Ultima Chanche

Racconto a capitoli.

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  1. /HunterOfSøuls/
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    NOTE DELL'AUTORE
    Prima che qualche gorilla del governo italiano venga a prendermi, questo è un racconto di fantasia, ambientato in una sorta di mondo parallelo, indiciòperquindi, non arrestatemi :omg: / Ho messo i capitoli sotto spoiler, arrivato alla fine saranno parecchi, quindi li metto sotto spoiler per evitare orge di pagine solo per questo coso


    Prologo:

    22/06/2024

    PREFAZIONE

    Adesso che ci penso, i fatti accaduti tra il 20 Aprile 2017 e il 9 Giugno del 2022 non hanno portato solo cose cattive, effettivamente, benché la popolazione sia “leggermente” calata, la gente se la cava egregiamente e soprattutto sembra aver finalmente imparato dai suoi errori.

    Ora che vi ho riempito di ottimismo al punto giusto, voglio portare a termine quest’opera il più in fretta possibile, dato che quasi tutto si è fermato e questo sarà ciò che si avvicinerà di più ad un libro di storia, forse l’unico che descriverà questi anni, ma mi piace paragonarlo ad un resoconto personale, dato che non sarò imparziale.

    Dovete sapere che, al giorno d’oggi ho appena venticinque anni, forse sarei stato uno dei più giovani storici al mondo, prima che combinassi quel casino, ma non ci si può guardare sempre indietro, no? Nessuno mi ha dato la colpa per ciò che ho fatto, nemmeno quelli che non mi sostenevano, mi ricordo un detto del mio vecchio professore di italiano:

    “Appena due bambini cominciano a litigare, subito i genitori si guardano male, state certi che di sicuro prima o poi interverranno”.

    Al giorno d’oggi non ho idea di che fine abbia fatto, ma questa frase è di sicuro ciò che più si avvicina all’intervento USA/Russia del 20 Aprile 2017, una cosa che poteva benissimo risolversi con un trattato, ma che grazie alla mia testardaggine e a quella del leader del partito di destra, chiamato anche “Vecchia Italia” Si è trasformata in un macello apocalittico dal quale siamo usciti in 2.5 miliardi.



    Ok, finiamola ed esponiamo i fatti.



    CAPITOLO 1


    MALCONTENTI


    La gente cominciò a lamentarsi quando la politica italiana portò al default nel 2015, certo, tutti se lo aspettavano, non che avessimo qualche speranza, ma di sicuro non fare nulla e dare la colpa ad altri era la cosa migliore che i nove decimi della popolazione italiana sapevano fare.
    Come se non bastasse la politica era composta da vecchi rincoglioniti oltre gli ottanta che non volevano lasciare il potere a qualcuno di giovane ed energico, non parlo di un sedicenne, ma almeno qualcuno sui quaranta non sarebbe guastato.


    Ricordo che, un giorno, rientravo da scuola con un amico e, mentre discutevamo del nostro futuro, saltò fuori che eravamo della stessa idea, nessuno se la poteva cavare rimanendo a guardare, dovevamo reagire e pensare per nostro conto, riprenderci l’Italia, insomma.

    “E allora? Ci mandano avanti a pane e promesse dal 2011 e non fa niente nessuno”.

    Pensai a come assecondarlo, era testardo, alle volte. “Si, forse hai ragione.”

    Ridacchiò, una risata che mi fece rabbrividire, “Forse? Forse? Ma certo che ho ragione! Giuro, appena avrò 18 anni il mondo saprà quale è veramente l'entusiasmo italiano!”

    Ancora una volta meditai, ma ci andai giù piatto, stavolta: “Vacci piano, non fare vaccate!”

    “Cosa?” Rispose indignato, “Non sarai dalla parte di quei vecchi stolti?”

    Stavolta condividevo il suo pensiero, “No, certo che no, ma ciò che vai urlando non ci porterà da nessuna parte, se agisci con il tuo manipolo di Neanderthal sfascia-macchine ed incendia-cassonetti non farai muovere un bel niente, serve un’azione lunga, pianificata e mirata, per dare un colpo di mano.”Cominciò a ridere, senza smettere, tra i singhiozzi, mi disse:

    “Questa me la segno, compare, ma stanne sicuro, arriveremo lontano, se la situazione non cambia! Te lo giuro, io e te andremo più in la di quanto l’immaginazione si possa spingere!”

    Fu così che cominciò tutto, con un banale discorso tra amici, all’inizio mi era sembrato una banale discussione per dare aria alla bocca, ma… Cosa saremmo riusciti a fare veramente? Guardandomi indietro, sarebbe stato meglio non chiederselo affatto.


    CAPITOLO 2


    LEI


    Mentre all’inizio pensavo che le idee inculcate nel cranio di Ettore, era questo il suo nome, ora che mi ci fate pensare, sarebbero passate in fretta, senza lasciare traccia, ora che vedevo il futuro dipanarsi capivo che sarebbe, anzi, saremmo, dato che io ci ero dentro tanto quanto lui, rimasti sempre più influenzati da questa specie di nuovo ordine nazionale, con politici da poco laureati ed energici.


    Decidemmo quindi, dopo averne sporadicamente parlato con alcuni dei nostri amici, di chiedere il permesso per occupare l’aula magna dopo le lezioni dell’ultima giornata, era il 12 Giugno 2016, avevo da poco diciassette anni e dovevo parlare davanti a 200 ragazzi e ragazze della mia età, in un’aula che raggiungeva i 32 gradi. Una grande idea. Ricordo di aver pensato ad ogni avvenimento apocalittico possibile, dal colpo di calore a quello apoplettico, senza dimenticare il lancio dei pomodori, classico intramontabile.


    Scambiai un paio di parole con Ettore, che, ovviamente, era troppo timido per parlare in pubblico (che coincidenza, eh?), quindi cominciai:
    “Ehm, pensavo…” Mi girai a guardarlo. “…Pensiamo che l’ Italia si trovi in questa condizione per via della persone che la governano…”
    “Ma dai?”, Sbottò una voce femminile dalla prima fila.


    Mi girai a guardarla, era sulla destra, praticamente sdraiata sulla sedia, cicca in bocca e sguardo impaziente, la classica studentessa che aveva appena passato l’anno per miracolo. Aveva i capelli castani, scuri, gli occhi verdi ed era piuttosto bassa, non doveva superare il metro e sessanta.
    Non chiedetemi il perché, ma questa provocazione mi spinse a riprendere il discorso con voga, alzai il sopracciglio, feci finta di squadrarla, benchè in verità avesse già suscitato in me un certo interesse, poi mi girai e continuai:


    “Dati gli esperti di fama internazionale che sembriamo avere qui con noi, vorremmo condividere la nostra opinione con voi, vogliamo creare un partito, per opporci alla politica economica che ci ha buttati nel letame e finalmente riportarci a casa quell’Italia che non vediamo sin da bambini”.
    Andai avanti ancora mezz’ora, sudando fiumi in piena, ma alla fine inaspettata si alzò l’approvazione tra i miei compagni

    Cominciai a frequentare “L’espertona” della riunione, era una persona simpatica e determinata. Senza dubbio avrebbe sparato alla cieca per un pezzo d’Italia libera da quei fossili.

    tre giorni dopo il primo abbozzo di amministrazione si era formato ed eravamo operativi.

    Con l’anticipo delle elezioni di quell’anno avemmo potuto candidarci, ma nessuno sperava di vincere, più che altro, da bravi guerrafondai pensavamo a quanta gente avrebbe alzato il fucile per noi, probabilmente pochi… O nessuno. Mi sbagliavo.


