Torture Medievali

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    Lo stemma dell'inquisizione, composto dal ramo d'ulivo (che simboleggia la misericordia) e dalla spada (che simboleggia invece la giustizia)



    Cintura di castità
    Favola vuole che esse servissero per assicurare la fedeltà delle mogli durante le lunghe assenze dei mariti. Può anche darsi che a volte la fedeltà venisse assicurata in questo modo, ma per brevi periodi non certo per tempi lunghi.
    In verità l'uso della cintura era ben diverso, essa serviva in primo luogo a difendere la donna dal pericolo di stupro. Si sa da numerose testimonianze che le donne utilizzavano la cintura di loro spontanea iniziativa. Quindi sorge la domanda: la cintura è o non è uno strumento di tortura? La risposta è sì, perché questa umiliazione era imposta dal terrore di dover subire senza volere le violenza di un uomo.

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    L'aquilone del vescovoNon si sa l'etimo di questa denominazione, la quale compare in alcuni documenti toscani del Seicento. Occorre notare che al prigioniero rimane libera una gamba, egli può così camminare, anche se zoppicando in modo grottesco.
    E' probabile che l'esempio qui presente venisse utilizzato per la punizione di prigionieri forzati ai lavori di manutenzione delle strade e delle strutture militari toscane, forse risalendo al primo '500.

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    La GarrottaDue sono le versioni di questo strumento: quella spagnola in cui la vita tira indietro il collare di ferro, uccidendo la vittima solo per asfissia, e quella catalogna, rappresentata nella foto, in cui un aculeo di ferro penetra e schiaccia le vertebre cervicali mentre al tempo stesso la vite spinge l'intero collo in avanti, forzando la trachea contro il collare fisso ed uccidendo sia per asfissia sia per stritolamento del midollo spinale. Questo secondo tipo è tuttora in uso in alcune località dell'America Latina, per le torture poliziesche e per le esecuzioni.

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    Il Piffero del Baccanaro
    L'anello di ferro viene serrato dietro il collo della vittima, e le sue dita, dopo essere state inserire dentro gli archetti nell'apposita morsa, vengono strette a forza di vite. In genere questa punizione veniva inflitta per punire reati minori. In Italia veniva spesso riservato a chi aveva fatto confusione davanti alla chiesa durante le funzioni.
    Alcune pubblicazioni moderne sostengono che questo strumento venisse usato per i “cattivi musicisti”, ma anche nei secoli più dediti alla tortura chi suonava male veniva semplicemente licenziato dalla banda.

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    Scarpe del servo
    Queste scarpe venivano fatte indossare ai servi indisciplinati e sciocchi. Veniva loro ordinato di camminare senza far suonare la campanella, infatti, non appena essa suonava, il padrone correva a stringere con un giro di vite.

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    Violone delle comari
    Strumento riservato prevalentemente alle donne che rompevano la pace della vita pubblica litigando. Il collo veniva serrato mediante il foro più grande, mentre nei due fori più piccoli venivano inserite le mani. Le donne così legate erano esposte al pubblico ludibrio. Nonostante fosse considerata una pena "leggera", essa non era priva di rischi di morte, soprattutto dovuta alla setticemia, in quanto tale attrezzo veniva portato per più giorni.

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    Cicogna di storpiatura
    Più che una tortura, questo era un sistema per immobilizzare il prigioniero, prima di sottoporlo alle torture vere e proprie, tuttavia, a causa della posizione assunta, finiva per rappresentare esso stesso un primo livello di tortura.

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    Cavallino
    Sembra un semplice ciocco di legno, in realtà la parte superiore forma un bordo tagliente. Il reo vi veniva posto sopra, e, successivamente, venivano legati alle sue caviglie dei pesi, sfruttando così la forza di gravità.

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    Culla di Giuda o la “Veglia”
    Il funzionamento di questo strumenti è in tutto e per tutto simile al precedente. Il malcapitato veniva posto sulla cima della piramide (la punta di norma veniva posta nell'ano, o nella vagina, o contro lo scroto) e dei pesi venivano serrati alle sue caviglie.
    Il carnefice poteva variare la forza del peso gravante dal nulla alla totalità. La vittima poteva essere dondolata o fatta cadere sulla punta ripetutamente.
    Questa tortura era tanto più terribile dal momento che implicava una veglia continua. La penetrazione del cuneo era preordinata in modo tale da non provocare la morte, ma svenimenti o dolori indicibili. Un medico e un notaio dovevano assistere all'operazione, il primo per far ristabilire la vittima in caso di prossimità alla morte, onde poter far ricominciare la tortura, il secondo per verbalizzare ogni singolo momento degli accadimenti.

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    La GognaLa famosissima gogna. Di questo famoso strumento è stata data, negli anni, una versione goliardica, quasi fosse un tipo di pena divertente e leggera. La realtà è ben diversa. Il reo doveva restare bloccato dalla gogna per diversi giorni, inpossibilitato a difendersi da coloro che passavano (che non lesinavano il lancio di sassi, feci, ecc...)

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    La Vergine di Norimberga o Vergine di ferro
    La famosissima Vergine di Norimberga. Come si può vedere dall'immagine, era piena di chiudi atti a ferire il reo, posto all'interno. Le fonti storiche riferiscono che questo strumento era utilizzato prevalentemente in Germania. Chi subiva l'abbraccio della vergine di ferro dopo essere stato stritolato rimaneva attacato alle punte dei chiodi e delle lame quando la Vergine riapriva le braccia.

