The Crossroads.

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    Metafisico: un uomo cieco che in una stanza buia cerca un cappello nero. E il cappello non c'è.

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    "Dove dobbiamo andare?”
    “Lo sai.”






    Lui aprì la porta con un unico movimento dell’avambraccio. Ella lo seguiva.
    Correvano, con passi pesanti e fiato corto sul lungo tappeto purpureo che andava srotolandosi man mano che il loro passo aumentava. Lui, senza girarsi, tese la mano alla ragazza dai lunghi capelli lucenti. Lei la afferrò dopo un attimo di esitazione; l’incertezza regnava nei loro cuori, la fiducia l’uno per l’altro non bastava a riempire il loro animo. Sentivano che c’era qualcosa di mancante.
    Egli aprì la porta.
    Un bagliore di luce li avvolse, insieme ad una fresca folata di vento, mentre l’edificio ospitante il rosso tappeto sulla quale un attimo prima si era svolta la loro corsa…non era mai esistito. Esattamente come la stanza dalla quale erano usciti, quel tappeto, i muri, la porta.
    Il vento passava attraverso i suoi capelli biondi. La sua camicia, sporca di fango, era aperta sul colletto. I primi bottoni mancavano, rimossi nei tempi delle sue vecchie battaglie, mentre la sua pistola era perennemente agganciata alla cintola, ormai priva di fodero.
    I suoi occhi glaciali fissarono la ragazza, osservando in ogni minimo dettaglio i suoi capelli; la luce del sole era come immersa in ogni fibra del suo essere. Un’espressione colma di profonda inquietudine mutò il viso di ella, per un attimo. Dov’erano, non importava. Era cosa dovevano fare il loro unico pensiero. E non sapevano minimamente cosa li attendesse, sebbene avrebbero dovuto. Il viaggio stava per cominciare.
    Windgather-Walkers

    “Ehi.” Disse lui, scostandosi il ciuffo ricaduto sulla fronte.
    “Dovresti…seguirmi. E penso che ora sia tempo di muoverci”
    Uno strano brivido percorse la sua schiena. Non ricordava quale fosse il suo compito e cosa centrasse quella ragazza. Provava solamente un istinto indecifrabile, una specie di attrazione così forte ma al contempo schiva.
    “D’accordo…fai strada.”
    Il vento cessò all’improvviso.
    Rumore di passi, in lontananza.
    “Chi sono, Thomas?” disse lei, con tono ansioso, mentre il rumore di passi si tramutò in scalpitio.
    Un altro suono accompagnava quello precedente.
    La ragazza si guardava intorno con aria preoccupata, mentre la tensione era palpabile. Il rumore non identificato veniva amplificato sempre più. Egli le strinse il braccio, tirandola a sé e sfoderando la sua arma.
    “Nessuno ti farà nulla, finchè ci sono io. Sai perché sono qui.”
    All’improvviso, il suono divenne chiaro. Le loro menti si aprirono, dissipando la terribile ansia creatasi come nebbia fuligginosa negli istanti precedenti a quell’incontro.

    Swing low, sweet chariot, coming for to carry me home…

    Una chitarra. Un uomo. Un cavallo.
    Una dolce melodia che li accompagnava.
    Egli si sentì in qualche modo confortato, ma comunque la preoccupazione albergava ancora, nel suo cuore.
    “Chi sei?” chiese, mentre l’ultima goccia di sudore scendeva per la sua guancia, passando attraverso la barba che non tagliava da giorni.
    “Il vostro passaggio!” disse l’uomo, in un tono stranamente festoso e cordiale. Aveva una voce da vecchio, ma con un tono gioviale che riscaldò gli animi dei due. Non poteva avere cattive intenzioni.
    “Salite, su! Che aspettate?” disse imbracciando la chitarra fra le mani nodose, con un movimento sinuoso.
    “Dove…dove vuole portarci?” Disse la ragazza in tono timido, come suo solito.
    “Dove volete e dovete, chiaro.” La voce dell’uomo si fece più profonda. “Salite”
    E fu così, che il viaggio incominciò.
    Senza dire una parola, i due salirono sul retro del carro. Dopo la prima mezz’ora di viaggio, lei si addormentò fra le sue braccia, una delle quali le passò fra i capelli in un attimo di quasi…paternità. Finì per addormentarsi anch’egli, fra le dolci note suonate dal cocchiere.
    Si svegliarono bruscamente.
    Si trovavano in mezzo a fasci di erba dorata, grano e meliga, mentre i grilli saltavano allegramente fra i loro capelli.
    Lui si svegliò per primo, e dolcemente causò il risveglio della ragazza. Dopo un attimo di riflessione sull’accaduto notarono una strada, che li portò fino ad un incrocio.
    crossroad
    Cinque strade si aprivano davanti a loro, ciascuna preceduta da un cartello ligneo che annunciava la destinazione. Li osservarono, tutti, da sinistra.

