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Quando accadde ciò che sto per raccontarvi avevo 15 anni. Vivevo con mia madre in un piccolo appartamento, in un condominio di quattro piani in periferia. Sono figlio unico, e sono stato abituato fin da piccolo a dormire da solo, quando mia madre faceva il turno di notte in ospedale. Questo per dirvi che non avevo certo paura. Ogni tanto invitavo un amico a dormire da me: erano i tempi delle prime birre, delle prime sigarette, e nessun altro aveva una casa a disposizione per l’intera notte. Ma quella era una sera di metà settimana, l’indomani c’era scuola, e nessuno venne a farmi compagnia. Poco male, mi dissi. Guardai un film, fumai una sigaretta sul balcone e verso mezzanotte andai a letto.
Stavo per addormentarmi, quando dal piano di sopra arrivò un colpo così forte da far tremare il lampadario. Niente di strano: in questi condomini le pareti sono sottili come carta. Sopra di noi, al secondo piano, abitava uno scapolo di mezza età e non era la prima volta che sentivo i rumori delle sue serate. Spensi la luce e mi girai dall’altra parte. Quando all’improvviso iniziò a piovere e le prime gocce picchiarono contro il vetro della mia stanza, ricordo che sorrisi: mi è sempre piaciuto il rumore della pioggia, mi concilia il sonno. Qualcosa sbatteva ritmicamente contro il muro accanto alla finestra: forse una delle imposte che avevo lasciato aperte, o un cavo mosso dal vento. Dormicchiavo già quando la porta al piano di sopra si aprì e si richiuse. Controvoglia, aprii gli occhi, sbuffando. Chi poteva uscire a quell’ora, in una notte di pioggia? Mi misi a sedere sul letto e ascoltai i passi scendere le scale, rampa dopo rampa. Nella mia testa contai i gradini, aspettandomi che i passi continuassero fino al piano terra, invece si fermarono, proprio davanti alla mia porta. Trattenni il fiato. Sporgendomi dal letto, potevo vedere la porta d’ingresso, a metà del corridoio, e quando i miei occhi si abituarono al buio riuscii a distinguere la maniglia. Si muoveva, come se qualcuno la scuotesse dall’esterno. Qualcuno che stava provando a entrare in casa. Non avevo la forza di muovermi, né di staccare gli occhi dalla maniglia che tremava. Credo che il tutto sia durato una manciata di secondi, ma nella mia testa sembrarono ore. Poi i passi si allontanarono, fino al piano terra. E il portoncino del palazzo si chiuse con un tonfo.
Ricordo ancora che rimasi immobile sul letto, con le coperte tirate fino al mento, ascoltando la pioggia battere contro la finestra e augurandomi che mia madre tornasse in fretta. Poi devo essermi addormentato. Mi risvegliarono le urla dei vicini, e il respiro trafelato di mia madre che corse ad abbracciarmi. I miei occhi, ancora appesantiti dal sonno, ci misero un po’ a metter a fuoco la scena, ma ricordo ancora oggi i primi dettagli che mi colpirono. Il volto di mia madre, le labbra contratte dal terrore. E la strana sfumatura di rosso che aveva la luce nella stanza. Sfuggendo dall’abbraccio corsi a spalancare la finestra: il corpo dell’inquilino del secondo piano penzolava appena sopra la mia testa, appeso per i piedi. La gola squarciata, da cui ancora colavano le ultime gocce di sangue, che scivolavano sul vetro della mia finestra. Abbassai lo sguardo verso il vialetto all’ingresso del palazzo: le mattonelle erano asciutte. Quella notte non aveva piovuto.
Edited by & . - 3/6/2020, 20:30
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