Bronx

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  1. sedimitik
         
     
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    Ho detto a Kohei di aver scritto il racconto in qualche ora, ma in realtà non è così. Questo racconto ha una storia lunga e travagliata, la prima edizione la mandai a Rory, la quale doveva leggere il racconto e dirmi il suo parere. Non lo fece mai. I napoletani hanno memoria corta.
    Ma tutto sommato devo ringraziarla, se m'avesse fatto passare la prima edizione a quest'ora non avrei potuto aggiungere delle modifiche che rendono il testo più leggibile.
    Considero molti di voi dei veri e propri amici e devo dirvi che iniziai a scrivere per espiare i miei sentimenti e la mia rabbia, perché in fondo per me scrivere è catarsi, ciò che mi ha permesso di andare avanti nei momenti più bui e farmi cavalcare le onde dei ricordi come un catamarano col vento a favore. Per me i momenti bui sono quei momenti dove la persona a cui vuoi veramente bene non c'è per un motivo o per un altro e questo mi fa stare in un inferno senza fiamme. E' impossibile dire che sono caduto in depressione, perché non è vero, ma sì, son stato davvero male, vuoi perché è il primo amore, vuoi perché son così, ma tornerei a quei giorni per amare come non ho mai fatto in vita mia. A diciassette anni è impossibile dire che si è uomini vissuti, tanto meno che si sa cos'è l'amore, ma credo profondamente in quella reazione chimica che fa scoppiare la nostra dopamina e posso tranquillamente dire, che sì, credo nell'amore, a qualunque età.
    Il racconto è stato creato con degli spezzoni che volevo aggiungere in altri racconti, ma che ho preferito riservare per creare un qualcosa di più bello. Confrontando questo racconto con altri che ho scritto, posso dire che a mio parere, questo è il migliore che io abbia creato.
    Spero che voi tutti possiate apprezzare il mio stile, non ho bisogno di molti lettori, né tanto meno di molte approvazioni, se questi pensieri non andranno d’accordo con i vostri non potranno che essere cattivi, ma in caso contrario pregherei perché stessi sognando. Leggo giorno e notte, per entrare nelle vite dei personaggi dei miei libri preferiti, per vivere quelle emozioni così forti che vorrei vivere anche io. Credo vivamente di essere un dipendente da lettura, la mia realtà molte volte è distorta, mi capita spesso di parlare con le citazioni dei più grandi libri che abbia mai letto.
    Detto questo non mi resta che augurarvi buona lettura.


