S.I.C. Spie in Codice

Romanzetto.

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    Prima di tutto voglio dire che Tenken - il quale ringrazio di cuore - mi ha dato il consenso di postare questo racconto a Capitoli, ovviamente, a patto che posti nel Topic, senza crearne uno per ogni capitolo.
    Questo è un racconto, da come lo si può capire, parla di Agenti segreti. Ovviamente, se decidete di seguirlo - il che sarebbe un grande piacere per me - sono disposta ad ascoltare tutti i consigli :3

    La prefazione già la postai qui: Un Sinistro Contraccolpo..
    Se volete incominciare a leggere da lì, sarebbe meglio. xD Bando alle Ciance: Spero vi piaccia.


    Capitolo I






    L'agenzia.







    La stanza era immersa nella penombra. La voce femminile, metallica e incolore del computer echeggiò per tutta la sala.
    “Processo di cancellazione memoria.”
    È così, quando una persona fa la richiesta di andarsene, che i ricordi passati in agenzia vengono cancellati e sostituiti con altri a sua scelta, grazie al RimotionMemories, un casco di latta fatto di apparecchiature tecnologicamente avanzate. Ci fu un lampo all'interno del casco. La persona era ormai caduta in un sonno profondo, in modo che il congegno faccia il proprio lavoro. L'agenzia non poteva permettersi il rischio di lasciare liberi ex-dipendenti del dipartimento in giro per la città. Avrebbero potuto spifferare a chissà chi le notizie dell'agenzia, il che significa rivelare a persone non idonee certe informazioni.
    E questo non doveva assolutamente accadere.
    Il processo RM, ovvero RimotionMemories, era stato attuato, dopodiché l'agente non poteva più tornate indietro, il che significa che non poteva più ritornare a far parte del dipartimento, e la sua vita ritornerà com'era un tempo.
    L'agente Mord, il sovraintendente dell'agenzia posò le mani in tasca nell'attesa che finisse il processo, e scrutò affondo quella sedia, su cui era seduto un suo futuro ex-dipendente, con occhi malinconici. Era sempre difficile dire addio ad un agente, anche se avesse dovuto esserci abituato.
    «Era un buon agente... Un peccato che se ne sia andato.»
    «Quando passi troppo tempo con una doppia vita dopo ti chiedi a quale parte di essa appartieni...» Disse una voce alle sue spalle, sospirando. Si trattava dell'agente Key, il Vice.
    La voce dell'apparecchio elettronico disse ancora con tono incolore: “Processo RimotionMemories, completato.” Ci fu un altro lampo e il casco finì la sua funzione.
    L'agente Mord trasse un profondo respiro.
    «Forse hai ragione...»
    Si allontanarono dal loro futuro ex-agente, e lo lasciarono lì, aspettando che il congegno gli rinnovi la parte dei ricordi e del tempo trascorso in agenzia, sostituendoli con altri da lui desiderati...

    Jonathan Jackson era seduto compostamente al tavolo del suo bar di fiducia aspettando il suo amato Tè mattutino. Era ormai un cliente abituale e considerava il Tè del "BlueSky Bar" il più raffinato di tutta New York. Abbigliato in giacca e cravatta come un vero Dongiovanni, alzò il braccio destro per dare una sbirciatina all'orario. Non che ce ne fosse bisogno, sia chiaro, il Tè lo prendeva puntualmente ogni dì alle 11:30. Quella mattina era più agitato del solito.
    Fortunatamente venne Tracy, la cameriera addetta ai tavoli, una dolce ragazza sui vent'anni composta e signorile, a deliziargli gli occhi tenendo il mano il vassoio con la tazza piena di Tè fumante. La ragazza, scostandosi la ciocca di capelli biondi dalla fronte salutò amabilmente il suo ospite.
    «Con due zollette di zucchero!» Esclamò raggiante, quasi come fosse un benvenuto abituale.
    «Come sempre!» Disse lui ricambiando il sorriso, la fragranza della bevanda gli inebriò le narici e Jonathan incominciò a sorseggiare poco il suo elisir, come al solito dolce e piacevole.

    Sarebbe potuto benissimo sembrare un capoufficio o un giovane imprenditore, con quella sua postura signorile ma sportiva, con il braccio appoggiato al bracciolo della sedia, l'altro portato poco sotto il mento, tenente la tazza, le gambe leggermente divaricate, e per non parlare dei suoi capelli corvini dal tagio fresco e giovanile e i suoi occhi scuri e penetranti... Insomma, la sua presenza non passava di certo inosservata.
    Era sempre un po' agitato quando gli affidavano una nuova missione, nonostante ne avesse fatte tante da aver perso il conto. Nel suo campo era molto riconosciuto e quindi rispettato, per la sua professionalità.
    Quella mattina, però, gli aspettava un incarico assai importante, dove avrebbe messo persino messo in gioco la sua vita.
    Finì di gustarsi il suo Tè e si guardò attorno. Si accorse che il benessere della routine quitiniava lo tranquillizzava. Quasi gli mancavano i giorni in cui era un semplice neo-laureato, tirocinante nel campo dell'economia aziendale. Avrebbe avuto una ragazza con cui passare le giornate, a cui non nasconderebbe niente, uscire la sera e divertirsi senza stare col fiato sul collo di essere scoperto o, peggio ancora, ucciso.

