L'hotel

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    Eravamo ormai giunti all'hotel quando Amelia, mia sorella, iniziò a mostrare i primi segni della malattia. Fino ad allora il viaggio era stato relativamente facile. Avevamo trovato un po' di benzina e ci era bastata per parecchi chilometri; a volte ci era capitato di trovare dei cadaveri per strada, ma nulla di davvero preoccupante. Ciò di cui ci preoccupavamo era di non toccare persone infette: conoscevamo tutti le conseguenze. Ancora oggi non ho capito come Amelia abbia contratto la malattia. Fatto sta che quando vedemmo l'insegna rossa, ENGLAND HOTEL, sentii mia sorella tossire. Era dietro di me; io mi facevo strada e lei e il resto del gruppo - il mio amico Jack, mia moglie Wilma e un vecchietto che avevamo pescato a caso in un MC Donald's, un certo Martin - mi seguivano come cagnolini. In spalla avevamo i nostri zaini, mattoni necessari che ci appesantivano la schiena.
    Quando la udii starnutire mi voltai di scatto verso di lei. Sembrava normale: stanca, triste e spaventata. Ma normale. Solo in un secondo momento mi accorsi del rossore che si andava creando nelle sue iridi, dei suoi movimenti lenti e - Cribbio! - di quella strana, piccola macchia che le era comparsa vicino alla bocca. Come avevo fatto a non notarli prima?
    Dissi agli altri di fermarsi e loro lo fecero. Martin si lamentò: «Non possiamo andare all'hotel? È a giusto due passi da qui.» In effetti tra noi e l'edificio c'erano solo dieci metri di distanza: una vera cazzata, rispetto ai chilometri che ci eravamo fatti a piedi. «No, Martin» risposi. «Non possiamo. Amelia ha l'H56.»
    Silenzio generale. Durò per qualche secondo, ma fu terribile. Vidi i miei compagni, coloro coi quali avevo passato le mie avventure e che mi avevano salvato più volte, giudicare la situazione con cinismo. Cosa dobbiamo fare, ora? Andiamo avanti? Uccidiamo Amelia? Che facciamo con Jason, suo fratello? Erano queste le domande che si stavano ponendo, e io stesso non riuscivo a trovarvi risposta. E se fossi stato anch'io infetto? D'altronde l'avevo abbracciata, ero stato con lei per varie tappe del viaggio, a volte mi aveva persino baciato sulla guancia.
    «Lo sapevi?» chiese Jack, osservando lei e poi me. La rabbia dipinta sul suo volto.
    «Non sapevo niente!» Mi rivolsi ad Amelia. «E immagino che neanche tu sapevi di avere l'H56, vero?»
    Amelia, che fino ad allora era rimasta zitta, parlò: «Certo che no! Non so nemmeno come l'ho preso!» Si sedette a terra e cominciò a piangere. Dopo tanto dolore, dopo tanti giorni di camminate, era davvero questo il destino che le spettava? Morire per colpa di una malattia che aveva già decimato metà della popolazione mondiale? Era assolutamente ingiusto, un destino deciso da qualche divinità malvagia.
    Se il destino ha un volto, allora è quello di un clown sadico che si diverte a infliggere dolore. Avevo visto morire molti amici e conoscenti, ma mia sorella... mia sorella!
    Wilma si avvicinò a me. «Jason...» Una pausa. Poi: «Non possiamo portarla più con noi!»
    «Ma è mia sorella!»
    «Tua moglie ha ragione» dissero Jack e Martin all'unisono. Jack proseguì. «Se ha la malattia potrebbe infettare qualcun altro. Dobbiamo lasciarla qui. Le daremo tutto ciò di cui ha bisogno: cibo, acqua, farmaci... Quando morirà - e non ci manca molto, se ben ricordo gli effetti letali dell'H56 - sarà felice, e saprà di aver salvato tutti noi.»
    Erano parole convincenti, razionali, ma io non sono mai stato una persona razionale e afferrai Jack per il colletto, digrignando i denti. Wilma si allontanò da me e stette accanto a Martin, spaventata. «Non osare proporre cose del genere!»
    «Jason, noi dobbiamo...»
