The walking dead

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  1. NoLightInYourBrightBlueEyes
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    Sono morto. Non sono morto in uno dei tanti modi eclatanti che le persone immaginano quando pensano a un decesso. Semplicemente mi sono svegliato una mattina e mi sono reso conto di essere morto. I sintomi c’erano già da tempo, a dire la verità. Perdevo delle parti interne del corpo, addirittura organi, e ciò iniziava a notarsi anche all’esterno. Le persone mi guardavano in modo strano quando camminavo per strada, perciò avevo iniziato a non uscire più.
    E’ una strana patologia, molto rara, quel dottore me l’aveva spiegato. Un giorno, un giorno come gli altri, senti una strana sensazione di vuoto alla pancia, così ti tasti l’addome e noti che si è creata una cavità, come una rientranza, lì dove ci sarebbe dovuto essere un rene. Oppure ti guardi allo specchio e ti spaventi a morte perché le dita ti sono diventate blu a causa del progressivo disfacimento dei vasi sanguigni che avrebbero dovuto irrorarle. Dopo delle ore quelle dita si staccheranno, dopo un giorno avrai già perso la mano. Intanto avrai assunto un uniforme colore violaceo perché le porosità delle tue vene hanno provocato edemi un po’ ovunque, mentre le tue ossa hanno iniziato a presentare aperture più o meno estese a livello della diafisi, che ti avranno causato problemi di locomozione. E’ proprio per questo che sarai costretto a passare tutto il tuo tempo a letto. Di mangiare nemmeno a parlarne, perché ormai il tuo esofago sarà completamente inutile.
    La cosa terribile è che potresti ammalarti da un momento all’altro. Ti consiglio di preoccuparti soprattutto se inizi a lamentare mal di schiena, spossatezza e insonnia. Sono i primi sintomi. Ma potrebbe essere qualsiasi banalità a provocarli, vero? Certo, è quello che pensavo anch’io.
    L’unica cosa che non capisco è perché il dottore cercasse di convincermi in tutti i modi possibili che fosse curabile. «Prendi le medicine e ti sentirai meglio» diceva. Ma uno non può mica vivere senza i suoi organi, no? Cosa avrebbero potuto risolvere le sue stupide pillole? Avrebbero rigenerato i miei tessuti? E lui, d’altra parte, continuava con questa solfa, continuava a consigliare di farmi degli amici, di non passare sempre il tempo da solo, di cercarmi una ragazza. Ma a cosa sarebbe servito? Ormai ero spacciato. E lui continuava a martellarmi il cervello con le sue irritanti presunzioni, che c’era ancora speranza. Ero spacciato. Ero finito. Non poteva semplicemente piantarla?
    Comunque, pensandoci, avrei dovuto seguire il suo consiglio. Almeno adesso ci sarebbe stato qualcuno ad accorgersi della mia morte. Non hanno ancora fatto un funerale, né portato via il mio corpo, così sono ancora nel letto dove ho passato gli ultimi giorni della mia vita e la tv è accesa sullo stesso canale su cui guardavo la serie “The Walking Dead” che aveva iniziato a piacermi, perché mi ci immedesimavo, ma tanto ora non potrò più vedere il finale.
    In ogni caso, la cosa peggiore è che il mio corpo è ancora qui e s’inizia a sentire un odore nauseabondo per la decomposizione. Milioni di insetti con le loro luride zampette si muovono sul mio cadavere, nutrendosi di ciò che è rimasto, annullando anche quello che la mia sindrome non era riuscita ad annullare prima della mia morte ma anche dopo, poiché non ha mai smesso di fare il suo corso. Le mosche nidificano nelle cavità oculari ormai vuote, ronzando attorno alla mia testa in sciami e lanciandosi in picchiata per martoriare zone della mia pelle che trovano più succulente. Larve entrano ed escono dall’intestino ormai riversato sul copriletto e delle formiche orribili di una specie che non avevo mai visto continuano a portarsi via pezzi di pelle violacea.
    Ma ormai non devo preoccuparmi di tutto questo e di nient’altro perché non esisto più. Provo quasi un perverso piacere nel pensiero di essere morto. La mia condizione non è cambiata molto. Tutto ciò che devo fare è stare steso qui.
    Improvvisamente si sente un colpo proveniente dall’atrio. Poi un secondo colpo e altri colpi continuati. Forti, come se qualcuno stesse cercando di buttar giù la porta. Forse stanno finalmente venendo a prendermi.
    I colpi continuano, finché se ne sente uno più forte. E’ sicuramente la porta che, scardinata, ha battuto sul pavimento con un tonfo sordo. Si sente un parlare sommesso e due voci. Riconosco la prima, che appartiene certamente al dottore che si era immischiato nella mia “vita”. Probabilmente ha deciso di infastidirmi anche nel mondo dei morti. Comprendo a stento il significato delle parole, le sento come ovattate.
    Riesco solo a pensare che quando arriverà in questa stanza troverà di certo una sorpresa, che non gli piacerà, convinto com’era che sarei sopravvissuto. Quasi godo al pensiero. Ora si sente un rumore di passi, sempre più vicini.
    Il mio nervosismo monta sempre di più e a ogni passo cresce un’ira di cui non capisco il motivo. La semplice cadenza di quei passi sulle piastrelle mi fa arrabbiare, ricordandomi l’atteggiamento di finta ingenuità del dottore, la sua convinzione, la sua presunzione che il mio malessere non fosse nulla che non si potesse curare. Perché si era immischiato?
    La porta della mia camera si apre e appare il dottore, che appena mi vede, anzi, appena vede il mio cadavere, rimane a bocca aperta. Ma questa non è di certo la reazione che mi aspettavo. Non è poi così nauseato, sconvolto, né in preda a conati di vomito, anzi, l’espressione del dottore è quasi risollevata, speranzosa.