    "Oltre la strada c'è il "bel quartiere". Quel quartiere dove passano gli uomini d'affari in giacca e cravatta, le segretarie degli uomini d'affari in gonna e giacchetta. Gli stessi uomini che ci hanno ridotto così, per la loro sete di potere, guadagnano milioni l'anno e si lamentano della crisi. Eppure, noi del Bronx, con i pochi spiccioli che abbiamo, continuiamo ad andare avanti. Famiglie composte da sei o sette persone portate avanti da uomini coraggiosi che chiamiamo "papà". La parte ironica di tutto questo è che non solo i ricconi del "bel quartiere" non ci danno un aiuto economico, basterebbe anche una piccola parte del loro stipendio annuale per risollevare il Bronx, ma ci snobbano e ci insultano. Ci trattano come animali, come se avessimo una qualunque malattia, come se fossimo il loro problema giornaliero. Oh, quante ne ha sentite mio padre mentre lavorava da servo per costoro. Ci deridono senza motivo, inveiscono contro di noi senza motivo. C'è chi bestemmia, chi impreca sui cani o sulle puttane, e c'è anche chi, come loro, maledice essere umani, avendo come unica colpa il colore della pelle.
    Siamo lo scarto della società newyorkese, siamo l'ultima ruota del carro, ma non sempre. Già, si fanno furbi... molto furbi ogni qualvolta vogliono sostegno per le elezioni politiche, ecco che spuntano i ricconi del "bel quartiere". Promesse, su promesse, su promesse che mai verranno rispettate.
    Sai quante ne ha sentite mio padre? Non è riuscito a tenere più il conto. Vedi se anche solo una di queste promesse è stata rispettata. Ne bastava una per far cambiare il quartiere ma hanno preferito continuare a trattarci come animali. Anzi, magari fossimo trattati come i loro animali, avremmo un posto caldo dove dormire quando arrivano le bufere di neve.
    Ma noi abbiamo deciso di ribellarci, siamo esseri umani. Ci accusano di essere i loro principali problemi? Ci accusano di essere la causa della criminalità a New York?
    Ebbene, criminalità saremo, ci ribelleremo, non avremo paura, ci uniremo e ci batteremo così forte, che anche il presidente degli Stati Uniti ci ascolterà e risolleverà il Bronx. Noi siamo i Black Guys."
    "Così concluse Alfred, incappucciato, davanti alle telecamere di tutta la Nazione. Quattro giorni dopo sarebbe morto in uno scontro fuoco, mentre combatteva la sua battaglia" disse a gran voce il televisore.
    Le madri piangevano, i figli si riunivano, una nuova guerra ferveva per le vie del Bronx. La polizia ammassava le sue camionette, centinaia di agenti si collocavano alle varie entrate del ghetto.
    Sorgevano checkpoint, nessuno poteva entrare o uscire dal malfamato quartiere se prima non veniva controllato da cima a fondo, ma nonostante questo le armi passavano, le munizioni passavano.
    Le notti trascorrevano tra uno sparo e l'altro, sirene che risuonavano nell'aria ed esplosioni.
    Sembrava di essere in guerra.
    Una di queste sere, due ragazzi camminavano per il corridoio del loro blocco. Avevano il compito di sorvegliare tutta la zona Nord del blocco C, il blocco dov'erano nati e cresciuti per ventitré e diciannove anni.
    James si appostò nello stesso luogo dove vide per l'ultima volta suo padre. Ci teneva molto a quel piccolo paradiso, si ricordava la sera in cui lo prese in braccio e lo sedette sulle sue gambe, tutto si sarebbe immaginato, tranne che il giorno dopo sarebbe stato investito da una macchina di un abitante del "bel quartiere". Da quel giorno la guerra del Bronx aveva chiamato anche lui e suo fratello.
    Merl era appostato davanti al cancello, stava fumando, come suo solito.
    Lui e James erano due fratelli, nati nel Bronx persero il loro padre quando avevano corrispettivamente otto e dodici anni.
    Merl era l'uomo di famiglia, aveva ventitré anni, alto, una folta barba, occhi color nocciola e denti bianchi come le nuvole nonostante fumasse molto. Adorava indossare il suo capello Jordan, abbinato alle scarpe dell'omonima marca, nonostante fossero ormai usurate dal tempo.
    Prima della guerra del Bronx, Merl lavorava da un meccanico, lavoro che gli permetteva di mantenere la numerosa famiglia. Aveva un ruolo molto importante nel comando dei Black Guys: era una pietra miliare nel contrabbando dei chiodi. Le bombe fabbricate dagli armaioli dei Black Guys contenevano fino a duecento chiodi, tanto che la polizia contò fino a settantotto morti, in due anni, dovuto ai chiodi, per tale motivo la polizia vietò l'ingresso di qualunque tipo di chiodo nel quartiere.
    James era il secondogenito, portava il codino e anch'esso fumava, prese il vizio dopo la morte del padre. James era molto più sbandato di suo fratello Merl: cocaina e cocktail erano la base dei party in discoteca, si portava ogni sera una donna a letto e non lavorava, motivo di frequenti litigi tra lui e sua madre. L'unico impiego che riuscì a trovare fu da "soldato" nella guerra del Bronx.
    Parlarono al walkie talkie del più e del meno, parlarono di papà, di mamma e dei loro 4 fratellini più piccoli.
    La notte passava tranquilla, i soliti spari, le sirene e ogni tanto qualche esplosione.
    Ad un tratto una squadriglia della polizia composta da tre autovedette si fermò davanti al blocco C.
    James, che era sul tetto, avvisò subito i Black Guys del pericolo e venne informato che una decina di combattenti si avviavano verso il loro blocco.
    Cinque agenti scesero dalle tre auto, uno di loro, alto, grasso e baffuto, perquisì Merl.
    Merl cominciò a parlare con gli agenti, cercava di perdere più tempo possibile, sperando che arrivasse qualcuno a salvarlo, perché sapeva che se avessero trovato la sua 9mm lo avrebbero accusato di far parte dei Black Guys e sarebbe finito dietro le sbarre.
    James era a conoscenza di cosa accadeva ai detenuti accusati di far parte dei Black Guys, venivano picchiati, umiliati e torturati dalla polizia affinché rivelassero qualcosa di importante che sapessero, come ad esempio, nomi dei combattenti, nascondigli di armi e i misteriosi miliardari che finanziavano i ragazzi del Bronx.
    James decise di sparare dei colpi in aria, nel vano tentativo di far allontanare la polizia la quale, purtroppo per lui, cominciò a sparare nella sua direzione.
    Una scarica di proiettili arrivò verso la sua postazione, sapeva che quella era la fine, la polizia non se ne sarebbe andata via finché non avrebbe preso anche James.
    Come un miracolo arrivarono i componenti dei Black Guys e strage fu. Cominciarono a sparare contro le auto della polizia e buttavano, come se non ci fosse un domani, esplosivi di qualunque tipo.
    Tutti gli agenti morirono, in quindici erano, due auto vedette presero fuoco mentre la terza era diventata uno scolapasta.
    I Black Guys riunirono i corpi e buttarono della benzina su di essi, il fetore dei corpi bruciati si alzò nel quartiere, anche il corpo di Merl bruciava.
    Il ventitreenne morì con un colpo alla testa, molto probabilmente dovuto dagli spari incondizionati dei ragazzi del Bronx.
    James scappava in lacrime tra i blocchi assieme ai Black Guys, le volanti sfrecciavano nelle strade, facendo rimbombare l'assordante rumore delle sirene, miscelato a quello delle ambulanze, che si accorsero di essere inutili, se non per prendere i corpi bruciati. Due elicotteri si alzarono in cielo, costringendo a far tornare a casa tutti i combattenti dei Black Guys, per quella sera gli spari, le esplosioni e i combattimenti finirono, non finirono le sirene che sfrecciavano nelle strade, osservate da imponenti palazzine, dove ogni abitante era pronto a sparare contro la polizia nel caso avesse avuto la malaugurata idea di arrestare qualcuno.