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    La sedia inquisitoria
    Si trattava di una sedia di ferro, irta di punte acuminate sulle quali veniva fatto sedere l'imputato che, è inutile ricordarlo, era completamente nudo e legato in modo da non potersi alzare. Si procedeva poi accendendo il fuoco sotto la sedia che, in breve, cominciava a scottare, spingendo l'imputato a dimenarsi.

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    Scala di stiramento
    Sullo sfondo si possono notare vari strumenti di tortura, alcuni già descritti precedentemente. Il tavolo, invece, è uno degli strumenti di tortura medievali più famosi. Il reo vi era posto, sdraiato, e i suoi arti venivano legati a un perno, così che il boia, girando una semplice manovella, potesse stendere i muscoli del malcapitato, fino a provocare la fuoriuscita delle ossa dalle loro collocazioni.

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    Culla della tortura
    Culla riempita di chiodi. Il malcapitato vi veniva posto all'interno, quindi veniva "cullato" esattamente come un bambino...ma con effetti ben diversi.

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    Cintura spinata
    Si trattava di un collare munito internamente di aculei. Era utilizzato come punizione per coloro che violavano la disciplina ecclesiastica o familiare, agli ubriachi, alle donne litigiose e alle prostitute. Si restava prigionieri del collare e oggetto del pubblico dileggio fino ad un periodo massimo di sei settimane. Spesso il reo era obbligato a portare sul petto un cartello sul quale era indicato il motivo della condanna.

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    La pera orale, rettale, vaginale
    Questi attrezzi nelle loro varie misure venivano forzati nella bocca, nell'ano o nella vagina della vittima ed indi espansi a forza di vite alla massima apertura dei segmenti. L'interno della cavità colpita viene irrimediabilmente e quasi sempre dilaniato. Le punte che sporgono dai tre segmenti servono per straziare il fondo della gola, del retto o della cervice dell'utero.
    La pera orale veniva spesso inflitta ai predicatori eretici; la pera vaginale invece attendeva le donne ree di rapporti con Satana o con uno dei suoi familiari, ed infine quella rettale gli omosessuali passivi.

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    Maschere d'infamia
    Questa tortura infliggeva allo stesso tempo due tipi di supplizio: quello psicologico e quello fisico. Rendeva ridicoli ed umiliava di fronte al pubblico, ma allo stesso tempo provocava un dolore tremendo poiché stringeva la testa. Questi congegni venivano usati per punire le donne ritenute "bisbetiche" e "litigiose" perché stremate dalla schiavitù domestica e dalle perenni gravidanze. Venivano esposti al pubblico ludibrio anche i non conformisti ed i disobbidienti di piccola tara; ed il potere ecclesiastico retribuiva in tal modo una lunga serie di infrazioni minori.
    La stragrande maggioranza delle vittime consisteva in donne, il principio motivante essendo stato da sempre quello di "mulier taceat in ecclesia", "la donna taccia in chiesa", "chiesa" significando le gerarchie regnanti sia laiche che religiose, entrambe costituzionalmente ginecofobiche; il vero senso quindi era "la donna taccia nella presenza del maschio".
    Molte maschere erano munite all'interno di congegni che entravano nella bocca della vittima ed alcuni di essi mutilavano la lingua con aguzzi aculei e con lamette taglienti. Le vittime, serrate nelle maschere ed esposte in piazza, venivano anche malmenate dalla folla con percosse dolorose, imbrattamenti con sterco ed orina, e ferimenti anche gravi specie ai seni e al pube.

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    Pinze e tenaglie arroventate
    Le tenaglie roventi erano per lo più adoperate per amputare e contemporaneamente cauterizzare le ferite, così da evitare il rapido dissanguamento delle vittima.
    Tutto quello che era asportabile veniva rimosso per mezzo di pinze roventi, a cominciare dalla lingua, per continuare con gli occhi e via di seguito senza, naturalmente, tralasciare i genitali.
    Spesso le torture rendevano storpi e sciancati per il resto della loro vita coloro che le avevano subite, se era loro concesso di vivere. Più spesso, quelli che alla fine confessavano anche colpe che non avevano commesso, preferendo la condanna al protrarsi dei tormenti, venivano condotti al rogo legati a una scala, che svolgeva le funzioni di barella, perché ridotti a un insieme di membra slogate, spezzate e piegate, e incapaci di articolare un solo movimento.

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    Straziatoio di seni Si trattava di strumenti appositi formati da quattro punte che penetravano le carni delle povere torturate condannate per eresia, bestemmia, adulterio, "atti libidinosi", aborto autoprocurato, magia bianca erotica e molto altro.
    Spesso "l'operazione" (eseguita con tenaglie arroventate) veniva preceduta dall'ustione dei capezzoli. In diversi luoghi e tempi - in alcune regioni della Francia e della Germania, fino all'inizio dell'ottocento - un "morso" con zanne roventi veniva inflitto ad un seno delle ragazze madri, sovente mentre le loro creature si contorcevano ai loro piedi.

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    Schiacciatesta
    Lo schiacciatesta già conosciuto nel Medioevo ha avuto largo uso anche in tempi più recenti, specialmente nella Germania del Nord. La sua funzione è di estrema semplicità e non ha bisogno di commenti: sulla testa appoggiata alla barra veniva lentamente calata (a mezzo vite) la calotta sino a spezzare le ossa del cranio.

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    Impalamento
    Consisteva nel conficcare un palo appuntito nell'ano del condannato per poi farlo fuoriuscire dalle spalle, usando una particolare attenzione a non ledere gli organi vitali. In questo modo, l'agonia durava anche giorni, e la sorte delle vittime poteva essere utilizzata come ammonimento per coloro che volevano trasgredire le regole dell'ordine costituito. Spesso, per rendere il tormento più atroce, l'impalato veniva posizionato a testa in giù.