    CAPITOLO 3


    IMBROGLI


    Alle elezioni del 19 Agosto 2016 il partito di destra si beccò il 79% dei voti, curiosa la cosa, dato che gli italiani erano 60 milioni, centomila voti erano venuti a noi, otto milioni al partito di sinistra e ben 5 milioni ai partiti di centro, questa cosa non erano riusciti a sistemarla, benchè avessero pagato fior di quattrini per fare uscire “qualche” voto in più a loro favore dalle urne i sondaggi post-elettorali non mentivano.

    A me e ad Ettore sembrò l’errore giusto capitato al momento giusto. Il giorno dopo ci presentammo in parlamento, io, lui e Letizia, Lia per gli amici, la ragazza della prima riunione, con cui iniziavo ad andare d’amore e d’accordo.

    Ovviamente non ci lasciarono entrare, incrociarono i fucili, almeno all’inizio, poi accettarono di scortarci al Quirinale, per un discorso di dieci minuti, con le armi puntate addosso, che, ovviamente non portò a nulla.

    La popolazione cominciò a sperimentare quel fenomeno che io amo chiamare “Incazzatura” quando si accorse che era stata raggirata, non avrei mai immaginato fin dove delle persone armate di bastoni si sarebbero spinte, tantomeno a dove delle persone armate di calibro .30 fissate su blindati si sarebbero spinte quando si sarebbero trovate davanti ai suddetti “uomini primitivi”.

    Un giorno ero in un bar con Lia, parlavamo dei voti che ci eravamo presi, ottimi, anzi, magnifici, benchè ne io ne lei fossimo effettivamente membri, sia io che lei infatti dovevamo ancora compiere i diciotto, ma Ettore era di due anni più grande di me e poteva fare le nostre veci in ogni caso.

    “Allora, cosa pensi di queste rivolte?” Mi chiese.

    “Non andranno da nessuna parte”(magari avessi saputo…) Risposi.

    “Ma almeno 100.000 uomini e donne appoggiano noi e la nostra pseudopolitica guerrafondaia” Sembrò protestare.

    “Tranquilla, quando c’è da imbracciare il fucile, nessuno muove un muscolo.”

    Non avevo calcolato due cose in quella afosissima estate, i maneschi al comando dell’esercito italiano, pronti a fare fuori le proprie madri, pur di prendersi una medaglia all’onore e i numerosi matti che quel famoso fucile lo avrebbero maneggiato davvero, se glielo avessimo chiesto.



    CAPITOLO 4
    INSURREZIONE
    Mentre tornavamo a casa a braccetto, dopo esserci scolati Quattro granite ciascuno e dopo esserci svuotati il portafogli di sicuro non ci chiedevamo se qualcuno avesse avuto veramente il coraggio di buttare un fiammifero in quella gran polveriera che ormai doveva sembrare l’Italia al resto del mondo.

    Mentre noi dormivamo nel letto con la TV accesa arrivò la solita e psichedelica sigla del telegiornale dell’una, che svegliò me, ma non lei, che quando dormiva sembrava stare sottoterra, la mano corse al telecomando, ma quando vidi l’immagine di Torino, illuminata a giorno da lacrimogeni e fari degli elicotteri da ricognizione mi venne un colpo.

    Alzai il volume, la notizia arrivò come una sferzata:

    “Circa diecimila morti” Il volume mi investì, lo shock era forte, diecimila? Diecimila? E cosa diavolo poteva essere successo? Era forse scoppiato un residuo bellico? No… No… I lacrimogeni da dove spuntavano allora?

    Alzai il volume e ascoltai, attentamente, come farebbe una suocera attaccata ad una porta con un bicchiere.

    “Ammonterebbe dunque a diecimila il numero di rivoltanti uccisi dal corpo di circa 4.000 militari chiamati in azione per reprimere una rivolta violenta, tuttavia l’utilizzo pesante di armi da fuoco non sarebbe giustificat…”

    Un colpo squarciò la base dell’elicottero dal quale la diretta stava trasmettendo, la televisione andò in statico per qualche secondo, producendo il solito crepitio assordante, che svegliò Lia, la quale, allarmata mi chiese:

    “Che succede?”

    Rimasi zitto per qualche secondo. Poi risposi “Niente, domani dobbiamo parlare ad Ettore.”

    “Come mai?” Chiese.

    “Tuo padre ha dei fucili da caccia giusto?”

    “Si.”

    “Di che tipo?”

    “Bè, ne ha tre, uno per il tiro da sopra i trecento metri, una carabina ed un fucile a pompa.”

    “Allora vai a casa, digli di caricarli e fai preparare tutti i simpatizzanti armati che abbiamo vicino, avremo molto da fare.”

    “E poi? Che altro devo fare? Scalarti l’Everest in bikini a testa in giù? E poi, mentre io ed Ettore armiamo gli uomini, per qualsiasi stramba idea che tu abbia in testa, che farai?”

    “Io andrò al poligono a vedere se me la cavo ancora sui trecento.”.

    La abbandonai, abbracciandola in quella camera che non avrei più visto, almeno finora.


    CAPITOLO 5

    LEZIONI DI TIRO

    Arrivai al poligono alle due e mezza di notte, con il motorino scassato che ero riuscito a procurami due anni prima, lavorando per un fruttivendolo.

    Scavalcai il cancello, come forse avrete dedotto, a tale ora non era aperto, ma decisi di arrischiarmi comunque. Presi un M40 dalla rastrelliera e quindici proiettili.

    Quindi, mi posizionai in zona di tiro, poggiai il bipiede, caricai cinque colpi e mirai, poi sussultai, terrorizzato:

    “Non potevi chiederlo?” Sbottò una voce alle mie spalle, con aria un po’seccata ed un po’incuriosita.

    Mi girai e accesi la torcia, era il proprietario, un certo Giuseppe, che conoscevo bene, era stato lui infatti, quattro anni prima, ad insegnarmi a tirare, dato che ero incuriosito dai fucili e lui conosceva mio padre.

    “Mi… Mi dispiace…” Enunciai costernato. “Ma dovrò saper tirare oltre i 300 molto presto.”

    Assunse un’espressione pensierosa, mi chiese: “E per cosa ti servirebbe saper tirare ad una distanza del genere? Vuoi colpire i piccioni prima che ti caghino sul motorino?”

    “No, è una faccenda più seria.” Risposi, sapendo che il significato sottointeso sarebbe subito arrivato a galla.

    “Allora c’entra con Torino!”

    Annuii, sapendo che avrebbe potuto chiamare la polizia ed arrestarmi, ma invece prese una decisione inaspettata.

    “Sai, sono stato in Iraq, quando ero più giovane, ma non ho mai visto un massacro del genere, se vuoi fare qualcosa, hai il mio appoggio, ragazzo.”

    Cominciammo a tirare, dapprima sui cinquanta metri, che non erano nulla di eccezionale, poi passammo ai 100, infine arrivammo ai tanto agognati trecento, benché centrassi in maniera piuttosto approssimativa il bersaglio, non avrei ucciso nessuno oltre i duecento, ma almeno lo avrei azzoppato o gli avrei rotto la spina dorsale, se fossi stato fortunato.

    Alle sette del mattino discutevamo dell’organizzazione, come se avessimo speranze.

    Ad un certo punto, con interesse mi chiese: “Cosa userai per sparare?”