    "Che cazzo ti è preso, imbecille" urlò Rick.
    Rick era uno dei massimi capi dei Black Guys, basso e grasso, aveva un'innata intelligenza e bravura nell'organizzare i guerriglieri, era un peccato sprecarlo nei combattimenti in strada.
    "Non lo so, non volevo che arrestassero pure lui, volevo continuare a vedere mio fratello." James era in lacrime, oltre a suo padre perse pure il suo amato fratello.
    "Basta piangersi addosso non serve, piuttosto, pensiamo a te" disse preoccupato Rick.
    "Non ci sono testimoni che mi abbiano visto in volto, posso continuare la guerra" affermo James singhiozzando.
    "Non se ne parla. Hai una famiglia da mantenere, ti troverò un lavoro che ti darà sia uno stipendio e sarà utile anche ai Black Guys, ora torna a casa, tua madre è disperata. Ti farò sapere per il lavoro." Concluse Rick.
    James se ne andò senza dire una parola, Rick sperava vivamente che non si fosse messo in qualche altro guaio.

    Rick non tardò. Una settimana dopo l'incontro arrivò un lavoro per James.
    "Commesso da Zio Natà, quindi è questo il lavoro che ci permetterà di mangiare" disse la madre di James.
    " A quanto pare." Rispose freddo James.
    Dopo la morte di Merl, i rapporti tra James e sua madre erano notevolmente peggiorati, neanche il lavoro offerto da Rick era riuscito a rimettere in sesto i rapporti.
    Juddith, la madre di James, era da sempre contraria all'arruolamento dei suoi figli nei Black Guys, anche lei era venuta a conoscenza di fatti inquietanti tra le mura delle prigioni.
    Infatti, Flammy, una sua cara amica, aveva un figlio di vent'anni che venne arrestato dalla polizia perché accusato di far parte dei guerriglieri del Bronx e che il suo ruolo era quello di spia negli uffici della polizia. Secondo gli investigatori, il ragazzo, entrava nei vari distretti di polizia, rubava delle importanti informazioni e tornava a casa correndo. Un piano molto astuto, se non fosse che il ragazzo era nato senza gambe, quindi tutti si chiesero come potesse correre, inutile dire che venne ucciso in prigione mentre tentava di evadere, a dire della polizia.
    A James venne consegnata una busta nella quale erano inserite le istruzioni per essere "utile" ai Black Guys.
    "Zio Natà" era un fast food gestito da Natale De Rossi, mafioso italiano che si occupava del contrabbando delle munizioni. Il suo compito era quello di far passare le munizioni dal "bel quartiere" al Bronx, il suo modo di lavorare era molto astuto. Le munizioni arrivavano nei recipienti per l'olio, ottimo modo per mascherarle, quando arrivava un controllo della polizia, Zio Natà, buttava il contenuto dei recipienti dentro le friggitrici. L'olio scuro, poiché in ebollizione e vecchio di tre mesi, era un perfetto nascondiglio per i proiettili, infatti nessun funzionario della polizia aveva la malsana idea di ispezionare quelle friggitrici, dove l'olio bolliva giorno e notte.
    Il giorno dopo James andò da Zio Natà, lo riconobbe subito. Capello bianco, abito proveniente dalla vecchia Europa, scarpe tirate a lucido e viso incredibilmente perfetto. Non si notavano i suoi settant’anni, inoltre, nonostante fumasse in continuazione il sigaro, la puzza dovuta al fumo era appena accennata, perché coperta dal suo profumo, anch'esso proveniente dall'Europa.
    "E tu saresti James, giusto?" L'accento italiano di Zio Natà era molto marcato.
    "Sì, sono io. Ho il piacere di conoscere Zio Natà, giusto?" Rispose freddo James.
    "Esatto." E scoppiò in una risata. "Si vede che sono molto conosciuto. Non perdiamoci in chiacchiere e passiamo subito al lavoro. Spero per te che hai letto a fondo la lettera, perché io, non ho intenzione di spiegarti tutto da capo. La paga è buona, il rischio è alto, non abbiamo bisogno di gente che si spaventi della propria ombra, o sei dentro o sei fuori. Cominci oggi stesso, buon lavoro."
    Le giornate erano sempre le stesse al "Zio Natà". James friggeva le patatine, le metteva in una ciotola e le passava al Ted che a sua volta le passava a Paul con l'aggiunta di un hamburger. A sua volta Paul metteva la bevanda e vendeva il tutto per il modico prezzo di cinque dollari.
    Ma non erano i cinque dollari a portare avanti il "Zio Natà" ma bensì il contrabbando e non tardò ad arrivare l'attività criminale.
    Un normale giorno lavorativo, Natale De Rossi, si mise a cantare "Mala fimmina", celebre canzone del Sud Italia.
    Poteva essere molto bella come canzone, se non fosse che era il segnale per avvisare dell'arrivo della polizia. James prese i fusti contenenti le munizioni e gli butto subito nelle friggitrici. In pochi secondi più di dieci chili di munizioni scomparirono dalla sua vista.
    La polizia arrivò e cominciò a perquisire ma non trovo nulla se non hamburger, patatine congelate e bevande di tutti i tipi.
    Quella fu la prima volta in cui James occultò le munizioni, la sera stessa spense le friggitrici, lasciò l'olio raffreddarsi, prese tutti i proiettili, li lavo con acqua e sapone, li rimise nei fusti e gli consegnò agli scagnozzi di Zio Natà, i quali avrebbero rivenduto il tutto il giorno seguente.