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    Sospensione alla corda
    Uno dei tormenti prediletti dagli inquisitori, e al quale raramente gli accusati sfuggivano, era la sospensione alla corda. Consisteva nel ripiegare le braccia del malcapitato dietro la schiena, legargliene una ai polsi e sollevato da terra per mezzo di una carrucola. Già da solo questo era un supplizio. La pena però non si esauriva qui, perché, quando la vittima era stata sollevata ad una certa altezza, si allentava improvvisamente la tensione in modo da lasciarla cadere con uno strappo, ma non fino a farle toccare terra. Il risultato è che l'omero fuoriesce dalle sue legature con la scapola e con la clavicola, una distorsione questa che crea orrende deformazioni del torace e della schiena, spesso permanenti. Nel caso di un accusato particolarmente cocciuto, presentava l'innegabile vantaggio di potervi inserire degli optional, come per esempio acqua gelida sulla schiena, sui muscoli e i nervi stirati e contratti. In alternativa, si provvedeva ad appendergli ai piedi dei pesi, così da rendere più dolorosi gli strappi in caduta e, se ancora persisteva nel suo "errore", gli si poteva sempre accendere il fuoco sotto le piante dei piedi. Alcune varianti potevano essere le seguenti:
    1- al condannato, appeso per i piedi, viene agganciato un pesante masso al collo; la vittima veniva strangolata e tormentata finché la colonna vertebrale non si schiantava.
    2- il prigioniero veniva cosparso di miele ed altre sostanze dolci e lasciato in balia di molesti insetti come api, vespe e calabroni.
    3- il condannato, sospeso per un piede, ha una gamba legata al ginocchio dell'altra mentre l'altra è appesantita da un oggetto metallico.
    Vicino a Lindau, in Germania, un malfattore fu appeso al patibolo con delle catene di ferro e con ai piedi due grossi cani che, essendo tenuti senza cibo, lo divorarono prima che egli stesso morisse di fame.



    Torture col fuoco
    Il punto in cui venivano prevalentemente usate erano i piedi. Si procedeva in questo modo: dopo aver legato l'interrogato a un'asse, in posizione seduta, gli si ungevano i piedi di lardo, vi si accendeva sotto un fuoco e lo si teneva per la durata della recitazione di un Credo. Spesso, dopo, non si potevano più usare i piedi, come testimoniano gli atti di un processo del 1587 dove una presunta strega ne perde l'uso. Nonostante l'evidenza dei fatti il vicario vescovile di Albenga, suo inquisitore, affermerà: "il fuoco ai piedi fu dato solo a quattro gagliardissimamente indiziate, et a tutte con misura; né è vero che alcuna habbi per questo perso li piedi ma non è anco guarita forse piuttosto per colpa di mala cura che per l'estremità del tormento".
    Comunque sia, a Palermo, nel 1684 e 1716 due condannati all'impiccagione vennero portati sul luogo dell'esecuzione legati a una sedia perché incapaci di reggersi in piedi in seguito al tormento del fuoco.
    Una variante al fuoco a diretto contatto con le carni degli inquisiti erano le uova sode, non da mangiare, ma da applicare, appena tolte dall'acqua bollente, sotto le ascelle o fra le cosce; i tribunali più raffinati e con maggiori mezzi economici sostituivano le uova con sfere di ferri incandescenti. Un carnefice grossolano poteva anche adoperare piccole dosi di olio bollente, da versare goccia a goccia sull'imputato, naturalmente nei suoi punti più sensibili.


    Forcella dell’eretico
    Questo strumento si componeva di due forche, una posta sul torace e l'altra sotto il mento.
    Un collare veniva legato intorno al collo del prigioniero e gli si legavano le mani dietro la schiena.
    Il condannato risultava così impossibilitato anche del minimo movimento per non pregiudicare i punti vitali, ma infine doveva cedere per stanchezza.

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    La tortura dell’acqua
    L'accusato veniva disteso supino su un'asse orizzontale e gli si versava sullo stomaco, per mezzo di un imbuto il cui becco era cacciato fino in gola, da 5 a 15 litri d'acqua. Quando lo stomaco era teso come un otre si inclinava l'asse in modo che l'interrogato venisse a trovarsi con la testa in basso: la pressione dell'acqua contro il diaframma e il cuore provocava dolori lancinanti che, se non erano sufficienti a farlo confessare, venivano aggravati da brutali percosse sul ventre. La tortura dell'acqua fu tanto in voga e per così lungo tempo che, sotto il regno di Luigi XIV, era ancora in auge: così infatti venne interrogata la marchesa di Brinvilliers, che confessò di aver avvelenato tre quarti della sua famiglia, anche se inizialmente si era dimostrata tanto brillante e spiritosa da esclamare, alla vista dei secchi d'acqua che dovevano servire alla tortura: "Di certo serve per farmi il bagno! Non possono pensare che la beva tutta".
    L'ingegno dei torturatori, che non conosceva limite, aveva elaborato un diversivo rispetto al supplizio dell'acqua, consistente nello spingere nella gola del malcapitato un velo bagnato, accompagnato da sorsi d'acqua, finchè non arriva allo stomaco. A questo punto il velo veniva strappato con un unico colpo.
    Purtroppo la tortura del velo non riscosse grande successo: si dimostrò poco appropriata perché, nella maggioranza dei casi, l'interrogato, dopo lo strappo, spirava con le proprie viscere tra i denti.