    Risposi con riluttanza: “Una mia amica ha un fucile da caccia per il tiro a media gittata.”

    Inarcò un sopracciglio, poi si mise a ridere, ripresosi, ansimando, mi disse: “Davvero? Vuoi ferire da Duecento metri delle persone con un accoppa-fagiani? Niente da fare, ti darò io uno dei miei M40, con una bella scorta di 7.62, per giunta.”

    “Seriamente?” domandai incredulo.

    “Certo, vai a raccogliere le tue cose, mi spiegherai cosa intendete fare dopo.”


    CAPITOLO 6
    ORGANIZZAZIONE PRECARIA

    Tornai a casa, presi un vecchio zaino e ci ficcai dentro tre bottiglie d’acqua, un coltello da cucina, un libro di fantascienza riguardante l’omicidio di Kennedy.

    Raggiunsi la VolksWagen del ’97 di Ettore, sulla quale erano già caricati Giuseppe e Lia, che stava leggendo il quotidiano sul portatile.
    “Notizie?” Chiesi.

    “Si e di succose, anche.” Rispose Ettore: “A quanto pare la prossima meta per la repressione è Milano, la città con più insorgenza, sembra che vogliano far vedere che cosa sanno fare contro dei dimostranti disarmati.”

    “Quale sarebbe il piano, dunque?” Chiese Giuseppe, mentre sistemava L’M40 e le carabine sotto il sedile posteriore.

    “Ci appostiamo, dividendoci i compiti, poi, mentre loro attaccano, spariamo finchè qualcuno non si muove più e tendiamo qualche trappola per non far muovere i blindati fino al nostro schieramento.” Rispose il guidatore.

    “Ovvero?” Chiese Il Veterano.

    “Facciamo saltare qualche tubatura del gas isolata nella strada, se ci va bene faremo qualche bella buca che li fermerà dal passare.”

    “E se imboccano una strada secondaria?”

    “Apposteremo qualcuno sui tetti con delle molotov, sperando di riuscire a fare abbastanza calore da friggerli vivi.”

    “E su quante persone possiamo contare?”

    “Circa 300, arriveranno in città, tutte armate, chi con una cerbottana e magari troveremo qualcuno con un fucile a pompa.”

    “Quanto ci metteremo, quindi?” Chiesi, assonnato

    “Circa quattro ore.” Fece Lia.

    “Bene!” Esclamai: “Fatemi trovare una postazione elevata per sparare, così posso provare a coprirvi!”

    Mi addormentai cinque minuti dopo.

    Quando mi svegliai eravamo già lì, tutti i protestanti con sacchi di sabbia che venivano issati all’imboccatura di ogni viale, nel frattempo, mentre dormivo, Ettore e Lia avevano preparato le condutture del gas da far saltare in caso di emergenza e trenta/quaranta persone erano sui tetti, pieni di bottiglie e di sicuro non era birra per la partita.

    Controllai il mio “equipaggiamento”, mi legai il coltello alla cintura, mi misi lo zaino in spalla e caricai il fucile con i soliti cinque colpi della versione per uso sportivo, più tardi avrei invidiato i dieci del fucile per uso militare. Mi misi nello zaino una cinquantina di 7.62 e mi feci dare una M9 per il fuoco sulle corte da Giuseppe, che aveva dormito sul sedile dietro.

    Andai da Ettore e chiesi: “Come siamo messi?”

    “Tutti armati, almeno con una pistola e ce ne siamo caricati altri 300 durante il viaggio, grazie all’aiuto di tutti.”

    “Quindi siamo seicento… Dove posso mettermi?” Chiesi.

    “Infilati su quel campanile e controlla il perimetro, avverti quando arrivano con questo.” Mi lanciò uno walkie-talkie.
    Poi mi fece: “Controlla se c’è qualcuno che conosci qui, prima”

    “Ok, vi coprirò le spalle, ma attenti con il gas.”

    Salutai Lia e cominciai a passare in rassegna i miei “Uomini”.


    CAPITOLO 7

    AMICI RITROVATI
    Con mia grande sorpresa, c’erano molte persone che già conoscevo, nella folla.
    Tra queste si trovavano: Giacomo, mio amico alle medie, Giovanna, una persona con cui usavo parlare durante il primo anno di superiori, ma dopo la sua bocciatura l’avevo persa di vista e Davide, con cui non ero mai andato d’accorto, ma gli chiesi di accompagnarmi sul campanile, per evitare sorprese.

    Arrivato in cima piazzai il bipiede e mirai verso la strada principale, poi presi il binocolo di Davide e cominciai a guardarmi intorno, ad un certo punto, dopo circa mezz’ora, che quel cretino aveva impiegato masticando una cicca rumorosamente e pisciando giù dalla torre, individuai una jeep in assetto militare con una .30 montata sul tetto, carica, seguita da altre tre e da 500 persone circa appiedate, tutti erano armati con un fucile d’assalto o una mitragliatrice leggera, sembravano avere intenzione di usarle. Erano appena fuori dalla città.
    Afferrai il trasmettitore e avvertii: “Arrivano, quattro APC e 500 persone a piedi.”

    “Hanno delle .30 e sono tutti con armi automatiche.”

    “Che si fa?”

    “Ne rubiamo un po’ se riusciamo ad ucciderli, avverti gli altri, suggerisco di non far saltare in aria gli APC e magari di conservarne un paio.”

    “Ok, non sparo fino a quando non sono vicini abbastanza da farli fuori con un colpo sicuro.”

    “Ricevuto, vedi di non farci saltare con il gas, Ettore.”


    CAPITOLO 8

    AMICI TROVATI, AMICI PERDUTI
    Appena il primo provò a girare l’angolo sulla strada sparai il primo colpo, andò a segno, aprii la testa di quel poveraccio come un melone, ma non capirono da dove avevo sparato.

    Il secondo a cadere fu il pilota dell’APC di testa, gli tranciai l’aorta e il finestrino diventò rosso. Mi nascosi, l’ultima cosa che volevo era farmi fare a pezzi da una .30 fissa che aveva visto il riflesso.

    I primi coraggiosi soldati italiani cominciarono a ficcarsi dietro i sacchi di sabbia, a meno di venti metri dai miei partigiani di fortuna, ma non lo sapevano.
    Prima di far aprire il fuoco ai miei, uccisi il mitragliere dell’APC, che si guardava in giro perplesso per cercare di capire da dove sparavo, poi fu l’inferno, letteralmente.

    Almeno 25 molotov arrivarono da dietro i detriti ammassati come difesa e dai tetti più vicini agli assalitori, due caddero sul nostro campo e ferirono un ragazzo alla gamba, procurandogli tagli e ustioni e ne uccisero un secondo, che era stato così stupido da lanciarla in verticale.
    Le altre caddero tutte addosso ai ragazzi dietro i sacchi di sabbia, carbonizzandoli.

    Sparai un quarto colpo, che colpì un mitragliere che piazzava il bipiede, in mezzo agli occhi.

    Ettore fu il primo a sparare, a cui seguirono tutti gli altri, che, in un centinaio, mandarono a terra circa venti persone.
    Le altre .30 cominciarono a fare soppressione e stesero un bel gruzzoletto degli incoscienti che sparavano in bella vista dalla strada e dai tetti.
    Utilizzai l’ultimo colpo per mandare a tappeto un caporale che stava lanciando una granata. Esplose e uccise 8 dei nostri opponenti.
    Ricaricai, misi la testa fuori e vidi una .30 che si stava aprendo un varco. Uccisi il mitragliere, ma le altre due .30 cominciarono a sparare al campanile e dovetti buttarmi per terra.