    E così andò avanti per quattro lunghi mesi, finché un giorno Paul si assentò per motivi di salute. James prese il posto del collega alla cassa e si accorse di quanto fosse difficile relazionarsi con le persone.
    "Patine piccole, Coca-cola e hamburger senza cipolla" diceva uno.
    "Patatine grandi... anzi no... piccole... anzi no, mi scusi le metta grandi, pepsi, non coca-cola e hamburger con tanta cipolla" diceva l'altro.
    "Coca-cola e hamburger con abbondante insalata" diceva un altro ancora.
    James era sempre lì ad ascoltare degli imbecilli obesi che a loro tutto serviva tranne che un altro hamburger comprato a 20 cent al discount e delle patatine surgelate vecchie di quattro mesi.
    "Patatine piccole, Fanta e hamburger con poco formaggio" disse una gracile voce femminile.
    "Eh sì, arrivo..." la pigrizia invase James, si era stancato di prendere le ordinazioni da obesi che sputavano, ma poi la vide, era bellissima.
    Capelli castano scuro, occhi verdi, un lieve accento di lentiggini e degli occhiali che ricoprivano una parte del volto.
    "Buonasera signorina, desidera?" Disse un pimpante James.
    "Memoria corta eh... Patatine piccole, Fanta e hamburger con poco formaggio. E comunque si dice "buongiorno", sono le 12:04" disse un'altezzosa fanciulla.
    "Ehm… sì giusto." La timidezza aveva conquistato James, ma ancor di più, la bellezza di quella ragazza, era inimmaginabile. James ci sapeva fare con le donne, ma solo per portarsele a letto, lui era abituato a delle ragazze senza pudore che appena chiedevi di trombare erano sotto di te a farti del buon sesso orale. Ma quella ragazza era diversa, lo si vedeva e James non sapeva che fare, perché per James era il primo vero amore. Quell'amore che ti fa cambiare, quell'amore strano, quell'amore pazzo, quell'amore che ti fa fare pazzie. A quel punto poco importava della morte di Merl, James si era innamorato. Puttane e droga, non contavano più nulla, lui aveva trovato l'amore ed era deciso a prenderselo.
    Il ragazzo andò dietro al bancone a comporre il menù della ragazza e chiese a Zio Natà qualche consiglio sul come comportarsi.
    "Senta Zio Natà, la vede quella fanciulla?"
    "Uè picciott, io vedo tutto, anche il tuo amore per quella picciotta e la tua figura di merda." E Ted scoppiò a ridere alle parole di Zio Natà.
    "Ehm… Sì, ok. Mi dà qualche consiglio?" Chiese James.
    "Intanto chiedile se ritornerà qua. Nel caso non dovesse tornare chiedile subito il nome e numero, in Italia si fa così" disse sicuro di sé Zio Natà.
    James prese il piatto della signorina e glielo portò al tavolo, un servizio d'onore se si considera che in quel fast-food bisognava ringraziare se ti salutavano quando parlavi con i commessi.
    "Rieccomi signorina, le ho portato il suo piatto." Disse frettolosamente James, così tanto che la fanciulla non capì.
    "Ehm... Cosa? Parli più piano." Rispose.
    "Rieccomi signorina, le ho portato il suo piatto." Disse schiarendosi la voce.
    "Ah sì grazie mille." Rispose con un sorriso.
    "Mi dà il suo numero?" chiese James.
    "Così? Su due piedi? Senza neanche chiedermi come mi chiamo?" Chiese scherzosamente la ragazza.
    "Tornerà qua?" Replicò un impacciato James.
    "Sì, penso di sì." Disse sorridendo la ragazza.
    "Piacere James."
    "Piacere Simona, per gli amici Sissy."
    "Ma quindi io come ti posso chiamare?"
    "Considerato che sto per darti il mio numero... chiamami Sissy." E dettò il suo numero di telefono a James.
    "Beh...Grazie...Mi farò sentire io. Ti lascio al tuo pranzo."
    James tornò dietro al bancone vittorioso, aveva il numero di una ragazza di cui si era innamorato solo vedendola, dentro di sé sentiva che era quella giusta.
    "Picciotto gran bella mossa." Disse con un sorriso di sfotto Zio Natà.
    "Mai visto un inizio migliore." Replicò tra le risate di Zio Natà il giovane Ted.

    Le giornate al Zio Natà erano scandite dall'attesa snervante di James che aspettava Sissy, i controlli della polizia, gli occultamenti e la vendita di ingenti quantità di munizioni, armi ed esplosivi ai guerriglieri del Bronx.
    "Ma quando arriva."
    "Tranquillo, ora arriva." Gli rispondeva Natale.
    "E se le fosse successo qualcosa?"
    "Stai tranquillo, ora arriva. Ma da quanti mesi vi sentite?" Chiese Paul mentre starnutiva sugli hamburger quasi pronti.
    "Oggi è un mese che ci sentiamo via messaggi, telefonate e qua al locale." Rispose sicuro di sé James.
    "Uè e allora chiedile di uscire, picciott." Disse a gran voce Zio Natale.
    "Lo farò oggi stesso." Rispose sempre un più sicuro di sé James.
    Sissy entrò al Zio Natà, aveva il suo maglioncino nero a buchetti, lo portava sempre quel giorno aveva i capelli sciolti ed emanavano un odore strano ma buono.
    James si diresse verso Sissy, che gli corse incontro abbracciandolo.
    "Ti porto il solito?" Chiese James.
    "No, oggi sono di fretta, sono passata solo per salutarti." Rispose Sissy.
    "Ah va bene, allora ti incarto qualcosa?"
    "No, stai tranquillo."
    "Bene, allora ti andrebbe di uscire con me qualche sera?" Chiese James prendendosi di coraggio.
    "Aspettavo da tempo che me lo chiedessi, dove andiamo?" Rispose Sissy.
    "Dimmi dove abiti, ti passo a prendere io venerdì sera alle nove in punto."
    Sissy spiegò a James dove abitasse e tornò al suo lavoro di gran fretta.