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    Bollitura e Friggitura
    La bollitura e la friggitura dei prigionieri rappresentavano due torture dal modus operandi molto semplice: si riscaldava un enorme calderone pieno d'acqua o, preferibilmente, olio fino alla bollitura, dopodiché vi si immergeva la vittima, molto spesso inserendo prima la testa.
    Un'altra modalità d'esecuzione era friggere in una vasca o su una griglia il condannato.
    Ancora, quando i carnefici desideravano prolungare l'agonia del prigioniero, lo legavano e lo immergevano in una vasca colma d'acqua od olio, cosicché rimanesse fuori la testa, dopodiché si accendeva un fuoco.

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    Pendolo
    Tortura dell'inquisizione di Spagna che procurava una lenta e tormentosa agonia. La vittima veniva legata su un tavolo molto accuratamente, in modo che potesse muovere solo gli occhi, mentre incombeva su di lei un pendolo grande e pesante con il lato inferiore curvo e tagliente. Ma poi, nell'oscillare avanti e indietro, gradualmente ma in manniera costante, l'asta del pendolo si allungava e il prigioniero in preda al terrore e costretto contro la sua volontà ad osservare i movimenti della lama che scendeva, sopportava l'orrore di vedere il tagli avvicinarsi sempre di più al volto. Alla fine la lama affilata gli squarciava la pelle, continuando inesorabilmente a tagliare fino ad ucciderlo. Ma nella maggior parte dei casi, prima che la lama facesse uscire del sangue, il prigionero cadeva in balia della pazzia.

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    Stivaletto spagnolo
    Lo stivale era considerata dai testimoni dell'epoca la tortura piu' violenta e crudele al mondo. Consisteva in un contenitore di ferro a forma di stivale progettato per racchiudere l'arto nudo, dal piede al ginocchio; tra la gamba e lo strumento venivano inseriti con un martello dei cunei di legno o di metallo. La carne veniva cosi' lacerata e spesso le ossa si schiantavano, frantumandosi in modo spaventoso e disgustoso, mentre il castigo proseguiva finche' la vittima confessava. Era inoltre raro che chi sperimentava questa tortura non rimanesse storpio a vita.


    Guanti di ferro
    Venivano legati ai polsi del prigioniero dei guanti di ferro che tramite una vite venivano gradualmente stretti. Il prigioniero poi veniva fatto salire su dei blocchi di legno e incatenato al soffitto tramite questi "guanti"; rilasciato il supporto di legno, tutto il suo peso gravava sui polsi e i guanti penetravano in profondità la carne gonfiando le braccia.


    Spezzamento con la ruota ferrata
    Questo supplizio, utilizzato soprattutto in Germania ed in Francia, consisteva in due fasi: la prima pubblica, per fornire gli opportuni esempi, in cui alla vittima venivano spezzati degli arti, la seconda in cui, legata la persona alla ruota e issata su un palo, veniva lasciata in balia di volatili e roditori.



    Squartamento
    L'eviscerazione era un metodo di esecuzione largamente diffuso.
    L'addome veniva inciso e un capo degli intestini agganciato ad un ferro e lentamente avvolto sul tamburo del legno. La vittima rimaneva cosciente per lunghe ore e alcune volte la richiesta di giustizia veniva soddisfatta facendo ingoiare al prigioniero le sue stesse viscere, appena estirpate dal ventre.
    Una variante era lo squartamento coi cavalli cui fu sottoposto Robert-François Damiens nel marzo 1757, per avere attentato alla vita di Luigi XV. L'esecuzione più in voga nel medioevo consisteva però nel seguente procedimento: il prigioniero veniva legato con una grossa fune, sia all'altezza delle braccia che delle gambe; le funi erano poi assicurate a una grossa sbarra di legno o di metallo che a sua volta veniva legata a dei cavalli, uno per ogni estremità della vittima. Poi li si costringeva a dare dei piccoli strattoni che l'obbligavano ad implorare pietà. Quando i carnefici si ritenevano infine soddisfatti, frustavano le bestie contemporaneamente, incitandoli in direzioni opposte, in modo da fare a brandelli le membra. Spesso e volentieri il corpo della vittima opponeva resistenza, cosicché i boia lo facevano a pezzi con delle accette, come fa un macellaio con la carne, fino a quando le membra si staccavano dal busto del prigioniero ancora vivo.

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    Ordalia dell’acqua
    Il condannato veniva buttato in acqua legato, in modo che non riuscisse a nuotare. Questo sistema era usato soprattutto nei luoghi di mare. Veniva utilizzato per verificare la colpevolezza di una presunta strega: se essa annegava, era considerata innocente; se l'acqua la respingeva ed essa galleggiava, era considerata colpevole e veniva messa al rogo.
    Un'altra tecnica, la tortura delle barche, può essere così descritta: si prendevano due piccole barche esattamente della stessa misura e della stessa forma. La vittima veniva fatta stendere dentro una delle due, di schiena, lasciando fuori la testa, le mani e i piedi. Poi si capovolgeva la seconda barca sistemandola sulla prima. In questo modo il corpo del condannato veniva rinchiuso nelle due barche, mentre i piedi, le mani e la testa rimanevano fuori. Poi gli si offriva del cibo e nel caso lo rifiutasse, veniva torturato o punzecchiato in altro modo, fin quando accettava l'offerta.
    Il passo successivo consisteva nel riempirgli la bocca con una mistura di miele e di latte, e nello splalmargliela sul volto. Poi lo si esponeva ai raggi cocenti del sole, ed in breve tempo mosche ed insetti cominciavano a posarsi sul viso del prigioniero e a pungerlo, fino a portarlo alla pazzia. E nel frattempo, poiché la natura proseguiva il suo corso, all'interno della barca il cumulo degli escrementi emanava un lezzo terribile ed iniziava a marcire. Quando sopraggiungeva la morte e si sollevava la barca superiore, si trovava il cadavere divorato dai parassiti e si vedevano degli sciami di rumorose creature che gli divoravano la carne, e così pareva, crescevano dentro le sue viscere.
    Un'altra forma di tortura consisteva nel rinchiudere in un sacco la vittima, assieme a delle bestie come un gatto, un gallo, una scimmia o un serpente ed annegarlo.