    Con uno specchietto, altro gadget balordo di Davide, che si era portato a dietro oggetti particolari, ma pur sempre utili, vidi un APC bruciare nella fiammata delle molotov.

    Il quarto veicolo fece retromarcia, ma si ritrovò bloccato, allora l’equipaggio scese e corse nelle retrovie.
    Il casino cominciò a farsi sentire anche sul campanile, un carro armato cominciò a farsi strada, la mitragliatrice sulla torretta era a radiocomando, quindi intoccabile, il mitragliere uccise la maggior parte dei lanciatori sul tetto, mentre il cannone squarciò la linea difensiva fatta di detriti e sacchi con un solo colpo.
    Ettore cominciò a muoversi nella scanalatura coperta da delle assi fatta a lato della strada, strisciò lentamente, con lo walkie-talkie acceso, cominciò a parlarmi:

    “Devo tirarlo giù, ma posso solo strisciare fino alla conduttura con dei fiammiferi, i lanciatori sono andati!”

    “Sei fuori? Torna subito indietro, troveremo un altro modo!”

    “Nada.” Fu la sua risposta.

    Rimisi la testa fuori e cominciai a sparare, ne uccisi quindici, mentre coprivo l’avanzata di Ettore.
    Ne eliminai altri due vicino al carro, che, per tutta risposta, alzò la canna e sparò al campanile, facendomi tremare la terra sotto i piedi e mettendo a rischio la stabilità dell’edificio.

    Poi le tubature scoppiarono, divorando tra le fiamme uno degli APC, un centinaio di persone tra i nostri opponenti, il carro armato… Ed Ettore.
    Mi coprii gli occhi, stavo per piangere, poi il tremolio leggero sotto di me mi riportò alla realtà, corsi giù dalle scale con Davide, appena usciti il campanile si inclinò verso destra, poi cadde, chiudendo una delle due vie d’uscita al nostro schieramento
    Appena arrivato giù buttai l’M40 nella macchina ed estrassi l’M9, andai verso il fronte, raccolsi una carabina da uno dei corpi e cominciai a sparare, mentre Davide, con fare eroico, preparava una molotov.

    Lo intimai: “Stai giù

    Provò di nuovo ad alzarsi: “Stai giù!”

    Lo rifece: “TIENI QUELLA CAZZO DI TESTA GIÙ!”

    Non feci in tempo a finire la frase, fu crivellato da un mitragliere appostato dietro ad una sporgenza, raccolsi la molotov prima che potesse toccare il suolo ed uccidermi, poi la lanciai, tenendo però il culo coperto, per evitare di fare la fine del furbastro.
    Tre ore dopo, la sera del 21 Agosto 2016, eravamo riusciti ad eliminare l’ultimo soldato, tutti si erano presi un’arma, Lia aveva optato per un fucile d’assalto, mentre Giuseppe si era preso una mitragliatrice leggera.

    Caricammo la roba sugli APC, uno aveva a bordo me, Lia, Giuseppe e Giacomo, che si era messo sulla .30, l’altro aveva a bordo Giovanna ed altri due ragazzi, Alberto e Nando, che avrei imparato a conoscere più tardi. Il terzo fu occupato da ragazzi che non conoscevo, mentre una fila di macchine ci seguiva puntavamo verso Bologna , città rimasta neutrale, per rinforzare i mezzi.
    Mi scese una lacrima sulla guancia, doveva esserci Ettore a guidare, non Giuseppe.


    CAPITOLO 9

    RIELABORARE ED ORGANIZZARE

    Cominciammo a fermare i mezzi, ordinatamente. Eravamo rimasti in 405.
    Mandai quaranta/quarantacinque persone in città a prendere lastre di ferro, viveri ed un quotidiano, per vedere lo stato delle operazioni della repressione.

    Appena tornarono cominciammo il lavoro, montammo le lastre di ferro sulle macchine e bucammo i tetti, per installarci sopra le mitragliatrici raccolte dai cadaveri, meglio di niente, no?
    Riuscimmo anche a fare delle chiusure di fortuna per evitare granate nell’auto, poi piazzammo altre lamine di metallo sotto i veicoli, per evitare che il motore fosse rotto da un colpo vagante.

    A tutto questo pensammo io, Nando e Alberto, con cui parlavo allegramente in quella calda mattinata di agosto.
    Finito il lavoro bevemmo una bottiglia ciascuno, poi presi il giornale.

    “Sembra che stiano puntando verso un paesello di rivoltanti in Piemonte” Mi fece Lia, mentre guardava il soffitto dell’APC in cui era sdraiata.
    “Vedo!” Risposi, “Ci faremo trovare lì, no?”

    “Ovviamente, ma non credo avrai una zona di tiro, per prevenzione hanno fatto saltare il campanile, quelli che si sono ritirati hanno parlato della pioggia di proiettili che gli è arrivata addosso e ha ucciso il comandante di divisione appena girato l’angolo.”

    “Oh, mi lusinghi, così!”

    “Non ne hai mancato uno! Ti meriti almeno un complimento!”

    “Sono solo stato fortunato, vedrai, prima o poi ne sbaglierò uno!” (Questo era tristemente vero ed un giorno avrei sofferto per questo, ma era troppo presto per pensarci.)

    Partimmo dunque verso il paese, ci impiegammo due ore, durante le quali chiacchierai con i due nuovi della compagnia, arrivammo alle sei di sera, ci accampammo e cominciammo i preparativi:

    Prima posizionammo i sacchi di sabbia lungo tutto il contorno del paese, poi sistemammo delle macchine con le LMG in ogni via da cui sarebbero potuti entrare. Ne piazzammo tra le due e le quattro nelle vie, mentre ne sistemammo sei più i tre APC con le .30 nel vialone principale, non sarebbero bastate comunque contro un carro, ma per quello, nell’eventualità, avevamo le solite molotov, con cui speravamo di scaldarlo abbastanza da fare degli occupanti una grigliata mista.

    Io andai a cercare una posizione per sparare, mi misi su un rialzo erboso poco lontano dalla via principale, che mi dava un’ottima vista sull’entrata del paese, avrei potuto quindi colpire gli assalitori stando in diagonale rispetto alla strada, utilizzai il boschetto appena dietro per mimetizzarmi.

    Poi dormimmo, a turni di due ore, mi ero portato a dietro Nando, con cui chiacchieravo ed aspettavo i primi caschi con cui giocare al tiro al bersaglio.


    CAPITOLO 10
    AGGUATO

    Arrivarono verso le dieci del mattino, erano pochi, tutto troppo strano, tenni il mirino puntato, li contai, diedi l’ordine, se così si può chiamare, a Nando, di trasmettere la notizia, lo sentii armeggiare con lo walkie-talkie. Erano solo 200, non potevo immaginarmi cosa stava per succedere.
    L’attacco cominciò, stavolta si aspettavano di trovarci, ne caddero una ventina, poi si ritirarono dietro la collina erbosa, ne abbattei sei mentre si ritiravano, sapevo che qualcosa stava per andare storto.

    Aspettai mezz’oretta, nessuno, aspettai un’ora, nessuno. Ad un certo punto il clangore metallico che ben conoscevo si materializzò, cingoli. Quattro corazzati cominciarono a spostarsi ed ad armarsi, sempre dietro la collina. DOVEVAMO prendere tempo.

