La malattia

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    Nicola sembrava emaciato. Seduto a uno dei pochi tavolini del bar, teneva lo sguardo basso e con il dito raccoglieva la polvere in eccesso. Lui e Stefano si vedevano sempre più di rado: dal loro ultimo incontro era passato un anno esatto. In quell’occasione, Stefano l’aveva trovato in forma, un uomo solido e forte. Adesso suo cognato aveva perso almeno dieci chili. La pelle flaccida penzolava sulle sue guance come un sipario decrepito mosso dal vento; ai lati degli occhi si aprivano decine di grinze. Il motivo poteva essere sua figlia: Marta aveva sei anni, ormai. Doveva essere faticoso badare a lei.
    «Allora, Nico’? Come va?» cominciò Stefano. Era sempre difficile rompere quel silenzio ghiacciato. Stefano provava un imbarazzo che gli rendeva la voce tenue.
    Nicola alzò la testa dal tavolino. «Ciao, Stefano». Aveva occhi piccoli e infossati, e sbiaditi. Come se su di essi si fosse adagiato un velo di pioggia.
    «Che hai?»
    Nicola non rispose. Si limitò a guardarlo dal basso, le labbra appena dischiuse e il volto tutto tremante.
    Stefano non insisté. Non era una buona giornata nemmeno per lui. Scrutò la giacca camicia sporca di terra e i pantaloni lisi del cognato. «Hai intenzione di venire vestito così al…»
    «Si tratta di Elisa». Quando ebbe parlato, Nicola si portò la tazzina di caffè alle labbra e la mandò giù in un solo sorso. Le dita gli tremavano, e anche le labbra. Un rivolo scuro colò lungo il mento.
    Stefano si era interrotto a bocca aperta. Le parole gli erano rimaste incastrate in gola come spine. «Elisa?»
    «Sì. Te ne ho già parlato l’altro giorno. Dovresti ricordarlo. È tua sorella, faresti bene a preoccuparti anche tu per lei». Per un attimo, gli occhi di Nicola rilucettero come un fuoco rabbioso, violento. Poi precipitarono di nuovo nella vacua oscurità.
    «L’altro giorno?» Stefano cominciava a sentire freddo. Un senso di vaga inquietudine si allargava nel suo petto.
    Nicola tacque. Di nuovo quella collera incandescente nel suo sguardo. «Sì, l’altro giorno. Non fingere di averlo dimenticato».
    Stefano non riusciva a parlare. Aveva la gola riarsa, la lingua secca e incapace di articolare parole sensate.
    «Comincia a vomitare. Sempre più spesso. E non mangia per niente. Sta dimagrendo… sta dimagrendo tanto. Troppo». Alzò un mignolo a mimare la sagoma di Elisa.
    «Nicola, Elisa è…»
    «Cancro allo stomaco. È questo che dicono i medici. Se non troviamo dei soldi per portarla a Roma e farla operare… Le hanno dato sei mesi di vita». La voce di suo cognato si andava spegnendo sempre più ad ogni parola pronunciata. Era una voce secca e roca; delle unghie che strisciano contro il tronco di un albero. «Dove pensi che troveremo questi soldi?»
    Stefano non ebbe la forza di rispondere. Il senso di inquietudine si era acuito. Gli sembrava che, al posto del sangue, nelle vene circolasse petrolio. Poteva sentire l’aria sibilare nei suoi polmoni e fuoriuscire dalle narici come un ansito pesante.
    «Una colletta, pensavo». Nicola non stava parlando a lui. Lo guardava, ma con occhi spenti, in cui solo a tratti scoppiavano quei lampi di rabbia. Sembrava rivolgersi a qualcuno dietro Stefano, o forse a qualche spettro. «Io e te potremmo mettere insieme la metà dei soldi. Cinquantamila. Ti ho detto che il totale è centomila?»
    «No» bisbigliò Stefano. La voce era sfuggita al controllo della sua mente.
    «Be’, ora lo sai». Nicola ridacchiò – una risata appena accennata e sussultante, del tutto normale. Stefano sentì la pelle delle braccia che si increspava e un brivido profondo conficcarsi nella nuca. «Potremmo chiedere a don Antonio di organizzare una colletta per racimolare gli altri cinquantamila. Che ne dici?»
    «Una colletta». Ora il gelo era penetrante e totale. Sua sorella. Ancora. Si sentiva catapultato in un terribile incubo.
    Nicola tacque e lo scrutò. La smorfia sul suo volto si contrasse: il naso si arricciò, un lato della bocca si piegò di lato e verso il basso. Una goccia di caffè stillò dal mento sulla sua camicia già macchiata. «Mi stai ascoltando?»
    «Sì» disse Stefano. La voce gli venne fuori flebile, soffocata dal suono del suo cuore che rimbombava nelle orecchie.
    «Dovresti affrontarlo. Stai facendo finta che non stia succedendo niente. Non è così che le cose andranno a posto». Lo guardò negli occhi. Forse si attendeva una risposta. «Io ho Marta. Non è facile neanche per me. Lei… piange ogni giorno. Elisa urla dal dolore, e Marta comincia a piangere. A volte ho paura di impazzire, a stare dietro a entrambe».
    Stefano guardava Nicola. Sentiva i lineamenti del volto duri e paralizzati. C’era odore di disinfettante tutt’attorno a loro. Stefano poteva sentirlo, annusarlo in tutta la sua corposità.
    «Sai una cosa, Stefano? Vaffanculo. Me la vedo da solo. È tua sorella, e invece di pensare a qualcosa mi guardi come un imbecille e stai zitto». Si alzò di scatto e urtò il tavolino con le gambe. La tazzina di caffè precipitò a terra e si infranse con un unico rumore secco. «Vaffanculo» disse ancora. La sua voce adesso era imprigionata tra le lacrime.
    Nicola lasciò il locale e Stefano lo guardò andar via. Quanto era durata quell'incontro? Non si era nemmeno seduto al tavolino. Era rimasto in piedi tutto il tempo.
    Ma c’era stata davvero quella conversazione?
    Dal vetro inzaccherato del bar, Nicola vedeva il sole invadere la piazza lì vicino. L’odore del disinfettante pareva essere svanito, ma rimaneva un fondo agro a impestare le sue narici, un indistinto odore chimico. Il freddo non si era dissolto, però. Come se un unico blocco di ghiaccio avesse inglobato la sua figura.
    Mario, il titolare del bar, gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. «Pover’uomo. Sono tre anni oggi, giusto?»
    Stefano assentì con la testa quattro volte.
    «Dev’essere stato tremendo. Elisa era una grande donna. È un peccato che quel tumore l’abbia portata via. Crescere la bambina da solo, poi…» Fece un sospiro, scrollò la spalla di Stefano e si chinò a raccogliere i cocci della tazzina da caffè.

