La Mansarda

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    Una mansarda.
    Mentre i miei occhi si aprono, e inizio a vedere ciò che ho attorno, riconosco quella che è una mansarda, probabilmente vecchia e malandata. Mi ci vuole una manciata di secondi per capirlo, a dire il vero, ma lo deduco dall'odore di legno ammuffito, dalla poca luce che spira dalla finestra- luce da cui il mio corpo si ritrae, come se avesse paura di venire distrutto- dal pavimento in parquet, da qualche quadro mezzo ammuffito appeso alle pareti, e dalla botola sotto di cui si trova una scala che porta al piano di sotto.
    Tuttavia, la domanda sorge spontanea: perché mi trovo rinchiuso in questa mansarda, senza via d'uscita? No, in primo luogo, come faccio a sapere che non posso scappare?
    –Eppure, senza dubbio, non posso fuggire.
    La botola è chiusa, serrata in un modo che mi impedisce di aprirla nonostante quanto mi sforzi. Le finestre sono chiuse anch'esse. Provo ad avvicinarmi, ma prima di riuscire anche solo a guardare fuori, mi sento così debole da non riuscire a fare un altro passo.
    Dovrò rimanere qui, per ora. Dopotutto, anche se uscissi, non avrei che sostituito un problema con un altro.
    Non ricordo nulla.
    No, forse non è l'espressione giusta. “Non ricordare nulla” implica l'aver avuto dei ricordi, ma al momento non ho nemmeno questa certezza. Eppure devo avere avuto dei ricordi, un tempo. Delle conoscenze. Un'identità. Sono consapevole di questi concetti, ma non trovano riscontro nella mia mente.
    Provo a guardare il mio corpo- so che i miei occhi e la mia mente sono sorretti da un corpo- ma di nuovo quella debolezza mi assale. Una sensazione estremamente forte, che mi lascia con la vista sfocata, incapace di percepire qualunque cosa se non vaghe forme che ricordano due braccia, e la macchia marrone scuro del pavimento sotto di me.
    Il mio sguardo si torna a posare sulla stanza intorno a me.
    Sconvolto, noto un dettaglio che mi era sfuggito prima, un particolare che ora la mia mente percepisce.
    –Tre cadaveri, fatti a pezzi, nella stanza, con il sangue che macchia pavimento e pareti.
    Sento una voce che parla, ma non ne capisco le parole. Guardo di nuovo le mie mani, e sono ancora sfocate. Ma ora riconosco l'inconfondibile rosso del sangue.
    Perdo conoscenza.


    Di nuovo i miei occhi si aprono, e sono nella stessa mansarda. La scena è cambiata, ora. Nel centro della stanza non ci sono più tre corpi, e il sangue sembra essere stato pulito, anche se di fretta. Per qualche motivo, ciò non sembra turbarmi. Sondando meglio la mia memoria, ricordo che quelle macchie di sangue sono state rimosse da qualcuno, la stessa persona che aveva lasciato qui i tre corpi. La stanza è rimasta la stessa, ma questa volta la botola sembra essere socchiusa.
    Con rinnovata speranza di poter fuggire, mi avvicino ad essa, gustando già il mondo esterno, dove forse riuscirò a trovare l'identità che dovrebbe esistere. Se non esiste più nei miei ricordi, da qualche parte, deve esistere.
    –Eppure.
    Quando faccio per aprire la botola, la mia mano si ferma. Nonostante io cerchi di raggiungerla disperatamente, con tutte le mie forze. Come un viaggiatore nel deserto che tende le mani all'oasi in lontananza, tutti i miei sforzi sono vani e l'oasi- il miraggio del mondo sotto la botola- rimane irraggiungibile.
    Non capisco, e sono frustrato. Vedo la finestra, di nuovo, e mentre mi chiedo se stavolta si aprirà e mi svelerà i suoi segreti, sento la botola dietro di me aprirsi.
    Non posso essere visto.
    Il pensiero esplode come una sirena e mi ritiro repentino nelle tenebre della stanza.
    Filtra luce nella stanza dalla botola, e mentre una mano la apre e irradia la mansarda con un bagliore terribile, sento la mia conoscenza sfuggirmi nuovamente.
    L'ultima cosa che vedo, prima che le tenebre mi inghiottano di nuovo, è una forma umana che brilla di rosso, e che getta di fianco a me un altro cadavere.
    Perdo conoscenza.

    Rinvengo nuovamente.
    La stessa stanza, immersa nel solito chiaroscuro dettato dalla luce che entra dalla finestra. Una nuova sensazione. È freddo. La luce della finestra potrebbe scaldarmi, ma sento che con la stessa facilità con cui potrebbe, potrebbe anche bruciarmi e ridurmi in cenere. La finestra è sempre chiusa, ma più la guardo, più mi attira. E c'è qualcos'altro, qualcos'altro di nuovo, una sensazione, dei suoni, ma non già sfuocati e indistinti- sempre più nitidi, sempre più precisi. Come una vecchia radio che cerca la giusta frequenza, inizio a sentire delle voci. La loro cadenza, il loro timbro, la loro intonazione, non sento nulla di ciò. E tuttavia, le parole diventano sempre più nitide.

    “...sentito…”
    “Quella… pare che…”
    “... Non starai dicendo… “

    Frammenti di conversazioni, ma sempre più nitide.
    Non mi chiedo perché io possa sentirle, non mi chiedo perché mi raggiungono anche se la finestra rimane chiusa e so di essere in una mansarda. Non mi chiedo nemmeno perché solo ora, improvvisamente, posso sentirle. Semplicemente, istintivamente, quasi come se solo ora che ci sono mi accorga di quanto mi fossero prima mancate, mi concentro sulle voci e su ciò che dicono.