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    Tortura tedesca
    Si legava un grosso gatto selvatico, chiuso in una gabbia, sull'addome nudo del prigioniero; poi la bestia veniva tormentata e punzecchiata finche preso dalla furia e dalla disperazione strappava con le unghie e con i denti la carne della vittima sotto di sé, rosicchiando fino alle budella.


    Tortura olandese
    Una variante della tortura tedesca, ma più disgustosa. La vittima, spogliata, veniva legata a mani e piedi e posta supina su un piano rigido; un vaso di ferro, pieno di ghiri e ratti, veniva capovolto sullo stomaco del prigioniero. Il passo successivo consisteva nell'appiccare un fuoco a questo contenitore metallico, cosicché le bestie, rese frenetiche dal calore e impossibilitate a scappare, dovessero scavarsi dei tunnel attraverso le viscere del condannato.


    Annodamento
    Questa era una tortura specifica per le donne. Si attorcigliavano strettamente i capelli delle streghe a un bastone. Quando l'inquisitore non riusciva ad ottenere una testimonianza si serviva di questa tortura; robusti uomini ruotavano l'attrezzo in modo veloce provocando un enorme dolore e in alcuni casi arrivando a togliere lo scalpo e lasciando il cranio scoperto. Questa tortura era usata in Germania contro gli zingari (1740-1750) e in Russia con la Rivoluzione Bolscevica nel 1917-1918.


    Abbacinamento
    Il supplizio consisteva nel causare la cecità della vittima, o esponendola al sole dopo averla privata delle palpebre, oppure avvicinando un bacino rovente (una sorta di spillone) agli occhi, che venivano forzosamente tenuti aperti.
    Questa forma di tortura era solitamente usata in guerra dai Bizantini, contro i nemici catturati come prigionieri, ma, secondo la leggenda, una illustre vittima fu già Attilio Regolo. Storicamente tale tortura era praticata specialmente contro re che venivano deposti dal trono o anche contro nobili e feudatari che tramavano contro i sovrani.


    La gabbia
    Spesso è stata vista anche in alcuni film ambientati proprio nel Medioevo. La vittima designata veniva posta all’interno di una gabbia metallica approssimativamente fatta a forma del corpo umano. I torturatori potevano anche costringere le vittime in sovrappeso in un dispositivo più piccolo, o anche fare la “bara” leggermente più grande del corpo di una vittima per creare più disagio. La gabbia spesso veniva appesa ad un albero o a una forca. Per i crimini gravi, come eresia o blasfemia, molte persone sono state punite con la morte dentro la bara. La gabbia, esposta al sole, permetteva agli uccelli o altri animali di mangiare la carne degli imprigionati. A volte gli spettatori lanciavano pietre e altri oggetti per aumentare ulteriormente il dolore della vittima.

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    Lo spacca-ginocchio
    Un altro strumento favorito da parte dell’Inquisizione spagnola per la sua versatilità, è stato lo spacca-ginocchio. Era uno strumento con punte affilate attrezzate su entrambi i lati dell’impugnatura. Quando il torturatore girava la maniglia, gli artigli lentamente schiacciavano e penetravano la pelle e le ossa del ginocchio. Anche se il suo uso ha determinato in rari casi la morte, l’effetto è stato quello di rendere le ginocchia completamente inutili. A volte, è stato utilizzato anche su altre parti del corpo compresi i gomiti, le braccia e anche le caviglie. Il numero di punte dello spacca-ginocchio variava da tre a più di venti. Alcuni artigli sono stati riscaldati in anticipo per massimizzare il dolore, altri avevano decine di artigli più piccoli che penetravano la carne lentamente e dolorosamente.

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    Fonti:
    Vari siti internet
    Museo della Tortura di San Gimignano
    Museo della Tortura di Volterra
    Museo della Tortura di San Marino