    Edited by Annatar - 13/7/2018, 21:47
     
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    Ripulisco e smisto ^_^
     
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    Scrivi davvero bene. Bravo Tommaso. Non usi un lessico inutilmente e fintamente complicato, sei molto secco e questo regala alla storia una lettura fluida e piacevole, i miei complimenti.
    La storia in sè, tuttavia, non mi ha fatto impazzire, ma solo perché non è il mio genere e quindi non mi ha appassionato più di tanto, ma è più una colpa mia che della storia in sé, perché quest'ultima è, ripeto, comunque davvero piacevole da leggere.
    La trama mi sembra un pochino povera, non c'è intreccio, il colpo di scena è leggermente prevedibile ma comunque non causa nessun tipo di scalpore, forse mi sarei concentrato un po' di più sulla speranza che la sorella potesse curarsi in qualche modo per poi dirci che, in realtà, è morta già da un pezzo, forse così mi avrebbe colpito di più.
    Questa rimane l'opinione di un povero, ignorante e brutto ragazzo della bassa società, prendila come tale. Comunque hai un talento nella scrittura. Bravo :)
     
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    Grazie mille! :)
    Sì, la trama è un po' povera, sono d'accordo. È una storiella che ho scritto in mezzo pomeriggio, soprattutto per staccare un po' dopo gli esami.
    Per quanto riguarda lo stile, sono contento che ti piaccia. È un po' quello che cerco di fare, perché penso che una scrittura semplice e secca sia molto più efficace (soprattutto nei racconti) di un modo di scrivere pomposo e articolato.
     
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3 replies since 12/7/2018, 19:51   159 views
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