    -“Where we run”
    -“Where we stay”
    -“Where we bleed”
    -“Where we heal”
    -“Where we end”


    Un lampo di incomprensione comparve nei loro occhi, nel medesimo istante.
    Qualcos’altro. Più grande.
    La ragazza, priva della sua consueta timidezza, scelse con decisione la seconda strada, la cui fine non era visibile alla loro vista.
    “Andiamo di qua.” Disse con tono fermo. Egli la seguì senza il minimo indugio.
    Appena imboccata quella strada, una nebbia fitta comparve alle loro spalle.
    Un attimo.
    Non videro più nulla dei cartelli, dell’incrocio, delle altre strade.
    Dietro di loro, nebbia. Davanti a loro, un sole splendente, fila di meliga immerse nei raggi di luce che ondeggiavano al fresco vento estivo che li accompagnava.
    Procedettero per quella strada per un tempo indefinito, finchè non riuscirono a scorgere delle sagome di edifici.
    Una città.
    Arrivarono davanti al grande edificio che immaginarono fosse l’entrata.
    Inciso nella pietra, in mezzo a due calde luci ad olio ancora accese, vi era una scritta.
    “See you at the crossroads”
    Quel senso di incomprensione di qualcos’altro, provato prima, li invase nuovamente. Per un attimo, strabuzzarono gli occhi. Poi più nulla.
    Entrarono con calma dalla porta, notando un cartello in acciaio, con una bandiera a stelle svolazzante sopra di esso:

    “Welcome to the city of good people”

    Davanti a loro una fila infinita di edifici splendenti, curati in ogni dettaglio, li fece sentire come a casa.

    “C’è qualcuno qui?”

    “Ma certo, caro mio”
    Un uomo era davanti a loro, a un palmo dalla faccia di egli.
    “Cosa diavol..”
    “Suvvia, venite con me. Siete nuovi, eh?” disse l’uomo, ridendo. Presentava una faccia paffuta, baffi ben curati e un vestito a panciotto tipico della media borghesia. Lo seguirono senza dire una parola.
    “Ecco, questa è la piazza principale della città.” Disse l’uomo, mostrando con il dito un grande spiazzo marmoreo nella quale si scorgevano diversi bambini giocare, donne munite di ombrellino e gonna, strilloni che annunciavano i giornali. Bandiere ovunque.
    “Benvenuti nella città degli uomini buoni!” Annunciò la loro guida in tono solenne, facendo un giro su sé stesso allargando le braccia, come ad accentuare tutto quel ben di dio.
    Al passaggio della coppia i bambini risero, insieme alle loro madri. L’uomo li accompagnò attraverso un lungo parco pieno di freschi alberi verdi, fino ad un grosso edificio dal colore dorato.
    “Entrate!”
    Egli aprì la porta, facendo cenno alla sua compagna di entrare per prima.
    “Allora il mio vice vi ha già fatto fare un giro della città? In così poco tempo?
    Jeffrey, mi stupisco di te!” Disse colui che li accolse, togliendosi la bianca tuba dal capo. Lustrini dorati ricoprivano la sua giacca.
    “Sono il sindaco della città più giusta e buona del vostro mondo! Vi auguro una piacevole e infinita visita alla nostra umile zolla di terreno benedetta da Dio!”
    Quelle parole lasciarono la coppia interdetta, ma essi ci passarono sopra in qualche minuto.
    “Fatevi un giro nel bar, bevete una birra in compagnia! Le migliori ambrate della regione le trovate qui! Jeffrey vi accompagnerà, vero?”
    Con una sorta di timore reverenziale, l’uomo che li aveva accompagnati fino a quel momento rispose affermativamente, conducendoli dalla porta fino ad una sorta di sala dal grande portone e l’insegna al neon.
    “Good Tom’s Mansion”
    “Un nome strano per un bar.” Osservò lui a bassa voce.

