La maschera

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  1. Villa
         
     
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    Il sole scompariva tra le enormi nuvole nere, mentre Mark si dirigeva verso la città di Canton, durante uno dei suoi tanti viaggi di lavoro. Era il miglior medico dell’intera contea e spesso venivano richiesti i suoi servigi dai nobili delle città vicine.

    Sopraggiunse la pioggia e l’uomo decise di evitare la lunga strada principale attraversando il bosco. Non si era mai addentrato in quella foresta, in realtà nessuno che conoscesse aveva mai messo piede in quel luogo a causa delle lugubri leggende che lo interessavano da sempre. Lui, uomo di scienza, non ci aveva mai dato alcun peso ma ora che camminava tra quegli alberi, cominciò a ricredersi sul suo scetticismo.

    Ripensò alle orribili storie, ascoltate mille volte al bancone della locanda. Raccontate da qualche cacciatore a tarda notte, che giurava di aver sentito parlare gli stessi alberi tra i quali Mark, ora, camminava. Altri dicevano di aver sentito urla strazianti provenire dal centro di quel folto bosco e assicuravano che tutte le persone che vi si addentravano non facevano più ritorno.

    Tutte queste storie avevano, però, un elemento in comune. Chi le raccontava descriveva quella foresta come capace di sussurrare al cuore del malcapitato, causando un forte torpore.

    Mark percepì appieno quella terribile sensazione. Si guardò attorno smarrito, barcollò privo di equilibrio e infine cadde a terra. Chiudendo gli occhi riuscì a sentire i deboli sussurri delle foglie che sembravano proprio parlare a lui. Non era il solito fruscio generato dall’attrito col vento. Mark riusciva a distinguere delle parole, parole piene di sconforto e di paura, anzi, di vero e proprio terrore.

    I suoni si arrestarono all’improvviso. Mark si rialzò spaventato, non sapeva quanto tempo era rimasto li ad ascoltare quei suoni. Doveva essere passata qualche ora visto il precipitoso calare delle tenebre.

    Diede una breve occhiata al paesaggio, intorno a lui c’era solo una fitta boscaglia, nessun sentiero. Si rese conto di essersi perso e fu assalito dal panico. Cominciò a correre all’impazzata in una direzione. L’unica cosa che gli importava era quella di uscire da quella maledetta foresta.

    Continuò nella stessa direzione per qualche minuto, quando, all’improvviso, intravide tra gli alberi un chiarore. Pochi passi più avanti, al centro di una piccola radura, c’era una casetta: la sua salvezza. L’abitazione, illuminata dall’interno, era di modeste dimensioni, costruita in legno e pareva molto ben curata, considerato il luogo in cui si trovava.

    Mark si arrestò improvvisamente per riprendere le forze e, dopo pochi secondi, si diresse speranzoso verso quell’inaspettato rifugio. “Toc-Toc!” La porta si aprì immediatamente rivelando l’interno dell’abitazione, costruita interamente in legno. Il proprietario era un vecchietto sulla settantina, più alto della media e leggermente curvo su se stesso. Aveva una folta barba grigia e dei lunghi capelli tendenti al bianco; indossava abiti eleganti, che contrastavano molto con il suo aspetto fisico.

    L’uomo capì immediatamente che Mark cercava rifugio e lo accolse nella sua dimora. La casa, seppur piccola, era molto accogliente. Il vecchio lo fece accomodare su una sedia al centro della stanza; un camino scintillante scaldava l’intera casa. L’arredamento, seppur essenziale, era di buon gusto e contribuiva a creare un’atmosfera ospitale. I davanzali erano arredati con vasi ricolmi di orchidee che, probabilmente, l’uomo coltivava insieme alla frutta che adornava la tavola, ancora imbandita.

    Il vecchietto servì del tè al suo ospite e, dopo un iniziale imbarazzo, i due si presentarono e cominciarono a discorrere. Il padrone di casa si chiamava Clément, faceva il commerciante in città fino a che, un giorno, trovato questo luogo in una delle su tante passeggiate, se ne innamorò. Costruì dunque la casetta e cominciò a vivere di caccia e del suo orto. Raramente andava in città e lo faceva solo per comprare beni che altrimenti non poteva reperire. Da quando abitava nel bosco non incontrava nessuno e fu felice di scambiare quattro chicchere.

    Finita la bevanda, il vecchio mostrò la stanza per l’ospite e, visibilmente stanco, si congedò. La camera era situata accanto alla sala, poco lontana dall’uscita. Era abbastanza spaziosa, conteneva un ampio letto, due armadi in noce pregiato e una scrivania sulla quale erano poggiati numerosi libri sulla mitologia greca.

    Mark, sfinito, si stese sul letto e crollò in un sonno profondo. Nella sua mente riaffiorarono i sussurri degli alberi, questa volta erano molto più intensi, rimbombavano nel suo sogno. Erano terrorizzanti e lui riuscì a distinguere alcune parole, pronunciate con maggior fermezza, che lo incitavano a scappare da quel luogo.

    Si svegliò faticando a riprendere i sensi e ciò che vide lo sconvolse. Era in una stanza perfettamente quadrata, quasi priva di arredamento se non alcuni per disegni sui muri dei quali non seppe cogliere i soggetti.

    Era legato ad una robusta sedia in legno al centro esatto di quella stanza, non poteva muovere gambe e braccia ma riuscì a ruotare la testa sufficientemente per vederlo. Clément era dietro di lui. Lo riconobbe dagli stessi vestiti eleganti della sera prima, ma il volto era totalmente cambiato. Indossava una maschera, la più orribile che sia mai esistita: era il volto di un uomo al quale era stata letteralmente strappata la faccia.

