Un elefante sul patibolo

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    Ser Procrastinazione

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    I manifesti dello Sparks World Famous Shows, che venivano affissi nelle piccole cittadine del Sud degli Stati Uniti un paio di giorni prima che il circo vi arrivasse, si mostrano piuttosto anomali per chi abbia un minimo di dimestichezza con la cartellonistica circense di inizio secolo.
    Laddove ci si aspetterebbero titoloni roboanti, claim pubblicitari enfatici ed iperbolici, il circo Sparks — in maniera fin troppo dimessa — si definiva uno spettacolo “morale, piacevole e istruttivo“; invece di sbandierare meraviglie inaudite, sosteneva di “non aver mai tradito una promessa” e pubblicizzava i suoi “25 anni di rapporto onesto con il pubblico“.

    Il motivo per cui il proprietario Charlie Sparks si limitava a sottolineare la trasparenza e la correttezza della sua impresa, era che non aveva molto altro su cui puntare per attirare le folle. A dispetto del buon nome di Sparks (tra gli impresari più rispettabili e reputati) il suo era in definitiva un circo di seconda categoria. Era composto da una dozzina di carrozzoni, contro i quarantadue del suo principale rivale nel stati del Sud, il John Robinson’s Circus. Sparks aveva cinque elefanti, Robinson dodici. Ed entrambi ovviamente nemmeno si sognavano di competere con il numero uno, il Barnum & Bailey, e la sua impressionante carovana composta da ben ottantaquattro carrozze.
    Così, lo Sparks World Famous Shows si teneva alla larga dalle città più grosse e vivacchiava raggiungendo i piccoli centri, ignorati dai circhi più famosi, là dove per gli abitanti perfino le sue attrazioni sarebbero state meglio di niente.
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    Nonostante il circo Sparks fosse in crescita “non spettacolare, ma lenta e sicura“, in quegli anni non offriva ancora granché: qualche foca ammaestrata, qualche clown, cavalieri e ginnasti, il ben poco memorabile “Uomo che Cammina sulla Sua Testa“, e alcune statue viventi come quelle che oggi restano ad aspettare una monetina nelle piazze.
    L’unica vera risorsa di Charlie Sparks, il fiore all’occhiello messo in bella mostra sui manifesti, era Mary.

    Pubblicizzata come “7 centimetri più alta di Jumbo” (il celeberrimo elefante del circo Barnum), Mary era un pachiderma indiano di cinque tonnellate in grado di suonare diverse melodie soffiando nei corni, e di giocare a baseball come pitcher in una delle più amate routine del suo spettacolo. Mary costituiva la principale fonte di introito per Charlie Sparks, che la adorava per motivi economici ma anche, per così dire, sentimentali: era il solo elemento del suo circo che fosse davvero di classe superiore, il suo appiglio per sognare di entrare nella storia dell’intrattenimento.
    E in un certo senso è proprio a causa di Mary se Sparks è ancora oggi ricordato, anche se non nel modo che egli avrebbe sospettato o voluto.

    L’11 settembre 1916 Sparks piantò le tende a St. Paul, una cittadina mineraria della Clinch River Valley in Virginia. Fu proprio quel giorno che un addetto delle pulizie presso l’hotel locale, tale Walter “Red” Eldridge, decise che ne aveva abbastanza di spazzare pavimenti, e si unì al circo. Nonostante Red avesse una storia di vagabondaggio alle spalle, e non sapesse evidentemente nulla di elefanti, venne incaricato di guidare i pachidermi durante la parata che Sparks organizzava per le strade della città il pomeriggio prima degli spettacoli.
    Il giorno seguente il circo si spostò a Kingsport, Tennessee, dove Mary sfilò tranquilla per la strada principale fino a quando gli elefanti vennero portati verso un fosso ad abbeverarsi. E qui le testimonianze si fanno contraddittorie: quello che sappiamo per certo è che Red inferse a Mary un colpo di bastone di troppo, facendo infuriare la bestia.
    L’elefante, imbizzarrito, afferrò il custode novellino con la proboscide e lo lanciò in aria. Quando il corpo atterrò, Mary prese a calpestarlo e infine schiacciò la testa di Red Eldridge con una zampa. “E sangue e cervella e tutto il resto schizzarono ovunque sulla strada“, nelle parole di un testimone.