    Jeffrey aprì loro le porte, salutandoli con una pomposa lode alla propria città e alla sua gente, la quale venne considerata con un pizzico di disprezzo da parte dei due.
    Entrando, notarono decine di uomini seduti a enormi tavoli circolari, brandendo birre e cantando a squarciagola canzoni popolari. Li guardarono per un attimo, nel tentativo di inquadrarne la personalità, come è solito prima di un incontro che si sa di aspettare.
    “Ehilà” Disse lui, mentre la ragazza gli si strinse vicino.
    Cominciarono ad avanzare verso il bancone, mentre gli altri presenti non li degnarono di uno sguardo.
    Egli appoggiò il gomito sul bancone.
    “Un paio di birre grazie. Un’ambrata e una scura, se possibile.”
    Il barista li guardò con aria bonaria, inarcando le labbra in un sorriso quasi beffardo.

    “Ohoh.

    No.”

    Estrasse un enorme coltello da sotto il bancone e con uno scattante movimento del braccio nerboruto lo infilò nel mezzo dell’avambraccio dell’acquirente, facendo vibrare la lama.
    “Ahg!” un fortissimo urlo di dolore uscì dalla bocca di Thomas, mentre il sangue cominciava a sgorgare dall’ampia ferita. L’uomo manteneva il suo sorriso beffardo, fissando la ragazza con aria compiaciuta.
    “Cosa hai fatto, balordo!” Disse lei, con un espressione sconvolta sul viso.
    Due uomini scesero dalle scale ai lati. Erano armati di pesanti mazze di ferro pieno.
    Egli riuscì a staccare con grande dolore il coltello dal braccio destro, brandendolo. Con il braccio sanguinante portò la ragazza dietro di sé.

    Venne il turno del primo uomo.
    Si avvicinò velocemente e con foga vibrò un colpo, tremendamente violento, della sua mazza. Thomas lo schivò abbassandosi, mentre la mazza si abbatteva sui boccali del bancone, frantumandoli.
    Non si aspettava il contrattacco immediato del secondo, che arrivò da dietro, colpendolo con inaudita rabbia nel mezzo della spina dorsale.
    Cadde a terra, il coltello conficcato nel pavimento, mentre la gente cominciava ad alzarsi dai propri posti.
    Uno dei due uomini cercò di afferrare la ragazza, mentre il secondo vibrò un altro colpo diretto alla testa di Thomas.
    Egli si scansò, riprendendo rapidamente il coltello ed alzandolo. Lo fece volteggiare nell’aria, e con ottima prontezza di riflessi lo prese al volo, conficcandolo nello stomaco dell’avversario, che si piegò, sputando per terra. Fece in tempo a prendere la sua mazza, che usò per un potente colpo dritto sul cranio dell’uomo.
    La sua testa sbattè contro lo spigolo di legno del bancone, che si inarcò sprigionando schegge che si conficcarono nella nuca dell’uomo. Il secondo osservò la scena meravigliato.
    Thomas ritrasse il coltello dallo stomaco dell’uomo, nauseato alla vista del proprio sangue mischiarsi a quello di quel gorilla.
    Lo tenne con entrambe le mani, piantandolo con prepotenza attraverso il collo dell’uomo, ora a terra. La lama passò da parte a parte, il lato anteriore fu completamente tagliato in modo che la testa ricadde in avanti. Sangue colò sulla giacca di pelle, copiosamente.
    Il colpo di mazza lo centrò sul cervelletto.
    Sentì un sonoro “crack”
    Svenne.




    Quanto tempo era passato? Giorni, settimane, mesi?
    Aprì gli occhi lentamente, chiudendoli ripetutamente ripulendosi dallo sporco appiccicoso dalle mani.
    Vide le sbarre davanti a lui, il lavandino alla sua sinistra. Tentò di bere dell’acqua, con il solo risultato di bloccare la manopola. Era…una prigione? Un mattatoio? Conosceva quel tipo di edificio. Il semplice fatto di trovarsene all’interno gli bloccava la gola.
    811_max

    “Svegliati, bestia.” Gli intimò ferocemente una voce da fuori la cella.
    “Perché” disse con voce fioca, senza riuscire ad alzarsi.
    “Jenny, diglielo tu perché” La guardia carceraria sorrise con un orrendo ghigno, mostrando i denti d’oro.
    Terrificante.

    L’uomo teneva con una specie di guinzaglio, incatenata…una donna.
    Vestita di stracci, poggiante le mani sul terreno come un animale, il suo sguardo era colmo di dolore, ma in qualche modo stupidità. Probabilmente non capiva nemmeno cosa stava succedendo.
    La guardia le tirò un calcio nello stomaco, facendole emettere un lamento soffocato.