    Sentii un rumore sordo. Sparai il primo colpo, un uomo cadde, sparai il secondo, mancai il mio primo bersaglio, poi sentii una fitta alle costole, un calcio mi aveva tolto il fiato, girandomi sulla pancia e facendomi trovare davanti un uomo in uniforme, che brandiva un coltello, pronto a piantarmelo nel collo, fui abbastanza veloce da afferrarlo, mi sentii la gola pungere, deviai il colpo e spezzai la lama nel terreno.
    Estrassi l’arma bianca a mia volta, l’uomo aveva tuttavia un lungo addestramento alle spalle, mi torse il braccio e mi si lanciò addosso.
    Lasciò perdere il coltello, mentre estraevo l’M9, me la smontò con una singola mossa, facendo scorrere il carrello all’indietro.

    Ricorsi ai pugni, ultima arma del disperato, mentre mi costringeva a terra e mi strangolava, lasciandomi le mani libere, mi venne in mente l’M9 del soldato, non la mia, inutilizzabile, ma quella che portava, caricata con sedici .09, ciascuno un dispensatore di morte. La mano corse quindi alla fondina, estrassi l’arma e gli sparai nel fianco, si accasciò al mio lato e gli sparai un secondo colpo, nell’addome.

    Mi girai, uno dei blindati era in fiamme, ma la situazione preoccupante era sul nostro lato, le barriere stavano cedendo e, peggior cosa, si sentivano dei tonfi secchi nell’aria. Elicotteri.

    Avvisai con lo walkie-talkie Lia, dovevamo ritirarci, guardai il cadavere di Nando, poi quello del soldato, quindi corsi verso la città.
    Arrivai due minuti dopo, gli elicotteri ci avevano passati, falso allarme, ma i carri armati sparavano ancora, almeno tre su quattro, ritirandoci notammo gli elicotteri, che si erano girati, erano due Mangusta, erano lì per sparare.
    Cominciarono a massacrare quelli che stavano sui tetti, noi scappammo con l’APC, mentre vi entravamo un colpo prese Giuseppe sulla spalla, avrei dovuto guidare io, una vera novità.

    Mentre le macchine rimanenti, contenenti feriti e poche persone ancora illese procedevano in mezzo alla fila i due APC rimasti sorvegliavano le estremità, io ero in quello di punta, mentre Lia era sulla torretta.
    Gli elicotteri si abbassarono per colpire le macchine, più vulnerabili, decidemmo quindi di spezzarci in quattro gruppi, ci saremmo incontrati tutti in Puglia, sulla costa, per riorganizzare l’armata.

    Le. 30 cominciarono a sparare al primo elicottero, danneggiandolo, senza distruggerlo, per tutta risposta una scarica di razzi fece saltare sei macchine, mentre il fuoco degli APC continuava, incessante, ed il primo elicottero cadeva, in fiamme.
    Il secondo fece la stessa fine, dieci macchine squarciate ed un APC danneggiato sulla fiancata dopo.
    Eravamo scappati in cento circa e non sapevo quanti sarebbero rimasti con noi dopo la sconfitta subita.


    CAPITOLO 11
    CATTIVE NOTIZIE
    Mentre viaggiavamo pensai all’utilità che avrebbe avuto una macchina normale. Ci fermammo in un autogrill e derubammo un uomo, dovetti, ma mi sentii uno straccio, un rifiuto, tuttavia un blindato avrebbe dato nell’occhio.

    Circa ottanta chilometri dopo, mentre Giuseppe si era fatto una fasciatura di fortuna, fissando con dei cerotti e degli elastici delle fasce di tela prese da una delle sue camice e Lia dormiva sul sedile posteriore, cominciai a sudare freddo.

    Avevo rubato una macchina, giusto? Avevo ucciso dei soldati italiani, giusto? Mi stavano cercando, giusto? Anche con una macchina avrei dato nell’occhio, che idiota, erano sulle nostre tracce da un bel pezzo.

    Uscii dall’autostrada, andai in un paesello lì vicino, non ricordo il nome, ma una cosa ce l’ho ancora in mente, eravamo in Toscana.
    Giuseppe era ridotto troppo male per continuare, gli stava salendo la febbre e le bende si erano ingiallite, lo portai all’ospedale locale, dopo aver tolto rozzamente il colpo dal suo braccio ed averlo sciacquato.

    Dopodiché, con i soldi avanzati dalla rapina, circa settanta euro, comprai del cibo e dell’acqua, abbastanza da riempire lo zaino.
    Poi nascondemmo i fucili in un vicolo ed andammo in un bar, a berci un caffè mentre ascoltavamo la radio.
    “La situazione si è fatta critica nelle ultime settimane, la resistenza in tutta Italia continua a venire soppressa con le armi, ed, ultimamente, si è notato l’intervento di mezzi blindati ed addirittura elicotteri militari.” Disse il conduttore.

    Poi proseguì: “Abbiamo qui oggi il nostro ministro degli interni assieme al nostro ministro della difesa, signor Arni, come mai si è deciso di applicare questa forma di repressione, invece che il solito metodi con i gas lacrimogeni?”

    L’uomo si schiarì la voce, già lo odiavo, prima ancora che cominciasse a parlare:

    “Abbiamo attaccato i rivoltanti per via della loro eccessiva aggressività, come avete potuto notare lo stato è poi degenerato in quella breve guerra civile che si è conclusa con la nostra vittoria. Ora pensiamo di poter riportare l’Italia a livello delle altre nazioni grazie al patto stretto con gli USA.”

    Ingollai l’ultimo boccone di croissant, mentre l’uomo parlava:

    “Abbiamo stimato una perdita di 9000 persone in tutta Italia, alcuni rivoltosi continuano ancora la loro battaglia, ma conto sulle nostre forze armate, ancora lucide e non accecate da strani ideali, per reprimerli.”

    L’anchorman continuò con le domande, come da copione:

    “E quale è la vostra posizione verso l’inasprimento dei rapporti USA/Russia? È stato reso noto uno scontro tra dei Navy Seals e delle unità Spetsnatz sul confine Est del Myanmar.”

    “Scorribande, scorribande. Noi appoggiamo ovviamente l’America, la Russia è un paese arretrato. Questa non sarà altro che una nuova guerra fredda.”

    Pagammo ed uscimmo dal bar. Avevo il cuore pesante, uno scontro armato tra due giganti avrebbe coinvolto tutto il mondo. E la tecnologia bellica era stata in costante sviluppo. Cosa avevano in serbo?


    CAPITOLO 12

    FRONTIERA
    Avete presente le vecchie frontiere? Quelle con le guardie che sparano a vista su tutti quelli che si avvicinano? Ecco, L’Italia ne aveva una per ogni regione, e, visto che il rendez-vous era in Puglia, di strada ne avremmo dovuta fare parecchia, ed avremmo dovuto superare tre blocchi, ciascuno era blindato e sottoposto alla massima sicurezza.

    Perché ritrovarsi in Puglia? La regione era l’unica, assieme alla Lombardia ed alla Valle d’Aosta, ad essere ancora libera, in più avevamo libera uscita dal mare.

    Eravamo due persone, a piedi, armate e con degli zaini da sei chili sulle spalle, praticamente bersagli che camminano.
    Per questo sfruttammo gli Appennini, lasciati praticamente incustoditi per bloccare ciascuna strada.

    Arrancavamo sulle montagne per quei 10 o 15 chilometri davanti e dietro la frontiera. In questo modo saremmo arrivati in Puglia in meno di una Settimana.