    Venerdì arrivò come un lampo, James non aveva la minima idea di dove portare Sissy. Il Bronx era fuori discussione, troppo pericoloso la sera. Così decise di portarla nel "bel quartiere", era sicuramente un posto più adatto per una signorina.
    "Mh... Numero civico undici, ma dove sarà mai..." Pensava tra sé e sé James.
    "Ciao James."Disse Sissy con il suo solito sorriso stampato in volto.
    "Ciao Sissy, stavo cercando il tuo civico."
    "Oh… Stai tranquillo è un po' difficile da trovare. Comunque, dove mi porti?" Chiesa incuriosita.
    "Avevo pensato di portarti nel "bel quartiere", di sicuro è meno pericoloso del Bronx."
    "NO!" Rispose arrabbiata Sissy. "Portami nel Bronx." Ordinò a James.
    "Perché nel Bronx? È pericoloso per una ragazza come te, considerando che non sei neanche di colore." Fece notare James.
    "Portami nel Bronx, ti racconterò una storia in macchina."
    James e Sissy si avviarono verso la malconcia auto di James, prestagli da sua madre.
    "Quindi? Che mi devi dire?" Chiese James.
    "Quando avevo dodici anni mio padre mi portò nel Bronx, aveva una Harley Davidson un po' malconcia e non poteva permettersi di ripararla. Uno dei problemi più grandi erano i freni, la moto frenava male. Mentre ci apprestavamo ad andare al centro del Bronx, in una piovosa giornata, la moto scivolò e ci fece cadere. Ne uscii illesa ma mio padre morì. Sbatté la testa sul ciglio della strada, non ci fu nulla da fare, era morto sul colpo."
    "Ne parli come una cosa normale."
    "Perché quello è nulla in confronto a ciò che è successo dopo."
    "Che è successo?"
    "La moto cadde su una vedetta della polizia. Erano tre agenti, uno di loro si occupò di chiamare l'ambulanza, un altro tentò di salvare mio padre mentre l'ultimo mi prese con sé."
    La voce di Sissy cominciò a tremare, le venne un nodo alla gola, le parole facevano fatica ad uscire ma voleva raccontare gli orrori che aveva subito a James.
    "Mi prese e fece di me un oggetto." Così concluse Sissy, così raccontò lo stupro ricevuto da un animale ad un uomo che gli avrebbe dato il suo amore, che avrebbe aperto il cuore per lei. Sapeva che poteva fidarsi di James e che l'avrebbe protetta, vedeva nei suoi occhi che era diverso, molto diverso da tutti gli altri uomini che aveva conosciuto. Riservava per lei molte attenzioni, non morbose, ma che comunque la facevano sentire protetta da un angelo custode.
    Il silenzio regnò nella macchina finché non arrivarono al Bronx.
    "Qua ti va bene?"
    "No, portami nel blocco D, saliamo sul tetto e mangiamo là."
    Passati alcuni minuti salirono sul tetto, si sedettero e cominciarono a mangiare. Quella sera non videro un film al cinema, né il sole tramontare, quella sera videro i violenti scontri del Bronx e li commentarono come fossero una partita del superbowl.
    Era una notte splendida, una di quelle notti che capitavano soltanto quando si è giovani e innamorati. Il cielo era così stellato, così luccicante, che dopo averlo contemplato veniva naturale chiedersi se sotto un cielo simile potessero vivere uomini che discriminavano un quartiere solo per la condizione sociale in cui lo avevano versato.
    Continuarono a vedersi nelle settimane successive, tutti i luoghi degli appuntamenti erano nel Bronx, più il tempo passava più Sissy entrava sempre più nel mondo di James.
    Parlavano di tutto. La guerra del Bronx, Zio Natà, la morte di Merl, dei capelli di Sissy, dei gessetti colorati per capelli, delle cuginette che ti trasformano in clown, dei bracciali, degli anelli, delle patatine fritte di Natale, degli hamburger da venti cent al discount, di una Rosa a cui James era particolarmente affezionato e di tante e tante altre cose che elencarle sarebbe impossibile, perché l'amore che James provava per Sissy era talmente forte che voleva conoscere sempre più a fondo quella bellissima dea di cui si era innamorato.
    E questo non era che l'inizio delle sere passate sul tetto del Blocco F con gli elicotteri che volavano sopra la loro testa, della bellezza senza limiti di Sissy, i suoi sorrisi come la luna piena in una notte buia e i suoi capelli pieni di profumo nel giardino della passione di James.
    Era sempre più innamorato di un angelo caduto dal cielo, quando amava viveva, forse male, forse bene, ma viveva. La morte di suo fratello lo aveva sconvolto, era distrutto, era morto. Ringraziava il suo Dio per avergli dato una ragione di vita, per aver fatto cadere il suo angelo più bello.
    Ringraziava sé stesso per aver desiderato qualcosa e nell'universo per aver cospirato affinché esso avesse realizzato il suo sogno, poter chiamare amore Sissy