    Gli diedi un pugno in bocca. Non gli spaccai alcun dente, ma uscì un po' di sangue. «Jason, fermati!» Era la voce di Amelia. Lasciai andare Jack, che finì sulla terra asciutta, e guardai mia sorella. Non piangeva più, ma aveva ancora paura e disperazione. «Hanno ragione loro! Devo restare qui!»
    Le lacrime sgorgarono potenti dai miei occhi. «No, ti prego, vieni con noi!» Lei scosse la testa. «Non posso, Jason. Andate, andate all'hotel! Il rimarrò qui a vedere il tramonto. Aspetterò che la mia ora sopraggiunga.»
    Sì sedette di nuovo a terra, con un modo di fare che definirei stoico. Dov'era finita la mia sorellina sensibile e triste? Dov'era finita quella giovane donna che cercava in tutti i modi di vivere? Amelia era già morta, e fu allora che capii la follia delle mie azioni. Certe cose non possono essere evitate, pensai. Devi accoglierle e basta.
    «Va bene» dissi. Poi aiutai a Jack a rialzarsi («Scusa per averti fatto questo») e mi rivolsi al resto del gruppo: «Noi andiamo all'hotel. Fra poco il sole tramonterà, ci sarà freddo e avremo bisogno di un riparo.» Tutti annuirono. Salutammo un'ultima volta Amelia, tenendoci a distanza da lei, e partimmo.
    Arrivammo all'hotel in pochi minuti. Sembrava abbandonato; la porta di vetro all'ingresso era spaccata e c'era un odore di merda che non riuscivo a sopportare. Provai a baciare mia moglie, ma lei mi respinse. «Non fraintendermi, Jason. Ti amo e ti voglio un bene dell'anima. Solo...sai, potresti essere infetto anche tu. Aspettiamo qualche altra settimana, vediamo cosa succede e se sei sano, be', torneremo a baciarci.»
    Aveva ragione. La fissai da capo a piedi, e i miei occhi si soffermarono sul suo bel pancione. Era incinta di otto mesi; avevamo deciso che si sarebbe chiamato Robert, che era il nome di mio padre. E a proposito di mio padre: chissà dov'è lui, ora. L'ultima volta che ci siamo visti è stato un anno fa, prima che iniziasse l'H56. Eravamo nella calda Florida, a goderci il mare estivo. Stavamo bevendo dei cocktail sotto un ombrellone; mia madre era a casa a chiacchierare con le sue amiche. «Senti, papà» gli avevo chiesto, dopo aver bevuto un lungo sorso rinfrescante. «Com'è essere in pensione? Voglio dire, come passi le tue giornate?»
    «Mi chiedi cosa faccio ogni giorno ora che sono vecchio e stanco? Assolutamente niente. Mi sveglio tardi, leggo un po', guardo la TV, alle otto in punto mangio e questo ogni giorno della mia vita.»
    «Non sembra male» avevo ribattuto, e qui si fermano i ricordi. Pensare a mio padre mi rende felice: riesco a sentire la sua voce, le sue dita. Spero stia bene e che sia ancora vivo.
    Comunque, entrammo nell'hotel. Io ero l'ultimo della fila, lontano dagli altri. L'atrio si presentava sciatto, sporco e disordinato. Il tavolo di legno era stato capovolto e una striscia di sangue si diffondeva su tutto il pavimento. Trasalimmo, ma poco - avevamo visto di peggio.
     
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    Ser Procrastinazione

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    Ad una prima lettura mi pare scritta bene. Mi ha ricordato abbastanza The Last of Us, sebbene qui non ci siano zombie. Ad un certo punto del videogioco, infatti...
    i protagonisti incontrano un ragazzo con suo padre e decidono di unirsi a loro, ma questi ultimi finiscono per contrarre il Cordyceps e vengono uccisi dai due protagonisti.

    Volevo chiederti: l'altra storia non la continui più?
     
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    Volevo chiederti: l'altra storia non la continui più?

    Diciamo che sono impegnato. Sto scrivendo un romanzo e non ho tempo per pensare ad altre storie. Le continuerò dopo che avrò finito di scrivere la mia opera; per ora le tengo come idee per storie future.
     
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2 replies since 15/8/2023, 10:31   92 views
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