    Si ringrazia Mordekai per la collaborazione




    Estratto dalle carceri Carlo Verdano



    Trascrizione dell'interrogatorio a Carlo Verdano, accusato di essere un untore

    Interrogato: Che dica che si è risolto a dir meglio la verità di quello che ha sin qui fatto, circa le cose che è stato interrogato e gli sono state mantenute in faccia da Gio Stefano Baruello.
    Risponde: Illustrissimo signore, non so niente
    Interrogato: Che dica la causa perché interrogato se aveva mangiato in casa di Gerolamo cuoco, che fa l'osteria là a S. Siato, di compagnia del Baruello, non contento di dire una volta no, rispose “Signor no, signor no, signor no”.
    Risponde: Perché non è la verità.
    Interrogato: Che per negare una cosa basta dire una volta di no e che quel replicare “Signor no, signor no, signor no” mostra il calore che lo nega e che per maggior causa lo neghi perché non sia vero.
    Risponde: Perché non vi sono stato.
    Interrogato: Che occasione aveva di scaldarsi così?
    Risponde: Perché non vi sono stato, illustrissimo signore.
    Interrogato: Perché interrogato se aveva mai mangiato col detto Baruello all'osteria sopra la piazza del castello, rispose “Signor no. Mai, mai, mai”.
    Risponde: Ma, signore, vi ho mangiato una volta, ma non solo, ma in compagnia di Francesco barbiere, figliuolo d'Alfonso, e quando ho risposto “Signor no, mai, mai, mai” mi sono inteso di avervi mangiato col Baruello solamente.
    Interrogato: Prima che esso non era interrogato se avesse mangiato là col Baruello solo o in compagnia d'altri, ma semplicemente se aveva mangiato con lui alle dette osterie, e però se gli dice che in questo si mostra bugiardo, poiché allora ha negato e adesso confessa; di più se gli dice che si ricerca di sapere da lui, perché con tanta esagerazione negò di avervi mangiato; né gli bastò di dire no, che anco vi aggiunse quelle parole “Mai, mai, mai”.
    Risponde: Ma, signore, perché, io non vi ho mai mangiato, altro che quella volta ed intesi l'interrogazione di Vossignoria se aveva mangiato con lui solo: e quanto al secondo, dico che mi sfogavo così, perché non vi ho mai mangiato.
    Interrogato: Perché interrogato se ha mai trattato col Baruello, di far servizio al signor D. Giovanni, rispose con parole interrotte: sarà, uh, uh, uh!
    Risponde: Perché non ho mai parlato con lui.
    Interrogato: Chi è questo lui?
    Risponde: E' il figliolo del signor castellano.
    Interrogato: Perché questa mattina interrogato se si è risoluto a dire la verità meglio di quanto fece ieri sera, ha prodotto in queste parole: “Perché io ne sono innocente di quella cosa che mi imputano” le quali parole, oltreché sono fuori di proposito, non essendo mai stato interrogato sopra imputazione che gli sia data, mostrano ancora che esso sappia d'essere imputato di qualche cosa; e pure interrogato che imputazione sia questa, ha detto di non saperlo: onde se gli dice che, oltreché si vuol sapere da lui perché ha detto quella risposta fuori di proposito, si vuol anche sapere che imputazione è quella che gli vien data.
    Rispose: Io ho detto così perché non ho fallato.
    Interrogato: Perché, interrogato se, quando passò sopra la piazza del castello col detto Brunello, videro alcuno, ha risposto prima di no, poi ha soggiunto: “Ma, signore, vi erano della gente, che andavano innanzi e indietro” e dettogli perché dunque aveva detto “Signor no” ha risposto: “Io m'ero inteso se aveva veduto dei compagni” soggiungendo “No, signore, siano per la Vergine Santissima, che non ho fallato”; le quali parole ultime, come sono state fuori di proposito, non essendo egli finora stato interrogato di alcun delitto specificatamente, così mettono in necessità il giudice di voler sapere perché le ha dette, e però s'interroga ora perché dica perché ha detto quelle parole fuori di proposito con tanta esagerazione.
    Risponde: Perché non ho fallato.
    Interrogato: Che sopra tutte le cose che è stato interrogato adesso si vuole più opportuna risposta, altrimenti si verrà ai tormenti per averla.
    Risponde: Torno a dire che non ho fallato ed ho tanta fede nella Vergine Santissima che mi aiuterà, perché non ho fallato, non ho fallato.

    Allora fu comandato di condurlo al luogo dell'eculeo e ivi sottoporlo a tortura, usando anche la legatura con la canapa affinché rispondesse in modo opportuno alle interrogazioni fattegli, come sopra, e non altrimenti, ecc.; e sempre senza pregiudizio del diritto del reo confesso e convinto e degli altri diritti, ecc.; fu pertanto ivi condotto e, ripetutogli il giuramento di dire la verità, egli giurò ecc. e fu quindi...

    Interrogato: A risolversi a rispondere a proposito delle interrogazioni già fattegli, come sopra, altrimenti si farà legare e tormentare.
    Risponde: Perché non ho fallato, illustrissimo signore.

    Allora, sempre senza pregiudizio, come sopra, agli effetti di quanto sopra, e dopo avergli fatto indossare abiti talari, si comandò che fosse legato, quindi venne sospeso a una fune per il braccio sinistro, dopo che anche al braccio destro fu adattata una legatura di canapa. Indi fu nuovamente interrogato...

    Interrogato: A risolversi a rispondere a proposito alle interrogazioni dategli, come sopra, che altrimenti si farà stringere.
    Risponde: Non ho fallato, sono Cristiano, faccia V.S. Quello che vuole.

    Allora sempre senza pregiudizio, come sopra, fu ordinato che si stringesse e quando fu stretto, fu nuovamente interrogato:

    Interrogato: Di risolversi a rispondere a proposito alle interrogazioni dategli.
    Risponde: Ah, Vergine Santissima, non so niente.
    Di nuovo sollecitato a dire la verità come sopra;
    Risponde gridando: Ah, Vergine Santissima di San Celso, non so niente.
    Dettogli: Che dica la verità, se no si farà stringere più forte! Cioè risponda a proposito.
    Risponde: Ah, signore, non ho fatto niente.

    Allora fu ordinato di stringere più forte e mentre lo si stringeva gli fu chiesto ancora:

    Interrogato: A risolversi a dire la verità a proposito.
    Risponde, gridando: Ah, signore illustrissimo, non so niente.
    Invitato a rispondere opportunamente, come sopra:
    Risponde: Sono qui a torto, non ho fallato, misericordia, Vergine Santissima.
    Interrogato: Di nuovo invitato a rispondere opportunamente come sopra, che altrimenti si farà stringere più forte.
    Risponde, gridando: Non lo so, illustrissimo signore, non lo so, illustrissimo signore.