    Lo fissò.
    “Ora tocca a te.”
    Aprì la porta di metallo rugginoso, prendendo Thomas per il bavero. Un ringhio.
    Lo trascinò fuori, lanciandolo per terra, sul pavimento sporco e scrostato.
    “Vai avanti” disse. Gli tirò un calcio alla schiena, buttandolo a terra.
    Egli si mosse, fino ad arrivare ad una grande stanza oblunga. Quattro figure magre e dalla testa pelata lo aspettavano.
    “A voi, dottori. Il prossimo cane.”
    Uno di essi si fece avanti, armeggiando con un bisturi.
    “Stia fermo, la prego.” Intimò con voce acuta, mentre uno dei quattro sembrava allontanarsi.
    Come uno schiocco.
    L’accetta, che un attimo prima era in mano al quarto dottore, si conficcò nella schiena di quello con in mano il bisturi. Probabilmente la spina dorsale si era spezzata.
    Egli non aspettava altro. Si alzò, recuperando le poche energie che aveva ancora in corpo, prendendo il secondo dottore per la gola. Fece schiantare la sua testa contro il vetro al lato della stanza, le cui schegge si infilarono in ogni parte del suo cranio. Nel mentre, il dottore con l’accetta aveva preso il bisturi, tagliando la gola al suo compagno.
    Rimanevano solo lui e Thomas.
    “Perché mi hai aiutato? Non ho nulla da darti in cambio.”
    Il dottore, senza dire nulla, estrasse una pistola…e un biglietto. Lo porse a Thomas.

    “See you at the Crossroads”

    Il suo stesso proiettile gli trapassò la gola, lasciandolo inerme sul pavimento. Egli rimase sconvolto, ma non perdette tempo, appropriandosi dell’arma.

    La ragazza.
    Furtivamente, si aggirò per le stanza dell’edificio. Passarono diverse ore prima di trovare quella giusta.
    L’ennesima guardia carceraria l’aveva trascinata fuori.
    La stava violentando.
    Gli occhi di lui si illuminarono di rabbia. Il calcio della pistola colpì l’uomo nella zona del cervelletto.
    Dopodichè, afferrò un tubo arrugginito da terra, probabilmente una sbarra rimossa, e lo colpì sulla nuca. Egli cadde a terra senza un gemito. Si girò verso la ragazza, tendendole la mano:
    “Dobbiamo andarcene, alzati.”
    Lei prese la sua mano, seguendolo. Arrivarono davanti ad una porta rugginosa che aveva tutta l’aria di essere l’uscita da quella prigione infernale.
    Uscendo, si ritrovarono sul retro del bar dove tutto era cominciato. La porta arrugginita era sparita…ma non ci fecero caso. Non ce n’era bisogno.
    Camminarono, quasi strisciando dalla stanchezza, in una direzione che, pur sembrando del tutto casuale, poteva, doveva essere quella giusta. Era successo tutto troppo, troppo in fretta. In quel momento entrambi erano terribilmente confusi, spossati dagli avvenimenti, senza però sapere di essere solo all’inizio.
    “A volte non c’è bisogno di cercare la strada” disse lei, lasciando il suo accompagnatore alquanto stupito.
    Non disse nulla per le due ore seguenti.


    Improvvisamente, mentre la loro vista cominciava ad annebbiarsi e le loro ginocchia a cedere, udirono qualcosa. Un suono, acuto ma melodioso, quel suono già sentito in precedenza.
    “No, non posso crederci.”

    “I looked over Jordan and what did i see
    A band of angels coming over me
    Coming for to carry me home”


    Egli digrignò I denti.
    “Ancora tu. Mi devi qualche spiegazione.” Disse Thomas.
    “Oh, ma dai, non vi è piaciuta la sosta qui? Ora dovete andare, su, salite?” Rispose l’uomo con una voce cordiale.
    Thomas estrasse la pistola, puntandola verso l’uomo con sguardo carico di rancore.
    “Ci hai quasi fatto ammazzare. Ora vogliamo spiegazioni.” Disse, mentre la ragazza si guardava intorno spaventata.
    “Spara pure, dopotutto che mi importa? Se può farti sentire meglio sentire un po’ di rumore, fa come vuoi. Intanto salite, magari. La destinazione vi aspetta. Oh, mi hanno detto di darvi questo”
    Diede loro una targhetta in metallo, sporca di sangue.

    See you at the Crossroads.

    Si guardarono un attimo, senza dire nulla. Thomas intascò il biglietto, poi si rivolse all’uomo con tono calmo e voce decisa.
    “Andiamo.”

