Il concetto artistico di un essere armonico

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    101
    Creepy Score
    +18
    Location
    Yuggoth

    Status
    Offline
    “Penso che un’opera possa definirsi artistica quando supera il confine materiale di cui è composta e arriva dritta nell’inconscio, scuotendo l’anima dell’osservatore sino a far vacillare pericolosamente ogni nervo del corpo e tutti i neuroni del suo cervello”.

    Il professore allungò una mano all’altezza della bocca e si accarezzò il mento. Aveva una barba rade e corta che lo faceva sembrare più giovane di quanto non fosse in realtà e si trovava all’università da non più di tre giorni. Ogni ragazza presente nell’aula, come tutte le altre della Winslow University, avrebbe ucciso per tastare con le proprie mani quell’agglomerato di peli facciali e assaggiare il sapore delle sue labbra.

    “Tale metodo di giudizio, tuttavia, non può essere valido per le persone affette dalla sindrome di Stendhal, in quanto esse sono sensibili a qualsiasi forma artistica più dell’ordinario e, di conseguenza, rischiano che un capolavoro in grado di smuovere le membra più intime di un uomo normale possa arrecarle danni non trascurabili”.

    Zoey mi colpì con un buffetto sul braccio. “E poi hai la faccia tosta di criticarci? Sembra che tu abbia visto una delle sette meraviglie del mondo” annunciò sorridendo. Le feci cenno di star zitta e le chiesi di smetterla con tali assurdità. Anche se eravamo iscritti alla facoltà di lettere, talvolta il suo modo di parlare risultava irritante. In ogni caso, quel giorno, il discorso era confluito nell’arte. E Joe, l’insegnante, non pareva affatto dispiaciuto all’idea. Sembrava che si fosse accesa, dentro di lui, la lampadina che è solita ridestare dalla noia una persona che improvvisamente fiuta l’odore di un argomento appetitoso.

    “Anche se l’arte è soggettiva, voglio rivelarvi che talvolta ci troviamo di fronte a componimenti raffinati dal potere di trasmettere a chiunque dei messaggi di natura spirituale. Ma sapete qual è il bello? Che tali opere non vengono definite artistiche da nessuno. Ci si limita ad annusare l’odore di putrefazione di cui sono intrise e ad osservarle come il figlio di Saturno guardava suo padre prima che gli divorasse la testa”.

    Avevo sentito parlare dell’opera di Goya. Il riferimento era chiaro, ma che motivo c’era di fare un paragone talmente macabro? Non ebbi il tempo di ragionarci a fondo, che subito continuò e stavolta fu palese a tutti gli spettatori che aveva una concezione tutta sua dell’arte e che fremeva dalla voglia di esprimerla, incurante del programma scolastico che avrebbe dovuto seguire.

    “Per comprendere simili capolavori bisognerebbe abbandonare la concezione di uomo come figlio di Dio, essere vivente che ha stabilito delle regole e delle leggi per vivere pacificamente accanto al prossimo e creatura intelligente dalla facoltà di catalogare e spiegare i fenomeni della natura”.

    Le ragazze presenti nella stanza, quindici o forse venti, dilatarono le pupille. Quell’uomo aveva un fascino irresistibile e sentire il suo pensiero personale lo rendeva ancora più attraente. Nemmeno Anya Major in quel nuovo spot che pubblicizzava il Personal Computer poteva ritenersi all’altezza.

    “Pensate per un attimo all’essere umano come una bestia, una scimmia che ha preso il sentiero sbagliato dell’evoluzione e che adesso non può limitarsi a sopravvivere poiché è affetta dalla maledizione dell’intelligenza: io credo che sia possibile risvegliare alcuni istinti, quelli che oggi definiremmo tra i più malvagi e primordiali della nostra specie, attraverso l’osservazione approfondita di ciò che sto per mostrarvi e che io qualifico come arte, nel senso più puro del termine”.

    Joe Carroll mosse le labbra, lucide e sporgenti come lo strepitio convulso delle fiamme dell’inferno, ed emise un ghigno. Non l’avevo mai visto sorridere. In quel momento l’aula parve rabbuiarsi, non sentivo e non vedevo più niente se non le scintille di luce che emettevano i suoi incisivi. Wow, pensai. Quest’uomo deve essere passato dalla Central Saint Marins per sembrare così affascinante.