    Allora fu ordinato di stringere più forte e mentre lo si stringeva fu di nuovo interrogato:

    Interrogato: che risponda opportunamente, come sopra.
    Risponde, gridando: Ah, Vergine Santissima, non so niente.

    Allora, postegli le mani dietro il dorso e legato, fu sollevato col cavalletto:

    Interrogato: A risolversi a rispondere opportunamente alle interrogazioni già dategli.
    Risponde, gridando: Ah, illustrissimo signor, non so niente.
    Interrogato: Che risponda opportunamente, come sopra.
    Risponde: Non so niente, non so niente. Che martirii sono questi che si danno a un Cristiano! Non so niente.
    Gli fu di nuovo domandato come sopra.
    Risponde: Non ho fallato.

    Allora, ad ogni buon fine, fu ordinato che fosse messo a terra e che gli fosse rasato il capo; fu quindi deposto e, mentre lo si radeva, fu di nuovo interrogato.

    Interrogato: A rispondere opportunamente come sopra.
    Risponde: Non so niente, non so niente.

    E, come fu rasato, lo fecero nuovamente salire sul cavalletto, indi...

    Interrogato: A risolversi ormai a rispondere a proposito.
    Risponde, gridando: lasciatemi giù che dico la verità.
    Dettogli: che cominci a dirla, che poi lo si farà lasciar giù.
    Risponde, gridando: lasciatemi giù che la dico.

    Ottenuta questa promessa, fu deposto a terra e indi...

    Interrogato: A dire questa verità che ha promesso di dire.
    Risponde: Illustrissimo signore, fatemi spiegare un pochettino, che dico la verità.
    Dettogli: Che cominci a dirla.
    Risponde: Fu il Baruello che mi venne a trovare in Porta Ticinese, e mi domandò che andassi con lui per certo fenomeno che era stato rubato, e disse che avessimo chiappato un villano che aveva lui una cosa da dargli per farlo dormire, ma non vi andassimo. Indi disse: Mio signore, Vossignoria mi faccia slegare un poco, che dico ciò che Vossignoria ha gusto.
    Dettogli: Che cominci a dire, poi si farà slegare.
    Risponde: Ah, signore, fatemi slegare che sicuramente vi darò gusto, vi darò gusto.

    Ottenuta tale promessa, fu ordinato così, e fu sciolto, indi gli fu detto:

    Interrogato: A dire la verità che ha promesso di dire.
    Risponde: Illustrissimo signore, non so che dire, non so che dire, non si troverà mai che Carlo Vedano abbia fatto veruna infamità.

    Sollecitato a dire la verità che ha promesso di dire, che altrimenti si farà di nuovo legare e tormentare, senza remissione alcuna.

    Risponde: Se io non ho fatto niente!

    Nuovamente sollecitato, come sopra.

    Risponde: Signor senatore, vi sono stato a casa di messer Gerolamo a mangiare col Baruello, ma non mi ricordo della sera precisa.

    E, poiché non voleva dire altro, fu comandato di legarlo per il braccio sinistro alla fune, e per il braccio destro al canape e, così legato, prima che si stringesse:

    Interrogato: Che risponda opportunamente, come sopra.
    Risponde: Fermatevi, vossignoria aspetti, signor senatore, che voglio dire ogni cosa.
    Dettogli: Che dunque dica.
    Risponde: Se non so che dire.

    Allora fu comandato di stringere, e mentre lo si stringeva esclamò:

    Aspettate che voglio dire la verità.
    Dettogli: Che cominci a dirla.
    Risponde: Ah, signore, se sapessi che cosa dirle, direi: Ed urlò: Ah, signor senatore!
    Dettogli: Che si vuole che dica la verità.
    Risponde: Ah, signore, se sapessi che cosa dire la direi.
    E fu ancora sollecitato a dire la verità, come sopra.
    Risponde gridando: Ah, signore, signore, non so niente.

    E fu allora comandato di stringere di più, e mentre lo si stringeva, gli fu sollecitato di risolversi a dire la verità promessa, e di rispondere a proposito.

    Risponde, gridando: Non so niente, signore; signore non so niente.
    E, poiché era stato alla tortura per un tempo sufficiente ed era evidente che soffriva molto, e che d'altra parte non vi era altro da sperare da lui, fu comandato di scioglierlo e di ricondurlo in prigione, ciò che fu fatto.

