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Fisso Giulio mentre si appresta a scegliere la sigaretta che gli è venuta meglio, facendo ondeggiare le dita sopra una scatola di cicche alla menta, dove le tiene nascoste.
Tiro fuori l'accendino.
Gli avvicino la fiamma alle labbra serrate, illuminando gli occhi, rossi e socchiusi.
A volte penso di stargli facendo del male.
La fiamma si spegne, lasciando uno sbuffo di fumo grigio che si attorciglia davanti a noi.
-E tua madre?- gli chiedo, guardandomi le scarpe slacciate.
Il fumo ci avvolge.
Accende il cellulare con aria persa mentre il pollice scivola sullo schermo a comporre il PIN.
-Solito, è a una riunione di scuola-
La panchina su cui siamo seduti sta diventando scomoda, o forse sono solo io che non riesco a restare fermo.
Non fa freddo, ma sto tremando, sento lo stomaco in subbuglio e delle brevi serie di scosse attraversarmi la schiena.
Chi l'avrebbe mai detto che le farfalle potessero avere ali così taglienti, quando nascono dentro il nostro stomaco e iniziano a volare?
Si dice che vivano un giorno solo, ma dentro me sono passati tre autunni, e le sento ancora tentare di risalire per l'esofago.
Davanti a noi passa una coppia sulla trentina, lei è sorridente, mozzafiato, con un vestito verde e i capelli biondi.
Lui moro, abbronzato, con dei Bermuda rosa e le infradito.
Parlano del ristorante dove sono appena stati, di come i primi piatti fossero leggermente insipidi ma tutto sommato mangiabili.
Li odio.
Odio i discorsi noiosi della gente che passa per questa strada, il cui problema più grande è dover aggiungere sale sopra un piatto di pasta.
Oltre questa panchina, il mondo non ci appartiene, è stupido, insensato, banalizzato.
A quelli come noi, gli outsiders, non resta nemmeno il silenzio.
-E come stai tu?- incalzo nuovamente, passandomi una mano nel ciuffo biondo.
-Non lo vedi?-
Ha gli occhi di chi non dorme da giorni e che teme di farlo, lo sguardo di chi ha paura di ciò che la notte ha in serbo per lui.
Sospira.
-Cosa ti succede, Giulio?-
All'inizio indugia, deve essere la stanchezza, è sicuro, ma le sue parole escono inaspettatamente decise, ragionate.
-Non succede nulla, è questo il punto, è sempre la stessa storia-
Spegne il cellulare e mi guarda negli occhi.
-Io sento il vuoto, è l'unica cosa che sento in questi momenti-
Le parole mi muoiono in gola.
Lo conosco da una vita, ma è la prima volta che mi parla dei suoi scheletri nell'armadio, della danza macabra con cui questi si esibiscono sul suo cuore, trascinando nel profondo qualsiasi cosa passi dalle vie impervie dei suoi ventricoli e che dovrebbe invece essere pompato con forza nel resto del corpo.
Ma c'è il vuoto.
Il suo è un cuore che spinge il vuoto nella sostanza.
Abbasso la testa, posando le mani sulle ginocchia.
Sento i battiti duplicarsi, i polmoni riempirsi di calce.
Sono pronto a gettarmi nel vuoto.
-Se ti fa piacere saperlo, anche a me capita di sentirlo, il vuoto, ma quando sono con te mi dimentico della sua esistenza, come se ci fosse davvero qualcosa che mi completi-
Ora sono io a guardarlo.
Sono più leggero.
Sento le farfalle uscire dalla bocca e spazzare via il fumo sopra le nostre teste.
Mi aspettavo di vederlo confuso, ma per lui il discorso sembra perfettamente lineare.
Ora guarda verso la strada.
-A che ora vai via tu?-
-Fra un quarto d'ora arrivano i miei-
Indugia, come un funambolo nel mezzo del suo spettacolo.
Poi trova le parole, sbuffando fumo.
-Ti va di farli venire un po' più tardi? Tipo fra mezz'ora, un'ora...quando vuoi tu-
Gli dico che si può fare, basta che invii loro un messaggio.
I nostri sguardi si incontrano di nuovo.
E lo vedo sorridere.
Edited by Giophena - 27/1/2020, 23:41
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