    La prima frontiera la superammo di giorno, incoscienti, direte. Ed è vero, rischiammo di farci notare da un elicottero mangusta che passava lì di fianco, ci nascondemmo dietro una sporgenza e vi rimanemmo per ore, con il terrore che qualcuno arrivasse a farci fuori.
    Uscimmo da quella specie di buco alle due di notte, poi corremmo fino al paese più vicino, cambiammo idea e ci stabilimmo in una di quelle fattoria abbandonate in mezzo ai campi.

    Dormii saporitamente, per la prima volta dopo settimane e mi svegliai alle undici del mattino.

    Mettemmo sul tavolo malandato un paio di panini con prosciutto e maionese. La guardai:

    "Allora che si fa? Ci si ferma?"

    Il suo volto si corrucciò:

    “Non dire cazzate, si continua. Non finisce di certo così!”

    “Ma in quanti saremo rimasti? Ci hai pensato? Ci hanno fatti a pezzi, Letizia, in quanti sono davvero disposti a farsi uccidere?”

    “Vedremo, prima di tutto arriviamo la in basso. Ricorda che la regione è in mano nostra. Non loro e lì in basso ci sarà sicuramente una moltitudine di persone che vogliono l’Italia indietro.”

    “Ok, però ora dobbiamo pensare a come passare le altre due frontiere, ma soprattutto, come faremo a passare in mezzo alla regione con dei fucili in spalla?”

    “Non possiamo utilizzare gli Appennini un’altra volta?”

    “Prima dobbiamo vedere se sono controllati.”

    Passammo i successivi tre giorni a fare sopralluoghi. Ogni tanto passava un mangusta a controllare il versante che buttava sulla frontiera, ma di solito lo si vedeva verso le cinque del mattino. E basta.

    La notte successiva quindi, dopo lo scoccare delle due di notte, corremmo come dei forsennati per non farci vedere dai fari che ogni tanto spazzavano la zona, riuscimmo a non farci inquadrare per un pelo, superando la frontiera a rotta di collo ed arrivando in Lazio, centro del potere governativo.

    CAPITOLO 13
    PASSARE INOSSERVATI
    Passata la frontiera ci infilammo sotto un ponticello in un canale prosciugato. Ci addormentammo praticamente in maniera istantanea.
    La mattina dopo, appena sveglio, uscii e mi avventurai nel bosco vicino, nulla di tattico, una pisciata e basta.
    Mezz’ora dopo tornai. Lei dormiva ancora, la svegliai con quattro schiaffetti.

    Si alzò, intontita e fece:

    “Che c’è? Ci hanno beccati?”

    “No, tranquilla, però è una settimana che non ci laviamo. Lì c’è un torrente, che ne dici di farci un bagno?”

    “Ok. Si può fare.”

    “Intanto dovremmo decidere sul da farsi.”

    “Vedremo più tardi.”

    Facemmo il bagno, l’acqua era calda, in quanto a profondità penso fosse sul metro e settanta, quindi io spuntavo con testa e collo, mentre lei doveva nuotare per tenere la testa a galla.

    Dopo esserci lavati ben bene discutemmo sul da farsi.

    Decidemmo di lasciare lì nascosto l’equipaggiamento militare. Non saremmo potuti andare oltre con dei fucili alla mano.
    Decidemmo di vendere il mio orologio e la sua collana con orecchini abbinati ad un orefice.

    Ci comprammo così dei vestiti per ciascuno di noi. Poco dopo andai in escursione nel boschetto. Sul versante opposto della collina sul quale esso si trovava c’era una capanna in pietra, probabilmente risalente alla seconda guerra mondiale.

    Vi entrai. La “Casa” era formata da due stanze. Una era 6 metri per quattro, una cucina, con una stufa a legna ed un tavolo con più tarli del comodino di mia nonna.

    La seconda era una specie di salotto con annessa una camera da letto. Era 10 metri per dodici, aveva un camino da una parte e la rete di un letto lì vicina, senza alcun materasso.

    Ci mettemmo dunque d’ingegno. Passammo i due giorni successivi rubacchiando fieno qua e la. Prendemmo le due tende che avevamo negli zaini e vi infilammo dentro il fieno, cucendolo con ago e filo acquistati in paese.

    Poi procedemmo al taglio dei rami più piccoli sugli alberi, li portai poi alla capanna e, con dei fiammiferi che avevo nello zaino, controllai come andava la legna. Bruciava, a breve ci sarebbe servita.

    Andammo in paese, io fui assunto come barista “in nero” da un locale in centro. Lei invece fu accettata come aiuto cuoco in un ristorante.
    Se la cavava bene ai fornelli e dopo un mesetto avevamo: Una bella quantità di lattine con dentro cibo e bibite(principalmente carne e legumi), una radio a pile, due walkie-talkie nuovi, un mobiletto per stipare il tutto e quattro padelle per cucinare la roba.


    Per quanto riguardava doccia e servizi igienici, esistevano il torrente e il bosco.
    Era il 24 Settembre 2016, mancava poco all’inizio dei problemi, dei problemi seri, si intende.


    CAPITOLO 14
    VITA ORDINARIA

    Cominciavamo ad abituarci a quella vita, era davvero una rustica imitazione di quella che avevamo prima, dormire abbracciati con il calore del camino, andare al lavoro, ascoltare la radio nel pomeriggio e leggere i tascabili economici che si prendevano ogni tanto.

    Poi, quando capitava, ci concedevamo una pizza da “Giorgio”, il ristorante più tranquillo in tutto il paese, con pochi acquirenti, ma con una pizza fantastica.

    Ci eravamo praticamente dimenticati delle rivolte, andavamo semplicemente avanti e, poco tempo dopo, avevamo da parte qualcosa come duemila euro. Poi successe.

    Era il diciassette Aprile 2017, accesi la radio, mentre ero sdraiato sul letto, alle due di pomeriggio.
    “La Russia ha dichiarato di appoggiare le insurrezioni in Italia, dando così il via alle ostilità aperte con gli USA, gli scontri sono già cominciati, la Lombardia è contesa, mentre le forze USA difendono Milano i paracadutisti russi hanno già preso possesso della campagna intorno.”

    “Maledizione!” Sbottai alzandomi a sedere.

    “Cosa c’è?” Arrivò lontana la risposta dalla cucina.

    “Tra poco ripartiamo.” Risposi, in tono seccato. “Torno subito” Aggiunsi.

    Uscii fuori, nel bosco. Mi arrampicai su un albero. Se la Russia aveva aperto le ostilità e aveva appoggiato noi, di certo non era perché ci vedeva di buon occhio, assolutamente. Voleva solo un pretesto per attaccar briga con gli USA, la relativa tranquillità che avevamo trovato era già in bilico. E presto sarebbe caduta, portandoci ad oggi.


    CAPITOLO 15
    DI NUOVO IN VIAGGIO
    Aspettammo il giorno successivo per rimetterci in viaggio. Ci portammo a dietro i soldi, delle pile, un po’ di lattine e bottigliette e la radio.
    Dopo quasi 30 chilometri a piedi la fatica cominciava a farsi sentire, quindi entrammo in un negozio di biciclette, ne uscimmo con due grazielle, con due cestini ciascuna, perfette per il trasporto, insomma.

    Passammo quindi, non senza fatica, la frontiera tra il Lazio ed il Molise, evitammo di entrare in Campania, la regione aveva una grossa parte confinante con la Puglia e in quel periodo era una frontiera costantemente a ferro e fuoco, un po’ a causa degli insorti, un po’a causa di russi e americani che se le davano di santa ragione.