    “Però credo sia meglio riguardarvi: tutti coloro che trovano interessanti certe sensazioni di paura, terrore e sgomento probabilmente riusciranno ad addentrarsi in tali capolavori come Fussli nel suo Incubo; ma gli altri farebbero meglio a tenersi alla larga. Gli stuzzicati alzino una mano, prometto che non rimarranno delusi”.

    Ovviamente neppure uno dei circa cinquanta ragazzi seduti nei banchi a scrutare quell’angelo caduto esitò a rivolgere un braccio al cielo in segno di conferma. Tuttavia, ciò che seguì fu davvero singolare. Il professore cominciò a camminare per la stanza e non si fermò finché non la esplorò da cima a fondo, osservando gli studenti uno a uno, guardandoli negli occhi, come se cercasse qualcosa o tentasse di comunicare un messaggio. Tutti rimanevano ammaliati al suo passaggio e, francamente, io non fui da meno: quando fu il mio turno sembrò che un fulmine avesse illuminato la scena e brillava tutto così intensamente che mi fu impossibile non perdere la concentrazione.
    Al termine della bizzarria Joe era sparito e nell’aula regnava un vociare confuso. Zoey si girò verso di me e chiese cosa fosse successo, ma non fui in grado di risponderle e decisi che sarei tornato al dormitorio.

    Mi alzai e mentre richiudevo la borsa lanciai uno sguardo alla vetrina alla mia destra: al lato di un calendario con un segnalino posto sul ventidue Maggio c’era il riflesso di un ragazzo alto un metro e ottanta o giù di lì, indossava l’uniforme della Winslow e non aveva niente da invidiare a nessun’altro degli studenti presenti in aula. Tuttavia, pareva che non avesse più un volto: il suo viso ricordava un uovo bianco smaltato, corroso di putrescenza all’altezza degli occhi e in altri punti dove spuntavano i lineamenti più visibili. Il cartellino della giacca recitava Tom Wiseau: ero pallido in modo innaturale e per un attimo credetti di essere morto. Quell’evento doveva avermi sconvolto. Uscii dalla stanza a passo svelto e senza salutare.

    Dopo qualche passo nel cortile avvertii una fitta di dolore al fondo degli occhi, forse a causa dell’esposizione improvvisa alla luce del sole. Pizzicai le palpebre con pollice e indice della mano destra e strabuzzai le pupille per mettere a fuoco il prato appena fuori dalla struttura. Tutti gli insetti dello spazio naturale donato all’università degli Allen Centenial Gardens, un parco pubblico poco distante, erano ignari delle assurdità avvenute all’interno della sezione di Letteratura inglese poco prima e volevano solo godersi il caldo della primavera nei fiori scarlatti che contornavano la statua di Lincoln. Tornando in me, nacque l’esigenza di sapere che ore fossero; Joe Carroll era entrato in aula dopo la lezione di latino, quindi tra le nove e le dieci di quella mattina. Quando ricordai di avere un orologio al polso risi come un depravato e, per un istante, mi fu impossibile riconoscere persino il luogo in cui mi trovavo: le lancette segnavano le tredici.

    Sulla via per tornare al dormitorio notai Seth Roger, frequentava l’università ed era al mio stesso anno nel 1982; poi aveva cominciato a fare uso di sostanze stupefacenti ed era stato assalito dall’illusione del piacere. Ora si trovava al bordo della parete di un edificio in costruzione e portava un cappello di lana da cui spuntava qualche ciuffo di capelli ridotti ad uno giallo ocra marcio e putrescente. Una volta era famoso per la sua forza, mentre adesso non aveva più neppure il volto di un giovane.

    Nel pomeriggio invitai Zoey nella mia stanza, avevo bisogno di sapere cosa stava accadendo e quale fosse il suo punto di vista a riguardo. Preferii non cominciare a parlare direttamente dell’accaduto e attaccai il nuovo singolo di Van Halen al mio quarantacinque giri. “Caspita, che esplosione! La Bomba Zar dei sovietici è nulla a confonto!” esclamò e ridemmo entrambi. Continuammo a seguire il ritmo e quando alzai il volume cominciammo a muoverci come idioti. Zoey era goffa, ma aveva un bel viso. Pensai che se solo non avesse dedicato tutto il suo tempo allo studio sarebbe stata più che carina, ne ero certo.

