Nella valle di Leah

Cap.4

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    Osservava le nuvole che solcavano piano il cielo azzurro del primo pomeriggio e in lontananza udiva le risate dei bambini, ma lì nel suo rifugio tranquillo si sentiva al sicuro, lontano dalle angherie dei suoi coetanei; seduto su di una roccia poco alta con le gambe penzoloni che dondolavano lentamente, il naso all'insù guardando il cielo ad immaginare di essere in un luogo a vivere grandiose avventure.

    Non capiva il motivo di tanto astio, solo perché lui era piccolo e magrolino. Tutti si aspettavano che il nipote di un grande eroe, come il suo bisnonno, dovesse essere più... più di lui. In lontananza udì la voce di sua madre che lo chiamava per il pranzo, saltò giù dal piccolo masso su cui si era seduto e iniziò a correre per i campi, lontano da quelle risate che per lui erano sinonimo di insulti, angherie e lividi. Corse a perdifiato tra le alte piante di mais saltellando per evitare le asperità che incontrava qua e là sul suo cammino.

    Stava giungendo al limitare del campo di grano quando improvvisamente qualcosa lo colpì in pieno volto; non sapeva da dove fosse venuto quel grosso ramo ma mentre si rigirava a terra dal dolore intravide i calzari di Julius, un ragazzino di un paio d'anni più grande di lui che lo tormentava da tempo. Era grosso come un armadio e anche se era evidente che fosse piuttosto grasso, lui continuava a dire che erano muscoli; nessuno osava contraddirlo per paura di essere picchiato. Insieme a quel bulletto vi erano altri tre bambini che iniziarono ad insultarlo e a deriderlo girandogli intorno. Si rialzò asciugandosi il sangue che gli colava dal naso guardando torvo i suoi aguzzini. Stufo, scostò via uno dei tre, colpì con un pugno un sorpreso Julius e recuperò il bastone di legno con cui era stato colpito. Iniziò a menar fendenti alla cieca costringendo i bambini ad una repentina fuga, doloranti e pesti.

    Shaaku li osservò allontanarsi claudicanti, per poi dirigersi verso la propria casa dove sulla soglia l'aspettava il viso sorridente di sua madre, lei si spostò per lasciarlo entrare e un raggio di sole lo colpì in pieno volto costringendolo a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, il suo sguardo si spostò dallo spiraglio luminoso alla stanza lussuosa in cui si trovava; gli ci vollero alcuni secondi per ricordare dove si trovasse e gli avvenimenti che lo avevano condotto lì. Il giovane Shaaku si mise a sedere sul grande letto e scostò le raffinate lenzuola che lo avevano coperto durante le sue notti nella città dravaki; era passato più di un mese da quando lo strano soldato dalla pregiata armatura lo aveva prelevato dal suo villaggio e condotto sull'isola fluttuante.

    Aveva scoperto tante cose meravigliose, prima fra tutte che il misterioso soldato si chiamava Runa ed era una giovane ragazza dravaki totalmente diversa dai rettili che aveva visto in precedenza nella sua breve vita: una specie di divinità personificata per quel popolo così distante dalla sua cultura. Gli avevano spiegato, nel loro rozzo tentativo di parlare nella sua lingua, che lei era non solo il comandante di tutti i soldati Dravaki ma era persino una principessa promessa sposa alla regina Saryskha. Quando gliel’avevano raccontato era rimasto un tantino stranito: gli avevano sempre insegnato che le femmine si sposavano con i maschi, ma lì gli avevano spiegato che il loro unico dio -cosa anch'essa strana per lui abituato a diverse divinità ognuna protettrice di un elemento, mestiere, sentimento o luogo- proteggeva e benediceva l'amore in ogni sua forma purché consensuale e cosciente.

    Alla cattedrale del dio drago dove gli parlavano delle fondamenta della loro religione, ed erano curiosi di sapere tutto sulla sua, gli avevano spiegato che nella terra dei draghi, al compimento dei sedici anni i giovani dravaki si sottoponevano ad una prova che li avrebbe consacrati adulti agli occhi del proprio popolo e veniva consentito loro di scegliersi il proprio partner per la vita. Non era concesso loro di avere rapporti fisici con chi non aveva ancora sostenuto la prova.