    La figura era molto pallida, con capelli neri e lunghi strappati in più punti. Sul volto si disegnavano una miriade di tagli e graffi e il setto nasale, totalmente deformato, contribuiva a rendere il volto ancora più terribile. Le palpebre erano state asportate e di un orecchio non restava che qualche brandello di carne. Su tutto il viso era stato inciso un pentacolo che lo colpì particolarmente.

    Mark si voltò di scatto, per non vedere quella mostruosità. I disegni sui muri sembravano mutare forma. I loro contorni, prima ben definiti, si mischiavano tra loro creando forme sempre più terrificanti. Prendevano le sembianze di persone. Riconobbe i malcapitati che, secondo leggende, si erano avventurati nel bosco prima di lui. Tutti avevano in comune l’espressione del viso: deformata dal dolore e con la bocca spalancata nel tentativo di urlare ciò che stavano provando.

    Adesso poteva sentire le loro terribili grida. Riconobbe le parole pronunciate da quelle entità: erano le stesse che aveva udito nel bosco e poi nel sonno; allora capì, non erano le voci delle foglie quelle che aveva percepito entrando nel bosco, ma le voci di chi, prima di lui, cadde in preda a questa follia.

    Con un calcio vigoroso il vecchio fece ruotare la sedia, portando Mark esattamente dinnanzi a lui. Clément aveva, di fianco a se, una serie di oggetti riposti con cura sopra un tavolino da lavoro. Un paio di enormi pinze in metallo, una decina di coltelli affilatissimi, delle piccole forbici e altri strumenti da tortura che Mark non aveva mai visto.

    Le grida si fecero più forti; aveva la sensazione che quelle persone fossero proprio dietro di lui e che si contorcessero dal dolore fino a toccarlo. Tuttavia, non riusciva a staccare gli occhi dal vecchio, anzi, dalla sua orribile maschera. Sembrava viva. I tagli continuavano a cambiare posizione e la pelle mutava aspetto creando un disgustoso susseguirsi di smorfie terrificanti.

    Clément gli legò la fronte alla sedia con un grosso laccio nero. Prese con la mano destra un piccolo coltello e, con la sinistra, un paio di pinze. Si arrestò davanti alla sedia, guardando il malcapitato. I suoi occhi, iniettati di sangue, sembravano provare piacere nel vedere tanta sofferenza nella sua vittima. Sulla sua maschera si disegnò un sorriso e si avvicinò a Mark, con un’espressione divertita.

    Con precisione chirurgica cominciò ad asportare la pelle del collo. Mentre incideva quelle carni straziate…canticchiava uno strano motivetto.

    Le urla di Mark si mischiarono a quelle di tutti gli altri creando un miscuglio di grida indistinguibili, che, per il vecchio, non era altro che il rumore delle foglie scosse, mosse dal vento.

    Mark si alzò all’improvviso, spalancando gli occhi. Si guardò brevemente attorno e capì di essere nella stanza in cui si era addormentato. Era stato tutto un sogno. Spalancò la finestra e la brezza mattutina lo rinfrescò.

    Restò immobile ad ammirare la pace che la foresta, ora, gli infondeva. Il sole splendeva con i suoi primi raggi e il vento cullava lievemente le foglie; gli uccelli intonavano i loro dolci canti e volavano di ramo in ramo, in cerca di cibo.

    Il ricordo del suo impegno lo distolse da questa beatitudine e si affrettò a raccogliere le sue cose. Si diresse verso la sala centrale per ringraziare il vecchio dell’ospitalità e riprendere il suo cammino.

    Un motivetto famigliare giunse alle suo orecchie entrando nella stanza e vide Clément intento a curare i fiori.
    Il suo sguardo cadde sui numerosi quadri che la sera prima non erano presenti. Incorniciati al muro c’erano una miriade di volti su cui erano disegnate orribili smorfie di terrore, proprio come quelle sognate la notte. Un sussulto uscì dalla sua bocca e il vecchio si girò.

    Mark spalancò gli occhi nel vedere la sua faccia. Davanti a lui, Clément, non aveva il viso di un anziano ma un volto molto più giovane, molto più familiare: il suo. In preda al panico Mark vacillò e cadde a terra privo di forze.

    Portò la sua mano al viso e ciò che percepì fu orribile. Al tatto riconobbe una folta barba e lunghi capelli; la sua pelle era floscia e secca come quella di un vecchio.

    Un urlo di terrore uscì dalla sua bocca, mentre Clément si avvicinava a lui canticchiando il motivetto che solo allora Mark riconobbe. Era la canzone che suo padre cantava ogni notte per addormentarlo. Non l’aveva mai più sentita da quando, quel maledetto giorno, lo abbandonò scomparendo nel bosco.

    Mentre Clément alzava il coltello sopra di lui, Mark, riconobbe quello sguardo che per molti anni lo aveva cullato. Dalle sue labbra usci un ultimo sussurro: “Padre”, strozzato dal gorgoglio del suo sangue.

    Ora la voce di Mark potrà riecheggiare per sempre nelle nottate più lugubri, tra le foglie di questo bosco stregato.

    Edited by Villa - 16/2/2014, 12:14
     
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    Potresti dividere in paragrafi per rendere meglio la lettura? Così rende una lettura poco scorrevole.
     
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  3. Villa
         
     
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    Ecco fatto, grazie per il consiglio.
     
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    Oddio, a me ha fatto quasi impressione... Ha un che di HS.
     
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    Bella... Sopratutto il finale, davvero carina :)
     
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    È stupenda ma se la vogliamo prendere in termini medici non credo che anche il chirurgo più esperto possa farsi da solo una trapianto di faccia. Comunque è molto bella e mi ha inquietato.
     
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