    Quando il disco smise di girare le chiesi cosa pensava di ciò che era successo durante la mattinata. “So che non puoi capirmi Tom, ma… credo di essere innamorata di Joe e oggi, quando ha fatto quel discorso, ero come assuefatta dalle sue parole”. Le risposi che non potevo biasimarla e che tutti, in quell’aula, avevano provato una sensazione simile. “Non hai notato il modo in cui lo guardavano?” Le dissi. “Persino io non riuscivo a resistergli. Quell’uomo ha qualcosa di speciale, o non saprei come altro definirlo” Zoey arricciò le sopracciglia. Una folata di vento spostò il tendino davanti all’unica finestra della stanza: il sole non era ancora scomparso dal cielo, ma il freddo della notte cominciava ad avanzare nel dormitorio.

    “Domattina potresti fargli qualche domanda, sarà di nuovo da noi intorno alle dieci. In fondo, se sai quant’è bello ciò che aspetti, è bella anche la sua attesa”. La squadrai, portai un dito al lato sinistro del capo e cominciai a rotearlo: ormai era fuori di testa. Zoey parve divertita dal gesto e, in fondo, non era così tanto lontano dalla realtà dei fatti.

    Trascorsi il resto della serata a studiare latino. I miei occhi protestavano per il loro diritto di riposo, ma dovevo ancora memorizzare qualche paragrafo tratto da un poema di Charles Baudelaire e tradurlo nella suddetta lingua: il professore della materia non avrebbe tollerato errori o dimenticanze. Forse ogni insegnante aveva qualche rotella mancante, come quella che si era bloccata nella testa di Zoey dopo aver conosciuto Joe, e tutti i complessi che mi tormentavano attorno a quest’ultimo non erano che fantasticherie di uno studente troppo curioso. Già immaginavo gli sguardi straniti che mi avrebbero rivolto i ragazzi presenti in aula l’indomani, dopo aver chiesto a Carroll cosa fosse successo il giorno prima. Probabilmente avrei fatto meglio a star zitto.

    Tuttavia, fu mentre ero immerso in tali pensieri che le cose iniziarono a farsi decisamente strane. La tenda sventolava senza tregua nella mia stanza e decisi di alzarmi per fermare il flusso d’aria. Quando tastai la maniglia degli infissi mi chiesi come avessi fatto a resistere in quelle condizioni sino a quel momento: il manico di ottone era gelido, una spina di ghiaccio che in men che non si dica penetrò nel braccio dal metacarpo della mia mano, e raggelai.

    Prima di bloccare gli infissi mi affacciai oltre la soglia, il dormitorio si trovava qualche centinaio di metri a ovest dell’edificio universitario e la mia camera era collocata al quarto piano, perciò godevo di una panoramica niente male: la luna era alta nel cielo e, anche se emetteva poca luce, si riusciva a distinguere il giardino vermiglio davanti alla struttura, al cui centro troneggiava Abramo Lincoln e, più avanti, il campo di football in cui si allenava la squadra della scuola. L’università aveva un forma rettangolare e al centro di uno dei due lati lunghi sporgeva la struttura d’entrata, costituita da un portico ad archi in pietra sormontato da una costruzione che dava l’idea di un tempio greco antico: una serie di colonne dai capitelli all’echino a forma di spirale reggevano un tetto spiovente, lucente e fresco come fosse stato dipinto quella mattina stessa, mentre perdevo coscienza nell’aula di letteratura inglese.

    D’un tratto, mentre tiravo verso di me l’anta della finestra un sussurro si fece strada nelle mie orecchie e balzai per lo spavento: “Tom” diceva. A volte può capitare di udire una voce inesistente che richiama il proprio nome ma, mio malgrado, non era questo il caso. Chiusi gli occhi e sperai d’essermi sbagliato. “Ho fatto una promessa e intendo mantenerla, Tom” continuò il sussurro spettrale.