    "Uè picciott, non m'hai raccontato come va con Sasso." Disse Zio Natà.
    "Sissy, si chiama Sissy." Rispose un esasperato James.
    “Beh… con quella, come va?”
    “Bene, bene. Ho intenzione di dichiararle il mio amore il più presto possibile.”
    “Ua picciot, so troppo contento per te.” Disse con un marcato accento italiano Zio Natà.
    “Lo farò domani sera, ci incontreremo sopra il blocco F e le darò l’anello.”
    “Ti ho istruito bene picciotto.”
    Il blocco F quella sera era deserto, non c’era nessuno. Non passavano neanche gli elicotteri, era tutto strano, come se qualcuno volesse dire un qualcosa a James.
    Dopo un piatto di pasta, precedentemente cucinato da Natale, James tirò un grosso respiro e si decise a dichiararsi.
    "Ti devo dire una cosa" disse spezzando il silenzio.
    "So cosa vuoi dirmi ma non lo dire" replicò.
    "Perché?" Chiese come un ingenuo.
    "Perché non provo lo stesso sentimento che provi tu nei miei confronti, sarei solo una bugiarda a dirti che ti amo."
    Un attimo di silenzio.
    "Sto per fare una cosa che ti farà molto male". Concluse Sissy.
    In un bacio i loro corpi si mescolarono, le emozioni viaggiavano come banchi di rondini durante la migrazione, il suo odore rievocava la passione di James, la sua saliva entrava di prepotenza come lei era entrata nel mondo di James.
    James odorò i suoi capelli e cadde in uno stato indescrivibile. Un odore che non riusciva ad identificare, era magico, era unico.
    L’incontro di quella sera durò di meno sopra il blocco F, ma durò abbastanza a casa di Sissy per far provare piacere ad entrambi. Il mondo per James era strano, le sue emozioni cambiavano come cambiava la corrente artistica per vari pittori. Prima si sentiva Dalì, poi Picasso, poi Van Gogh.
    Sissy accese una sigaretta mentre era cullata tra le braccia di James.
    “Ti fa male.” Disse James.
    “Poco importa.” Ripose.
    “Esiste una parola in lingua tedesca che è semanticamente traducibile in italiano: Zweisamkeit. È quello stato paradisiaco in cui due anime si ritrovano, formando un alone di solitudine fra loro, isolandosi dal mondo e bastando a se stesse. Quel palpito io lo sto provando.”
    “Dove hai preso questa frase? Non ci crederò mai che l’hai scritta tu.” Disse Sissy.
    “Alle superiori avevo una professoressa molto brava, buon’anima, ha combattuto contro tre tumori, fino alla fine della sua vita si è prodigata per far leggere ad ogni bambino della terra un libro. Credeva che i libri facessero liberare gli uomini.”
    “E come ci riuscivano?”
    “Cultura, semplicemente con la cultura.”
    Restarono in silenzio per un'altra mezz’ora, facendo semplicemente il nulla, osservando il buio, contemplando il silenzio e gustando la saliva del piacere personale di quella sera.
    “Sissy, devo andare, è tardi, domani devo lavorare.” Disse James.
    “Ok, vai...”
    “Domani mattina quando mi sveglierò, potrò rinominare il tuo nome sulla mia rubrica telefonica?” Chiese James.
    “No, sarò ora e per sempre, la tua Sissy. Ma ciò non vuol dire che non potremo più stare assieme.”
    Il mondo crollò su James, mentre andava verso il blocco C, ripensò a quella sera e ripensò al rifiuto ricevuto.



    Se il volto di James potesse esprimere i propri sentimenti, si ritroverebbe con le mani del suo padrone a nascondere la tristezza che lo assale. Dopo aver incontrato Sissy si immaginava con Lei e che l'avrebbe amato, tanto da piangere ogni volta che avessero fatto l'amore, si immaginava con dei figli che non avrebbero commesso il suo stesso errore, si immaginava con un lavoro che gli avrebbe portato ricchezza interiore ed esterna, si immaginava la guerra del Bronx vinta dai Black Guys, ma tutto ciò poteva rimanere nella sua fantasia.
    Sissy aveva rifiutato il suo amore, doveva metterselo in testa, ma almeno poteva continuare a contare sulla sua amicizia.

    "Stasera usciamo?" Chiese James.
    "Si, perché no? Però non solo noi due." Rispose Sissy.
    "Non ti piace più uscire con me?" Replicò James storcendo il naso.
    "No no, non è questo il fatto. Penso sia più bello portare gente, fare una sorta di gruppo con cui uscire, ecco. Potresti portare i tuoi amici."
    "I miei amici? Meglio di no." E rise. In fondo gli amici di James chi erano? Ragazzi della sua stessa età che facevano una guerriglia urbana nelle strade del Bronx? Oppure delle prostitute che non avevano alcun lavoro all'infuori della strada per mantenere la famiglia. Quindi la scelta di non portare i suoi amici fu la più saggia.
    "Allora porterò i miei amici, stasera incontriamoci da Natale." Concluse Sissy.

