L'inquilina

Basata sull'incipit #1 della Scuola Creepy

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  1. Plumbeo
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    Fuori il sole inizia a sorgere e gli adulti già hanno iniziato a lavorare. Gli odori delle fabbriche di questa orrenda città mi arrivano al naso prima del suono della radio, che mi sveglia parlando di politica e guerre. Ancora assonnato e annoiato dalla triste routine degli eventi, allungo il braccio semi-addormentato per cambiare prontamente stazione.
    “... alto, occhi marroni, sulla ventina, pelato. Se lo vedete cont—“ cambio stazione di nuovo.
    Possibile che non si trovi della musica?

    Vorrei qualcosa di rilassante che possa aiutare il mio tremendo mal di testa dovuto, ancora una volta, a quella pazza che sta al piano di sotto: Deborah, quella maledetta donna che urla da mattina a sera contro Dio solo sa chi. I suoi avrebbero dovuto farla internare in un istituto psichiatrico quando ne avevano l’opportunità, si sarebbero risparmiati tanto dolore e io mi sarei risparmiato questo strazio.
    Forse sto esagerando, lo so, ma provate voi a dormire sopra l’appartamento di una donna come quella. A dire il vero sono anche troppo buono; avrei potuto lamentarmi e reagire già dall’inizio ma non l’ho fatto. Spero sempre che le persone possano cambiare.

    Finalmente, dopo essere passato da una stazione radio religiosa a una di gossip, dove un gruppo di donne con voci acute e risate fastidiose parla degli addominali del protagonista di un nuovo film rosa, mi ritrovo su una stazione di musica classica.
    Soddisfatto, mi stiracchio le gambe e le braccia e mi alzo definitivamente dal letto, direzione doccia. Lancio uno sguardo alle coperte stropicciate, e noto una macchia secca di… Oh, che schifo. Mi sono decisamente dato da fare ieri, a quanto pare. Un ubriaco che non riesce a rimorchiare in discoteca cos’altro può fare nella privacy di un letto? La visione ha un qualcosa di drammaticamente epico quando abbinata a Le Nozze Di Figaro in sottofondo.

    Decido di cambiare le lenzuola più tardi ed entro nel bagno con i vestiti puliti e l’accappatoio. Regolare la temperatura dell’acqua è sempre difficile, in case vecchie come questa, e oggi non è diverso.
    Mentre giro la manopola con precisione chirurgica, sento l’inquilina del piano di sotto urlare, di nuovo. Sbuffando, torno velocemente in camera per alzare il volume della radio, sperando che possa coprire le grida.

    Sotto la doccia, penso a quanto sia ingiusto che sia capitata a me un’inquilina simile. Proprio a causa di questo suo comportamento irritante – e, se posso permettermi, a volte quasi psicotico – non la conosco molto bene. Parliamo poco, o meglio, lei non mi parla. Come ho già detto, so che si chiama Deborah, so che ha un fidanzato dolce e belloccio ma momentaneamente assente, so che il posto dove abitava prima era grande e pulito – il contrario di questo.
    Mi dà l’idea di essere una maniaca dell’ordine ossessionata con i batteri e i microbi. Non deve essere facile per lei stare in questo orribile posto, ma alla fine è lei che se l’è cercato.
    E va bene, posso capire la sua frustrazione, ma questa storia sta andando avanti da troppo tempo. È qui solo da qualche giorno e già mi ha rotto le palle. Dico io, che bisogno c’è di sfogare tutta la sua rabbia, tristezza e paura urlando? Cosa spera di ottenere? Tirare pugni al muro sarebbe più efficace, per attenuare il dolore. Dovrei scrivere un libro sull’importanza dell’autolesionismo, uno di questi giorni. Dio solo sa quante cose avrei da dire.

