L'esplorazione - 2

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    L’afa era soffocante. L’aria filtrata dalla maschera era pesante e umida. Il sole si stava abbassando sempre di più e una cappa d’oscurità si era posata sul bosco. Silenzio tutt’attorno: solo lo scrocchio delle foglie sotto i suoi piedi.
    Trent respirava a fatica. Si era inoltrato per qualche chilometro nel bosco, ma dopo poco più di un’ora aveva cominciato a provare un vago disagio e si era voltato. Adesso stava tentando di ripercorrere i suoi passi. Era stato facile in un primo momento – l’impronta lasciata dai suoi scarponi sulla terra era profonda. Ora però il suolo stava riprendendo i suoi contorni originari, come un elastico che torna alla posizione di partenza nel giro di qualche secondo. Nell’oscurità, i suoi occhi distinguevano a malapena ciò che rimaneva di quei solchi. Si stava affidando più che altro al suo istinto. Non sapeva se avrebbe funzionato.
    La ricetrasmittente agganciata alla sua cintura cinguettò. Trent aprì la comunicazione.
    «Trent, Maria. Sono Cody. Sto tornando all’astronave. Camminare qui è davvero faticoso… e spero di trovare la strada. Rimaniamo in comunicazione».
    «Anche io sto tornando» rispose Trent. «Dovrebbe mancare ancora qualche minuto. Dovrei essere sul sentiero giusto». Lo spero, almeno.
    Entrambi tacquero. Ci fu un ronzio proveniente dal terzo canale, quello di Maria. Trent udì qualche verso, forse un gemito soffocato, forse solo il fruscio del vento. Nessuna parola.
    «Forse Maria è lontana da noi. È per quello che non la sentiamo» disse Cody.
    «Già. Comunque ha sganciato la ricetrasmittente. A lei la nostra voce arriva».
    «Giusto. Bene, Trent, ci vediamo tra poco. Se arrivi per primo alla navicella, dimmelo. Farò lo stesso io».
    Trent chiuse la comunicazione. La fatica cominciava a farsi sentire. Era come se un mantello di ferro gli pesasse sulle spalle. I muscoli delle gambe erano vuoti e fragili come cannucce; più che camminare, Trent si stava trascinando lungo la via.
    Gocce di sudore gli rigavano il collo. La tuta le assorbiva e gli si appiccicava alla schiena zuppa. Nelle tenebre che si stringevano sempre più, il silenzio era spettrale. Se guardava in cielo, Trent vedeva una vago chiarore che faceva emergere il contorno segmentato dei rami.
    In qualche punto del bosco l’oscurità era più fitta. Come grossi grumi di tenebre addensate in quegli angoli. Presenze, forse… e Trent aveva l’impressione che si muovessero e oscillassero come se mosse dal vento. Un brivido gli scosse le gambe.
    Dopo qualche minuto raggiunse la navicella. Lo spiazzale in cui questa era parcheggiata risplendeva di una luce penetrante. Trent guardò il cielo, stupito. La luna terrestre era grande il doppio rispetto a quella di Kepler – o forse era semplicemente più vicina. Si stese a terra, esausto, fissando la luna e le stelle che le splendevano intorno.
    Si ritrovò a pensare a Kepler. Da lì, il suo pianeta nemmeno s’intravedeva, nascosto tra chissà quali costellazioni. E la sua casa, poi… Tutto così infinitamente minuscolo. Un granello di polvere invisibile nascosto sotto un letto.
    Si sentì minuscolo di fronte al cielo sconfinato sopra di sé, e la nostalgia che gli stringeva il petto si trasformò in cupo smarrimento.
    Quando ebbe recuperato un po’ di energie, si alzò dal suolo polveroso e comunicò a Cody il suo arrivo. Maria continuava ad essere irraggiungibile. Si infilò nell’astronave, inviò i nuovi risultati delle perlustrazioni a Kepler e fece una doccia.