    Il rumore degli zoccoli del cavallo sul selciato cullò ancora una volta il loro sonno e, nuovamente, caddero nelle mani di Morfeo. Si svegliarono dopo quello che sembrò loro essere stato un istante di sonno. Un battito impercettibile di oscurità, riposo necessario dopo la fatica durato un batter di ciglia.
    Erano ancora sul carro.
    Un cappuccio bianco cinto da una corda copriva la testa del cocchiere. Due pugnali conficcati nelle sue scapole, la giacca strappata.
    Non si stupirono di nulla, semplicemente scesero e girarono intorno al carro, fino a leggere una scritta sul petto dell’uomo.
    Come to be carried home.
    Solo allora si accorsero del luogo in cui si trovavano.
    L’incrocio.
    Qualcosa però era cambiato nei cartelli. Soprattutto in uno.

    “Where we heal”
    Il legno del cartello era completamente marcio, bucato in più punti. Una vernice bianca copriva la scritta originale con un’altra:

    There’s no time to be healed.

    Eppure, il fatto non li urtò di molto. Così come la scomparsa del carro.
    La ragazza prese la mano di Thomas e fissandolo negli occhi, indicò il cartello alla sua destra:
    “Di qua. Dobbiamo andare di qua.”
    Egli la fissò con sguardo dubbioso:
    “Come lo sai? Come sai tutto questo?”
    “Io so dove siamo, e so dove dobbiamo andare. Ti prego, fidati di me. Lo sai anche tu qual è la nostra destinazione, sai benissimo chi sono io e cosa devi fare. Ti scongiuro.”
    “Si. Hai ragione.
    Andiamo.”

    Presero così la strada del cartello, seppur terribilmente nebbiosa. Viaggiando, parlarono del più e del meno per quello che sembrava un giorno intero. Come bambini, novelli fratello e sorella che si scambiano le prime parole a vicenda, sembravano estraniati da tutto e da tutti, totalmente immersi in una felicità folle.
    Quei discorsi fecero dimenticare loro, per dei bellissimi, effimeri momenti, quello che avevano passato, quello che dovevano passare, la strada, la fatica, il dolore. Diversi sorrisi si dipinsero sui loro volti, come se tutto quello che avevano visto fosse stato improvvisamente rimosso dalla loro mente. Come in ogni viaggio si trova sempre una sosta, essi trovarono dei momenti in cui dimenticare. E dimenticarono.
    La loro spensieratezza si interruppe quando si accorsero di aver terminato ogni tipo di provvista. Inizialmente, il panico prese spazio nei loro cuori, ma fu schiacciato in breve tempo dalla speranza. La stessa che li aveva spinti a procedere.
    E così, videro una luce. Attraverso l’umida nebbia, si intravedeva la sagoma di un edificio, mentre si potevano udire, chiari, rintocchi di campane. Avanzando, si vide la chiesa in tutta la sua interezza.
    Un immenso edificio eburneo, coronato da bianche statue marmoree. Al lato dell’edificio si trovava un lago, probabilmente il più chiaro e limpido che mai occhio umano avesse visto. Alzando lo sguardo verso il cielo notarono che le nuvole erano aperte nello stesso spazio al di sopra dell’edificio, lasciando trasparire il sole ed i suoi raggi.
    gothic-art-fairy-cathedral
    “Idilliaco.”
    Avanzarono verso la porta della chiesa, bussando con il pesante battente d’avorio.

    Shall God wash the sins of the unfairs with burning water.
    Shall God destroy with flames the cities of their decepting world.
    Shall God burn the skins of those who walk among the wrong path.
    Shall God save us all, destroying the reign of the human.
    Shall Him flood their homes and kill their child as payment for their sins.


    La porta si aprì.
    Un cerchio.
    Mantra.

    “Chi siete?”
    Calò il silenzio. Essi potevano sentire il loro sguardo bruciante sulla pelle.
    Alzarono la voce.

    Shall God purify the beasts by drying the blood in their veins. Shall Him purify their knowledge by making their eyes burn. Shall Him purify their souls by making their bodies fell in the flames.
    Shall they burn with their sins.


    Si girarono, e fu un attimo.

    Non riuscirono a capire quanti erano. Potevano essere due, come mille.
    Veste bianca, capelli argentei, occhi glaciali, pelle liscia, seppur anziana.
    Aprirono le bocche nello stesso, esatto, istante. Un urlo sgraziato uscì dalle loro fauci.

