Il confine del sogno

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    Yuggoth

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    Camminava per le vie della città con passo fiacco e distaccato. Non guardava nulla in particolare. L’istinto, o la noia, come avrebbe detto lui, lo guidava nella notte. La sua mente aveva smesso di pensare: se ne rifiutava, ormai. E continuava ad avanzare oltre i marciapiedi, le strade, i palazzi.

    Tra le mani stringeva una copia di Racconti Neri, di Guy de Moupassant. L’aveva terminato il giorno prima ma aveva colto, in quell'opera, qualcosa di tremendamente familiare. Personale, avrebbe detto lui. Era accaduto specialmente nelle prime pagine, in un racconto che si intitolava “Come suicidarsi”. La trama non riservava sorprese e i fatti si svolgevano esattamente come indicato dal titolo.

    Era al confine di Providence, dove le strade iniziavano ad affacciarsi sulle colline rischiarate dalla luna. Ad un tratto, una scintilla gli fece battere le palpebre. Guardò in basso. La luce fredda di qualche lampione faceva luccicare le punte dei suoi stivali. Portava degli anfibi Louis Vuitton, numero 44, dal costo di centosessantanove dollari e novantanove centesimi.

    Quando li aveva comprati aveva provato piacere e si era sentito… degno, avrebbe detto lui: un uomo che poteva permettersi di spendere una tale cifra in scarpe sarebbe potuto andare in giro a vantarsene con gli amici. Solo che l’uomo non aveva amici. E l’ebrezza era svanita nell'esatto momento in cui era uscito dal negozio di scarpe.

    In realtà, anche se avesse avuto dei compagni non sarebbe cambiato nulla. Odiava le persone: era un misantropo della peggior specie. Aveva illuso tutti quelli che erano stati tanto sfortunati da cercargli un approccio. Ci era uscito con quella gente. Aveva scherzato, giocato, mangiato e persino dormito. Tuttavia, il demone della ragione gli impediva di fidarsi e di rivelarsi in tutta la sua personalità.

    E così era stato. Sino a che non aveva perso tutti. Poiché persino l’essere umano più stupido, prima o poi si rende conto di non essere un oggetto di svago per qualcun altro. Perciò l’uomo passeggiava sull'asfalto che aveva calpestato centinaia, forse migliaia di volte, in solitudine. Stanco di interrogarsi sui misteri della vita, su cosa fosse giusto o sbagliato, e su quale fosse davvero il senso delle cose. Perché un senso non c’è, avrebbe detto lui.

    Era giunto in Clover Street e si accingeva ad osservare Providence dalla prospettiva di un’altura recintata. In quel posto la sua lingua aveva incontrato quella di una ragazza, tanto tempo prima. Si trattava dell’unica che avesse mai veramente amato. “Coco” sussurrò a sé stesso. Di fronte all’amore anche l’odio poteva chinarsi. Ricominciò a pensare.

    Si chiese se in quel momento si trovasse lì, senza nessuno, immerso nell’oscurità, con quella copia di Racconti Neri e il fascino che aveva esercitato su di lui, a causa di quella storia amorosa. Non poteva escluderlo. Ma credette anche che, in un modo o nell’altro, avrebbe comunque compreso quanto fosse ripugnante la razza umana.

    Nonostante ciò, rimpiangeva quel nodo che gli si formava in gola ogni volta che guardava Coco. Quel senso di soffocamento e stretta al cuore che, paradossalmente, lo faceva sentire vivo. Non ricordava altri momenti in cui avesse mai avuto tanta certezza d’esistere. Per quanto illusorio, era stato bello. Alienatico, avrebbe detto lui.

    L’uomo tornò nel suo appartamento in Phillips Avenue. I raggi lunari attraversavano le grandi vetrate della stanza da letto, che si accinse presto a spalancare. Folate di vento gelide ebbero il permesso di entrare. Dopodiché si diresse verso l’armadio e indossò una vestaglia da notte, indeciso tra la Sergio Valentino da duecentosessantadue dollari e la Versace, più cara di cinquanta centesimi.