    Trovai il coraggio di voltarmi, ma non fu abbastanza per impedire al mio cuore di salire a farsi un giro fino in gola e tornare giù: sulla sedia della scrivania si trovava un uomo elegante, dallo sguardo vivace e una barbetta grigio cenere che gli dava un’aria gioviale. Il mio sistema nervoso si incespicò più volte prima che riuscissi ad aprire bocca: “Che ci fa lei qui?”, domandai. Joe sorrise, i suoi denti erano più bianchi di come avevo immaginato: “Seguimi” annunciò, e si diresse verso la porta d’uscita. Ero incredulo, ma nonostante ciò la mia curiosità era aumentata. Indossai un cappotto e lo raggiunsi.

    Joe pareva indisposto a qualsiasi a domanda. Camminavamo in Observatory road, quando decise di svoltare a destra per entrare negli Allen Centennial Gardens. Di solito i coniugi Dean chiudevano i cancelli del parco prima che calasse il sole, perché ovviamente non amavano l’idea che qualcuno potesse entrare nella loro proprietà. Tuttavia, il cancello che oltrepassammo era aperto e una catena malridotta penzolava da una delle sbarre più vicine alla serratura.

    Superammo il primo prato ad est della casa, Joe procedeva a passo svelto e non era affatto preoccupato di calpestare le aiuole piene di fiori; nell’oscurità della notte mi sembrò quasi che passasse oltre i recinti attraversandoli come un fantasma.

    Quando arrivammo al centro del parco l’uomo si fermò. Finalmente potei avvicinarmi e osservarlo meglio: senza dubbio era ancora Joe Carroll, ma la sua cute aveva una lucentezza peculiare. Brillava quasi quanto l’Orsa Maggiore vista dalla Terra e fu solo nel momento in cui tale pensiero balzò alla mia mente che rivolsi lo sguardo in alto, per la prima volta da quando avevo attraversato la soglia d’uscita del dormitorio. Notai che il cielo era malato, infetto da un morbo che nessun abitante del pianeta poteva curare: una nube corvina assaliva lentamente i corpi celesti da nord e li inghiottiva nella sua morsa incolore, facendoli sparire. Pareva che il professore assorbisse lo scintillio delle stelle, poiché nonostante esse continuassero a sparire lui era come un faro sempre più potente nel bel mezzo dell’oceano, su un’isola sperduta piena di piante esotiche.

    Mancava ancora poco e la luna sarebbe sparita. Il demone dell’isterismo si dimenava nel mio corpo e cercava una via di fuga da quell’orrore che presto avrebbe reso indistinguibile ogni singolo frammento dei giardini circostanti. Man mano che l’alone di morte si spandeva sul prato, un odore acre e pungente si levava dal terriccio sottostante, eliminando il profumo dei fiori per cui erano tanto famosi gli Allen Centennial Gardens. Le Blue Sage perdevano il loro colorito vivace e appassivano come giovani ragazzi alle prese con droghe pesanti. Tra loro c’era Seth Roger, che chiedeva qualche dollaro in più dalla paghetta settimanale ai suoi genitori. Il giorno dopo aveva già terminato i risparmi e si trovava disteso nel punto più ombroso di un grande parcheggio, mentre una corrente estranea confluiva nel lago scarlatto del suo sangue: la morfina stava entrando in circolo e non avrebbe mai più smesso di inquinare le acque vitali di Mike, almeno finché non si fossero prosciugate. Rabbrividii.

    Anche le Calamint e le Tatarian stavano seccando, insieme a tutti gli esseri vegetali contenuti nelle aiuole. Dalla casa dei Dean si levò un urlo. L’aria si faceva sempre più rarefatta e gelida e della luna non era rimasto che un granello di sale. Cercai lo sguardo di Joe e non fu difficile trovarlo, contrariamente al mio coraggio per riuscire a sputare fuori qualche parola: “E ora?” domandai. “Ora possiamo cominciare” disse Joe. “Vedi, per certe cose è necessario il buio. Le piante, gli animali e persino noi umani non potremmo vivere senza la luce. Ma esiste qualcos’altro che non può fare a meno dell’oscurità”.

