Vengono dalle pareti

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    Arrivò nello studio con le gambe che sembravano inutili borse d’acqua gelida e quasi inciampò sull’uscio. Sbatté la porta alle sue spalle e ci fu un rumore rintronante. Prima che questa si chiudesse, riuscì a intravedere Loris. Era a pochi metri di distanza e avanzava ancora con la sua camminata monotona e goffa.
    Miriana si lasciò sfuggire un singhiozzo. Quella cosa… il modo in cui l’aveva preso…
    Giovanni aveva solo sollevato lo sguardo dalla sua sedia dietro la scrivania. Adesso era immobile, un’espressione dura e un po’ perplessa sul viso. La mano intenta a scrivere si era bloccata sul foglio e il bagliore della sua sigaretta si stava attenuando. Diede un breve tiro e il rossore si ravvivò. Poi si sfilò la cicca dalla bocca. «Miriana?»
    Lei si sentì sciogliere. Era stata una questione di poche decine di secondi, ma la paura le si era condensata nella testa. Adesso le stava colando addosso, invadendole tutto il corpo. La durezza sull’espressione di Giovanni svanì, e rimase solo la perplessità. Si alzò e la raggiunse. «Cosa c’è, tesoro?» disse, stringendola tra le braccia. Le posò una mano sulla spalla nuda e lei rabbrividì.
    «Qualcosa… qualcosa uscito dai muri…» disse tra i singhiozzi. Poi il pianto la sopraffece e Miriana si tuffò nel petto del marito. La colse un altro brivido di disgusto: l’immagine era ancora stampata nel suo cervello.
    La camicia di suo marito odorava di fumo. L’intera stanza sapeva di fumo: adesso che se ne rendeva conto, respirare si era fatto faticoso. Forse era solo quel che aveva visto a creare quell’effetto – aveva sentito sin dall’inizio come i suoi polmoni si fossero appesantiti, ridotti a due blocchi di pietra rigidi e chiusi, no? E c’era quella sensazione di disgusto, come una mazzata nello stomaco. Ma anche suo marito che la stringeva forte…
    L’aria era calda e rarefatta. Il cuore le palpitava e i suoi battiti parevano ostruirle il respiro. Cominciò a boccheggiare.
    «Vieni, sediamoci» disse Giovanni. La sollevò e la portò verso la poltrona dello studio. Vi si accomodò per primo e si sistemò Miriana sulle gambe. «Raccontami. Che è successo?»
    Lei respirò a fondo. I contorni del mondo cominciavano a ridefinirsi. Non cessò di piangere, ma almeno i singhiozzi si erano diradati e le consentivano di parlare. «Stavo giocando con Loris a pallone nel salotto. A un certo punto il pallone si è infilato sotto una sedia. Lui si è chinato, è strisciato contro la parete per recuperarlo e io… Ho visto qualcosa che veniva fuori dalle pareti. Qualcosa di breve e ondulato… qualcosa come un verme, ma non era un verme… forse più simile a…» Un altro singhiozzo le scosse il petto. Simile a cosa? Era in grado di rivivere a memoria la scena – il riso che si tramutava in terrore fissato sul suo viso, il gelo che le bloccava il sangue – ma descriverla era un altro conto. Non ne era in grado. Non poteva dire a cosa fosse simile quel verme, perché non assomigliava a nulla di conosciuto. «Sì, una specie di verme. Solo che era metallico. O almeno il colore… l’ho visto brillare contro luce. Si è annodato intorno al polso di Loris e lui ha fatto un gemito. Poi il verme gli ha scavato la pelle e si è infilato sotto». Un altro singhiozzo. Le lacrime si stavano seccando sulle sue guance.
    «Una cimice» disse Giovanni. «Può capitare che ci siano. Si infilano sotto pelle, non lo sapevi?»
    «Non era una cimice!» gridò lei. Fu un urlo tremante, acuto. A udire il suono della sua voce, ebbe un altro tremito e si strinse forte contro il corpo di suo marito. «Le cimici non hanno quel colore metallico. E poi era più lunga. Non so cosa potesse essere…»
    «Ti stai preoccupando del nulla, tesoro» La voce di Giovanni era piatta, come se ad animarlo ci fosse una placida dolcezza. «Alcuni insetti fanno cose del genere, e uno di quelli si è infilato nella pelle di Loris. Adesso fallo entrare, così glielo…»