    Addirittura si avvicina al letto. Ma come può avere il coraggio di avvicinarsi? C’è un fetore che scoraggerebbe chiunque. Invece lui continua imperterrito, si china al mio capezzale e fa come per prendermi la mano che non c’è. Al suo posto c’è una cascata di vermi scuri che si riversano fuori dal braccio ormai cavo, scivolando uno sull’altro agitandosi convulsamente.
    «Avr… avrei dovuto aspettarmelo, avrei dovuto prevedere che non avresti preso le tue medicine».
    Com’è possibile? Non riesco a capire. Non sta parlando tra sé e sé. Sta parlando proprio con me, come se fossi ancora vivo. Ma ora ho capito tutto. E’ venuto qui solo per infastidirmi.
    «Non avrei dovuto avere la pretesa di curare una patologia così grave da solo e mi dispiace che debba vederti in queste condizioni, comprendo che dev’essere imbarazzante».
    Sì, lo sta decisamente facendo per irritarmi, ma ancora non mi spiego come faccia a resistere così vicino a questo tanfo. Poi inizia a controllarmi meticolosamente, tastando fronte, polso, incurante dell’assenza di questi ultimi. Mi monta il nervosismo. Ancora non mi lascia in pace.
    «Sei in evidente stato di disidratazione e denutrizione… e le tue feci… ovunque… e stai anche sviluppando varie piaghe a causa della mancanza di moto. Oh, diamine, lo capisci, capisci che non puoi andare avanti così?».
    Si porta una mano alla bocca e mi guarda addolorato. Inizia ad infastidirmi. Eh già, mi sta proprio facendo arrabbiare.
    Non si dovrebbe mai irritare un morto.
    Mormora qualcosa sul ricovero e continua a blaterare e blaterare. Ed è proprio quando prende il cellulare e inizia a comporre le cifre “118” che mi manda fuori di testa.
    Voglio togliergli quell’espressione di arroganza dalla faccia, quella presunzione di poter curare la gente e ora la presunzione di poter curare i morti. Come se avesse il diritto di entrare nella vita o nella morte delle persone in questo modo, farsi beffe di loro e strapparli dalle loro malattie, o pretendere di farlo.
    Decido di parlargli. Da uomo morto a uomo vivo.
    «Cosa credi di fare? Sono morto. Morto, finalmente».
    «No, non sei morto».
    Perdo le staffe. In un moto d’ira mi slancio contro il dottore, ma sono troppo debole e mi respinge.
    «Calmati. Lascia che ti spieghi di nuovo tutto».
    Allora mi strappo i capelli, che si staccano dal cranio facilmente. Questo sembra fargli effetto. Artiglio le dita della mano rimasta nella mia carne e la scortico via, dalla base dell'occhio in giù.
    Per la prima volta il dottore sembra senza parole. Forse l’ho convinto.
    «Fermati, ti prego. Lo so che sei convinto di essere morto. Ma non è così. La tua è una sindrome, la sindrome di Cotard. Se solo mi lasciassi spiegare...».
    Riprendo a flagellarmi il corpo, perché questo sembra ammutolirlo, in un primo momento.
    Ma poi riprende.
    «La sindrome di Cotard dà la convinzione illusoria di essere morti, dopo aver perso tutti gli organi. Il tuo non mangiare, non bere, restare pietrificato sul letto...».
    «Smettila» sibilo a quel punto scorticandomi sempre più in profondità.
    «… è una negazione di te stesso. Ciò avviene in seguito a un trauma ed è accompagnato o provocato dalla depressione. E ora pensi di essere morto, ma, credimi, non è così. In queste condizioni sei un pericolo per te stesso e per gli altri e perciò bisogna ricoverarti urgentemente...».
    Continua a parlare ma io non lo ascolto. Rifletto.
    Giungo alla conclusione che l’unico modo per convincerlo è semplice, in fondo. Sono già morto quindi non mi costerà niente.
    Cammino, mettendo un piede davanti a un altro, barcollando verso la finestra. La apro e, ancora prima che il dottore possa anche solo pensare di fare qualcosa, mi butto.
    Difficile che abbia qualcosa da replicare, ora.
    Mi lascerà in pace.

    Edited by NoLightInYourBrightBlueEyes - 5/7/2015, 19:39
     
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  2. Bark
         
     
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    CITAZIONE
    La sindrome di Cotard da la convinzione illusoria di essere morti

    Dà.

    Storia davvero bella e scritta molto bene: il lettore ha per tutta la durata un enorme punto interrogativo (positivo) in testa e crede di aver a che fare con uno zombie (anche grazie ai riferimenti a The Walking Dead) fino alla rivelazione nel finale.
    Parecchio indeciso tra AC e Drammatico: in caso di parità, consideratelo AC.
     
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  3. NoLightInYourBrightBlueEyes
         
     
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    CITAZIONE
    Una descrizione vomitevole (in senso positivo) e chirurgica.

    Allora ci sono riuscita! :riot:
    A parte questo, grazie per i complimenti, pensavo di aver fatto un casino! Ah, ho corretto gli orrori. Diamine, eppure l'avevo riletta un sacco di volte. :omfg:
     
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  4. Kingor N&A
         
     
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    Io sono per AR: mi è piaciuta molto, originale e scritta bene.
     
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  7. drak 45
         
     
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  8. Bark
         
     
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    Bella mi è piaciuta dato che parla anche di una malattia vera...
     
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