    Il Molise invece era tranquillo, quasi dimenicato, una sorta di fragile equilibrio, una pace che si sarebbe spezzata presto, ma per ora ci serviva solo per passare tra le file dei nostri.

    Non potevamo ovviamente passare la frontiera terrestre, dominata dai russi, che avrebbero sparato a vista, vedendoci arrivare. Andammo quindi a procurarci una barca. A remi.

    Sembrerà una follia, ma l’ultima cosa che volevamo si verificasse era un inseguimento da parte di un Mi-Mil 28 Havoc che aveva visto un gommone a motore passare la frontiera.

    Ci procurammo anche sei bombole da ossigeno, non si sapeva se sarebbero servite, ma credevamo che ci sarebbero state d’aiuto, se ci avessero beccato.

    Prendemmo quindi delle tute scure da sub, in caso avessimo dovuto mimetizzarci con l’acqua, poi, alle 4 del mattino del 20 Aprile 2017, passammo la frontiera, nel buio più totale.

    Dopo qualche chilometro notammo le corazzate. Navi enormi, piene di armamenti. Battevano bandiera russa. Ci tuffammo in acqua, quando passavamo vicini ad uno di quei mostri di metallo ci immergevamo e ritornavamo a galla dopo un po’ di tempo.

    Arrivammo a riva alle sei di mattino. Corremmo via, velocemente, per evitare di essere visti.

    Mentre asciugavamo i vestiti nel bosco lì vicino pensai che, se non vi fosse stata la guerra, quel giorno lo avrei trascorso con una torta al cioccolato, avente 18 candeline sopra.


    CAPITOLO 16
    STRANIERI IN TERRA STRANIERA
    Passammo i due giorni seguenti comprando vestiti e roba da mangiare, che portavamo alla tenda nel bosco. Poi, regolarmente, uscivamo a fare un giro in bici, che avevamo comprato di nuovo, sempre grazielle, ovviamente.

    Diversi giorni dopo, agli ultimi di Aprile, mentre giravamo in paese con un gelato in mano arrivò una specie di araldo, che si mise a urlare:
    “Aiutate l’Italia! Resistete contro gli invasori statiunitensi, arruolatevi!”

    Andammo verso l’uomo, lui fece: “Volete arruolarvi?”
    Rispondemmo affermativamente.

    “Nomi?”

    “Giovanni Reschi e Letizia Piumini.”

    “Età?”

    Ci guardammo per un attimo, lei compiva i diciotto in Giugno, ma io li avevo già fatti.

    “Diciotto… Entrambe”

    “Ok, dirigetevi verso Est, troverete una caserma, dove potrete alloggiare e mangiare, in più verrete addestrati secondo le vostre capacità.”
    Arrivammo alla caserma, c’erano dei russi di guardia, ma parlavano italiano. Entrammo, l’odore del sudore si sentiva già, sarebbe stata una residenza dura.

    Ci diedero le uniformi, una stanza condivisa e ci comunicarono che la sveglia era alle sei del mattino successivo.
    Cominciavamo bene.


    CAPITOLO 17
    ADDESTRAMENTO
    Cominciammo l’addestramento alle sei di mattina, come promesso. Per prima cosa testarono la nostra resistenza:
    Io non me la cavai egregiamente, benché fossi robusto e veloce riuscii ad arrivare a tre chilometri di corsa, poi crollai. Letizia invece diede prova di avere grandi capacità, superando i sette chilometri.

    Come seconda prova ci chiesero di effettuare un sollevamento dei pesi. Sollevai 65 chili, Letizia 30, ma bisogna tener conto del suo peso, 55 chili per un metro e sessanta, rispetto al mio, 75 chili per un metro e novanta centimetri.

    La terza prova consisteva nel nuoto e nell’apnea. Ce la cavammo bene entrambe, ma fummo scartati dagli incursori marini.
    Il quarto esame fu il più facile, per me. Ci diedero una carabina e ci fecero sparare a barattoli, lattine e monete. Mancai due bersagli su cento, mentre Lia ne centrò settanta.

    La prova conclusiva la conseguimmo alle nove del mattino, avremmo dovuto mimetizzarci in una ricreazione del paese, in un lasso di tempo di sette minuti, sfruttando il gioco di squadra.

    Ci nascondemmo, sfruttando la vegetazione, ma fummo trovati dopo dieci minuti, quindi scartati dagli incursori terrestri.
    A mezzogiorno ci diedero da mangiare, più o meno: una scatoletta di carne, una lattina di fagioli e una bottiglietta d’acqua, il tutto condito con una bustina di grappa.

    Dopodiché ci diedero l’opportunità di riposarci, dormii per tutto il periodo di pausa, dall’una alle quattro di pomeriggio.

    Alle quattro ricominciammo l’allenamento, stavolta in piscina, per tonificare i muscoli. Finimmo alle sei, poi ci mandarono a correre fino alle otto, dopo cena ci spedirono a letto, morti di stanchezza.


    CAPITOLO 18
    FATALITÀ
    Il Molise era ormai in mano dei russi, attaccammo quindi L’Abruzzo all’inizio del Luglio 2017.

    Ritengo tuttavia opportuno aggiornarvi sulla situazione del mondo esterno, per non far sembrare questo resoconto solo qualcosa a sfondo italico.
    La Russia aveva stretto il patto di Cracovia con tutte le nazioni dell’est e dell’estremo oriente, mentre gli USA avevano firmato l’unione di Barcellona, che includeva tutte le nazioni più a Ovest della Germania.

    Dal conflitto fu esclusa l’Africa, nella zona Sud l’ apartheid era tornato, stavolta però i bianchi ne erano il bersaglio, dopo la morte di Mandela i rapporti si erano inaspriti a causa della mancanza del simbolo di eguaglianza, eroe tra i bianchi tanto quanto tra gli uomini di colore.

    Nella zona centrale le carestie erano peggiorate, molte nazioni avevano ingaggiato guerre civili con altre, desertificando completamente la zona, poi la situazione era precipitata, con l’esplosione di due testate all’idrogeno. La zona era ora completamente disabitata, l’unica parte del mondo ora lasciata in pace.

    Il nord dell’africa aveva avuto problemi seri con l’Iran ed altre nazioni mediorientali, ma il tutto si era risolto con un trattato di pace, l’India aveva però poi lanciato sei testate atomiche contro la Mesopotamia, tre erano andate a segno, le altre, antiquate, erano cadute a mare.

    Il Nord-Africa, partner dell’Iran, aveva risposto con bombardamenti a tappeto sull’India, conclusisi con un’ennesima testata all’idrogeno.
    La Cina aveva poi attaccato il Nord-Africa con un’arma batteriologica, la zona è tutt’ora inaccessibile.
    USA e Russia erano tutt’ora integre, mentre il mondo, Eurasia ed America a parte era andato in pezzi


    CAPITOLO 19
    FALSA DIPLOMAZIA
    Mentre il mondo andava in pezzi la Cina era in crisi, il Giappone, alleato degli USA, minacciava l’attacco. Alla fine fu decisa la strategia dell’attacco preventivo, 1000 WZ-10 attaccarono Hokkaido, Tokio fu poi rasa al suolo, di tutta risposta caddero Nankino e Pechino, mentre Shanghai rimaneva ancora piuttosto stabile, nonostante il crollo della torre-simbolo e la distruzione di un quartiere.