    Quando esco dalla doccia noto con piacere che la donna si è stancata di urlare, ha probabilmente deciso di cambiare canale e ora è passata al pianto silenzioso. Mi fa pena. Pulisco lo specchio del lavandino con la manica dell’accappatoio e mi asciugo velocemente i capelli.
    “Avviso importante,” giunge la voce dalla radio “ricordiamo ai radioascoltatori che la polizia ha fornito un identikit del sospettato killer di Whiteton. Il soggetto è un ventenne bianco, alto, occhi marroni e pelato. Se lo vedete, siete pregati di contattare la polizia della vostra città immediatamente. Per ulteriori informazioni visitare il sito–“
    Sorrido e scuoto la testa. Occhi marroni e pelato… Come se questa non fosse la descrizione di migliaia di altri uomini presenti sulla faccia della terra. Piuttosto di dare informazioni così vaghe dovrebbero stare zitti. Chissà quante occhiatacce riceveranno oggi, i ventenni alti e rasati… Poveri bastardi.
    C’è da dire, però, che hanno fatto diversi passi avanti con le indagini, rispetto a qualche mese fa: hanno finalmente capito che si tratta di un serial killer, per esempio. All’inizio pensavano fosse semplicemente una catena di suicidi, qualcosa di simile a quel gioco Russo. Ora invece hanno addirittura un sospettato.

    La radio mi informa che sono quasi le nove. Mi devo sbrigare, o perderò l’aereo.
    Indosso velocemente i jeans scuri, la camicia leggermente stropicciata e la giacca grigia – elegante, ma comunque abbastanza casual. Ho una reputazione da crearmi.
    Mi infilo i calzini e le scarpe due numeri più piccole di quello che dovrebbero essere. Il dolore alle dita è noioso ma sopportabile e, comunque, potrò cambiarmele una volta salito sull’aereo. Raccolgo il mio accappatoio da terra insieme al tappeto del bagno e ritorno nella mia camera.
    Butto le cose del bagno sul letto e faccio un fagotto utilizzando le lenzuola sporche, carico il tutto in spalla come un Babbo Natale dello schifo e mi accingo a uscire dalla stanza insieme al trolley da viaggio.
    Mi fermo. Manca qualcosa. Sto dimenticando qualcosa. Mi giro e mi guardo intorno, ma non sembra ci sia nient’altro da portare con me. Mordendomi il labbro con ansia, mi convinco che è meglio lasciare qualcosa che perdere il volo. Tiro un sospiro di sollievo quando, tastando le tasche della giacca, sento la presenza delle mie sigarette e dell’accendino. Aiuteranno sicuramente a eliminare l’ansia.
    Finalmente esco dalla stanza, e i vecchi pavimenti in legno scricchiolano sotto le ruote della valigia. Scendo le scale sperando che le assi non si rompano sotto al mio peso, infilo i guanti in pelle per proteggermi, alzo il braccio per aprire la porta d’entrata e –

    Crash.

    Il suono di un tonfo proveniente dall’altra parte della porta di Deborah mi ferma.

    “Deb?” chiamo, ma non c’è risposta. Vorrei semplicemente uscire, fumarmi la mia sigaretta, buttarla, e partire verso l’aeroporto, ma la curiosità non me lo permette. Potrebbe essere caduta, o peggio, qualcuno potrebbe aver rotto un vetro per entrare. Non è difficile, in un quartiere desolato come questo, vedere ladri e tossici entrare nelle case della gente.
    Lascio la valigia e le lenzuola in terra e busso alla porta. “Deborah, posso entrare?” chiedo con la mia classica voce da altruista. Non ricevendo una risposta e annoiato dallo spreco di tempo prezioso, apro la porta ed entro nella stanza.

    Davanti a me, Deborah è appesa al soffitto dal collo. La sua sedia di plastica giace spaccata a metà sotto di lei, e i suoi piedi si muovono nell’aria mentre cercano di appoggiarsi a qualcosa.

    “Oh, cazzo,” sussurro d’un fiato, e vado verso di lei. Sta soffocando e i suoi occhi spalancati fissano i miei, chiedendomi aiuto.
    Noto subito che ha le mani legate dietro la schiena e dei lividi sul volto. Confuso, mi guardo intorno. Non faccio in tempo a girarmi che qualcosa fa click.