    Ero succube di ciò che diceva, dal momento che tutto il resto era sparito. E inoltre era stato chiaro fin dal primo momento di quell’assurdità che Carroll fosse una specie di guida, ed era l’unico bagliore nel buio perché probabilmente dovevo seguirlo, altrimenti come avrebbe fatto a mantenere la promessa?

    In ogni caso, non c’era più tempo per speculare, poiché il faro umano si stava dirigendo verso la casa dei Dean. “La purezza fa un lavoro davvero estenuante: assorbe ogni rumore della realtà, e lo restituisce in vibrazioni luminose. Il mondo è pieno di questi esseri armonici che quasi nessuno vede” disse l’uomo aprendo la porta dell’abitazione. “Puoi considerarlo un dono che la natura concede alle creature più splendide della Terra, Tom. Tuttavia, siamo liberi di utilizzare tale potere spirituale a nostro piacimento, e io lo farò per mostrarti alcune cose che cambieranno per sempre il tuo modo di vedere il mondo” Joe continuava ad avanzare nell’abitazione e talvolta aggiungeva delle spiegazioni al suo discorso, tra le quali il fatto che mi avesse condotto negli Allen Centennial Gardens e nella casa al loro interno solo perché per sfruttare la sua capacità aveva bisogno di una grande quantità di elementi naturali.

    Il resto di ciò che accadde fu un mistero. Ci trovavamo in quello che poteva essere un soggiorno e il professore mi chiese di sedermi sul sofà e abbassare le palpebre. L’abitazione era umida e la pelle del divano gelida quanto il pomello della finestra della mia stanza. Iniziai a chiedermi se l’avrei più rivista, poiché dei tentacoli invisibili accalappiarono le mie gambe all’altezza dei polpacci e cominciai ad urlare in preda ad una crisi isterica, che divenne panico allo stato puro quando scoprii che non riuscivo più ad aprire i miei occhi.

    Cercai di scappare, ma ogni volta che ci provavo i miei arti si bloccavano, come comandati da qualcun altro all’infuori di me e fremevo gemendo, posseduto dalle convulsioni. Nella mia mente si succedevano immagini confuse e astratte, linee e punti dalle più innumerevoli forme che avevano come unico segno riconoscibile un colore. “Il colore della purezza, il mio colore” disse una voce dall’abisso più recondito della mia anima. “Hai una vaga idea di quante persone siano morte, per riuscire a trasformare il negativo in positivo, il male in bene, lo sporco in pulito, il piombo in oro?” Era Joe, senza dubbio. E stava associando il colore della sua luminescenza a quello della purezza, alludendo alla filosofia alchimista. Non mi fu difficile comprendere che, in qualche modo, adesso si trovava dentro di me e poteva modificare il mio stato mentale, facendomi avere visioni d’ogni tipo.

    Difatti persi la cognizione del luogo in cui mi trovavo e immagini caotiche e orrende si succedevano davanti ai miei occhi spenti. Descrivere a parole ciò che provai in quei momenti sfugge persino alle mie capacità, quelle di uno studente di letteratura, e non posso che limitarmi a pensare che quel giorno, se mai esistessero un tempo e uno spazio definito in ciò che provai, ebbi la maledizione di conoscere cosa fosse davvero l’orrore, nella sua forma più scabra: monumenti innalzati al male, sciamani intenti a disegnare cosa avevano visto durante il viaggio nell’oltretomba, muse ibride che si contorcevano all’ombra del sole, canzoni e balli tribali in onore di Belzebù, ragazze petulanti che rivolgevano preghiere agli elementi naturali, cercando di invocare creature immonde. Mentre spiriti divoratori di carne si affaticavano per farsi notare una voce sconosciuta iniziò a recitare una sorta di poesia che avvalorava la mia tesi secondo cui mi trovassi in un luogo non fisico, in cui tutto era possibile, a seconda della volontà di quelli che Joe chiamava “esseri armonici”.

