontrato una persona con la quale parlare, confidarsi e confrontarsi, sentiva di potersi fidare ciecamente di quella ragazza. Quando la vedeva le sembrava che le sue paure e le sue insicurezze sparissero e si tramutassero in qualcosa di più grande.
    Ormai ne era certa: si era innamorata di lei.

    Un giorno come tanti, le due ragazze si incontrarono e, come al solito, Elise era al settimo cielo ma, non appena vide Camille, si accorse che qualcosa non andava: non era solare e sorridente come al solito, anzi, aveva un’espressione triste, sconvolta e piena di dolore.
    Allarmata, Elise le si avvicinò e le chiese: “Camille? Va tutto bene? Cosa c’è?” Per qualche secondo non ci fu nessuna risposta, poi la ragazza scoppiò a piangere tra le braccia della giovane cameriera e, singhiozzando, riuscì a spiegarle la situazione: “Mia… Mia madre sta male. Mi hanno chiamata stamattina dicendomi che era stata ricoverata in ospedale in seguito ad uno svenimento… È caduta dalle scale, probabilmente si è rotta l’anca o il femore… ma mi hanno detto che la causa del suo mancamento possa essere qualcosa di ben più grave… Io… Io…” Camille non riuscì a finire la frase a causa delle lacrime, si copriva il volto con le mani e per poco non cadde in ginocchio. Elise l’afferrò e la strinse a sé, cercando di consolarla, accarezzandole i lunghi capelli.
    Quando la giovane si ricompose, Camille le disse che sarebbe andata dalla madre, per starle vicino ed aiutarla durante la convalescenza, ma che non sapeva per quanto sarebbe stata via.

    Camille partì il giorno dopo e, durante i primi giorni di lontananza, le due giovani si scrivevano continuamente, ma poi il tutto cessò di colpo. All’improvviso Camille aveva smesso di scriverle e non rispondeva neanche alle telefonate.
    Elise temeva che quel giorno potesse arrivare, d'altronde tutta la sua vita era sempre stata abbastanza mediocre ma per una volta pensava che le cose potessero cambiare, che anche lei potesse essere felice. Ovviamente sapeva che l’amica non stava vivendo una situazione facile, ma non riusciva a non sentirsi infinitamente sola.

    Il tempo passò lentamente, fino a raggiungere ottobre. Le giornate si fecero più corte, le temperature si abbassarono e le persone ritornarono ad essere stressate per il lavoro e la vita di tutti i giorni. L’estate era ormai finita.
    I suoi turni di lavoro al “Gabriel’s Pub” sembravano infiniti e le pareva di rivivere sempre la stessa giornata, fino a quando, una sera di metà ottobre, non le accadde qualcosa mentre tornava a casa.
    Camminava sul marciapiede buio e stretto quando vide davanti a sé una figura femminile che si stava avvicinando. Ad un tratto un lampione illuminò la figura ed in quel momento Elise vide Camille.
    Il suo cuore si fermò, così come il resto del suo corpo. Sentiva i piedi pesanti come se fossero diventati un tutt’uno con il marciapiede, sentiva una morsa allo stomaco e gli occhi che le si riempirono di lacrime. Quando Camille fu abbastanza vicina l’abbracciò come non aveva mai abbracciato nessuno e si perse in quella stretta così calda ed amorevole.
    Non le interessava che fosse sparita fino a quel momento, l’unica cosa che le importava era essere riuscita a rivederla e riabbracciarla.
    “Come… Come sta tua madre? Perché sei stata via tutto questo tempo? Io… Io…” Elise aveva la voce rotta dal pianto. Camille le accarezzò la guancia, con un sorriso triste dipinto sul volto. “Lo so Elise. Mi dispiace di averti fatta preoccupare. Ti racconterò tutto…”

