Heat-Haze Days

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    Un ragazzo, con corti capelli neri e occhi azzurri, vestito con una maglietta dalle maniche corte e jeans anch'essi corti- dopotutto era estate, e faceva davvero caldo- stava camminando per la strada. Il suo nome era Mark. Si stava dirigendo verso il parco dietro casa, per incontrarsi con una sua amica; dopotutto, non aveva nulla di meglio da fare. Era il 15 Agosto, alle ore 9:00 del mattino.
    Arrivò al parco. Lei, ovviamente, era già là, seduta su una panca. Accarezzava un gatto- il suo gatto, lo stesso a cui era tanto affezionata, da cui faceva fatica a separarsi anche solo per andare a scuola- ma non appena vide Mark, lo salutò.
    Lei, che di nome faceva Jane, era un po' più bassa di Mark, e aveva capelli biondi che arrivavano circa fino alle sue spalle. I suoi occhi erano azzurri, un azzurro leggero, quasi come il colore del cielo sopra di loro, scoperto e del tutto esente da nuvole, in quella afosa estate.
    Mark si sedette di fianco a lei, e i due iniziarono a parlare del più e del meno- di quanto caldo facesse, di cosa avrebbero fatto e avevano fatto durante le vacanze estive, di come Jane preferisse l'inverno, che almeno era fresco- ed andarono avanti a parlare per un bel po'.

    Ma, improvvisamente- forse attirato da qualcosa visto in lontananza, forse spaventato dal rumore di un'auto appena passata- il gatto di Jane sfuggì dalle sue mani e corse verso la strada. D'istinto, senza nemmeno pensarci, la ragazza si alzò per rincorrerlo, senza nemmeno prestare attenzione a ciò che c'era intorno a lei. Dopotutto, cosa mai sarebbe potuto accadere?
    La risposta arrivò, molto semplicemente, sotto forma di un camion- uno apparentemente guidato da un camionista distratto- che non riuscì a vedere la ragazza in tempo, e dunque a frenare.
    Mark era rimasto lì, inerte. Avrebbe voluto muoversi, vedendo il camion, ma il suo corpo non aveva risposto in tempo.
    Avrebbe voluto urlare vedendo il sangue volare per aria, vendendolo spargersi per la strada, formare una pozza sotto il corpo della ragazza, ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un rantolo.
    Tutto stava divenendo sfocato. Non riusciva più nemmeno a respirare. Cadde per terra- o meglio, si sentì cadere- e perse conoscenza.

    Quando aprì gli occhi, si ritrovò in un letto- il suo letto nella sua camera- madido di sudore. Si guardò intorno lentamente: era notte fonda, e guardando il suo telefono, lasciato in carica di fianco al suo letto, scoprì fossero le 3:00 del mattino del 15 Agosto. Tra sé e sé, tirò un sospiro di sollievo. Non era stato altro che un incubo. Ma che incubo realistico! Scosse le spalle, e tornò a dormire. Aveva, dopotutto, appuntamento con la sua amica Jane il mattino dopo.
    Il sonno passò senza altri incubi o sogni degni di nota, e arrivò il momento in cui i due dovevano incontrarsi.
    Jane propose di andare al parco dietro casa; Mark, che seppur non fosse molto superstizioso preferiva non rischiare, obiettò, e propose invece di dirigersi verso il laghetto, di fianco al cantiere dove si stava lavorando per costruire il nuovo centro commerciale.
    Camminarono per un po', parlando del più e del meno. Ma ad un tratto, a causa probabilmente di un operaio sbadato che non vedeva l'ora di andare in pausa pranzo e riposarsi- giustamente, tra l'altro, dato il caldo atroce che faceva- una trave di acciaio cadde dalla gru che la stava sollevando per portarla a svolgere il suo ruolo di sostegno del tetto.

    Sotto di essa, ovviamente, c'era la povera Jane, che ebbe appena il tempo di guardare in su, prima di essere trafitta da parte a parte dal pesante acciaio. Non fece in tempo nemmeno ad urlare.
    Mark avrebbe voluto gridare un avvertimento, ma non ne aveva avuto il tempo.
    Avrebbe voluto correre e spingerla via dalla traiettoria del palo di ferro, ma non riuscì a muoversi abbastanza in fretta.
    Il sangue di Jane, insieme a frammenti delle sue cervella e dei suoi organi, era volato dappertutto, e tutto sembrava essersi fermato, in un attonito silenzio.
    Mark urlò. Si sentiva male, si sentiva salire il vomito, e le sue gambe, le sentiva deboli, incapaci di sorreggerlo- e difatti cadde a terra, perdendo i sensi.