    Quando il caos si placò comparve un uomo triste e misterioso, in procinto di dipingere con tutta la forza che gli restava e affannato dalla determinatezza con cui tentava di riportare su tela le sue emozioni inconsce, i suoi istinti più repressi e le sue voglie prive di pudore, e cominciò la litania:

    “Rembrandt. Triste ospedale pieno di mormorii,
    ed ornato solo di un grande crocifisso,
    dove fra singulti e orrori si eleva una preghiera
    nel raggio invernale che brusco l'attraversa”

    Il pittore si trovava nell’unico punto illuminato di quel vuoto informe e contorto, un buco nero senza via di fuga governato da leggi soprannaturali o psichiche, sconosciute per la razza umana sprovvista del dono della purezza. La fonte di luce, pallida come quella lunare, era in grado di riflettere anche le sensazioni dell’artista ed io ne ero assuefatto. Era come se fossi ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo, impotente di agire e costretto a guardare e vivere quelle scene per volere del professore di letteratura. Talvolta l’uomo intento a dipingere lasciava posto ad un altro individuo, che si succedeva a sua volta con un altro.

    “Delacroix, lago di sangue frequentato da angeli malvagi,
    all'ombra di un bosco di abeti sempreverdi,
    in cui, sotto un cielo triste, delle bande strane
    passano, come un sospiro soffocato di Weber;

    Goya, incubo pieno di mistero,
    di feti che si fanno cuocere nel mezzo dei sabba,
    di vecchi allo specchio e di bambini nudi,
    per tentare i demoni sistemandosi le calze”

    E quando credetti che l’orrore stesse per finire arrivarono persino Leonardo da Vinci e Michelangelo.

    “Leonardo da Vinci, specchio profondo e cupo,
    in cui degli angeli incantevoli, dal dolce sorriso
    carico di mistero, appaiono all'ombra
    di pini e ghiacciai che cingono il loro paese!

    Michelangelo, luogo indefinibile in cui si vedono degli Ercoli
    mischiarsi a dei Cristi, e dei fantasmi
    dritti e possenti che nell'ora del crepuscolo
    trascinano il loro sudario con le dita tese;

    Infine, dalle tenebre sbucò un uomo di mezza età, elegante e con un principio di calvizie sul capo. Non faticai a riconoscerlo: era Baudelaire, che alzò le mani verso l’alto e continuò il discorso:

    “Queste maledizioni, queste bestemmie, questi lamenti
    queste estasi, queste grida, queste lacrime, questi Te Deum!
    Sono un'eco ripetuta da mille labirinti;
    sono un oppio divino per i cuori mortali!

    Perché è veramente, Signore, la migliore testimonianza
    che noi possiamo dare della nostra dignità
    che questo ardente singhiozzo che passa di era in era
    e viene a morire sull'orlo della vostra eternità!”

    Il poeta stava inneggiando al divino la capacità artistica degli uomini, ma lo faceva attraverso opere macabre, capaci di entrare nell’animo umano in un solo sguardo e di scuoterlo sino a capovolgerlo, stravolgendo la concezione di bellezza. Ricordai le parole che aveva pronunciato Carroll durante la mattinata e fui finalmente in grado di comprenderle: dovevano essere quelle le opere di cui parlava.
    Il luogo si svuotò e avvertii un senso di rilassamento: la commedia era finita e la promessa era stata mantenuta, era ora di tornare alla normalità, pensai. Tuttavia, mi sbagliavo: “Pensi che sia tutto qui?” annunciò la voce di Joe. “Oh no, questi sono capolavori con una certa energia, ma non sono nulla a confronto di ciò che definisco Arte” continuò. E fu così che cominciò il vero giro nella casa stregata.

    La volontà perversa di Carroll mi mostrò un’abitazione in legno, gelida e dalla piantina contorta. Man mano che ci si avvicinava diventava più tenebrosa e dall’interno pareva provenire un urlo simile al verso blasfemo della strige. Ovviamente non potevo fermarmi ed entrai. A primo impatto non c’era nulla di strano, ma bastò soffermarmi alla teiera poggiata sulla cucina per notare che era composta di un rivestimento peculiare: liscio al tatto, marroncino e rattrappito. Nonostante non avessi il pieno controllo delle mie azioni riuscii a levare un urlo che per poco non risvegliò le anime dannate presenti nella casa. Osservando meglio notai che attorno a me ogni oggetto era rivestito in pelle umana, se non addirittura costruito con ossa e frammenti di corpo. E quando visitai la cantina il terrore raggiunse il parossismo: donne squartate, busti, braccia e gambe putrescenti, illuminate da candele fioche e giallastre.

