Anima ingiallita

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  1. Dogmeat
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    Con questo breve racconto mi sono divertito a simulare lo stile di uno dei miei scrittori preferiti. Ovvero Chuck Palahniuk.



    Quando ricevo la chiamata rispondo "no". Non puoi morire semplicemente desiderandolo. Manca il passaggio successivo.
    «Forse hai ragione» mi dice Spina dall'altra parte del telefono. «Ma voglio comunque smettere di pensarci.»
    Nell'aria c'è il pungente freddo dell'inverno. Per strada ci sono poche auto. Buio innaturale.
    «Puoi venire qui?» continua Spina. «C'è una cosa che devo dirti.»
    «Se vuoi smettere di pensare al suicidio vai da uno psicologo.»
    «Non si tratta di questo.»
    «Non puoi dirmela al telefono?»
    «È importante.»
    Calpesto una gomma da masticare sputata e decido che per ora ne ho abbastanza di Spina. «Passo fra due ore» gli dico.
    «Due ore» conclude il mio amico dall'altra parte.

    Pavimento scricchiolante e odore di carta ingiallita. L'appartamento di Spina è una tana ricolma di vecchi libri mai letti.
    «Questa la devi proprio vedere» mi dice non appena apre la porta.
    «Che sia una cosa veloce, ho lavorato tutto il giorno.»
    «Ah, certo. Il tuo lavoro.» Spina assume un'espressione divertita. «E quale sarebbe il tuo lavoro?»
    Per un attimo smetto di pensare alla mia stanchezza e mi chiedo se mi ha fatto davvero questa domanda.
    «Comunque sia, siediti. Arrivo fra un minuto.» Mi lascia da solo col suo gatto di merda che mi costringe a comprare un paio di scarpe nuove ogni settimana.
    Se ti avvicini di nuovo alle mie scarpe ti uccido.
    Quando ritorna, il mio amico porta con sé una vecchia macchina da scrivere con i tasti consumati e un piccolo gufo di porcellana.
    «Adesso non hai più bisogno di quel lavoro» mi dice, e poi si mette a ridere.
    «Che vuoi dire?»
    «Voglio dire...» posa i due oggetti sul tavolo e si passa le mani fra i capelli «che ti sto facendo un regalo.» Si mette comodo sulla sedia. Prende un foglio bianco e lo inserisce nel rullo della macchina. «Adesso tu mi dici cosa desideri e io te lo farò avere in pochi secondi. Pensa in grande, mi raccomando» piazza il gufo di porcellana a pochi centimetri dalla macchina da scrivere.
    Il mio amico è impazzito.
    «Non capisco, che stai dicendo?» gli chiedo.
    «Senti...» Spina si rimette in piedi e mi viene incontro «l'ho scoperto per caso. Quel gufo trasforma in realtà tutto quello che scrivo.» Gli occhi del mio amico sono sgranati, il sorriso di un ebete stampato sul viso. «Non funziona con la semplice carta e penna. E nemmeno con altre macchine da scrivere. Ci ho provato. Devono essere necessariamente questi due oggetti specifici. E lo scrittore devo essere io.»
    Dovrei dirgli che è una cosa assurda. Me ne dovrei andare e forse farlo rinchiudere, ma invece gli dico: “perché vivi in questo schifo se hai la bacchetta magica?”
    Mi risponde che ha usato i due oggetti per anni. Ha visitato ogni luogo sulla terra e ha anche viaggiato nel tempo, ma poi si è stancato ed ha riportato tutto com'era prima.
    «Basta bruciare le pagine su cui scrivo» mi dice. «Brucio le pagine ed eccomi nuovamente nel mio appartamento con Poe.» Poe è il suo gatto. «L'unica cosa che voglio fare ora è esprimere un tuo desiderio. Dopodiché me ne andrò per sempre. È deciso.»
    Solo adesso mi accorgo della pistola posata sul divano poco distante.
    «Spina, ti rendi conto di quello che stai dicendo? È assurdo, stai delirando!»
    «Gomma da masticare» mi dice Spina.
    «Cosa?»
    Sento qualcosa sui miei piedi: è Poe che mi ha appena distrutto il laccio della scarpa sinistra.
    «Mentre eri al telefono, prima. Hai calpestato una gomma da masticare.»
    Ora sono perplesso, lo ammetto. Non mi sento a mio agio. «Come fai a saperlo?» gli chiedo.
    «Lo sai» mi risponde.
    Tutto questo sta davvero succedendo?
    «Lo vuoi o no quel regalo? Il tempo sta scadendo.»
    No, non lo voglio. Tutto ciò che voglio è andare via. «Me ne vado. Tu sei pazzo!»
    «Come vuoi, non ti costringo, ma lascia che ti dia una cosa prima che tu vada via.»
    Spina infila la mano destra nella tasca dei pantaloni e ne estrae un foglio piegato. Me lo porge. «Questo è tuo. Fanne ciò che vuoi.»
    Non capisco, ma pur di lasciare quell'appartamento sono disposto a tutto. Prendo il foglio e vado via. Non appena mi chiudo la porta alle spalle tiro un sospiro di sollievo. Niente più puzza di carta vecchia.
    Mi sento meglio.
    Sono un idiota. Per un attimo ho davvero creduto ai suoi deliri.

    Il boato proveniente dall'appartamento può significare solo una cosa.
    Sfondo la porta e mi ritrovo davanti il corpo senza vita di Spina. La mano che ancora tiene premuta la pistola contro la tempia destra.
    Dimentico subito il mio amico morto. Il mio unico pensiero diventa il foglio che mi ha dato poco prima.

    Angoscia soffocante. È tutto quello che riesco a provare in questo momento.
    Sul foglio ingiallito dal tempo c'è scritto il mio nome, la mia data di nascita. Ci sono gli episodi principali della mia infanzia, della mia adolescenza. Le scuole che ho frequentato. L'università. Il lavoro.
    Una goccia di sudore cade dalla mia fronte e si schianta sul foglio delicato e fragile.
    Leggo l'ultima frase: “calpesta una gomma mentre parla al telefono, ma decide di passare da me fra due ore.
    Mi rifiuto di crederci. Tra le mani non sto tenendo la mia anima. Sul divano giace morto il mio amico, non il mio creatore.
     
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11 replies since 7/2/2016, 19:11   189 views
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