    Quando tornò sulla superficie di Terra, il suo fisico era rinfrancato. C’era ancora un fastidio tra le spalle, all’inizio della spina dorsale, e l’acido lattico accumulato gli rallentava il movimento delle gambe. Per il resto si sentiva bene. Si era levato un venticello fresco. Trent si sedette e riposò ancora qualche minuto.
    Si alzò quando vide Cody sbucare dal bosco. Il suo compagno avanzava strisciando i piedi sul terriccio. Trent gli andò incontro per dargli una mano.
    Arrivato a pochi passi dalla navicella, anche l’amico si accasciò al suolo. Recuperò fiato, ansimando nel filtro della maschera.
    «Allora? Che valori hai riportato?» chiese Cody.
    «Abbastanza buoni. Gli stessi valori che ci sono qui, in media».
    «Bene. Ancora qualche decina di chilometri, e potremo tornare su Kepler. Qualche giorno di esplorazione, al massimo».
    Trent annuì. «Poi ci toccherà ritornare. Non saremo soli, e dovremo esplorare aree molto più grandi».
    «Già».
    «Quanto pensi possa durare il tutto? Voglio dire… quanto tempo passerà prima che l’umanità torni su Terra?»
    «Non lo so» disse Cody. «Serviranno altre sonde da inviare qui. Saremo più rapidi rispetto a questa prima esplorazione. Anche più numerosi. Però penso che prima di dieci anni non avremo concluso niente».
    «E ci sarà da disboscare le foreste e ricostruire tutte le città».
    Ci fu silenzio.
    «Probabilmente stiamo lavorando per qualcosa che si realizzerà del tutto solo quando saremo morti» disse Trent.
    Ancora silenzio. Trent sentì di nuovo la stanchezza allungarsi lungo i suoi muscoli. Solo che adesso non era più soltanto fatica: era un’inerzia completa e dolorosa che si annidava nel cervello. D’un tratto, il senso di quella missione era svanito, evaporato come la rugiada del primo mattino.
    «Hai sentito Maria?» chiese Cody guardando la distesa deserta alla sua destra.
    «No. Non ha risposto. Penso stia provando a parlarci, perché apre sempre la conversazione e ci ascolta. Però noi non la sentiamo».
    «Forse da quella parte le radiazioni sono più forti e fanno interferenza con le onde» disse Cody, poco convinto.
    Trent provò ancora una volta a mettersi in comunicazione con la compagna. «Maria. Se ci senti, rispondi. Maria?»
    Un fruscio violento scoppiettò nella sua ricetrasmittente. Il vento, forse. Maria aveva aperto la comunicazione, ma continuava a non parlare.
    «Maria?»
    «Trent… guarda lì». La voce di Cody era sottile.
    «Dove?»
    Il suono del vento continuava a creparsi in mille frammenti dalle casse della ricetrasmittente.
    «Lì» disse Cody indicando da qualche parte. «Vedi quella spaccatura a v tra le due dune? Poco più a destra».
    Trent la vide. Una leggera voluta di fumo che si levava nell’aria, vorticando lentamente.
    «Un fuoco!» esclamò Cody balzando in piedi.
    «Da quella parte c’è Maria. Forse…»
    Ma una voce emerse dalla ricetrasmittente e li interruppe. «Trent, Cody». Un sospiro. «Vi sento».
    «Maria!».
    «Sì, sono io. Prima vi parlavo, ma non mi sentivate».
    «Adesso ti sentiamo» disse Trent. «È successo qualcosa? Le tre ore sono scadute da un pezzo».
    «No, niente. Sto bene». Per un attimo si udì solo il fruscio del vento, e Trent temette di aver perso di nuovo la comunicazione. «Però ho scoperto una cosa. ȅ strabiliante, ecco. Dovete raggiungermi».
    «Cosa?» Trent avvertiva una certa agitazione nella voce della compagna. Qualcosa di indefinito che Maria tentava di nascondere.
    «Una sorpresa. Qualcosa…» Ancora un sospiro. «…qualcosa che potrebbe sconvolgere i piani. Una cosa grandiosa».
    «Va bene» disse Trent. «Dove sei?»
    «Ho acceso un fuoco. Vedete il fumo?»
    «Sì. Arriviamo subito».