    Dalle colline verdognole che potevano notarsi nel paesaggio continuavano a sprigionarsi raffiche d’aria, che terminavano nella casa dell’eremita, ora impegnato a sistemare un cinturino di stoffa attorno ai fianchi. Presto, tuttavia, notò qualcosa che si muoveva sull'anta del guardaroba: un’ombra dalla forma circolare che strepitava come una fiamma ardente. Si voltò e ricordò che aveva appeso lui quella corda al lampadario, prima di andare a dormire.

    Il cappio pendeva dal supporto e pareva muoversi di vita propria, impaziente di mietere la vittima. L’uomo restò immobile per qualche attimo ad osservarlo. La vista della stanza, talmente sproporzionata per un solo inquilino, gli bloccò le vie respiratorie: che ci faceva lì, in possesso di tutto e in assenza di tutti?

    Dalle finestre, la città lo spiava costantemente. A volte, tentava persino di chiamarlo, di reintrodurlo nella comunità, e l’uomo poteva sentirla. Ma restava indifferente.

    Quando si svegliò restò per un attimo fermo a guardarsi intorno. “Mamma, guarda la barba di quell’uomo!” annunciò una bambina che passeggiava in Angel street nella mano di una donna. I raggi solari lo picchiavano duramente e infierivano sull’odore insopportabile che fuoriusciva dalla sua borsa. Ad una certa ora si sedette all’angolo della chiesa di San Patrizio e finse di riflettere se fosse meglio il suo cappotto Armani o i suoi jeans Dior. Avvertiva una fitta alla schiena, a causa del marmo su cui aveva dormito. Davanti a lui si ergeva il solito edificio adibito a libreria, nella cui vetrina si poteva scorgere una copia di Racconti Neri, di Guy de Moupassant.

    A mezzogiorno mimò persino il momento dei pasti, sedendosi con uno sgabello improvvisato all’ombra di qualche albero del parco comunale di Providence. I pedoni lo guardavano come si fa con un barbone. Ignoranti, avrebbe detto lui. Il loro giudizio non importava più ormai. Poteva essere chi desiderava.

    Nel pomeriggio si allontanò dalla zona urbana, immergendosi tra le colline verdeggianti che tanto amava. La luminosità della giornata, il calore, i petali dei fiori colorati e l’erbetta che cresceva florida e rigogliosa gli ricordarono una parte del sogno. Quella più intima e realistica, Coco.

    Le loro lingue si erano incontrate davvero nella notte più splendente dei tempi. Lui teneva le mani sulla testa di lei, sino che l’aveva avvicinata delicatamente a sé. Dopodiché, le loro labbra si erano toccate, contraendosi in un impeto furioso di passione grottesca.

    L’uomo stava stringendo il capo della compagna con tutte le sue forze. Aveva i pugni chiusi e stretti nei suoi capelli insanguinati e avvinghiava quella testa immobile, privata del corpo, con fare elegante e impassibile.

    Ci siamo innamorati al chiaro di luna su una collina del New England, io indossavo uno smoking Prada e lei un abito Gucci da cinquecento dollari e cinquanta centesimi, avrebbe detto lui.

    Edited by @AnthonyInBlack - 13/10/2020, 19:49
     
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    Happy Urepi Yoropiku ne~

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    Questa creepypasta mi suscita un marea di sentimenti contrastanti: da un lato sono un po' confuso perché non capivo/capisco dove voleva andare a parare, da l'altro mi piace un casino per come è scritta. Una paranoia e un'ansia che si sviluppano insieme a quelle del protagonista.
    Davvero un ottimo lavoro.
     
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    "Il solo immaginare che ti sto uccidendo mi ha fatto venire un sorriso in volto "

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    In realtà, anche se avesse avuto dei compagni non sarebbe cambiato nulla. Odiava le persone: era un misantropo della peggior specie. Aveva illuso tutti quelli che erano stati tanto sfortunati da cercargli un approccio. Ci era uscito con quella gente. Aveva scherzato, giocato, mangiato e persino dormito. Tuttavia, il demone della ragione gli impediva di fidarsi e di rivelarsi in tutta la sua personalità.

    Non è che abbia torto:ora come ora di chi ti puoi fidare per davvero?

    Il finale è veramente imprevedibile
    e agghiacciante
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3 replies since 15/3/2019, 01:03   383 views
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