    «No! Quello non è Loris! Come fai a non…» Le lacrime stavano di nuovo affiorando. Non poteva piangere ancora. Forse adesso Giovanni la stava considerando una pazza per quello che stava dicendo e il suo terrore poteva apparire insensato. Doveva reggere, e spiegargli cosa era successo. Forse in due sarebbero stati in grado di affrontarlo. Ma in quel momento, da sola, si sentiva piccola piccola, coma una bimba sperduta nel folto del bosco. «Ascoltami. Non avevo finito.
    «Quando quella cosa ha scavato nel suo polso, Loris ha tremato. No, no… è stato come se una scarica elettrica l’avesse attraversato. Si agitava, tutto convulso, batteva le gambe a terra. È durato qualche secondo. Poi è tornato normale. Ed è scivolato via da lì sotto, strisciando a terra, lentamente. Molto lentamente. Poi si è rialzato e mi ha guardato per qualche secondo, e c’era qualcosa di strano nel suo sguardo…» Sentiva di nuovo che le parole gli stavano mancando. Non avrebbe saputo descrivere lo sguardo di Loris in quel momento. Era assente, come se una profonda oscurità l’avesse assorbito per succhiare via la sua vitalità. Il racconto gli stava facendo sussultare qualcosa nello stomaco. Quell’aggrovigliarsi nervoso lì giù rendeva il tutto più reale. Forse poco prima poteva ancora illudersi che fosse stata tutta una visione tremenda e immaginosa, ma adesso ogni dubbio era svanito. Continuò. «Era da qualche altra parte, in qualche modo. “Come va?” gli ho chiesto, e lui non mi ha risposto per qualche secondo. Poi ha detto “Tutto bene”, ma l’ha detto con una voce strana». Come se anche la sua voce si trovasse da qualche altra parte e a parlare fosse solo l’aria stantia che correva nella sua trachea. Ma non lo disse. «Poi mi sono resa conto di una cosa. Loris è scivolato lì sotto per recuperare il pallone, ma quando si è rialzato ha lasciato il pallone sotto la sedia».
    Calò il silenzio. Miriana ne approfittò per recuperare fiato. Se si staccava da Giovanni, si sentiva scoperta e indifesa e la sua pelle si increspava dai brividi. Era la stessa sensazione che si sente quando ci si ritrova un ragno tra i capelli, lo si scaccia schifati e poi si ha l’impressione di averne uno in ogni punto del corpo. Sì, proprio quella sensazione: un formicolio disgustoso che ti fa impazzire. Ma anche nella stretta molle di suo marito si sentiva a disagio. Provava una certa ripugnanza, uno strana voglia di fuggire di lì. Per dove? Non importava. L’importante era andarsene via, allontanarsi dalla cosa che si era presa suo figlio e dimenticare.
    «Secondo me non ti dovresti preoccupare così. Forse qualcosa si è infilato sotto la sua pelle e Loris si è spaventato. È solo un bambino».
    «No. Era qualcosa di diverso. Ho la sensazione che sia salita direttamente verso il cervello, e che adesso sia quella cosa a comandarlo. Che quel verme... quella cosa grigia si sia impossessata del nostro bambino».
    «Ma no, tesoro». La voce di Giovanni si manteneva sulla stessa tonalità – monotona come le onde del mare durante la bassa marea. La cosa la irritava. Lei era in preda al panico e lui faceva queste prediche stupide con la sua voce calma.
    «Solo perché tu non hai visto quella cosa che lo prendeva…» sussurrò Miriana. Solo dopo si accorse di averlo pronunciato ad alta voce.
    In un altro momento Giovanni si sarebbe arrabbiato e da lì sarebbe nata una furiosa lite – non era uno che soprassedeva su queste provocazioni. Ma rimase in silenzio e la strinse a sé premendo le sue dita sulla sua pancia. Aveva la mano stranamente fredda e secca.
    Scoppiò di nuovo nel pianto e vi si abbandonò. Il sole nel quadrato della finestra era una sfera bianca e la luce che gettava nella stanza era abbacinante. Gli occhi le bruciavano per il pianto e per quel bagliore accecante. Perché a lei? Si sentiva così estranea a tutto… come se un velo di ghiaccio si fosse posato sulla sua anima. Ghiaccio che le permetteva solo di essere terrorizzata, e nient’altro. Ma le lacrime rendevano più facile abbandonarsi al racconto e Miriana continuò a narrare, tra un singhiozzo e l’altro. «Dopo essersi alzato, mi ha guardato per un po’. Poi ha cominciato a camminare verso di me. Mi sono subito accorta che era cambiato. A quel punto mi sono ricordata che avevo già visto quei vermi nei giorni passati. Sì, qualcuno l’avevo visto. Vengono dalle pareti! È da lì che sbucano fuori! E vogliono noi… si vogliono impossessare delle nostre menti, e comandarci. Questo l’ho capito solo adesso. Ma li avevo già visti. Ne sono sicura. Forse ho anche pensato di parlartene».