    La Cina fronteggiò anche la Gran Bretgna, vincendo miracolosamente con un’offensiva su Londra, più simbolica che di sterminio, infatti l’UK rimase stabile ancora per un po’, poi fu il momento della Corea, che riuscì ad impossessarsi di Hainan e dell’Himalaya, per poi venire atomizzata dal Giappone, dopo l’attivazione delle contromisure della Cina, che avevano sviato il missile. La Cina contrattaccò con l’idrogeno, ma il Giappone era senza contromisure, a voi le deduzioni.

    La grande muraglia cadde nell’Agosto 2017, due testate all’idrogeno colpirono i resti di Pechino e la fiorente Shanghai, un’arma batteriologica colpì dritta la Manciuria, il virus non riscontrò tuttavia la mortalità desiderata, ma la popolazione cinese era comunque dimezzata, il Giappone era lacerato, la popolazione oramai un’ombra sporadica, La Corea inabitabile, metà Africa deserta, con l’altra metà in crisi e la guerra dava cenno di essere solo agli albori.

    Tutto questo non passò solo a fianco delle nazioni salvatesi, l’America soffriva rivolte nelle sue principali città e, mentre gli USA sedavano le rivolte con i lacrimogeni il Sud-America era travolto da guerre civili per la tratta del caffè nei pochi paesi rimasti.
    Le nazioni come UK, Germania e Francia si ritirarono dal conflitto, affibbiando ai due Stati principali le colpe, in fondo era stata colpa di quei patti, se si erano trovati in quella situazione, no?

    La Spagna fece lo stesso il mese dopo.


    CAPITOLO 20
    L'INIZIO DELLA FINE
    Ci caricarono su un camion quella mattina di Luglio, dovevamo attaccare un piccolo villaggio abruzzese, nulla di speciale.
    Internet era stato interrotto temporaneamente, per evitare un panico eccessivo, la radio oramai trasmetteva solo musica, mentre dalla TV sembravano essere spariti i telegiornali.

    Mi diedero il fucile, un ammazza-riflesso, apparecchio usato per evitare l’individuazione da parte di nemici a causa del riflesso solare sull’ottica, in soppressore di fiamma, apparecchio utile nella notte, per eliminare il flash da sparo.

    Il nostro plotone, il DK-1 aveva un comandante russo, tale Mordekai, ma il grosso di noi era gente italiana tra i 18 ed i 30. Eravamo divisi in cinque squadre, una era formata da militari russi specializzati, mentre le altre erano esclusivamente di italiani.
    Ogni squadra era formata da cinque persone, ciascuna squadra aveva un caposquadra, ogni uno di essi era selezionato in base ai risultati degli addestramenti fisici e mentali e prendeva ordini direttamente dal comandante.

    Io fui piazzato al comando grazie ai miei risultati negli esami teorici, con me avevo Letizia e tre ragazzi simpatici della nostra età, Marco, Arianna e Annunzio.

    L’assedio stava per cominciare, ordinai a Marco, che portava una mitragliatrice leggera, di spostarsi in una posizione riparata e preparare il bipiede per colpire i difensori, lo feci aiutare da Annunzio, mandai Lia vicino ad Arianna, armata con un fucile semiautomatico, trasportava un po’di colpi sfusi in caso le armi si fossero scaricate.

    La notte prima avevo preparato una postazione, formata da un piccolo quadrato dalla pavimentazione in legno, con rinforzi d’acciaio sui lati ed una feritoia riparata, vicino alla cima di una sequoia, preparai una scala e di fianco una corda, in caso fossi stato costretto a scappare, erano 40 metri di discesa attaccati ad una fune che mi avrebbe anche potuto far andare a fuoco i guanti.

    Montai l’ammazza-riflesso e il soppressore di fiamma sul Lobaev, poi mirai, tutto tranquillo.

    Americani e italiani in uniforme uscirono verso le cinque del pomeriggio, dopo otto ore dall’inizio della mia pattuglia.
    Diedi quindi il cambio ai miei, mi addormentai mentre controllavano il fronte, intanto altri tiratori, su altre sequoie, facevano lo stesso, coperti dalle loro squadre.

    A mezzanotte ci fu dato l’ordine di attaccare, sincronizzammo gli orologi ed i tiratori si prepararono, le mitragliatrici leggere mirarono agli stradoni ed i medici tirarono fuori bendaggi e stecche.

    Mirai, posizionando il bipiede, controllai la città, un cecchino sul campanile, prevedibile.
    Il via definitivo scattò, due Mil-Mi 28 Havoc ed un Mil Mi 24 Hind si accesero nelle retrovie, lo stesso fecero gli otto T-90 preparati per l’occasione, mentre dieci plotoni da cento uomini cominciavano a muoversi verso la città, tutti tranne il nostro, già lì, la testa di un enorme ariete.
    Accesi un toscano, mi ero preso il vizio del fumo, puntai il campanile e calcolai la distanza, sui trecento metri, un giochetto, ormai.
    Gli altri tiratori selezionarono un vasto campionario di cecchini ignari o nidi di mitragliatrici, come bersagli.
    Presi una boccata dal sigaro e sparai, seguito all’unisuono dagli altri.

    Eravamo ignari del fatto che, forse, la nostra ultima chance era svanita.


    II nota dell'autore:

    Arrivato ormai alla conclusione di questo piccolo fascicoletto ho deciso di prendermi una pausa da questa narrazione per questi motivi:
    -A:la storyline non mi convince più di molto

    -B: Ho chiuso con qualsiasi cosa che riguarda la guerra, mi sono semplicemente annoiato a morte.

    -C: Ho idee penso molto migliori per la testa ed un romanzo comincia ad affiorarmi nella mente.

    -D: In caso tra qualche mese io voglia ricominciare a scrivere questo racconto, voglio scriverlo in terza persona, non più in prima, quindi voglio cambiare stile.

    Conto di riprendere la trama tra 4 o 5 mesi.
    nel frattempo spero abbiate gradito questo.


    Edited by /HunterOfSøuls/ - 8/9/2013, 23:57
     
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    Fino ad adesso promette molto bene... Buon lavoro
     
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    ecco i tre nuovi pezzi
     
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    Secondo Capitolo:

    1) tre giorni dopo il primo abbozzo di amministrazione <--- Tre, lettera maiuscola.

    Terzo capitolo:

    1) benchè ne io ne lei fossimo effettivamente membri, sia io che lei infatti dovevamo <---- né io e né lei (Accenti), sia io sia lei (Sarò di parte, ma nello scritto è più corretto usare questa forma, il quale, nel gergo parlato, siamo soliti non rispettarla.)

    Quarto capitolo:

    1) esserci scolati 4 granite <--- Quattro.

    Capitolo cinque:

    1) Quindici proiettili <--- quindici.

    2) 4 anni prima <--- quattro (Q_Q Mi hai scritto quindici e non quattro? Ma come?! xD)

    Sesto capitolo:

    1) “Ovvero?” Chiese Il veterano <--- il veterano.

    2) soliti 5 colpi <--- Il solito. Mi scoccio di scriverlo.


    Solo questi :sisi:


    La storia procede molto bene, Hunter. Complimenti! E debbo dire che mi piace.
     
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  8. /HunterOfSøuls/
         
     
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    Aggiornato al capitolo 15,

    entro domani o dopo aggiungo i 5 capitoli finali
    scusate i ritardi ma ho impegni enormi in questo periodo.

    Aggiunti, c'est la fin

    Edited by /HunterOfSøuls/ - 8/9/2013, 23:58
     
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7 replies since 21/6/2013, 18:50   267 views
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