    Quando viveva nel suo villaggio, lontano da quello strano popolo, vedeva i Dravaki come mostri crudeli, ma in un mese aveva imparato veramente molto, capendo quanto tutte le sue convinzioni fossero fondamentalmente sbagliate. I Dravaki erano un popolo fiero, gente pacifica pronta a combattere ferocemente per difendere la propria vita. Naturalmente curiosi, cercavano di comprendere i fenomeni che li circondavano e da cosa fossero scatenati. Più volte si erano interrogati sul motivo della loro esistenza. Gli umani credevano semplicemente che tali fenomeni fossero causati dagli dei per capriccio, per punirli o metterli alla prova.

    I rettili invece professavano che il loro dio avesse solo creato un meccanismo autoalimentato, un complesso susseguirsi di cause ed effetti in cui tutti gli esseri vivevano e morivano, in cui razze e specie si susseguivano nei millenni evolvendosi o estinguendosi in base alle loro capacità di adattamento ai cambiamenti. Era un meccanismo perfetto quanto delicato e si sarebbe mantenuto all’infinito, o almeno finché non fossero stati loro stessi a distruggerlo. Un meccanismo che conservava la vita che mutava nel corso del tempo o soccombeva incapace di adattarsi ai cambiamenti. I Dravaki erano convinti che il loro scopo nelle terre di Shiru fosse quello di guardiani, avevano il compito di proteggere le creazioni del loro dio lasciando che il grande meccanismo creato dal Dio Drago facesse il suo corso, nel bene o nel male.

    Nel grande quadro della creazione sapevano che ne facevano parte anche gli esseri umani e, finché si combattevano fra di loro, non intervenivano, lasciavano che allevassero o cacciassero gli animali per nutrirsene, ma non permettevano loro di ucciderli per divertimento né che portassero all'estinzione una specie. Shaaku aveva compreso da loro che non era giusto uccidere nemmeno per propria difesa, se non in casi estremi, solo se non c’era nessun’altra soluzione possibile.

    Quando la lezione alla cattedrale del Dio Drago fu terminata si diresse alla fermata del miira, aveva imparato ad usare i mezzi di trasporto della città sospesa; la magia scorreva nelle vene dei Dravaki, non era una conoscenza acquisita come credevano gli umani ma faceva parte di loro fin dalla nascita, e riuscivano ad usarla istintivamente.

    Mancavano un paio d'ore prima che venissero a prenderlo alcune guardie per accompagnarlo a palazzo per partecipare ad un pranzo informale in cui la regina avrebbe discusso con il consiglio militare degli anziani di strane procedure di cui lui non comprendeva nulla, nonostante avesse iniziato a capire la loro lingua e a parlarla. Saryskha voleva che lui fosse presente anche se non avrebbe capito di cosa stessero parlando e il motivo delle loro decisioni.

    Sceso dal miira lo aspettava un gruppetto di cuccioli Dravaki, avevano la sua stessa età ma erano molto più alti di lui, eppure a dispetto delle loro differenze, i ragazzi erano riusciti a legare e i giovani rettili erano arrivati presto a considerare l’umano uno di loro. Shaaku si trovava bene tra quegli esseri, suo padre gli aveva detto che i bambini dei rettili erano violenti e distruggevano qualsiasi cosa, ma aveva visto che in realtà non era così, facevano la lotta come i ragazzi del suo villaggio. Alcune volte avevano coinvolto anche lui nel gioco, ma ci andavano piano visto che non era forte quanto loro, era una specie di allenamento, gli avevano detto, così che compiuti sedici anni avrebbe affrontato la prova insieme a loro.

    Dorok, il giovane Dravaki con una vistosa cicatrice sul sopracciglio sinistro, causatogli all'età di quattro anni dalla caduta dal dorso di un Saliki, mise un braccio intorno alle spalle di Shaaku con un sorriso malizioso.
    "Oggi metteremmo alla prova il coraggio del nostro amico!"
    Shaaku lo guardò perplesso, mentre gli altri giovani Dravaki esultarono. Il gruppetto lo accompagnò in un boschetto a pochi minuti di distanza.

    Si acquattarono accanto al fusto di un albero, il giovane umano si guardò a torno, una grande casa fatta di pietra lavorata e legna di qualità. Occupava la quasi totalità del paesaggio dinanzi a lui, poco lontano dalla struttura originale ve ne era un'altra altrettanto bella ma molto più piccola che comprese fosse il giaciglio degli animali che allevavano in quella specie di strana fattoria.
    "Li vedi quelli?"
    Chiese Naku, il cucciolo più magro del gruppo, all'umano indicandogli dei grossi uccelli dalle lunghe zampe e dal piumaggio sgargiante che stavano pascolando in un recinto a pochi metri da loro.
    "Cosa sono?"
    Domandò Shaaku un tantino intimorito dalla grandezza degli animali.
    "Sono Saliki! Li mangiamo!"
    Rispose Il giovane Dravaki Malun il più alto, anche se di poco, del gruppo, con un leggero rivolo di saliva all'angolo della bocca.
    "Le uova sono buonissime fatte in frittata!"
    Controbattè Nalun, gemello di Malun.
    "Solo i più corraggiosi riescono a cavalcarli; dimostraci il tuo coraggio, provaci!"
    Lo esortò Dorok.