    Fonte: "Storia della tortura" di Franco Di Bella



    Processo verbale della tortura e del supplizio del signore de La Môle



    Innanzi a noi Pierre Hennequin, presidente del Parlamento di Parigi, camera criminale, si è fatto condusse il signor Joseph de Boniface, signore de La Môle.
    Avvertito e premurato di dire la verità sulla congiura.
    Ha risposto: “Iddio mi è testimone se io ne so altro di quanto dissi”.
    Osservatogli che non entrerà giammai in Paradiso se non sgrava la coscienza.
    Risponde: “Non so nulla, imploro la grazia di parlare col mio signore, il duca di Alençon”.
    Fattogli rimarcare che il duca ha tutto confessato come poteva leggere nella confessione da lui sottoscritta.
    Risponde: “Ove avete trovato un solo testimone che mi accusi?”.
    Fu preso dai manigoldi che assistevano il carnefice e spogliato nudo.
    Scongiurato di rendere l'anima netta a Dio e di non più sperare dagli uomini. Avvertito di purgare l'anima sua e dichiarare quali furono i discorsi tenuti nella Settimana Santa in casa di La Môle.
    Risponde: “Non so nulla”.
    Persistendo nelle sue negative ed essendo spogliato gli trovarono un “Agnus dei” al collo, fu poi legato alla fibbia ed ebbe il primo tratto di corda.
    Dimandato se avesse preso la Pasqua.
    Risponde: “La presi”.
    Dopo il secondo tratto di corda fu scongiurato a dire la verità.
    Risponde: “Non so nulla”.
    Gli fu messo il borzacchino e si fece entrare la prima zeppa di ferro, premurato di parlare e dire il vero.
    Non rispose!
    Si fece entrare la seconda zeppa di ferro.
    Risponde: “Toglietemi dalla tortura e dirò la verità”. Fu sciolto e condotto presso il fuoco. Alle premure fatte di parlare.
    Risponde: “Io non so altro. Oh povero La Môle, io domando di andare in un convento e di pregare Iddio fino alla fine dei miei giorni”.
    Avvertito di dire la verità.
    Risponde: “Non so altro”.
    Interrogato di dire la verità sul significato di talune cifre di corrispondenza, di una statuetta di cera trovata in casa sua. Per quale uso servisse la statuetta.
    Risponde: “Le cifre servivano per corrispondere col Conte e parlare di talune dame della corte. La statuetta è l'immagine di una donna che amo”.
    Esclamando: “Signore, fatemi morire all'istante”.
    Fu di nuovo messo alla tortura, gli legarono i borzacchini, si ricominciò al maglio a spingere le zeppe di ferro. Alle premure di parlare grida: “Io non so altro, per la mia anima dannata. Lo giuro sul Dio vivente. - Oh, vero Dio eterno – Mio Dio, io non so altro – Soffro troppo – Fatemi morire. Oh povero La Môle, che dolore”.
    Si cominciò l'altra tortura dell'acqua.
    Prega di cessare e parlerebbe.
    Fu sciolto e portato vicino al fuoco.
    Risponde: “Non mi torturate più. Sulla dannazione dell'anima mia io non so niente”.
    Fu rivestito, disse molte orazioni e venne consegnato al carnefice.
    Oggi 30 Aprile 1574. Firmato Hennequin, Conclusione:
    “La corte del Parlamento, visto il processo criminale istruito per la congiura tramata contro il Re, il reame e lo stato, contro Joseph de Boniface, signore di La Môle e il conte Annibal De Coconnas – dichiara entrambi colpevoli e convinti del delitto di lesa maestà e li condanna a essere decapitati su un paco eretto in piazza de Grêve. I loro corpi squartati in quattro pezzi verranno inchiodati sulle quattro porte principali di Parigi e le teste messe su due pali piantati in piazza de Grêve. Sentenza pronunciata ed eseguita il trentesimo giorno d'Aprile del 1574”.

    Fonte: "Storia della tortura" di Franco Di Bella


    Edited by Shira™ - 2/1/2014, 15:42
     
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    Museo della Tortura di Volterra
    Museo della Tortura di San Gimignano
    Museo della Tortura di San Marino
    Wikipedia (per la voce sull'abbacinamento)

    Fonti internet:
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  3. ProleNera
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    Oddio all'impalamento non ho retto più. Come hanno potuto creare simili attrezzi? Ma che razza di gente c'era?
     
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    L'essere umano era ingegnoso quanto crudele...Terribile!
     
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    Davvero orribile, sebbene ne sia affascinata. Grazie Shira.

    E concordo con Swaky.
     
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    Interessante. Complimenti Shira
     
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    Grazie :) Ma i complimenti vanno anche a Mordekai che mi ha aiutato, trovando le fonti internet :)
     
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    So quanto lavoro c'è dietro a questo topic, da parte tua e anche di Kai. Bellissimo, sono sempre stata affascinata dalle torture, anche se con la tortura dell'acqua mi sono sentita un po' male.
     
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    Arrivato alla Culla di Giuda stavo per vomitare.
     
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  10. IlCavaliereNero
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    I miei complimenti a Shira per questa dettagliatissima ricerca.

    Poi dici perché odi il clero :zizi:
     
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  11. devilgirl_99
         
     
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    Non sono affatto cose belle ma sono interessanti.
    Però la cosa più brutta sinceramente non sono le torture in sè, ma il pensiero che molte di queste torture furono applicate su
    donne accusate di stregoneria e comunque persone sospette. Ingiusto.
     
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  12. Alivedead
         
     
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    Ah che oggetti carinucci, Ne vorrei avere uno!
    A parte gli scherzi, devo dire che mi ha interessato moltissimo, e ho letto tutto senza vomitare o smettere neanche una volta! :P
     
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    CITAZIONE (VampyrQueen @ 21/8/2013, 23:58) 
    So quanto lavoro c'è dietro a questo topic, da parte tua e anche di Kai. Bellissimo, sono sempre stata affascinata dalle torture, anche se con la tortura dell'acqua mi sono sentita un po' male.

    Bravissimi a entrambi, un topic degno di essere letto per intero. Complimenti, ragazzi!
     
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    Oddio, lo spacca ginocchio è terribile, ho ancora i brividi...
    Complimenti ai due che hanno lavorato al topic! :)
     
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    Complimenti per l'elenco! È incredibile che l'uomo sia stato tanto perfido da creare strumenti del genere...
    Credo che non andrò mai in America Latina visto che usano ancora la Garrotta :asd:
     
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