    “Aah… Sì, ora ricordo.”
    L’alcol fa davvero perdere la memoria, vero? Sono tornato presto dalla discoteca, ubriaco, e l’ho slegata dal calorifero. L’ho portata a letto, ma cercava di graffiarmi. Non posso permettermi di lasciare pelle sotto le sue unghie. E per l’altra traccia di DNA che ho lasciato… Beh, diciamo che le lenzuola verranno bruciate per quello. Sono una persona prudente.
    Quando ho finito, l’ho riportata di sotto e le ho infilato un cappio al collo. Ecco perché mi sono svegliato più annoiato del solito, oggi: già mi ero rotto i coglioni ieri notte. Forse volevo vedere quanto avrebbe resistito in bilico su quella piccola sedia di plastica.
    Osservo la sua faccia diventare sempre più rossa e i suoi occhi sempre più sporgenti. I suoi versi soffocati ed incoerenti sono un suono dolcissimo, soprattutto dopo tre giorni passati a sentirla urlare. È una tosta, questa, avrebbe potuto rompersi il collo quando si è rotta la sedia, ma non è successo.
    “Guarda il lato positivo,” le dico, “volevo farti bruciare insieme alla casa. In confronto, questo è un modo decisamente migliore di andarsene, no?” Ovviamente, Deborah non risponde. “Grazie per avermi risparmiato la fatica.”
    Lei emette versi di soffocamento mentre io mi guardo intorno per avere la certezza di non star lasciando niente in giro. Certo, potrei comunque dar fuoco alla casa giusto per essere sicuri, ma ho poca benzina e mi serve per il fagotto di coperte che ho fuori.
    Nell’angolo della stanza, accanto a una piccola pozza di sangue sotto al calorifero, vedo la mia calotta in lattice da pelato. “Sapevo di star dimenticando qualcosa” dico, giusto per dirlo.
    Raccolgo la parrucca da terra e considero la macchia di sangue. Sì, nei tre giorni che è stata con me, Deborah mi ha fatto arrabbiare più volte. Giusto per divertimento ci appoggio dentro un piede prima di tornare dalla mia vittima, lasciando una traccia rossa dietro di me.
    Le scarpe che ho usato con la mia ultima ragazza erano di tre misure più grandi. Se prima la polizia aveva intuito io fossi alto per quello, sono curioso di sapere cosa tireranno fuori da queste piccole impronte.
    Deborah sta smettendo di muoversi e la radio sta cambiando canzone. Sono felice di non averla spenta.

    “Non mi auguri buon viaggio?” le chiedo. “Io lo auguro a te.”
    Non risponde, e i suoi occhi rimangono fissi mentre lei dondola. Mi dispiace non toccarla un’ultima volta, ma ho mezz’ora di tempo per bruciare le mie cose e raggiungere l’aeroporto. Con un ultimo sorriso, esco dalla stanza e chiudo la porta dietro di me.
    Aggiungo la parrucca nel mucchio da bruciare, apro la porta di ingresso e mi dirigo verso il piccolo bosco vicino alla casa. Vorrei dire che è un peccato che case come queste vengano lasciate alla deriva, ma a me fa comodo.

    I capelli mi cadono negli occhi e infastidiscono ancora di più le mie lenti a contatto verdi, i piedi mi fanno male con ogni dolorante passo che faccio, il trolley balla sulla strada sterrata e la fretta di raggiungere l’aeroporto mi mette ansia.
    Ma il tutto è coronato da La Gazza Ladra di Rossini in sottofondo. Adoro la musica classica.

    È una delle poche storie che ho completato e, per questo, vi ringrazio per l'incipit fornito nella scuola. M'avete ispirata :rock2: :love:


    Edited by DarknessAwaits - 5/1/2018, 18:42
     
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    non mi aspettavo che fosse un finto pelato LOL Brava :v:
     
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