    Charlie Sparks si ritrovò in un attimo nel peggiore degli incubi.
    Senza contare la morte di un suo dipendente in una pubblica strada — non esattamente uno spettacolo “morale” e “istruttivo” — il vero problema era che l’intero tour si trovava ora in serio pericolo: quale delle prossime cittadine avrebbe accettato di ospitare un elefante fuori controllo?
    La folla domandava a gran voce che l’animale fosse soppresso e Sparks, a malincuore, comprese che se voleva salvare ciò che rimaneva della sua attività, Mary andava sacrificata e, con lei, i suoi personali sogni di grandezza.
    Ma uccidere un elefante non è così semplice.

    Il primo ovvio tentativo fu fatto sparandole cinque colpi di fucile. I pachidermi però si chiamano così per un buon motivo: la spessa barriera della pelle non lasciava entrare i proiettili in profondità e, nonostante il dolore, Mary non crollò. (D’altronde quando nel 1994 Tyke, un elefante di 3,6 tonnellate, uccise il suo domatore impazzando poi per le strade di Honolulu, ci vollero 86 colpi per fermarlo. Tyke divenne un simbolo delle lotte contro la crudeltà sugli animali nei circhi, anche grazie allo straziante filmato della sua fine).
    Qualcuno a quel punto suggerì di provare a eliminare Mary usando l’elettricità, un metodo utilizzato più di dieci anni prima per uccidere l’elefante Topsy a Coney Island. Ma nei paraggi non c’era modo di produrre una quantità di corrente sufficiente all’esecuzione.
    Fu deciso dunque che Mary sarebbe stata impiccata.
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    Il patibolo adeguato a reggere un simile peso si trovava nei cantieri ferroviari della vicina cittadina di Erwin, dove c’era una gru capace di sollevare interi vagoni per posizionarli sulle rotaie.
    Charlie Sparks, conscio di essere sul punto di perdere un animale che valeva circa 20.000 dollari, era risoluto a trarre il massimo dalla tragica situazione. Nel brevissimo tempo che occorse per trasferire Mary da Kingsport a Erwin, aveva già trasformato la pubblica esecuzione del suo elefante in un evento.
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    Il 13 settembre, in un cupo pomeriggio di pioggia e nebbia, una folla di più di 2.500 persone si radunò allo scalo ferroviario. I bambini stavano in prima fila per assistere alla straordinaria impresa.
    Mary fu condotta all’improvvisata forca, e incatenata per una zampa alle rotaie mentre gli uomini armeggiavano per passare una catena attorno al suo collo. Fissarono poi la catena alla gru, misero in moto l’argano, e l’impiccagione ebbe inizio.
    In teoria il peso del suo corpo avrebbe dovuto spezzarle il collo in breve tempo. Ma l’agonia di Mary era destinata a non essere veloce e indolore: nella concitazione del momento, qualcuno si era dimenticato di liberare la zampa dell’animale, che era ancora legata ai binari.
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    “Quando cominciarono a sollevarla — ricordava una testimone — udii le ossa e i legamenti schioccare nella sua gamba“; gli uomini liberarono in fretta e furia la zampa, ma a quel punto la catena che sospendeva Mary per il collo si ruppe con uno schiocco metallico.