    Cercando di liberarmi dall’olezzo che si respirava lì dentro lanciai un altro urlo, acuto quanto quello di una strige, e mi accorsi che il grido sentito in precedenza doveva essere proprio quello: il mio. Potevo confermare che il tempo fosse un’illusione. E sperai che lo fosse anche tutto il resto, ma Joe parlò ancora: ”Ed Gein, il macellaio di Plainfield. Mai sentito nominare, Tom? Era un tuttofare con un hobby molto particolare. Questa è la sua casa. Oh sì, senti!” Le pareti e il soffitto dell’abitazione si riempirono di capillari umani che pulsavano, si poteva avvertire un mix di sensazioni letali che avrebbero portato alla pazzia qualsiasi essere umano e condotto all’estasi ogni creatura armonica. Io ero come un ibrido in quel momento e fortunatamente non persi il senno.

    “Le persone pensano che Ed sia un mostro, mentre non è altro che un artista. E questa casa è un’opera d’arte!” disse Joe. Mi fu chiaro cosa volesse intendere e non feci in tempo ad esitare che venni scaraventato in un turbine di sangue e oscenità, in cui passato, presente e futuro si confondevano. Tra i soggetti c’era Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwakee, che si dilettava a cuocere carne umana, mentre disegnava la struttura del tempio che avrebbe voluto creare con i teschi delle sue vittime; Anatoly Moscovin, intento a dissotterrare l’ennesimo cadavere da un cimitero per portarlo nella sua casa e trasformarlo in una bambola dalle parvenze umane; John Wayne Gacy, che si divertiva a disegnare il suo alter ego Pogo, l’uccisore di una miriade di adolescenti e persino la mente alterata di Charles Manson che, pur non avendo ucciso nessuno, bramava più energia negativa di molti altri e imbrattava delle tele astratte che sarebbero diventate dei must per la murderabilia.

    All’improvviso sembrò che tutti quegli assassini mi assalissero, sfuggendo al controllo di Carroll, per colpirmi fino a uccidermi, farmi a pezzi, impagliarmi, scuoiarmi o mangiarmi.

    Quando mi ridestai, pronto a combattere contro quella sottospecie di faro umano nel salotto dei Dean, non mi trovavo negli Allen Centennial Gardens, bensì nella stanza del mio dormitorio. Feci un respiro profondo e mi alzai dalla scrivania. La finestrella indicava che era notte. Richiusi il libro di latino e chiamai Zoey al telefono. Le dita delle mie mani si muovevano assecondate da un tic nervoso. “Tom?” rispose con accento femminile. La mia mascella era atrofizzata e non riuscii a proferire alcuna parola. “Che ti prende? Non dirmi che sei diventato muto come Nosferatu nel suo primo film”.

    Il suo caratteristico modo di parlare fece riaffiorare un senso di familiarità e speranza, una campanula nel bel mezzo degli Allen Centenniall Gardens. Tuttavia, ogni spora del polline benevolo tornò nell’abisso del terrore quando pronunciò la frase seguente: “Joe ha detto che può spiegarci tutto, sta tranquillo. Noi siamo già nell’aula di lettere, ti stiamo aspettando”. Stanco dei dubbi e della confusione che avevo in mente, non esitai ad incamminarmi verso l’università, evitando il bagliore lunare che, a causa dell’incubo, non potevo che associare alla radiazione luminosa del demonio.

    Il paesaggio era tranquillo e non c’erano nebbie ostili. Lincoln troneggiava impassibile nella sua ghirlanda di rose, che talvolta venivano spostate da un venticello primaverile.

    Nel momento in cui entrai nella sala di letteratura, buia e impermeata di un odore simile a quello dell’ammoniaca, distinsi le sagome dei miei compagni di corso, seduti nei loro banchi, immobili e in silenzio assoluto. Guardandomi meglio attorno notai che mantenevano una posizione perfettamente eretta della schiena, persino quella che pareva essere Zoey, al fondo dell’aula: un dettaglio che mi fece strabuzzare il naso, poiché non era solita curarsi dell’aspetto o dell’atteggiamento fisico corretto.