    Shaaku voleva dimostrare loro di essere coraggioso quanto un Dravaki, ma quegli uccelli lo terrorizzavano, deglutì pesantemente e uscì dal nascondiglio con circospezione, rapidamente percorse la decina di metri che lo separavano dal grande recinto e entrò, percependo la sua presenza i Saliki iniziarono a correre all'impazzata emettendo acuti suoni. L'umano rischiò di essere travolto più di una volta dalla foga degli animali, ma alla fine riuscì ad afferrare al volo uno di loro per le piume color castano. Le strinse tra le mani sentendole morbide, ma si stapparono causando al grosso uccello un dolore tale che iniziò a saltare, presto imitato dai suoi simili.

    I cuccioli ancora nascosti dagli alberi incitavano a più non posso l'umano, a quel punto Shaaku fece perno su un palo del recinto issandosi su di esso e saltò sul dorso del Saliki dal piumaggio violaceo che si avvicinò a lui.
    L'animale s'imbizzarrì e con un balzo superò l'alto recinto e fuggì per le vie di Dravaji con l'umano urlante che si teneva con tutte le sue forze al suo dorso: il giovane era certo che sarebbe morto mentre i Dravaki si scostavano e si buttavano in cespugli o bancarelle al passaggio del Saliki impazzito.

    D'un tratto Shaaku vide un'ombra affiancarsi a lui, un altro Saliki dalle piume d'oro sul cui dorso vi era Runa: la ragazza allungò una mano verso il collo dell'uccello imbizzarrito e questi sembrò calmarsi tanto da rallentare ed infine fermarsi.
    La Dravami guardò l'umano con uno sguardo scuro, afferrò il bambino per la casacca bianca e lo sollevò.
    "Cosa diavolo ti è saltato in mente piccolo kamikaze?!"
    Domandò scandendo le parole con voce cupa che fece rabbrividire il piccolo.
    "I-io, volevo dimostrare ai miei amici che sono coraggioso quanto voi!"
    Rispose Shaaku con voce tremante.
    "Hai dimostrato solo che sei un idiota! Cavalcare un Saliki è come cavalcare un drago, non serve avere coraggio, ma intelligenza."
    Sibilò la Dravaki.
    "Ma come riesci a cavalcare questi uccellacci?"
    Domandò il piccolo umano tentando inutilmente di divincolarsi dalla presa della ragazza.
    "Se continuerai a considerarli esseri inferiori non riuscirai a cavalcare neanche una formica! Devi riconoscerne il valore, devi conquistarne la fiducia, anche se prima o poi finiranno nel tuo stomaco sono doni del dio drago e come tali vanno trattati con rispetto."
    Il piccolo fermò ogni suo tentativo di ribellione e fissò la giovane.
    "Un dono degli dei?"
    "Ogni cosa che ci circonda è un dono, persino la vita stessa, se non lo tratti con rispetto insulti chi te lo ha fatto."
    Runa caricò il piccolo in groppa al Saliki che stava cavalcando, accarezzo lievemente l'animale su di un fianco ed esso si girò ritornando sui suoi passi, ad un leggero fischio della Dravaki il secondo li seguì.

    Poco dopo giunsero alla fattoria da dove provenivano i Saliki, che una volta lasciati liberi ritornarono da soli nel loro recinto. Una donna sulla cinquantina li aspettava all'ingresso dell'abitazione con un dolce sorriso.
    "Chiedile scusa, hai rubato uno dei suoi animali, dovresti vergognarti di ciò che hai fatto."
    Disse Runa redarguendo l'umano: era veramente furiosa, mentre la donna ridacchiava di gusto.
    "Questo giovane umano mi ricorda una piccola Dravaki, cresciuta in questa casa, che saltava in groppa ai Saliki e seminava il terrore in città, per poi essere rincorsa dal padre e prendere certi ceffoni..."
    "Madre!"
    Replicò stizzita la Dravami.

    Edited by KingRyuX - 13/3/2018, 21:57
     
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