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Gianmarco stava appisolato sul divano per il suo immancabile sonnellino serale, quando fu destato da suo padre Giorgio. “Gianmarco, svegliati, presto, a tua madre è venuto un infarto!” Gianmarco scattò in piedi e corse in cucina, dove vide sua madre in uno stato catatonico, stesa sul grigio canapè. Le si accostò, si chinò su di lei e, porgendo le mani sulle sue guance, le diede un bacio sulla calda fronte. “Che ti è successo?” mormorava, ma lei non gli prestava alcun riguardo. Teneva lo sguardo fisso su un punto a caso della parete dirimpetto; le sopracciglia, gli occhi e le labbra non denotavano alcuna emozione in particolare. La sua espressione, dunque, era neutra, e il suo sguardo vuoto. Per contro, i suoi parenti erano tutt’altro che calmi e la loro apprensione si rispecchiava perfettamente sui loro visi. Gianmarco, le cui sopracciglia erano aggrottate quasi fino a unirsi e divenire un tutt’uno, si voltò verso il padre e, con voce tremula, disse: “Che cosa possiamo fare?” Il padre Giorgio, che invece spingeva le sue sopracciglia più in alto che poteva, e aveva la bocca spalancata con le labbra inarcate verso il basso, così gli rispose: “Non lo so, non lo so. Che si può fare?” Gianmarco era ancora attaccato alla miseranda madre, come se la vicinanza potesse permettergli di comprendere la natura del suo malanno. Nel frattempo le accarezzava i bianchi capelli, ma lei non sembrava trarne alcun conforto. Alla fine Gianmarco disse: “Sei sicuro che sia un infarto?” “Che altro potrebbe essere?” rispose con grande affanno il padre. “Non lo so, in verità. Non conosco nessun’altra malattia che possa venire a un anziano” disse il figlio. I due rimasero a guardare la madre, che dal canto suo era rimasta paralizzata. Solo un certo tremito dei suoi occhi indicava che il germe della vita non l’aveva abbandonata del tutto. “Dovremmo chiamare il Dottore” disse infine Gianmarco. Il salone, dove poco tempo prima dormiva Gianmarco, comunicava con la cucina attraverso un piccolo corridoio. Nel salone si trovava il telefono. Il vecchio Giorgio andò lì, si sedette e digitò il numero del Dottore. Gianmarco poteva sentirlo parlare dall’altra stanza: “Pronto? Salve, buonasera, mi scuso infinitamente per il disturbo. Si tratta della madre di mio figlio, è malata… Credo che sia un infarto… È immobile, paralizzata, non si muove. Cosa posso fare?... Un attimo solo.” Poi urlò a suo figlio: “Gianmarco, puoi controllare il battito cardiaco di tua madre?” “No” rispose Gianmarco, con gran dispiacere. “Mio figlio dice di no… Va bene, glielo dico.” Poi al figlio: “Gianmarco, puoi controllare se tua madre ha la febbre?” “Beh, suppongo di sì, se proprio vogliamo” rispose Gianmarco, sollevato. “Ha detto di sì… Va bene allora.” Poi disse al figlio: “Gianmarco, prendi del ghiaccio e un po’ di burro, fanne un impacco e mettilo su quella poverella di tua madre.” Gianmarco seguì le istruzioni del padre, creando un qualcosa di rivoltante. Lo riversò in una bustina, poi, colto dal dubbio, urlò: “Papà, dove devo metterlo questo impacco disgustoso?” “Perché urli, figlio mio?” chiese il vegliardo padre. Era tornato in cucina, e guardava il figlio con anticipazione. “Ma, hai già attaccato!” urlò ancora Gianmarco, nonostante il padre fosse vicino. Sembrava quasi che fosse pronto a redarguirlo duramente; stringeva l’impacco nelle sue mani come se fosse una verga con cui punire il suo genitore. “Bah, non crederai che il Dottore sia a mia disposizione! Non posso mica tenerlo occupato per tutta una vita. Ci ha detto cosa dobbiamo fare, che altro vuoi?” Questa fu la risposta conciliatrice del padre, capace di riportare il senno nell’animo burrascoso del figlio. Gianmarco tornò a voltarsi verso la madre, la cui posizione non era cambiata affatto – come c’era da aspettarsi. Di primo acchito pensò di posare l’impacco sulla fronte della malata, come si suol fare con i febbricitanti; alla fine, però, reputò che la scelta migliore fosse mettere il ghiaccio (e il burro) sul petto, che d’altronde era la sede dell’infarto. Infatti la cura che il Dottore aveva dato a sua madre non era per la febbre – che lei, a quanto ne sapeva Gianmarco, non aveva – bensì serviva a curare l’infarto. Così, Gianmarco poggiò l’impacco sul pigiama di lana della madre, in corrispondenza del seno. “Menomale che esiste la medicina” declamò il padre Giorgio, soffregandosi il mento. Queste furono le ultime parole che si udirono in quella stanza per molto tempo. Il ghiaccio dell’impacco, sciogliendosi, colò lentamente fuori dalla busta in forma liquida e fu assorbito dal pigiama della madre. La macchia scura dell’acqua gelata di allargò sempre di più, e con essa diventarono via via più violenti i tremori della donna. I due uomini, uno accanto all’altro, osservarono impotenti mentre si svolgeva questo doloroso processo. Talvolta i due si giravano per guardarsi a vicenda, ed era come se Gianmarco dicesse: “Leviamole quel ghiaccio e poniamo fine a questo travaglio!” e il paziente padre gli rispondesse: “Siamo arrivati fin qui, perché rovinare tutto adesso?” Il sole abbandonò completamente la volta del cielo e la cucina, dove ancora stava tutta la famiglia, crollò nel buio. Il vecchio Giorgio andò a prendere una candela e la accese, poi la mise sul tavolo. Ormai i brividi della madre si erano attenuati; in maniera analoga, le espressioni sui volti dei due uomini, che in principio erano così pronunciate, erano diventate più spente. Della preoccupazione di prima era rimasta solo una nota di malinconia. Il padre, ormai stanco, si ritirò nella sua stanza senza proferir parola. Gianmarco rimase solo, seduto a osservare il corpo di sua madre in penombra. Il volto di lei sfuggiva alla luce. Le palpebre di Gianmarco si facevano sempre più pesanti. Cadevano e gli bloccavano la vista. Lui le respinse per quanto gli fu possibile, ma alla fine, senza neanche rendersene conto, cedette, e si abbandonò al mordace sonno. Quando Gianmarco riaprì gli occhi, il sole era tornato a illuminare la stanza. Sua madre adesso era seduta sul canapè; il suo viso era molto vicino. Era pallida, aveva il capo chino, le occhiaie sotto i suoi occhi erano molto marcate. Era ricoperta di sudore. Si reggeva la testa con una mano rugosa poggiata sulla fronte, e tremava ancora. “Mamma!” la chiamò Gianmarco. Lei rispose con un cenno. Non era più paralizzata. Eppure sembrava molto più malata di prima.
Edited by Markrath - 26/12/2020, 17:14
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