L'esplorazione - 4

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    C’era il capo di quelle creature a guidare il corteo che si dirigeva verso l’astronave. A seguire, Trent e Maria, tallonati da due guardie armate. L’alba era sorta solo mezz’ora prima, ma adesso il sole era già alto nel cielo e gettava luce accecante sulla successione di dune sabbiose.
    «Da questa parte» disse Trent affiancando il capo. «Ancora qualche minuto e dovremmo essere arrivati».
    La creatura scosse lentamente il capo. La luce del sole si infrangeva sulla sua pelle livida. In certi momenti, Trent poteva scorgere l’intreccio di vene verdognole dietro quel sottile strato opalescente.
    «Siete gli unici umani rimasti?» chiese dopo qualche secondo. La domanda era spuntata nel corso della notte e gli aveva impedito di chiudere occhio.
    «Non siamo più umani. Voi due lo siete. Noi siamo cambiati». Di nuovo quel tono arrochito e ruggente che trasudava rancore. «No, comunque. Ci sono altre tribù. La nostra è la più potente. Quando voi avete abbandonato la Terra, la popolazione si è divisa in gruppetti. In base all’etnia, in genere.
    «Noi siamo i discendenti delle popolazioni occidentali. I nostri antenati avevano qualche conoscenza scientifica. Sicuramente più degli altri popolazioni. Così, mentre noi siamo riusciti ad arrangiarci per sopravvivere, gli altri gruppi spesso si scontravano tra di loro, non erano d’accordo per come organizzarsi. Non avevano una lingua comune. Noi avevamo l’inglese. Lo parliamo ancora, anche se è cambiato nel corso dei secoli.
    «E adesso queste conoscenze sono arrivate fino a noi. Almeno in parte. E per questo siamo in grado di sopravvivere e di sconfiggere le altre tribù. Siamo superiori sia per le armi che per popolazione. Quella che hai visto questa notte è solo una piccola parte della nostra tribù. Viviamo in paesini più grandi e sviluppati; abbiamo messo su quell’avamposto solo ieri, nel tentativo di cogliervi di sorpresa».
    Trent annuì. Altre popolazioni erano sopravvissute alle radiazioni. Chissà quali forme avevano assunto nel corso degli anni, in che maniera si erano adattati al nuovo ambiente.
    Nel frattempo erano giunti all’astronave. Come il giorno prima, Trent fu costretto a strizzare gli occhi di fronte al metallo che riluceva sotto il sole.
    «Ci sono altre armi dentro?» chiese la creatura.
    «No. Le nostre uniche armi le avete voi». Trent imboccò la rampa d’ingresso all’astronave.
    «Va bene. Abbiamo le vostre pistole. Se solo provate a fare una mossa azzardata, finirete come il vostro compagno di viaggio».
    Trent ripensò a Cody e al modo in cui era morto. Senza un lamento, nemmeno un urlo. Probabilmente quando si era accorto di ciò che stava accadendo era già polvere. L’idea gli diede un brivido gelido che gli fece tremare le ginocchia.
    «Ci siamo. Sapete cosa fare». La creatura si stava guardando intorno, disorientata. La radio, il televisore infilato in una rientranza sopra i letti, il sistema di leve e pistoni che comandavano i movimenti dell’astronave. Tutto era bianco e lucido. Il volto dell’essere rimase rigido e freddo, ma, dietro quella maschera imperturbabile, Trent credette di scorgere un velo di stupore.
    Trent mandò il segnale radio su Kepler e attese che qualcuno parlasse dall’altro lato della comunicazione. Dopo una decina di secondi e qualche scarica audio, una voce parlò: «Qui è Kepler. Ci sentite?»
    «Vi sentiamo» disse Trent, annuendo verso la creatura. Questa puntava la pistola magnetica contro di lui. Una delle guardie ne puntava un’altra verso Maria.
    «Come procede la spedizione? Avete riscontrato nuovi valori?»
    «Sì. Siamo andati oltre quel raggio a cui eravamo rimasti ieri. I valori non sono positivi. Il livello di radioattività dell’aria è elevato. Cody è morto questa notte. Ieri sera è tornato all’astronave indebolito dalle radiazioni, e non ce l’ha fatta. Una crisi respiratoria, credo». Le mani gli tremavano e fu costretto a stringere il bracciolo della sedia di comando tra le mani. Aveva l’impressione che la voce potesse sfuggire al controllo della mente e raccontare tutta la verità, distruggendo le loro speranze di salvezza.
    Dall’altre parte ci fu silenzio. Trent ne approfittò per continuare. «Anche Maria non si sente tanto bene. Adesso sta riposando. Io… spero sia solo la stanchezza, perché non riuscivo a dormire con Cody in quelle condizioni. Ma faccio fatica a respirare».
    Ancora nessuna risposta. Trent scambiò uno sguardo con Maria, i soliti occhi tremuli, come frange di capelli su cui soffia un vento gelido. Per un attimo lo travolse ancora quel timore di perdere il controllo su di sé e confessare tutto a chi li ascoltava da Kepler.
    «Noi…» Si fermò per schiarirsi la gola e succhiò quanta più aria possibile. Il cuore, più che battere regolarmente, sembrava preda di un interminabile terremoto. «Noi ripartiremo appena possibile. Il tempo di riordinare tutto e di mettere a posto i comandi. Poi decolleremo e ci metteremo di nuovo in contatto su Kepler». Attaccò la comunicazione. Il tremito alle mani si attenuò subito.
    Uscirono dall’astronave con il solito ordine. Appena furono fuori, Trent si accasciò per riprendere fiato.
    «Bene. Mi fa piacere. Terremo fede alla promessa» disse il capo delle creature. Le altre guardie stavano tornando sull’astronave.
    Trent si lasciò scappare un sorriso nervoso. «Bene. Adesso…»
    Si udì un gran rimbombo dall’interno dell’astronave, come di ferraglie che vanno in frantumi.
    La frase gli rimase strozzata in gola. Solo un filo flebile fuoriuscì dalle labbra, debole e inconsapevole: «…noi torneremo su Kepler».
    «Tornare?» Gli occhi della creatura lo scrutarono. Trent vi scorse un’ironia gelida, prima sepolta, che adesso riemergeva a fiumi. Non ebbe la forza di provare rabbia: solo una frustrazione sgomenta e stanca. «Chi ha parlato di ritornare? Io vi avevo solo promesso che sareste rimasti vivi».
    Dietro di loro, i rumori assordanti dell’astronave che andava in frantumi.

    Edited by Annatar - 13/8/2018, 20:59
     
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