    La sera arrivò in fretta. James non era affatto convinto di quella scelta, chi erano gli amici di Sissy? Cosa volevano da Lei? Perché in fondo la vera preoccupazione di James non era quella di trovare qualche funzionario di polizia che odiava il Bronx e i suoi abitanti, ma che qualcuno gli rubasse Sissy. Come se in fondo fosse sua, ma cosa c'era di suo in tutto quello?

    "Ciao, piacere Max, tu sei?" Un pimpante giovane, con l'aria da fighetto, portava un giubbetto alla moda, quello dei poveracci, quello che possono permetterselo tutti, ma lui si credeva figo. Barba incolta, uno squallido paio di occhiali nero pece e una sorta di sciarpa, ma che non era una sciarpa, era una sorta di copri collo per motociclisti, ma non era per motociclisti. James pensò se davvero la gente possa indossare quegli abiti e, soprattutto, se si lavasse i capelli con l'olio. Il suo modo squallido di vestire e di essere simpatico, fece entrare di diritto Max tra le persone che gli stavano antipatiche.
    "Piacere, Daniel." Eccone un altro pensò James, un'altra testa di cazzo, fortunatamente questo ragazzo era accompagnato dalla sua fidanzata.
    Daniel aveva le sembianze di un cinese, rideva come un cavallo.
    "Ma vieni dalla Cina?" Chiese James a Daniel.
    "No, ma è una domanda che mi pongono in molti." Disse ridendo.
    James non capiva cosa ci fosse da ridere, tutti lo prendevano per il culo e lui rideva.

    Tre ragazzi e due ragazze al zio Natale dopo l'orario d'apertura a mangiare schifezze. Ovviamente James sapeva le schifezze che si davano da mangiare e la spuntò dicendo di aver mangiato prima.
    Per tutta la serata James tenne sott'occhio Max e quella sua fastidiosa simpatia. Max allungava le mani e ci provava spudoratamente con Sissy.
    Più il tempo passava più James si arrabbiava, la rabbia saliva, cieca quasi senza freni. La gelosia era a livelli inimmaginabili, voleva alzarsi e picchiarlo. Ma ne valeva la pena? Gli avrebbe rotto il naso, spaccato il labbro, fatto cadere qualche dente, e poi? Quale sarebbe stata la conclusione? La soddisfazione di aver picchiato quel coglione? La soddisfazione di aver picchiato un uomo che ci provava con Sissy? Quanti altri ci hanno provato e ci proveranno con Sissy?
    James tirò alla conclusione di dover chiudere il locale, ordini superiori disse e fece uscire tutti.

    "Non è simpatico Max?" Disse Sissy nella macchina di James mentre l'accompagnava a casa.
    "Oh sì proprio, una sagoma." Replicò.
    "Noto sarcasmo nelle tue parole."
    "Ma chi io? Impossibile."
    "Si può sapere cos'è successo?" Chiese Sissy.
    "Niente di particolare. Solo un coglione che ci provava spudoratamente con te davanti a me."
    "E tu chi saresti?"
    "In che senso?"
    "Chi sei per me? Mio padre? Il mio ragazzo? Mio fratello?"
    "Un uomo che ti ama."
    "Ti ho già detto che non provo lo stesso sentimento e ti ho detto che potremmo stare nell'amicizia quanto vorrai. Ma se fai così, neanche la mia l'amicizia ti meriti."
    "No, sai che c'è?"
    "Cosa?"
    "Che tu non capisci quanto cazzo ci tengo a te. Te ne fotti, vai con chi vuoi, stai con chi vuoi."
    "James, perché stai facendo così?"
    "Sto facendo così perché una lurida testa di cazzo ci sta provando con te. Una lurida testa di cazzo mi sta sui coglioni ci sta provando con te. Lo odio, cristo, lo odio. L'avrei preso a pugni in bocca, gli avrei spezzato il gomito, gli avrei tagliato le palle e messo l'olio da frittura su per il culo se non ci fossi stata tu."
    "Tu sei pazzo, ferma la macchina."
    James si fermò.
    "Fanculo James, ti credevo diverso, sei un coglione."
    "Dai Sissy, stavo scherzando."