    Le tuniche bianche cominciarono a sporcarsi, mentre un liquido purpureo, scuro e grumoso colava dai loro occhi. Le mura riecheggiarono di quel grido, così acuto e orrendo da perforare l’udito di qualsiasi essere terreno. Le colonne tremarono, insieme ai vetri.
    Il primo si lanciò verso di loro, con un balzo era davanti a lei. Le sue mani non erano più umane, come si intravedeva nei suoi occhi. Le unghie dell’uomo erano diventate artigli affilati, neri e sporchi. La sua tunica veniva incessantemente insozzata dal sangue, mentre i suoi lembi si strappavano.
    Thomas, come era così conosciuto il suo nome fra l’uomo, tirò fuori la sua arma, colpendo in piena fronte il prelato, a bruciapelo.
    Cadde all’indietro. Si riusciva ad intravedere il contenuto della sua scatola cranica, nel mentre che la sua faccia veniva inondata dalle parti frantumate del suo stesso corpo. Barcollava in avanti, senza cedere sotto i colpi dell’arma da fuoco.

    Altri due avanzarono. Tentarono di colpire la ragazza, protetta dalle braccia del suo protettore, che si caricò il peso del colpo.
    Avrebbe portato il marchio di quell’artiglio fino all’ultimo istante.
    Estrasse il coltello con la mano sinistra, conficcandolo nel petto dell’abominio, non più umano, davanti a lui. La creatura si contorse fra urla agghiaccianti, fino a quando ilsuo petto cominciò a manifestare delle fratture. Crepe si dipanarono dalla direzione del cuore, ciascuna grondante il liquido vitale del mostro. Sembrava comunque non essere scalfito.
    Eppure, le loro fronti cominciarono a corrugarsi. Come invecchiassero per un secondo come in un anno, le loro facce si riempirono di rughe, e rinsecchirono.

    Ne arrivarono altri, non riuscirono a capire quanti.
    E per ogni colpo, sparo, coltellata sferrata ne arrivavano ancora. E per ogni ondata, le loro membra si dimenavano ancora di più, fino a perdere qualsiasi tratto umano.

    A parte l’animo.

    Le bestie li avevano circondati, colpendoli entrambi ripetutamente, cercando di strappare loro la carne. Inondavano il terreno di sangue, mentre i loro arti amputati dal coltello del disperato difensore cadevano a terra.

    Urlarono, per la seconda volta, tutti insieme.
    I vetri si ruppero. Le colonne tremarono come scosse da un boato.

    Avvenne.

    Gli abomini si buttarono a terra, contorcendosi come semplice persona non è in grado di illustrare a semplici parole. Le loro facce marcirono, mentre la pelle si separava da esse. Il sangue scendeva all’estremo, ormai ricoprendo ogni parte delle tuniche prima bianche. Le loro ossa schiantarono, spezzandosi. I loro occhi si consumarono, mentre i due videro i loro denti annerirsi fino a cadere, lasciando le gengive ad assumere un colore cinereo. Le guance ormai erano bucate, le gambe non reggettero.
    Caddero a terra all’unisono, e urlarono. Urlarono, urlarono ancora.
    Le colonne si ruppero. L’avorio cedeva.

    I due si precipitarono verso l’uscita, martoriati dai colpi inflitti da quelle piaghe terribili, coperti da lacerazioni.
    Urlavano.
    Si lanciarono contro la porta, nel tentativo disperato di aprirla con la mera forza corporea, mentre le lacrime solcavano il viso insanguinato della ragazza. Ella si gettò a terra, in preda alla disperazione.
    Il tetto stava crollando, pezzo per pezzo, fibra per fibra. Si disintegrava, esattamente come i prelati.
    Gridò, con tutta la forza che aveva in corpo.
    Gridò contro il mondo. Gridò contro la sua stessa disperazione, gridò contro l’umanità. Gridò e basta.
    E la porta si aprì.

    Uscirono, mentre lui la trascinava prendendola per la mano. La cattedrale si sbriciolò sotto i loro occhi.
    Si gettarono sul prato, salvi.
    Lo erano. In quel momento.
    Non disse nulla. Semplicemente prese fra le mani la faccia, piangente e sconvolta, della ragazza. La baciò.

    Caddero insieme, perdendo i sensi.


    Quando si risvegliarono i loro timpani erano come fracassati, i loro occhi terribilmente stanchi. Sentivano il dolore dietro i bulbi oculari, battere sulle tempie.

    Sometimes i’m up and sometimes i’m down, but i still feel heavenly bound.
    They’re coming for to carry me home.


