La barca

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    Seduta su una delle panchine che costeggiano il molo di Lerici, la piccola Eva lascia vagare lo sguardo intorno a sé. Altri sono attratti dal bianco splendore delle imbarcazioni più recenti. Lei no. La sua attenzione viene catturata da una barca distante dalle altre, che ondeggia seguendo il moto dell'acqua, attaccata al molo solo da una lunga e sottile cordicella. È molto più vecchia delle compagne; a renderlo evidente contribuiscono anche i segni di usura sullo scafo, e quelle parti, lungo la fiancata, in cui la vernice blu è venuta via, lasciando intravedere il legno marroncino sotto di essa. Al suo interno non vi sono comode sedute, ma due tavole di legno inchiodate e scheggiate in più punti. Non c'è nessuno al suo interno, ma del resto, se anche qualcuno ci fosse, quella barca non riuscirebbe a trasportarlo; infatti da una feritoia, che non si vede, ma pure deve esserci, l'acqua ha preso il sopravvento, riempiendola quasi per metà. Così, nel momento in cui Eva la guarda, la barca inizia ad inclinarsi, seguendo il moto delle onde, e ad inabissarsi sempre di più, sotto lo sguardo indifferente dei turisti.
    Un turista che, dall'alto del castello, si abbassasse a contemplare questa parte del molo di Lerici non vedrebbe poi nulla di diverso da quello che tutti vedono ogni giorno. Il molo domina dritto, immutabile, una lunga striscia di cemento grigio. A destra si staglia il mare, con la fila di barche che galleggiano attaccate ai pilastri, lasciandosi dondolare dalla corrente; a sinistra vi è una lunga fila di panchine grigie che costeggiano un muro di pietra, sulla cui sommità una ringhiera in ferro evita agli incauti di cadere. Spingendo lo sguardo più avanti, lì dove il muro e le panchine terminano, vedrebbe una lunga striscia di scogli che si spingono fin dentro al mare, così che, ritmicamente, le onde più alte si infrangono sulla superficie, coprendoli quasi interamente.
    Il turista che osserva dall'alto, non può vedere, non con la precisione di Eva, quella barca che se ne resta da sola, più piccola, più rovinata, mezza affondata a causa del moto perpetuo dell'acqua. Dall'alto vede solo le sue sorelle bianche, grandi, che svettano nel cielo limpido.
    Ma, probabilmente, al turista distratto che guarda il panorama dal castello non interesserebbero nemmeno quelle, si perderebbe piuttosto a contemplare le onde che, ciclicamente, si abbattono in bianca spuma sugli scogli. Sarebbe affascinato dallo spettacolo del mare in movimento, dagli scogli che restano immobili, “tenacemente immobili” penserebbe, mentre li osserva con vivo interesse, senza mai separare lo sguardo da loro per focalizzarsi sulla banchina in cui si trovano la bambina e la barca.
    Eva, però, non pensa che gli scogli siano “tenaci”, e non perché non sia in grado, nella sua mente da bambina, di personificare un oggetto e donargli attributi umani, ma semplicemente perché gli scogli sono fermi. Loro non scelgono di resistere alle onde, sono nati così, saldamente incollati al fondale, non potrebbero abbandonarsi al moto dell'acqua neanche se lo volessero.
    “Tenace”, per lei, è un aggettivo che si riferisce molto di più a quella piccola imbarcazione che sta continuando ad osservare. Un'imbarcazione bucata, mezza rotta, un'imbarcazione che sembra sempre sul punto di affondare del tutto. Eppure, imperterrita, continua a mantenersi fuori dall'acqua. Sì - osserva Eva, con il sorriso stampato sul volto ed un gelato alla crema in mano - è vero, quella barca è mezza affondata, si è inabissata almeno un po', ma continua fieramente a tenere la testa alta, si rifiuta, stoicamente - anche se Eva non lo sa cosa vuol dire “stoicamente” - di perire contro l'insistenza delle onde.
    Ed è forse per questo che la bambina ha scelto di osservare proprio quella barca, tra decine di barche più belle che si muovono sinuose rimanendo sempre al pelo dell'acqua: perché quella barca in particolare non viaggia sulla superficie, lei affonda ad ogni onda, e dopo ogni onda torna a galla.
    E forse è per questo che ha scelto di restare ancorata su di lei, invece di seguire i genitori nella loro passeggiata sugli scogli, immobili contro ogni intemperia: perché quella barca potrebbe affondare da un momento all'altro.
    Ma non lo fa.


    Questo l'ho scritto l'anno scorso in occasione del Writober, ma non mi dispiace, pur essendo stato scritto di getto, quindi lo posto così com'è stato scritto (senza revisione)


    Edited by & . - 5/8/2020, 14:42
     
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    Bella, mi è piaciuta, ma non saprei dove metterla. AR? Dico AR.
     
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    A parte queste piccolezze, sono d'accordo con DarknessAwaits. È carina e senza dubbio ben scritta, ma non la vedrei in una sezione particolare. Si tratta di una riflessione, a mio avviso anche abbastanza "allegorica" per così dire, fatta da una bambina verso una barca vecchia. Di conseguenza, anch'io dico AR.

    Edited by Rory - 4/9/2020, 18:07
     
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    Sono Lady Cupcake, prima del suo nome. Madre dei Pennuti, distruttrice della mia autostima. Creatrice del ciclo del Disagio e stermimatrice di germi.

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    Carina, come sempre ^^ non mi pare di aver visto altri errori se non quelli indicati da Woody, per cui ti confermo anche io AR ^^
     
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    Come da regolamento, ho provveduto a correggere io. Permane il mio dubbio sul pronome, ma, dal momento che è probabilmente una scelta stilistica, non l'ho toccato.
    Segno come "pronta".
     
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    Questa riflessione mi ha lasciato un po' così e così. Si parla di scelta, e a me pare che neanche la barca abbia scelto di stare lì mezza affondata, in quanto oggetto inanimato. Ma forse soffro di una rara condizione chiamata autismo.
     
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6 replies since 24/7/2020, 19:02   143 views
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