    "Bello scherzo del cazzo eh..." Disse Giacomo.
    Giacomo veniva dall'Italia, precisamente da Salerno, una città sulla costa, molto carina. Giacomo e James si conobbero in Repubblica Ceca 3 anni dopo la fine della guerra del Bronx. James non avendo più un lavoro, poiché Zio Natà era stato chiuso, decise di darsi allo spaccio intercontinentale di metanfetamina. In uno di questi suoi viaggi di lavoro, conobbe Giacomo con il quale instaurò fin da subito un legame di amicizia molto profondo, al tal punto di incontrarsi una volta l'anno nelle rispettive città di appartenenza.
    "Quando sei incazzato non capisci più nulla." Rispose James mentre gustava i suoi maccheroni con gli occhi gonfi dal pianto.
    "Quanti anni sono passati?"
    "Undici."
    "Cazzo, dodici anni e ancora ci pensi. Pensa ai tuoi amici dei Black Guys massacrati dall'esercito."
    "Chi se ne frega di quei quattro coglioni, la sconfitta era stata già scritta." Disse James.
    "Ma perché hai detto quelle cose?"
    "Perché le volevo bene, quel Max non mi è mai piaciuto."
    Giacomo accennò un sorriso.
    "Voglio raccontarti una cosa, è capitata prima che conoscessi la mia attuale ragazza. Avevo conosciuto sul mercato dell'eroina una ragazza di due anni più grande di me che condivideva le stesse passioni per lo spaccio. Capitava spesso che la contattassi per parlarci perché mi faceva piacere discutere con lei del più e del meno. Mi ricordo che qualche volta feci delle cazzate e le chiesi scusa per il mio comportamento, ripensandoci ora non lo farei mai. Con il tempo mi son reso conto che ero sempre io a cercarla e, quando ho provato a parlarle e a spiegarle che dopo tanto tempo, potevamo addirittura incontrarci fuori dal lavoro, lei ha interpretato male le mie parole. Si preoccupò del mio attaccamento nei suoi confronti. Lì per lì ci rimasi male perché non capivo come mai pensasse quelle cose. Da allora non ci siamo più sentiti, lei non ha accettato me tra i suoi amici ed io ho proseguito la mia vita. Ammetto che non era male come ragazza, ma non speravo in nulla di più che dei semplici botta e risposta. Però aveva un'amica di nome Karin che era molto molto bella.
    Con questo voglio dirti che le ragazze non sempre capiscono ciò che noi ragazzi intendiamo dire e che probabilmente questa ragazza non è la persona compatibile con le tue caratteristiche. E inoltre, tu che diverti ad insultare quel Max e il cinese, tu sei molto meglio di loro? Potrai avere il capotto che ha un valore più alto, ma cosi come lui ha dei difetti e gli abbiamo visti entrambi. Gelosia, ossessione e stupidaggine, per te, sono all'ordine del giorno." Concluse Giacomo.
    "Sai cosa?" Chiese James.
    "Cosa?"
    "Cercheremo l'amore altrove, solo una cosa rimane sicura, ognuno avrà la propria vita e proprio questo fa paura."
    James continuò con: “Ricordo che in quel periodo di crisi riflettevo su ogni particolare, su ogni parola, su ogni gesto e la strofa di quella canzone mi fece riflettere sui motivi che mi portavano a stare male. Avevo paura, io avevo paura di vederla felice in una vita che non mi prevedeva più.
    Andando a lavoro, in un periodo di sofferenze di cuore, ascoltavo ripetutamente un brano di cui ormai non ricordo più il titolo e che recitava proprio quelle parole.
    Tante volte tra le lacrime mi aveva urlato:
    "Un giorno ti dimostrerò che ti sbagli, un giorno avrò una famiglia e dei bambini, ma non saranno I tuoi, solo allora capirai"
    "Vai vai, ti conosco troppo bene io, vai!" Rispondevo io accusando il colpo e nascondendomi dietro maschere di sicurezza.
    Avevo paura. Avevo paura, ma non l'ho mai detto. L' amavo, ma non l'ho detto abbastanza e ora che le voglio bene, per tutto quello che mi ha regalato in quei anni, non posso più dirglielo.
    Lei Aveva ragione e io ho capito, ho capito che lei oggi ha un bambino e non è il mio."
    "Di chi è il bambino? “Chiese Giacomo.
    "Secondo te? “Replicò James.
    "Porca puttana."
    "Eh sì..."
    Rimasero per il resto del pranzo in silenzio, mentre entrambi dentro il proprio Io, facevano un resoconto dei propri errori.
    "Oh senti, io devo andare, altrimenti perdo l'aereo." Disse Giacomo spezzando il silenzio.
    I due amici si salutarono in un lungo abbraccio.
    Giacomo cominciò a camminare finché arrivò alla porta del ristorante, ultimo luogo utile per vedere James.
    "Ciao bell si na stell."Urlò concludendo Giacomo, prima di girare le spalle, aprire la porta, chiuderla dietro di sé e scomparire.



    «In quell’istante ero felice, non ci si accorge mai di esserlo e mi chiesi perché l’assimilazione di un sentimento così benevolo ci trovi sempre impreparati, sbadati, tanto che conosciamo solo la nostalgia della felicità, o la sua perenne attesa».
    Margaret Mazzantini, Non ti muovere.


    Alla mia Sissy.

    Edited by Medea MacLeod - 5/8/2016, 19:30
     
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  3. sedimitik
         
     
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    Madonna ma è rimasto 'sto titolo :facepalm:
     
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    Tu non hai voluto cambiarlo :o dimmi che titolo vuoi e lo mettiamo xD
     
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  5. sedimitik
         
     
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    CITAZIONE (Rory @ 4/8/2016, 12:32) 
    Tu non hai voluto cambiarlo :o dimmi che titolo vuoi e lo mettiamo xD

    Suggerisci qualcosa cattivona :c
     
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    Ma io faccio schifo a titoli :c
     
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  8. sedimitik
         
     
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    Agnese leva sto coso
     
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  9. sedimitik
         
     
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    Levate questo titolo...
     
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    Ser Procrastinazione

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    Molto bella come storia, faccio i miei complimenti!
     
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    Molto bella.


    Ma dai, credi davvero che io legga questa storia, sedi?
     
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  13. sedimitik
         
     
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    Appunto per questo non ringrazio mai :asd:
     
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12 replies since 13/7/2016, 11:18   421 views
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