    Quando aprì gli occhi, si ritrovò in un letto- il suo letto nella sua camera- madido di sudore. Guardò il telefono. Le 23:15 del 14 Agosto.
    Un altro incubo? Era possibile? Aveva quindi sognato di svegliarsi? Scosse le spalle. Era l'unica spiegazione logica. Dopotutto, il tempo non funzionava in quel modo. Il tempo andava avanti. Non poteva saltare in qua e in la. Era la fisica a dirlo, no?
    Rincuorato dunque da questi pensieri, tornò a dormire. La mattina dopo voleva chiamare la sua amica Jane, era da tanto che non si vedevano. Chissà se avrebbe portato con sé il suo gatto?
    Come scoprì il giorno dopo, si. Lo aveva portato con sé. Quella volta, andarono, sempre su suggerimento di Mark, a fare una gita in barca sul laghetto. Lontano dalle strade, e lontano da cantieri. Cosa poteva succedere?

    Era molto rilassante, stare in barca così. Mark e Jane, sdraiati, su una barchetta a remi che il gestore del parco contenente il lago noleggiava, lasciandosi trasportare dalle onde, con il gatto che zampettava in giro, cercando di sfuggire all’acqua attorno a quel legno che docilmente vagava.
    Ad un tratto però, mentre passavano sotto ad una zona alberata, che avrebbe avuto la funzione di ripararli dal sole, si sentì un rumore forte, come un qualcosa che si spezzava bruscamente, seguito dallo staccarsi dall’albero di un ramo, che cadde nell’acqua.
    Spaventati, i due remarono via in fretta, ma il gatto di Jane, spaventato dall’acqua, le balzò addosso, facendola sbilanciare e cadere in acqua.
    Ciò non sarebbe stato un problema- le bastava risalire a bordo, no?
    Ma mentre lo faceva, si sentì di nuovo quel rumore.
    Di nuovo, un ramo cadde.
    L’acqua formò delle onde, colpita da un oggetto avente una certa velocità.
    Ma questa volta, le onde non avevano più quel colore blu cristallino che di solito si associa con esse, ma rosse; e Jane, ancora con le mani e metà del busto issato sulla barca su cui stava risalendo, era ferma il volto contratto in una smorfia di sforzo, con, nella schiena, il ramo che l’aveva colpita, che l'aveva trafitta, impalandola e uccidendola sul colpo.
    Mark urlò. Come già due volte prima di questa perse i sensi.

    E come già due volte prima di questa, quando aprì gli occhi, si ritrovò in un letto- il suo letto nella sua camera- madido di sudore.
    Guardò il telefono. Era l’una e 35 di notte del 15 Agosto. Questo non era un incubo. Ne era certo. C'era qualcosa di più sinistro sotto. Cosa, non lo sapeva né tantomeno voleva saperlo. Ma a quanto pareva, c'entrava il vedersi con Jane. Bene, avrebbe posto rimedio anche a quello.
    Prese il telefono, e mandò un messaggio alla ragazza, dicendo che si era sentito male durante la notte e dunque il giorno dopo non sarebbe potuto uscire.
    Dunque, si rimise a dormire.

    Quando si svegliò, alle 7:43 del 15 Agosto, si sentiva tranquillo. Non sarebbe successo nulla, quella volta, no? Con un sorriso, guardò il suo smartphone.
    E come un fulmine a ciel sereno, squarciando la quiete e significando una imminente disgrazia, vide un messaggio di Jane, in cui la ragazza gli diceva di non preoccuparsi, ma che dato che comunque aveva saputo di dover andare a fare dei giri, sarebbe passata di lì.
    Normalmente, un messaggio come quello avrebbe fatto piacere a Mark, ma in quel momento, tutto ciò a cui poteva pensare era la catastrofe imminente, catastrofe di cui non aveva alcuna prova, ma che si sentiva era imminente e impossibile da evitare. Il messaggio era di pochi minuti prima che si svegliasse, e una rapida occhiata al suo telefonino gli rivelò fossero passati già dieci minuti.
    Prese il telefono di fretta, e già stava per comporre il numero, quando lo sguardo si soffermò sulla finestra nella sua camera, quella dall'altra parte rispetto al letto, e su ciò che vedeva al di fuori di questa.

    E ciò che vedeva era la strada di fronte a casa sua, un vialetto alberato, dove ovviamente c'era anche la ragazza. Se non altro, non vedeva macchine o altre possibili fonti di incidenti. Ma non riusciva ancora a tranquillizzarsi. Qualcosa, non sapeva cosa, qualcosa continuava a minacciarlo, lo sapeva, lo sentiva. Un imprevisto improvviso e terribile.
    Ma la ragazza camminava tranquilla, avanzando tranquillamente tra gli alberi. Sembrava in pace, sotto il sole, nell’afoso caldo d'agosto che faceva sudare il ragazzo che osservava dalla finestra.
    Eppure la ragazza era ancora del tutto incolume, uscendo dall'alberato vialetto. Ormai era sotto casa sua, sotto al condominio in cui viveva.
    Nel cuore di Mark stava quasi nascendo una tenue speranza, che tutto fosse andato bene, che non fosse successo nulla, che quell’incubo fosse finalmente finito.