    «Ma non l’hai fatto». La solita voce atona.
    «No…»
    «Hai detto che è cambiato. Mi sai dire in che modo?»
    «Sì. I suoi occhi… te l’ho detto, erano assenti. E poi…» Si ammutolì e pensò. Non c’era stato nulla di concreto. Un lieve irrigidimento dei muscoli, una smorfia distorta sul viso che subito era sfumata in un sorriso vuoto. E la maniera in cui aveva cominciato a camminare verso di lei: una camminata sghemba, storta eppure regolare e cadenzata. Le aveva dato l’impressione di qualcuno che cammina per la prima volta sui trampoli e si sta ancora esercitando… o di qualche essere che deve abituarsi a nuove proporzioni, a un nuovo corpo. La voce, certo, con quell’armonia cantilenante e senza vita. Ma, più di tutto, era stato lo sguardo. Sugli occhi vispi di Loris era passata un’espressione stupida, che aveva avuto pochi secondi di vita. Poi, all’improvviso, quell’orma di stupidità si era dissolta ed era accaduto qualcos’altro: tutto l’amore nello sguardo di Loris era svanito. Miriana l’aveva sentito nel petto, un ruscello strozzato che muore stillando qualche ultima goccia. Al posto dell’amore, il gelido calcolo, il buio profondo in due orbite vuote.
    Avrebbe potuto spiegarlo a Giovanni. O provarci, almeno; ma tacque. Lui non avrebbe capito. In quel momento, suo marito voleva solo sbugiardarla. Faceva male. Si sentiva sempre più sola e piccola tra le ombre scure e incalzanti.
    «Se lo fai entrare, lui prenderà anche noi» disse Miriana.
    «Devi farlo entrare. Solo così capirai che è solo una stupida paranoia». Adesso il suo tono di voce era ancora più freddo e seguiva un ritmo regolare, quasi magico.
    «Come fai a non capire che finiremo come Loris?» piagnucolò lei.
    Giovanni la sollevò, si alzò e si diresse verso la porta. Miriana si ritrasse, ma quando sentì il contatto del muro contro la sua schiena urlò e tornò verso il centro della stanza. C'erano quelle cose, lì dentro…
    «Non aprire… ti prego…» mormorò.
    Poi Giovanni girò il pomello.
    Loris era lì dietro. Aveva aspettato lì per tutto quel tempo, senza nemmeno bussare. Aveva lo sguardo chino, ma quando Giovanni aprì la porta sollevò il capo e fissò suo padre. Fu un’occhiata lunga e inespressiva.
    Giovanni avrebbe dovuto scompigliargli i capelli e sussurrargli qualche parola – lo faceva sempre. Ma non lo fece. E fu quel gesto mancato che le fece stringere il petto: sentì il cuore contorcersi e ogni muscolo vibrare di dolore. Nella luce abbacinante, per un attimo, padre e figlio parvero due auree bianche e indistinte che svolazzavano nell’aria.
    Poi si voltarono entrambi e avanzarono verso di lei, uno deviando leggermente verso destra, l’altro verso sinistra. Camminavano nella stessa maniera sbagliata: le ginocchia un po’ piegate all’interno, le spalle irrigidite e bloccate, lo sguardo su di lei come a inseguire una preda.
    Si avvicinarono ancora, e ancora, tendendo le dita verso di lei. Miriana si ritrasse per qualche metro. Il muro alle sue spalle, loro due di fronte. Ancora un passo indietro.
    Erano passati pochi secondi quando udì che qualcosa scavava nella sua pelle. Provò dolore, all’inizio, e tremò tutta. Poi il dolore – ogni dolore – cessò, e fu di nuovo con loro.

    Edited by Tommas02 - 8/5/2018, 19:37
     
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    Happy Urepi Yoropiku ne~

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    "Everyone wants to be Er Mortadella. Even I want to be Er Mortadella." ~ Cary Grant

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    Ah, che bello, una famigliola che si riunisce nonostante le difficoltà; un lieto fine che mi ha fatto sciogliere i cuori.

    +1 per aver raccontato la diaspora dei vermi alieni parassiti in maniera così vivida e toccante.
     
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2 replies since 7/5/2018, 17:03   196 views
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