    “Ehi, ma quello non è l'appartamento maledetto?”
    “Ohi, è vero! La finestra è chiusa, come sempre, ma ho sentito che una volta era aperta e qualcuno ha visto dentro!”
    “Ma dai, e cosa c'era?”
    “Bho. Pare fosse tutto buio e non si vedesse nulla, ma secondo me sta dicendo cavolate quel tipo.”
    “Mah, sai, su quel posto si dice di tutto. Ah, a proposito…”

    Le voci svaniscono, ma subito altre due voci compaiono a sostituirle.

    “Appartamenti maledetti! Cos'è, un horror di serie B?”
    “Nel senso, sembra stupido, ma dicono che tutte le persone scomparse sian state visti intorno a quel posto...”
    “Un appartamento disabitato? E chi le avrebbe fatte sparire, il fantasma formaggino?”
    “Dicono ci sia un mostro rinchiuso lì dentro! Una bestia assetata di sangue, con artigli al posto delle mani e tre paia di denti come gli squali!"
    "Mah. Per me sei te che sei troppo credulone, invece."

    Si allontanano anche queste voci. Mi lasciano una domanda.
    Chi sono io?
    Guardo le mie mani.
    Vedo lame sporche di sangue.
    Chi sono io?
    Guardo la stanza.
    Sangue, odore di morte, macchie scure sui muri e sul pavimento, la finestra e la botola chiuse.
    Chi sono io?
    Le voci fuori continuano imperterrite. "Artigli", "denti aguzzi", "sete di sangue", "una bestia", "un demone", "la morte", "il diavolo", e ancora avanti continuano a parlare e ad aggiungere altri aggettivi ancora.
    Chi sono io?
    Chi sono io?
    Chi sono io?




    Non so nemmeno se sono svenuto, questa volta. Non so nemmeno se sono rinvenuto, o se semplicemente, travolto dalla verità che ho compreso, sono rimasto qui fermo senza poter reagire.
    È passato un po' di tempo, ma non ha importanza. In questa mansarda, in questo mondo in cui esisto- l'unico mondo in cui posso esistere- il tempo è scandito solo dalla botola che si apre e chiude.
    La botola mi porta sempre un'altra persona, e ogni volta, il mio corpo sa cosa deve fare. Le mie mani, no, i miei artigli, la tagliano a pezzi. La mia bocca, con denti come quelli di uno squalo, ne strappano la carne, la fanno a pezzi e la distruggono.
    La finestra non si apre ancora, ne si aprirà mai. La luce che talvolta entra è sempre mia nemica, ma so come evitarla. Sicuramente, i suoi raggi mi distruggerebbero, se mi toccassero. Ma non mi toccheranno. Non ho più motivo di avvicinarmi alla finestra, o di cercare di aprire la botola.
    La mia esistenza inizia e finisce in questa mansarda, in questo spazio chiuso in cui vengono mescolate tutte le voci di chi ne parla, in cui tutte le dicerie potrebbero essere realtà.
    E io dunque esisto.
    Io, il mostro dell'appartamento maledetto, con artigli al posto delle mani e denti da squalo. La bestia assetata di sangue che esiste in funzione del suo ruolo.
    Chissà, prima o poi forse la gente dimenticherà tutto questo, e io svanirò con quei ricordi.
    Ma fino ad allora, il sangue sui miei artigli sarà sempre fresco.


    Racconto scritto abbastanza di getto anche se in giorni separati. Titolo migliore cercasi, e probabilmente rivedrò le ultime due frasi, ma intanto potete dare un'occhiata al resto.


    Edited by DarknessAwaits - 15/2/2021, 16:24
     
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    La storia è scritta molto bene, controllando non ho trovato errori e in generale mi è piaciuta la tua narrazione, quindi bravo :stellina:

    Mi piace il concetto del mostro legato strettamente alla mansarda maledetta, come se vivesse in funzione dell'esistenza del luogo e della leggenda che si è venuta a creare su di esso; è un po' come dire che credendo ai mostri e dandogli importanza li si rende veri, è un concetto che ho trovato sempre affascinante.


    La cosa che ho capito di meno è la figura che porta i cadaveri al mostro e che a quanto pare ripulisce anche dopo che il lavoro è stato finito; si tratta di un'allucinazione o c'è davvero? Esattamente che ruolo ha?

    Comunque la storia è carina, il titolo è semplice ma mi piace. Ho letto che vuoi cambiare le ultime due frasi, quindi prima di dare un parere vero e proprio attenderò che tu sia totalmente soddisfatto del tuo racconto. Ma fino ad ora mi è piaciuto.
     
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    La cosa che ho capito di meno è la figura che porta i cadaveri al mostro e che a quanto pare ripulisce anche dopo che il lavoro è stato finito; si tratta di un'allucinazione o c'è davvero? Esattamente che ruolo ha?

    Hai capito mi sembra ciò che volevo si capisse- il mostro 'esiste' perchè la gente pensa lì dentro ci sia un mostro. La figura che porta i cadaveri è, diciamo, la soluzione 'reale'- è solo un serial killer come tanti altri che nasconde i cadaveri nella mansarda prima di sbarazzarsene.
    Esiste dunque il mostro? Dipende. Se vedi le cose dalla prospettiva del killer, no, fa tutto lui. Se vedi le cose dalla prospettiva delle persone 'fuori' dalla mansarda, si, il mostro è la spiegazione degli eventi più 'diffusa', e dunque esiste.
     
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    Oh, ok, è anche meglio di quanto avessi immaginato allora! Bella idea!
     
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    non ce l'ho fatta a finirla perchè mi stavo annoiando dalla repetitività della confusione del protagonista
     
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