    Si recarono in un bar vicino, nel quale ordinarono qualcosa. Elise era nervosa, voleva sapere cosa le fosse successo. Il suo cuore e la sua mente erano confusi, sembrava che la tristezza, la preoccupazione e la gioia stessero facendo a pugni dentro di lei.
    Camille bevve un po’ della sua cioccolata ed iniziò a raccontare.
    Appena arrivò all’ospedale in cui era ricoverata sua madre,scoprì che si era fratturata sia femore che anca e che era stata portata in sala operatoria. L’operazione era durata circa sei ore.
    Quando riuscì a parlare con i medici, seppe cosa aveva causato lo svenimento della madre: era malata di diabete. Da quel giorno la giovane era sempre rimasta con lei, per aiutarla nella sua nuova dieta e nella convalescenza, il che comportò un enorme dispendio di energie e di tempo, tuttavia cercava sempre di farsi sentire. Sfortunatamente un giorno le si ruppero sia il telefono che la scheda sim e perse tutti i numeri che aveva salvato in memoria, tra cui quello dell’amica.
    Mentre Camille raccontava, Elise si sentì una stupida per aver pensato che l’avesse abbandonata come se fosse un giocattolo rotto o qualcosa del genere. Man mano che l’amica continuava, lei si sentì sempre più idiota e continuava a sentire le farfalle nello stomaco ed il cuore iniziò a palpitarle nel petto. Ad un tratto, mentre Camille stava ancora parlando le afferrò il viso con le mani e la baciò.
    Fu un gesto irrazionale e non si era resa conto di quello che stava facendo, ma ormai l’aveva fatto e finalmente era riuscita a mostarle i suoi veri sentimenti. Si era tolta un peso dal cuore e si sentiva leggera. Camille non sembrava opporre resistenza, anzi, ricambiò quel bacio nonostante l’incertezza e l’incredulità iniziali.

    Elise non riusciva a credere a quello che aveva appena fatto e, quando si staccò dalle sue labbra, continuò a tenerle il viso tra le mani, appoggiò la fronte sulla sua e la guardò negli occhi.
    “Non… Non abbandonarmi più, d’accordo? Non lasciarmi… Io… Io ti amo dal primo momento che ti ho vista e da quel giorno quel sentimento ha continuato a crescere. Quando hai iniziato a non rispondere più ai miei messaggi ed alle mie chiamate ho cercato di combattere contro i miei sentimenti, di soffocarli, di seppellirli, ma niente… Tornavano sempre in superficie, più forti di prima…” le lacrime iniziarono a bagnarle le guance mentre sentiva le calde e dolci dita di Camille che gliele asciugavano, non sapeva cosa sarebbe successo adesso, ma sperava che quell’istante durasse per sempre non le importava nulla del resto.
    Camille le baciò la fronte e la strinse a sé, sorridendo e accarezzandole i capelli. “Non ti abbandonerò più, Elise. Ti prometto che d’ora in poi straremo insieme, nel bene e nel male. Vedrai che andrà tutto bene e che saremo felici insieme. Io sono tua e tu sei mia. Siamo due anime in un solo cuore…”.
    La giovane le sorrise e la baciò di nuovo, poi senza dire una parola pagarono ed uscirono dal bar, in strada camminarono mano nella mano per le strade della città, ignorando il vento di quella fredda sera d’ottobre che scompigliava i loro capelli.
    Mentre camminavano, Elise non poté non pensare alla sera in cui si erano conosciute. Se quella sera Silvia non avesse finto di stare male o se al suo posto fosse rimasta Monique, lei non avrebbe mai conosciuto Camille. Tutto era partito da un evento negativo ma, in quel momento, si rese conto che non tutto il male viene per nuocere.


    Dedico questo racconto ad una persona a me molto cara, che mi ha sempre dimostrato grande affetto e mi ha cambiato la vita.


    Edited by RàpsøÐy - 12/9/2017, 17:52
  10. .
    “Non preoccuparti, Frank. Non possono entrare. E se ci provano, sparerò per uccidere.”
    Stanley e Frank erano stati bloccati nella loro casa di campagna per mesi, sin dall’inizio dell’epidemia. All’inizio uscire era sicuro. Le persone non avevano iniziato a mostrare i segni di un contagio così strano fino all’anno prima. Gli esperti pensarono che fosse riservato a pochi, i poveri, quelli dei paesi del terzo mondo senza l’accesso ad un’area medica “civilizzata”.

    Ma il mondo si accorse quando si diffuse ad Hollywood ed in altri molti governi internazionali.

    Non si fermava. Sembrava che nessuno fosse immune dopo essere stato morso dai vagabondi senza anima e la carne decomposta. Stanley non aveva mai perso un episodio di “The Walking Dead” e spesso scherzava con gli amici di quello che avrebbe fatto se ci fosse mai stata un’apocalisse zombie.