    Avrebbe dovuto sapere che non era possibile.
    Improvvisamente, si sentì da un piano sopra Mark un rumore sordo, come un urto, seguito da una imprecazione esclamata a volumi decisamente alti.
    E l'istante dopo, Jane era stesa a terra, un vaso contenente una pianta attorno a lei, il terriccio marroncino iniziando già ad assorbire il sangue che usciva copiosamente dalla sua testa, della ragazza che, senza dubbio, non aveva avuto alcuna possibilità di sopravvivere.
    Mark si sentì venire su un conato di vomito. Le sue gambe, come aveva previso, si stavano indebolendo. Cercò di mantenere la presa sulla sua coscienza che stava lentamente fuggendo, ma come una bestia che cerchi di agguantare, ma si dimena fino a scappare, essa fuggì e Mark svenne.

    Quando aprì gli occhi, si ritrovò in un letto- il suo letto nella sua camera- madido di sudore, per ormai la quarta volta. Guardò il telefono. Le 5:12, 15 Agosto.
    Anche quella volta aveva fallito.
    Ma non aveva intenzione di lasciare che tutto ciò continuasse.
    Basta.
    Se doveva essere condannato ad un’eternità di tutto ciò, allora…! Allora, ciò che andava fatto era nella sua mente chiaro, chiaro come la luce del giorno, come la luce che il sole, alto nel cielo, mandava, che illuminava quella calda giornata.
    Anche quel giorno- “anche” per modo di dire, era alla fine sempre lo stesso giorno- si sarebbe visto con la sua amica Jane.
    Si preparò, con calma- non sarebbe arrivata se non fra un paio d’ore, e aspettò, ingannando il tempo con qualche giochino per cellulare.
    L’appuntamento era al parco, ed egli vi si recò, trovando Jane già seduta su una panca da qualche minuto. Le sorrise, salutandola. Lei ricambiò il saluto, accarezzando il gatto che teneva in grembo.
    Si sedette di fianco a lei, e per qualche minuto parlarono. Eppure, c’era qualcosa di strano. Mark sembrava stare aspettando qualcosa. Jane ignorò quel pensiero. Era probabilmente la sua immaginazione.
    E d’improvviso, il suo gatto saltò via dal suo grembo, allertato da chissà quale stimolo, e corse verso la strada trafficata, dove le macchine sfrecciavano senza sosta.
    Jane non fece nemmeno in tempo ad alzarsi che Mark era già in piedi- e dopo un gesto che voleva significare “Non preoccuparti, ci penso io”, stava già correndo alla rincorsa del gatto.

    Tutto ciò che seguì, Jane lo vide come al rallentatore. Mark che camminava, stando attento alle auto attorno a lui. Il gatto che ancora correva, per motivi che solo egli conosceva. Il camionista distratto, che non vide Mark.
    E la testa di Mark che di netto si staccò dal suo corpo che cadde a terra quasi senza rumore, testa che vomitava sangue, testa sulla quale si era disegnata una smorfia che sembrava un sorriso, un sorriso sporco di sangue, un sorriso di libertà.
    Jane non resse quello spettacolo. Le sue gambe si indebolirono, e svenne.



    Quando aprì gli occhi, si ritrovò nella sua camera, madida di sudore. Il suo gatto le era in grembo, tranquillo come sempre. Guardò il suo telefono. Erano le 4:45 del 15 Agosto.
    Mentre accarezzava il suo gatto, Jane mormorò un’imprecazione.
    Anche quella volta, aveva fallito.

    Ispirato da: X


    Edited by DamaXion - 20/10/2017, 15:58
     
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    Happy Urepi Yoropiku ne~

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    ...se te lo dicessi poi...

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    Carina e ben scritta. Sono sconvolto dalla canzone che ti ha ispirato, é simpatica e disturbante allo stesso tempo :D8:
    ADOVO QVESTE COSEH :overdose:

    vedendo il video, forse avrei aggiunto più dettagli sul gatto e la sua natura oscura
     
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    Non conoscere alcune cose vuol dire sopravvivere

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  5. Jennifer33
         
     
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    bellissima storia complimenti
     
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    Oh boi

    Il mindfuck è davvero pesante in questa storia.
    C'è qualcosa di particolare nel linguaggio, è forbito per essere un racconto di narrativa, a tratti sembra quasi ironico, mi piace.

    Daje :stellina:
     
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    Bellissima storia, complimenti!
     
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    Ti ho già detto cosa ne penso, e inoltre ci son altri riscontri positivi qua sopra.
    Quindi buh, un motivo ci sarà.
    Mindfuck semplicemente geniale. :sisi:
     
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  9. DarkFaye
         
     
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    Molto bella! Ti faccio i miei complimenti.
     
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    "Il solo immaginare che ti sto uccidendo mi ha fatto venire un sorriso in volto "

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    Bellissima! Mi sono innamorata di questa creepy e della canzone. Conosci qualche sito dove vedere la versione anime? Grazie!
     
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    Carina come idea, ma in certi punti è un po' pesante da leggere, specialmente all'inizio.
     
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