Il mostro di Glasgow

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    Yuggoth

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    Siamo circondati da misteri oscuri e viviamo in un mondo ricco di segreti non ancora dimenticati, che talvolta vengono alla luce, filtrati ai nostri occhi dallo spettro della realtà e camuffati dal regolare ticchettio dell’orologio che scandisce il tempo del mondo.

    Anno 1978: nella città di Glasgow si era verificata la scomparsa di una moltitudine di adolescenti. Tra i maggiori sospettati spiccava Marcus Keane: un vagabondo tutt’altro che ben visto dagli abitanti della cittadina, che sarebbe poi fuggito per via dei sospetti.

    Marcus aveva cominciato a marinare la scuola all’età di sedici anni. Nonostante avesse dei suoi gusti eccentrici, non era mai stato vittima di bullismo e aveva sempre reagito alle provocazioni dei compagni sfoderando la sua rabbia repressa in ogni sfumatura. Proprio come la tonalità dei suoi capelli: castani alla radice e addolciti da un biondo sempre più intenso fino alle punte. Tuttavia, si ostinava a non tuffarsi nel mare della normalità comune in cui sguazzavano i suoi coetanei. Scuola, studio, famiglia, passeggiate limitate al centro della città e obbiettivi per il futuro: tutto ciò rappresentava per lui la banalità dell’esistenza umana.

    Marcus preferiva di gran lunga appiccare un incendio in una landa desolata e osservare il divampare delle fiamme, mentre le urla dei Cannibal Corpse gli squarciavano le orecchie. E fu proprio mentre passeggiava ai confini di Gasglow, dove le acque del fiume Clyde condiscono il panorama boschivo, che incontrò quello strano ragazzo dall’altezza smisurata e lo sguardo inebetito, rivolto al cielo. Si trattava di un adolescente troppo cresciuto, che stringeva tra le sue lunghe braccia una sorta di vaschetta dai bordi trasparenti, dentro cui pareva esserci qualcosa di vivo, che si muoveva e contorceva come un’anguilla.

    “Questa dev’essere tua” aveva annunciato Marcus porgendogli una rana, dopo essersi avvicinato e aver allungato lo sguardo nella bacinella. Il gigante aveva dei lineamenti sporadici, tant’è che, in un primo momento, Marcus pensò che potesse somigliare ad un pesce. Ed era talmente distratto che riuscì a focalizzare l’attenzione sull’interlocutore solamente dopo qualche secondo: “Cosa?” domandò. Gli occhi di entrambi erano fissi al centro della vaschetta, da cui proveniva un verso rauco e intermittente. Marcus infine alzò la mano in cui teneva l’anfibio e lo lanciò nella bacinella, con gli altri. Il gigante lo ringraziò.

    Disse di chiamarsi Dylan: “Le creature del mare sono tutte mie amiche” aggiunse e continuò: “Vieni con me, ti faccio vedere una cosa!” Si incamminò verso la parte più fitta e rigogliosa del bosco, senza aspettare. Marcus esitò un momento, ma pensò che niente poteva essere peggio di tornare nella sua casa, e lo seguì. Attraversarono i sentieri del bosco che conducevano ad una sponda del fiume, mentre il sole faceva buffetti dalle fronde degli alberi e il rumore dei passi riecheggiava regolare nell’aria, mischiandosi in sottofondo alla conversazione dei due.

    Marcus era talmente posseduto dallo spirito dell’avventura che dimenticò persino di chiedere al nuovo compagno da dove venisse o quanti anni avesse. Ad un certo punto, un edificio in legno prese forma davanti ai loro occhi e Dylan rallentò il passo: dovevano essere giunti a destinazione. Marcus provò un brivido. La vista di quella casa abbandonata assunse la forma di un desiderio di libertà, estremamente vivido nella sua mente. Un rifugio, ecco tutto ciò che cercava. Per scappare dai genitori e avere un luogo in cui passare il tempo mentre marinava la scuola. L’edificio era di legno scuro e aveva l’aria e le dimensioni di una baita di montagna.

    All’interno, tuttavia, non era accogliente quanto quest’ultima. Il buio e l’olezzo di umido regnavano incontrastati e si potevano distinguere i versi, i fruscii, i rumori e i viscidi spostamenti di rane, rospi, anguille e chissà che altro. Dylan disse che teneva gli animali in gabbiette e piccole vasche, e che era normale avvertire tutti quei suoni. Anche perché, talvolta, qualche bestiolina riusciva ad evadere dalla propria prigione. Marcus, che si era mantenuto sull’uscio della porta fino a quel momento, immaginò di trovarsi chiuso lì dentro e di avvertire il contatto umido e squamoso di migliaia di code su tutto il suo corpo.

    Provò un tale ribrezzo che si allontanò e Dylan, passandosi una mano sulla fronte e sospirando, sparì nel buio per sistemare gli animaletti contenuti nella vaschetta che aveva trasportato fino a quel momento. Trascorsero il resto di quella giornata all’ombra dell’ultimo del sole, seduti sul bordo di uno scoglio che svettava sul fiume. Marcus agitava le gambe e fissava il fiume, mentre il vicino sorrideva alla vista di un insetto che volteggiava poco lontano dal suo viso.