    Ora le sue battute erano diventate realtà.

    Stanley era sempre stato un uomo cauto, una latrina per conservare cibo ed acqua, con armi e munizioni a portata di mano per ciò che teorici cospirazionisti e fanatici religiosi profetizzavano dai tetti. Adesso era grato di averlo fatto. Lui e Frank erano salvi e non avrebbero mai finito l’acqua. La sua grande ed incontaminata campagna gli aveva donato quella sicurezza.

    Il problema era che avevano finito il cibo cinque giorni fa.
    Frank fece uno sguardo indifeso verso l’amico.
    “Ora non agitarti” disse Stanley, “Penseremo a qualcosa”.

    Voleva credere alle sue stesse parole, ma rimaneva il fatto che lasciare l’abitazione non era più un’opzione, neanche di notte. Troppi infettati gironzolavano fin dove riusciva a vedere e possedevano ineguagliabile tenacia e desiderio di nutrirsi.

    “Almeno abbiamo l’un l’altro” disse Stanley sorridendo mentre il suo stomaco brontolava.

    Nessuna risposta.

    Poteva sentire ringhiare e grugnire dall’esterno. Una carica di adrenalina percorse il sangue di Stanley quando afferrò il fucile, poi lo bloccò e caricò. Loro erano vicini. Troppo vicini.

    Stanley si girò di schiena per difendere la porta principale, ignaro di Frank che si catapultò su di lui con un balzo improvviso. Entrambi caddero a terra.
    “No, Frank! Che stai facendo?” gridò Stanley, ma non poteva competere con il suo caro amico che ora lo bloccava a terra con il suo peso, sdraiandosi sopra di lui.

    E lo scontro cominciò.

    Frank non perse tempo a focalizzarsi sulla vena giugulare di Stanley e affondarci i denti. L’unico rumore della stanza erano le grida di dolore e di morte di Stanley. In pochi minuti, smise di dimenarsi ed una pozza di sangue si versò accanto a lui sul pavimento.

    Il problema della mancanza di cibo per il momento era risolto.

    Frank scese da Stanley e fece qualche passo indietro, sedendosi e leccandosi le ferite. Ansimò, sapendo di avere tempo per consumare la sua nuova fonte di cibo e che aveva ancora molta acqua a disposizione.
    Ed agitò la coda.





    Edited by WDR - 5/9/2017, 15:34
  11. .
    Continuo ad aspettarli. Continuo a pensare che, dopo tutto questo tempo, possano trovare qualche straccio di prova che li conduca da lui. Ho immaginato il giorno in cui lo troveranno così tante volte che quando chiudo gli occhi riesco a vedere esattamente come succederà.

    Ci sarà una macchina della polizia nel vialetto ad aspettare che torni a casa dal lavoro. Il cuore mi martellerà nel petto quando scenderò dalla mia macchina. Un poliziotto impassibile uscirà da casa mia e mi dirà che deve parlarmi. Lo seguirò in soggiorno e mi lascerò cadere su una delle sedie mentre lui starà in piedi davanti a me. Mi dirà che l’hanno trovato. Non avrò bisogno di chiedere chi.

    Non so come reagirò. Riderò sapendo che finalmente è finita? Piangerò sapendo che non dovrò vivere un altro giorno con il mio segreto? Ciò che so per certo è che mi sentirò sollevato. Questo ed il metallo freddo delle manette mentre il poliziotto me le stringerà ai polsi.

    Ma niente di tutto questo è accaduto. Invece siedo qui, guardando una foto di mia figlia e pensando all'uomo che non troveranno mai.
    L’uomo che ha chiesto il mio perdono quando l’ho trovato. L’uomo accasciato nel seminterrato, che aspetta che io decida quale sarà la sua punizione oggi.




    Edited by DamaXion - 22/7/2017, 15:10
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    Edited by Emily Elise Brown - 9/11/2017, 22:34
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    Circa un mese fa ho iniziato a lavorare in un Burger King vicino al Lago di Garda e, spesso, mi capita di lavorare fino a tardi (soprattutto durante i week-end).