    Posarono indescrivibili sguardi sul cocchiere del carro, comparso come nulla fosse mai accaduto.
    “Cosa c’è ora?” Disse il cocchiere, scocciato.
    “Tu non sei vivo. Non lo eri.”
    “Oh, cosa volete sia la morte per uno come me? Non è di quello che dovete avere paura.
    Nulla di ciò che pensate.”
    A quelle parole rimasero entrambi interdetti.
    “Sappiamo che non accetterai scuse. Dove ci porterai ora?”
    “Oh, ragazzo mio, lo sapete già, tutti e due. Siete giunti al termine, alla fine” Pronunciò le ultime parole in un tono estremamente cordiale ed eccentrico, come un lampo di gioia.
    “Muoviti.”

    Si accorsero solo in quel momento che un sole splendente ardeva su di loro.
    Il vento passò attraverso i capelli di lei, spostandoli delicatamente.
    Egli la guardò di soppiatto. Sorrisero.

    Non badarono alla durata del viaggio. Nessuno l’avrebbe fatto. Scesero davanti alla montagna.
    “Addio e arrivederci!” Disse il cocchiere. Scomparve.
    Davanti a loro si prospettava un’enorme montagna, intorno alla quale si intravedevano cerchi concentrici, probabilmente sentieri che conducevano alla cima, la quale era coronata da una luce innaturale.
    Avanzarono verso la salita del sentiero. Un qualcosa albergava in loro, indefinibile. Non era gioia né tristezza, non era odio né amore. Dimenticarono chi erano e cosa dovevano fare, semplicemente per salire.
    Il cielo stesso esprimeva l’arrivo.
    peaceful-dawn-bob-orsillo

    See you at the Crossroads.

    Il crocevia.
    La montagna, il destino, la fine.
    E salivano, seguendo la strada, attraverso la polvere, attraverso i sassi. Camminavano, appoggiando le mani per terra, senza mai bere.
    E salivano.

    Acqua? No.
    Cibo? No.

    Spostarono i massi che ostacolavano la loro salita. Era giunto il momento, come una svolta improvvisa di una strada che procede dritta per l’eternità.

    Amore? No.
    Ricchezza? No.


    Le loro gambe erano sottoposte al peso di mille mondi. Sentivano sulla schiena il carico di qualcosa di troppo, troppo grande per essere trasportato.

    Nulla di tutto questo.

    Avanzavano nel fango e nella sterpaglia. Da quanto, non riuscivano a pensarci nemmeno.

    La verità.

    Era musica, quella che sentivano. Erano davvero cori, quelli che udivano. Era davvero la luce, quella che vedevano.

    Solo questo.

    Era chiaro, ormai. Ogni cosa.
    Intanto, continuavano a strisciare nella sabbia, stanchi all’estremo.

    Cosa può mai essere, per me? Cos’è, per voi?

    Le parole non erano necessarie. I pensieri nemmeno.

    Al termine.

    Infine, arrivarono. Anni, vite, secondi.
    Uno spiazzo enorme. Luce. Una calda brezza primaverile.

    See you at the Crossroads.
    So you won’t be lonely.


    “Dove siamo?”

    “Lo sai.”

    E così, arrivarono. Si avvicinarono al ciglio della montagna, guardando in basso. Videro ogni cosa.
    Videro la verità, attraverso gli occhi di chi ha già passato tutto. Come guardare dall’alto il punto di partenza, dopo una vita di viaggio.

    E così, davanti a loro apparve una visione celestiale.
    Un uomo, oppure una donna. Capelli chiarissimi, occhi azzurro cielo, vestito, o vestita, di uno scintillante peplo bianco.
    In una mano, una spada.
    Nell’altra, una bilancia.

    Guardarlo era impossibile, così come avvicinarsi a esso. Sembrava sprigionare una fonte di folgori, le quali abbagliavano lo sguardo dei due.

    “Chi sei?”
    Udirono la risposta, ma le labbra dell’essere non si mossero.
    Delle argentee ali spuntarono da dietro di esso.
    “Chi siete voi. Cosa siete, dove siete. Dovreste saperlo”

    Una luce accecante li inondò.
    “E’ finita?”
    “Siamo arrivati. Si.”


    “Ti amo.”

    In quell’effimero istante, le labbra dei due si toccarono, sotto gli occhi lucenti di quella creatura così bella, eppur irraggiungibile.
    Dicono che le gioie mortali durano poco, ma alcuni istanti sono eterni.

    - Fiat Lux. -


    La spada angelica trapassò la carne mortale. La bilancia era stata pesata, il filo bruciato.
    Il sole calava. Il tramonto era oramai vicino.

