La recita. Un sogno

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    La nostra aula gocciolava. Era già un mese. Non dal soffitto, perdeva dal basso e la nostra essenza, le secrezioni, gli sberleffi si distillavano nelle aule di sotto. Eravamo noi a gocciolare. Le bidelle mormoravano che ci avrebbero spostato in un'altra aula, in un'altra scuola che potesse mantenere il nostro composto invariato e non permettergli di scomporsi in una miriade di fiocchi di sudore. A ventiquattro anni ripetevo il quinto e non sapevo mettere a sistema le equazioni. Ci hanno invitati a tornare alla scuola elementare, solo per qualche giorno, per placare l'esondazione. Una scuola in miniatura, nei banchi non ci entravamo più. Le scuole stavano tutte sulla stessa strada e assumevano progressivamente la forma dei sogni di chi le abitava. La scuola media, per esempio, era un grande recinto per il maneggio degli istinti, si poteva correre e strusciarsi sul pavimento senza troppo dolore. La scuola elementare era un corridoio primitivo simile a un villaggio nel far west, ogni aula era una locanda piena di deportati da rieducare, disabituati all'umanità. Non sapevo che mia zia insegnava là. Suo figlio, mio cugino aveva meno di me e si era laureato a Milano, in una università privata. Quando mia zia mi ha visto mi ha fatto delle specie di feste come a un cane, mi ha fatto complimenti che non trovavano nessun riscontro sul mio corpo e sulla mia ambizione e ha provato persino a accarezzarmi. Ha chiamato Lombardo alla lavagna, lui si è subito distinto come quello più capace con i numeri, aveva un'aria seria ma non tesa come la mia, un'aria seria ma in pace, poi in disparte quando gli altri erano usciti e mentre io mettevo le ultime cose nella borsa, un libro elettronico di poesie e gli auricolari, mi ha detto che il giorno dopo avremmo dovuto organizzare una recita, doveva chiamarmi alla lavagna e io avrei saputo risolvere l'intrico di simboli che mi proponeva, dovevamo metterci d'accordo, dovevo memorizzare le istruzioni. Non voleva permettersi che di una piccolissima particella del suo sistema sociale, il nipote misconosciuto, si potesse dire in giro che non andasse bene in nessuna materia, e soprattutto non nella sua, perché avrebbe significato che la sua maestria genetica non era infallibile, l'aveva tradita a un certo punto della catena biologica. Ero uscito da scuola e mi sentivo pesante, ricordare l'orario d'uscita di quand'ero bambino, con la borsa più grande di me, l'inflessione identica a quella di adesso mi aveva intristito, ma da fuori sembravo lo stesso e anche avendo voluto farne un dramma non sarei stato credibile. Il mattino e la sera della giovinezza si erano confusi, era bastato attraversare la strada e entrare nella scuola elementare, un edificio di poco più stretto.

    Cammino verso casa come nel resto del tempo, ci sono due liceali che litigano in modo scherzoso, portano i leggins, un marchio infaticabile dell'eccessivo rilascio di feromoni. Una mi guarda brevemente dalla spalla, guarda l'altra per trovare un accordo, la mia attenzione purtroppo è rettile, i capelli ricci lunghi e la corsa asciutta dell'addome sbirciato appena dalla maglia corta la vincono tutta. Si spingono fino a farsi cadere, è un buon momento per farmi sentire qualcosa, l'ansia di averle parlato mi darà carburante se sono fortunato per tutta la giornata e magari riesco a ripassare la recita. Afferro la sua mano e si mette a ridere sempre più grande, il mio campo visivo ne esce sordo, mi allontano, sono già vicino ai laboratori e all'eterna impalcatura di un'altra scuola. L'altra ragazza, non quella pazza, si avvicina a chiedermi se va tutto bene ma la mia testa è già partita, inizio a pensare che sono demoni, che hanno fatto un patto tra loro per chi deve avere la mia anima, la prima a cadere spinta a terra. Se è così, penso, non dev'essere tanto un piacere guadagnarsela, per loro che la fanno coincidere col pegno della sconfita. Mi mette una mano sul petto per calmarmi e mi dà tanti baci salivosi prima sul collo e poi su tutta la faccia, non in modo sensuale ma come mi stesse applicando una medicazione. Quando arriva l'altra, quella pazza, sembra più piccola, svuotata e anche se mantiene i fianchi asciutti e il petto pieno e slanciato sembra esausta e in generale meno viva, si piega vicino a me e singhiozza, vedo i suoi tratti deformati dal pianto, quando qualcuno piange disperato mi sembra sempre si stia arrossando di una sagoma demoniaca. Si asciuga il naso e mi prende la mano per portarmi più in alto sull'impalcatura, io non dissento ma lei mi tiene fermo lo stesso, mi fruga nella maglia e mi strappa dei peli nuovi dal petto, mi porta i pantaloni alle ginocchia e quando si piega su di me emana un odore fortissimo di carogna. Dopo qualche minuto le si aprono dei tagli su tutta la faccia, i capelli ricci si svitano dalla testa e diventano arterie pulsanti che all'apice del piacere si dissanguano addosso a me. Penso a mia zia e mi si gela un attimo il sangue. L'altra ragazza è rimasta sul primo gradino della scala di ferro curva a mangiarsi le unghie con la frangia che copre gli occhi rivoltati in dentro, con un piede a terra sente scorrere sul marciapiede la fila indiana dei bambini diretti al laboratorio doposcuola.

    Edited by SkullKid™ - 6/2/2024, 15:50
     
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