    L’elefante crollò a terra e rimase lì seduto, incapace di muoversi perché nella caduta il suo bacino si era rotto.
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    La folla, ignara che Mary fosse ormai ferita e paralizzata, fu presa dal panico nel vedere l’elefante “assassino” libero da ogni catena. Mentre tutti correvano a nascondersi, uno dei manovali si arrampicò sulla schiena dell’animale e applicò al suo collo una catena più pesante.
    La gru ricominciò quindi a sollevare nuovamente l’elefante, e questa volta la catena resse.
    Dopo la morte, Mary venne lasciata a penzolare per mezz’ora. Il suo enorme corpo fu poi seppellito in una grande tomba scavata poco più avanti lungo i binari.
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    L’esecuzione di Mary, e la foto della sua impiccagione, ebbero un largo successo sulla stampa. Ma se pensate che gli articoli dell’epoca raccontassero la strana storia con particolare emozione o partecipazione, vi sbagliate. Per i contemporanei le vicende di Mary erano poco più che una classica bizzarria di provincia.
    D’altronde si era abituati a ben altro. Sempre a Erwin, in quegli anni, un uomo di colore era stato bruciato vivo su una pira formata con le traversine della ferrovia.
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    Oggi gli abitanti di questa tranquilla cittadina del Tennessee sono comprensibilmente stanchi di essere associati a una bizzarra e infelice pagina di storia della loro città — a un episodio peraltro risalente a un secolo fa.
    Eppure, ancora adesso, qualche straniero di passaggio rivolge loro la risaputa, sgradevole domanda.
    “Non è qui che avete impiccato un elefante?“
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    Un approfondito libro sulla storia di Mary è The Day They Hung the Elephant di Charles E. Price. Su Youtube potete trovare un breve documentario intitolato Hanging Over Erwin: The Execution of Big Mary.


    Edited by Medea MacLeod - 16/9/2016, 18:29
     
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    Lo lessi già a suo tempo su BB, vicenda davvero molto molto triste.
     
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    Ho sempre odiato i circhi che sfruttano gli animali, sapere che la situazione dal 1916 non è poi tanto cambiata, mi fa dubitare molto sull'evoluzione della specie umana.
    Detto questo, articolo molto interessante
    :)
     
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    Tutto ciò che è tuo spetta a me di diritto, e mio dovrà essere.

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    CITAZIONE (Pasta Alla Creepy @ 17/9/2016, 10:37) 
    Ho sempre odiato i circhi che sfruttano gli animali, sapere che la situazione dal 1916 non è poi tanto cambiata, mi fa dubitare molto sull'evoluzione della specie umana.

    E a me mi meraviglia che, ancora oggi, quando un animale si imbizzarisce e uccide qualcuno, si chiede "giustizia" uccidendo l'animale come se quest'ultimo avesse avuto la volontà di architettare un omicidio.
     
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    CITAZIONE (_DarkPrince_ @ 22/9/2016, 18:51) 
    E a me mi meraviglia che, ancora oggi, quando un animale si imbizzarisce e uccide qualcuno, si chiede "giustizia" uccidendo l'animale come se quest'ultimo avesse avuto la volontà di architettare un omicidio.

    E poi qui in Italia abbiamo gli assassini che vengono condannati solo 10 anni (e se li danno..)
    Che bastardi uccidere in questo modo un animale, avrei impiccato loro ad uno a uno piuttosto.
    I circhi sono incentrati solo sullo sfruttamento animale, non dovrebbero esistere.
     
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    CITAZIONE (~SheWolf~ @ 27/10/2016, 22:45) 
    E poi qui in Italia abbiamo gli assassini che vengono condannati solo 10 anni (e se li danno...)

    Apro una piccola parentesi OT: non è vera questa affermazione. Dipende dal tipo di omicidio. Dieci anni si danno ad un omicidio colposo, quello premeditato può essere punito anche con l'ergastolo fine pena mai, a seconda della gravità e del modus operandi, senza togliere le varie attenuanti generiche che possono permettere all'imputato di avere uno sconto di pena.
    Dieci anni per un omicidio premeditato non esistono né in cielo e né in terra.
    Fine OT/
     
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    Piccola riapertura OT (e poi basta)
    Se metti a confronto l' Italia con l'America ti accorgi subito che c'è una grande differenza di pena: in America gli assassini pagano la pena più pesantemente, ed è cosi che deve essere, cosi i criminali ci pensano più volte prima di fare qualcosa.
     
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