    «Correte». Maria chiuse la comunicazione. Trent e Cody si scambiarono un’occhiata e si alzarono.
    Doveva esserci un’ora di cammino tra l’astronave e il punto in cui si era sistemata Maria. Trent non poteva dire dove si trovasse esattamente il fuoco, perché il fumo spuntava da una duna che bloccava gli sguardi. L’avrebbero dovuta scavalcare per raggiungere la compagna.
    Si avviarono. Il vento fresco spirava contro il loro viso, sul deserto si allargava il chiarore della luna. Trent provava un certo subbuglio nel petto. Qualcosa di grandioso, aveva detto Maria. Qualcosa che poteva sconvolgere i piani. Velocizzare le operazioni, magari. Forse Terra sarebbe stata ripopolata prima della sua morte. Avrebbe rappresentato una grande gratificazione per lui.
    Si sentiva eccitato e pieno di energia. Nella sua testa sfrigolava tensione pronta ad esplodere. Accelerò il passo verso la voluta di fumo. Cos’era? Qualche forma primitiva di vita? O addirittura qualche mammifero, o uccelli e rettili? In che modo questa scoperta avrebbe sconvolto il proseguo delle operazioni?
    Era curioso di sapere la verità. La sua mente si tendeva ed esplorava migliaia di ipotesi.
    Ci impiegarono meno tempo del previsto. Dopo venti minuti, avevano cominciato a scalare la duna. Nel giro di dieci minuti si erano ritrovati in cima a quel monticello, e adesso potevano guardare la distesa desertica dall’alto.
    Strabiliante… qualcosa di grandioso. Le parole di Maria gli risuonarono in testa.
    Superava ogni sua aspettativa. C’era un villaggio sotto la duna. Qualche decina di case in legno e paglia. Sembravano nuove. Eppure il paesaggio era del tutto deserto. C’era solo Maria, seduta ai piedi della duna, con il fuoco che le sfrigolava accanto e il fumo che saliva, prima denso e scuro, poi svanendo nell’aria fino a ridursi ad una sottile spirale.
    Cody e Trent si scambiarono uno sguardo e cominciarono a correre. Anche la gravità di Terra si era fatta inconsistente, di fronte a quella scoperta sbalorditiva.
    La raggiunsero e il loro stupore divenne sbigottimento. Maria aveva un pezzo di stoffa appiccicato alla bocca. Gemeva e agitava il capo, ma non riusciva a parlare. Poi fu angoscia, quando si accorsero che mani e piedi erano legati a un’asta di legno fissata a terra nei pressi del fuoco. La ricetrasmittente era posata al suo fianco. La luce rossa lampeggiante segnalava che la comunicazione era aperta.
    «Maria, cosa…» fece Trent, ma la frase gli morì in gola. Si precipitò verso l’amica. Cominciò a strappare i fili che la tenevano legata all’asta di legno.
    «Fermi» fece una voce a qualche metro da loro. Una voce cupa, gutturale. Quasi un unico suono inarticolato.
    Trent si sentì raggelare. Il suo cuore perse qualche battito, le sue mani si immobilizzarono. Sollevò lentamente lo sguardo.
    La prima cosa che vide fu la pistola a impulsi magnetici di Maria puntata verso di lui. A stringerla, una mano ossuta e bianca, con dita stranamente lunghe e unghie pallide – sotto la luna rilucente, parevano quasi azzurre. Poi Trent spostò gli occhi verso l’alto. Ciò che vide gli strappò un urlo secco, un unico colpo di fiato sputato come un proiettile dalla sua bocca.
    La mano sparò e ci fu un suono assordante. Mentre si lanciava a terra con un urlo, Trent vide una luce azzurra e sferica lanciarsi follemente contro di lui.

    Edited by Tommas02 - 27/7/2018, 15:38
     
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    L'angelo caduto

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    Ripulisco e smisto :)
     
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