    Mi avvicinai di soppiatto e le tirai un buffetto sulla schiena, come aveva fatto lei la mattina prima; però non rispose e le poggiai una mano all’altezza della clavicola, chiamandola. La sua pelle era liscia, ma odorava di qualcosa che non riuscii a definire e d’un tratto si accese il lampadario, che diede atto ad una rivelazione sconvolgente: la sua cute era nera, intrisa di un liquame simile al petrolio.

    La gente pensa che in simili momenti si urla, ma non è così. Si resta immobili, sconcertati e affogati in un oceano di smarrimento. Ogni alunno si trovava in quello stato, erano diventati delle statue di cemento in procinto di asciugare e restare per sempre dei vegetali, come le Calamint e le Tatarian che venivano prosciugate della loro forza vitale con l’avanzare della nebbia oscura. Lanciai un’ultima occhiata a quella che era stata la compagna di università e iniziai a singhiozzare per la disperazione. Dietro le mie spalle si alzò la voce inconfondibile di Carroll: “Sigillante Poliuretanico” annunciò. “Una botta sulla testa e nel giro di qualche minuto anche tu avrai l’onore di entrare nella mia opera d’arte”. Un pugno mi colpì sulla fronte e mi ritrovai svenuto sul pavimento della classe.

    La voce di Zoey risuonava nella mia testa. Non potevo sopportare l’idea che fosse morta in quel modo e continuavo a sentirla mentre chiamava il mio nome ed emetteva dei sussurri per attirare la mia attenzione. “Tom, se non ti svegli sarò costretta ad attaccare il nuovo singolo dei Van Halen. Dovresti ascoltarlo, è una bomba” Quando spalancai gli occhi mi ritrovai nello stesso posto, ma i miei compagni potevano muoversi e non erano imbrattati di nessun tipo di sostanza tossica. La stanza era ben illuminata e fuori sembrava essere giorno, il calendario sulla vetrina alla destra del mio banco aveva un segnalino sul ventidue maggio. Mi voltai e corsi da Zoey per abbracciarla, incurante di tutto il resto. Lei si alzò dalla sedia e dopo una smorfia stranita acconsentì.

    Mentre la stringevo notai Seth Roger che passava nel giardino di Lincoln, con un Blue Sage sull’orecchio. “Allora Tom” disse il professore dal fondo della cattedra. “Hai capito qual è il mio concetto artistico?”.

    Edited by @AnthonyInBlack - 30/11/2018, 16:53
     
    .
  2.     +2    
     
    .
    Avatar

    You cannot hide

    Group
    Admin Veterani
    Posts
    1,692
    Creepy Score
    +205
    Location
    Arda

    Status
    Offline
    Mi è piaiuta, interessante e ben scritta, mi fa pensare a Chambers.
    HS anche per me.
     
    .
  3.      
     
    .
    Avatar

    Happy Urepi Yoropiku ne~

    Group
    Veterano
    Posts
    4,981
    Creepy Score
    +718

    Status
    Anonymous
    Smisto
     
    .
  4. Andrea_Mariani
        +1    
     
    .

    User deleted


    Ciao Anthony, come promesso eccomi a leggere alcuni dei tuoi racconti. Scusa se ci ho messo un po' ma sto lavorando ad un nuovo romanzo e, in genere, cerco di non leggere mai nulla quando sono alla prima stesura, perché tendo ad assorbire come una spugna lo stile di scrittura di altri hehehehe
    Per prima cosa grazie di avermi portato qui. Non conoscevo questo forum e devo dire che mi sono iscritto perché mi sta piacendo davvero molto (PS: complimenti a tutti...).
    In secondo luogo... eccoti la mia prima recensione:
    Il racconto mi è piaciuto molto. Da autore professionista, probabilmente, noto delle piccole imperfezioni nella forma di narrazione (deformazione professionale ehhehe), ma assolutamente nulla che non possa essere sistemato da un editing accurato. Le storie (per ora ho letto questa e Il mostro di Glasgow), sono molto valide!!!! Dovresti pensare di creare una raccolta e provare in qualche casa editrice :)
    Vado a leggere anche le altre...
     
    .
3 replies since 21/10/2018, 23:08   231 views
  Share  
.