    Settimana scorsa stavo lavorando tranquillamente quando entrò un gruppo di cinque ragazzi, apparentemente ubriachi, ed ordinarono da mangiare. Era circa mezzanotte. Appena ricevettero quello che avevano ordinato, si sedettero ad un tavolo in fondo al locale.
    Da quando erano entrati, avevano cominciato a fare casino parlando ad alta voce e “sputando” parolacce e bestemmie a destra e a manca. Dato che al momento erano gli unici clienti ed era sabato sera, io ed i miei colleghi li lasciammo fare, ma speravamo che se ne andassero presto.

    Comunque, poco dopo feci un giro per la sala per pulire i tavoli sporchi ed uno iniziò subito a fare l’idiota, lanciandomi occhiatine e ammiccando ogniqualvolta che i nostri sguardi s’incrociavano per caso. Quando raggiunsi il lato del locale dove c’era il suo tavolo, questo simpaticone mi fece delle domande cretine del tipo: “Ma quella che mettete nei panini è davvero maionese o è qualcos’altro?”, “Questo pezzo di manzo non può competere con me, non sei d’accordo?”, “Scommetto che stando qui avrai visto molti manzi, ma di sicuro nessun Toro!”. Ovviamente i suoi amici risero e lo considerarono un figo.
    Stava iniziando a seccarmi e avrei voluto mollargli quattro ceffoni, ma sapevo che non ne valeva la pena.
    La goccia che fece traboccare il vaso fu quando mi palpò il sedere quando mi avvicinai al tavolo accanto al suo per pulirlo. Mi girai di scatto e lo fulminai con lo sguardo ma lui, con nonchalance, mi afferro il braccio e mi chiese: “Ehi bella, a che ora stacchi? Scommetto che hai voglia di farti un giro su un vero toro!”. Non so come ma con estrema educazione ed un tono molto calmo risposi: “Mi dispiace, ma il regolamento ci vieta di fraternizzare con i clienti e di organizzare appuntamenti durante l’orario di lavoro”.

    Mi guardò come se avessi detto qualcosa in latino, mentre i suoi amici deficienti fecero in coro: “Uuuuuuuuuh! Amico! Ti ha liquidato!!!! Sei più un vitello che un toro!” A questo punto, lui si alzò dalla sedia e mi guardò dritto negli occhi dicendomi: “Attenta piccola stronzetta! Non sai con chi hai a che fare! Nessuno può rifiutarmi in questo modo, quindi dimmi a che ora finisci che ti faccio vedere io cosa vuol dire essere un manzo!”
    Per nulla intimorita, gli risposi di nuovo: “Non ti sto rifiutando, sto solo osservando il regolamento dei dipendenti. Ora, se vuoi scusarmi, ho del lavoro da fare”. Sfortunatamente, lui non volle sentire ragioni e mi trattenne lì, stringendomi ancora di più il polso iniziando a farmi male; aveva anche incominciato ad avvicinare la sua faccia vicino alla mia, come se volesse baciarmi. Sentivo il puzzo del suo alito. Sapeva di marcio, alcool e di erba. Mi venne da vomitare.
    Fortunatamente, indossavo le cuffie che ci servono per prendere gli ordini del Drive con le quali possiamo comunicare anche tra noi colleghi, perciò schiacciai il pulsante e dissi: “Manager, abbiamo un piccolo problema in sala”. Non feci in tempo a finire la frase che vidi Francesco (il manager che era in servizio) che era già lì. Aveva visto con le telecamere ciò che stava succedendo ed era subito accorso.

    Appena lo vide, il tipo mi lasciò e uscì dal locale imprecando e bestemmiando come un ossesso e pochi minuti dopo i suoi amici lo seguirono. Inutile dire che lasciarono un cesso sul tavolo dove si erano seduti.
    Quando finii il mio turno, Francesco mi scortò nel parcheggio per assicurarsi che quei cinque deficienti non fossero ancora nelle vicinanze e tornai a casa.


    Testina di vitello con l’alito orribile: la prossima volta mangiala l’erba al posto di fumarla, e va a mangiare da qualche altra parte.

    Edited by RàpsøÐy - 12/7/2017, 15:06
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    Benvenuta e che la paura sia con te! :peoflow:
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    Libidiniamo insieme!
211 replies since 9/11/2015
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