    Un amaro sorriso si dipinse sulle labbra di lui, mentre le sue mani si separavano dal corpo dell’amata. Chiuse gli occhi, incurante del dolore che attanagliava il suo essere.

    I cori angelici cominciarono ad intonare un canto inudibile.

    Le lacrime che solcavano il volto della ragazza senza nome caddero a terra, nutrendo l’arido terreno che chissà quanti avrebbero calpestato. Osservava amaramente il sangue del suo protettore scendere piano dal suo ventre, mentre indietreggiava, ancora, fino a raggiungere il ciglio. Non fece quasi in tempo a provare quella profonda amarezza, quella struggente malinconia che accompagna la morte della persona con cui si è condiviso il proprio viaggio.
    Cadde nel vuoto.
    Essa udì le sue ultime parole:
    Tocca a te, ora.

    Un lampo. Un istante, un battito di ciglia.
    Una luce indescrivibile avvolse ogni sua fibra, portandola lontano da quel luogo.


    Una stanza.
    Una porta, davanti.
    Qualcuno dietro di lei.

    Aprì la porta.

    “Dove dobbiamo andare?”




    “Lo sai.”



    Black-magic-flame-angel-








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    Da rivedere in chiavi diverse.


    Edited by »RavenShaÐe - 7/9/2013, 14:55
     
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    K, ci siamo. Eccoci arrivati, qui, alla fine.
    O all'inizio?

    L'ho letto, tutto. Ho letto la tua mente, ho letto la tua persona, la tua donna.
    Ho letto i tuoi silenzi, ho letto ciò che sei, ciò che ami, ciò che temi.
    Cosa è un racconto? Cosa sono se non parole messe in fila?
    Oh no, un racconto è come un film, se non migliore.
    Un racconto è un pensiero scritto su carta.
    Son mille pensieri, sono mille ricordi.
    La piazza, il bosco, il bar, la montagna, la carrozza.
    Io, ero lì, era il mio racconto. L'ho immaginato io, il colore della carrozza, i capelli di lei, la spada.
    È questo un racconto.
    È lasciare spazio all'immaginazione del lettore, è prendere per mano e condurre alla fine, ma lasciando libero di muoversi.
    È condurre con un filo sottile.

    Mi piace lo stile, mi piace il linguaggio.
    È il tuo miglior racconto.
    Hai lasciato una parte di te, hai lasciato qualcosa.
    Tu eri il mio cocchiere, mi hai portato a spasso per i tuoi pensieri.

    +2 ma non fa a metterlo.
    Questo vale doppio, e consiglio a tutti una lettura lenta, lenta e dettagliata, perchè nulla qui, è lasciato al caso.

    Bravo, K.
     
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    Pixel, glielo metto io il secondo +1. E ti posterei anche un quinto applauso, ma ormai è scontato.
    A parte gli scherzi, Shade. Questo racconto mi ha fatto venire la pelle d'oca, e non scherzo. È forse, uno dei migliori racconti che hai scritto, sul serio. Le immagini erano uno stacco tra un evento e l'altro, e a me ha fatto tanto piacere osservarle. Creano un'armosfera meravigliosa. È stato un bel viaggio, attraverso la tua fervida fantasia. Mi hai fatto vedere luoghi che io non avrei mai conosciuto, e ti ringrazio.

    Al diavolo. Te lo meriti!

     
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    Il terzo glielo metto io.
    Oh, sì! Diamine, trama bellissima, mi è piaciuto davvero moltissimo. Avevo proposto la categoria dei racconti simbolici per un motivo. Questo non lo è ma gli si avvicina molto. Semplicemente vago, con un tocco di irrealizzabilità e presa di coscienza. Meraviglioso. Dovresti leggere qualcosa di Dino Buzzati, potrebbe piacerti.

    Edited by Pisy - 19/9/2013, 23:31
     
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    Fantastico, Shade. L'ho apprezzato moltissimo.
     
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  6. ZeldaSM
         
     
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    Ed ecco il quinto, complimenti!
     
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    That's why the people of this world believe in!

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    Beh come ti ho già detto, mi è piaciuto.
    Davvero, è molto bello, ben strutturato e scritto benissimo.
    Complimenti
     
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    Tonight, Vinz joins the hunt

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    Shade, davvero un ottimo lavoro. Complimenti.
     
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  9. OmegaDriver
         
     
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    L'8 è un numero fortunato in molte culture, Quindi, con il mio +1, ti auguro buona fortuna per il tuo prossimo racconto. Voglio vedere cosa farai per stupire ancora, e più di così.
     
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8 replies since 16/8/2013, 10:35   196 views
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