    Ed ecco che un pesce balzò fuori dall’acqua, emettendo un riflesso argenteo che meravigliò entrambi e risvegliò un animo afflitto da oppressione e tristezza. “Sai, mi è sempre piaciuto guardare l’acqua che scorre. Fin da quando ero bambino. Andavo al fiume, lo osservavo nella sua grandezza e ricordavo che è solo una piccola parte nell’immensità del mare. E mi ripetevo: Fanculo la scuola. Non conta proprio un cazzo. Posso essere chi voglio. E non m’importa se la mia famiglia non può capirmi”. L’odore dell’acqua salata si mescolava al profumo della natura circostante, creando un’atmosfera inebriante. “Sai che penso?”, ribatté Dylan e continuò: “Penso che i legami di sangue siano fatti per essere divisi, allo stesso modo in cui una rana abbandona le proprie uova dopo averle deposte. È naturale”.

    Il gigante si alzò e si tuffò nell’acqua. “Buttati anche tu! È calda” aggiunse tirandosi in superficie dopo l’immersione. Si manteneva a galla con una facilità straordinaria. Marcus sorrise: aveva davvero trovato qualcuno che poteva capirlo? Qualcuno su cui poter contare? Tolse i vestiti e si lanciò anche lui nel fiume. La luna aveva ormai sostituito il sole e una brezza notturna soffiava potente contro la vegetazione dello scoglio.

    L’acqua non era affatto calda. In lontananza un grosso pesce sfiorò la superficie del fiume, poi nient’altro: silenzio. Silenzio assoluto. Dov’era finito Dylan? Marcus si trovava nel fiume Clyde, da solo, senza vestiti, sotto la pallida influenza della luna. Spaventato, decise che sarebbe tornato sulla terraferma. Ma appena si mosse qualcosa sfiorò il suo piede e ripensò al capanno: le viscide creature che altro non avrebbero desiderato senonché piombargli addosso e strisciare sul suo corpo. “Calma Marcus, sei solo spaventato” pensò.

    Provò nuovamente a muoversi verso l’appiglio più vicino e stavolta qualcosa avvinghiò la sua gamba, all’altezza della caviglia. Urlò disperatamente e precipitò verso il basso. Quando riaprì gli occhi non riusciva a distinguere nulla oltre che il buio. Credette di essere morto, ma il terribile odore che le sue narici filtravano gli fece capire che doveva trovarsi nella tana del gigante.

    Un rivolo di lacrime solcò le guance del suo viso. Per la prima volta nella sua vita, ebbe paura di morire, di perdere tutto ciò che aveva e che sino a quel momento aveva odiato e ignorato in modo spudorato. Ma probabilmente era troppo tardi. Una fioca luce di candela si stava avvicinando. Il riflesso giallastro illuminò l’ambiente circostante: il ragazzo si trovava disteso sul pavimento, accerchiato da rane, rospi, vermi d’acqua ed esseri bizzarri che non ricordava di aver mai visto prima; tutti immobili e in silenzio.

    La creatura innominabile che portava il cero si fece spazio nel cerchio e si accovacciò vicino al ragazzo. Era umanoide e ricoperta da squame verdognole, con le dita delle mani palmate e gli occhi infossati nella faccia ripugnante di un serpente a lingua biforcuta. Marcus tremò e sperò che Dylan, il suo nuovo amico, arrivasse in tempo per salvarlo dalle creature orrende e ignobili che nascondeva nel suo rifugio.

    Ma quando si concentrò sul volto della creatura, in particolare sullo sguardo e i lineamenti deturpati, capì che non c’era più nulla da fare. “Chi cazzo sei tu?” chiese singhiozzando il malcapitato. E la risposta non tardò ad arrivare: “Sono stato chiamato in molti modi: Nessie, Dagon, Tritone. L’importante ora non è questo. Perché ho fame. Una gran fame”. Dylan si avventò alla gola di Marcus, seguito dalle bestie che lo attorniavano.

    Edited by @AnthonyInBlack - 17/6/2019, 13:01
     
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    Can't rain all the time.

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    Un posto brutto, molto brutto!

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    Ti faccio i complimenti, mi è piaciuta molto come storia. Ho apprezzato particolarmente la descrizione della casa e dell'incontro con Dylan
     
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    SaS

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    Trascorsero il resto di quella giornata all’ombra dell’ultimo del sole,

    Dove s'era assopito il Pescatore, che aveva un solco lungo il viso come una specie di sorriso? :rath:


    Comunque mi è piaciuta parecchio, a parte le creature citate alla fine di cui non vedo la correlazione, tranne per il fatto di essere acquatiche
     
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  5. Fenrirs
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    Avevo immaginato, Dylan richiamava abbastanza l'idea degli Abitatori del Profondo e dei loro figli mezzi umani. Bella comunque! Solo, secondo il mio parere, la faccia da serpente non ci sta molto bene, trattandosi di creature acquatiche.
     
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4 replies since 26/4/2018, 11:56   508 views
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