    I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillar del cellulare, riportandolo con la mente al giorno d'oggi. Rispose al primo squillo senza neanche accertarsi chi fosse il mittente, siccome già se l'aspettava.
    «Agente JJ, ti aspetto in agenzia.»
    «Capo, aspettavo una sua chiamata.» Disse lui sorridente, quasi come se avesse potuto farglielo percepire. «E comunque, buongiorno!»
    «È una questione di vita o di morte.» Disse l'agente Mord, con una sfumatura di amaro nella sua voce. «E buongiorno anche a te.»
    E staccò la chiamata.
    Dall'agitazione del sovrintendente, Jonathan capì che si trattava qualcosa di veramente importante, e il suo "questione di vita o di morte" non gli piaceva affatto. Improvvisamente avvertì dentro di se una strana pressione, come un brutto presentimento, ma si trattenne dall'allargarsi la cravatta.
    Senza neanche aspettare che la dolce Tracy ritorni al tavolo, entrò dentro al bar posando i soldi, dimenticando anche di ritirare lo scontrino. Non che ne avesse bisogno, lo sapeva benissimo il prezzo di un Tè al tavolo, e incominciò ad incamminarsi verso casa sua che si trovava a quattro isolati da lì. Neanche più un Tè poteva prendere in santa pace!

    Era una bella giornata soleggiata, ma non fu altrettanto bella la vista dei vicini che bisticciavano animatamente per la cacca di Lucky, il cane del signor Trevis, che aveva fatto nel giardino della signora Smith. Jonathan non poteva credere alle proprie orecchie, per le non poco volgari parolacce che esclamava la Smith; e dire che di solito era così dolce e pacata, pensò il giovane.
    Quella scena dava a desideraree e per non immischiarsi, corse subito in casa senza neanche salutarli. Ad un tratto gli sembrò surreale la tranquillità che regnava lì dentro rispetto al caos, a pochi metri di distanza. Attraversò il largo corridoio, arrivò al soggiorno e scavò nel cassetto del mobile a muro, dove poco sopra si trovava, in una rientranza, un televisore al plasma. Trovò le chiavi della sua Mercedes nero brillante e corse in garage, usando la porta di sicurezza situata nel corridoio, e salì a bordo della sua bella auto facendo risuonare il rimbombo del motore, simile ad un ruggito di un leone.
    Jonathan fece aprire il cancello elettronico e partì, sfrecciando a tutto gas verso l'agenzia.

    Si fermò davanti al solito tombino dietro un ghetto, quelle palazzine sbarricate dove abitavano le famiglie povere, oppure quei padri ubriaconi che non avevano nient'altro da fare se non bere e sfogarsi. Prese la torcia ed uscì fuori dall'auto, chiudendola a chiave.
    L'aria di quel posto era sempre più intrisa d'immondizia, polvere e smoog , e il sole arrivava poco da quelle parti. Ma ormai Jonathan era abituato per le innumerevoli volte che aveva scavavalcato quel cancelletto. Anche se era giorno, a quell'ora era sempre deserto quel posto, perché le persone o erano piccoli operai sfruttati senza titolo di studio, e quindi costretti a lavorare come schiavi fin dal primo mattino, oppure altri dormivano fino a tardi. Quindi aprì il tombino e scivolò dentro.
    Se l'aria fuori puzzava, quella di là dentro era un fetore immondo, e a quello l'agente non ci si sarebbe mai abituato. Scese la rampa di scale in fretta, gli scalini erano sempre scivolosi perché pieni di unto, e andò procedendo per la sua destra, accendendo la torcia che lui stesso chiamò "Solar" a causa della potenza di watt: con solo quel marchingegno si poteva illuminare un campo di calcio.

    Quella fogna era sempre piena di topi e le ragnatele arrivavano a toccargli la testa. Arrivò ad una porta simile a quella di un ripostiglio chiusa a chiave, l'aprì e si ritrovò in una camera stretta, le pareti in acciaio e di fronte a lui un'altra porta. Quello stanzino era tutto simile ad un'ascensore di stazione molto spazioso. Affianco alla porta vi era un congegno a rilevamento. Jonathan prese, quindi, il suo tesserino e lo passò nel rilevatore, per poi pigiare alcuni tasti della tastiera. E fu così che anche quella porta si aprì, le due porte si dilatarono finché non scomparvero nel muro rivelando, come il tesoro della caverna dei quaranta ladroni, un corridoio tutto illuminato. Della Solar Jonathan non ne aveva più bisogno, così la spense. S'avviò nel corridoio super-illuminato con noncuranza e tranquillità, superando la trappola dei laser con la sua agilità da ex-ginnasta e si ritrovò di fronte ad un medesimo rilevatore. Jonathan pigiò un tasto e la voce del computer rimbombò per tutto il largo corridoio.

    “Password Vocale.”
    Per quante volte l'avrebbe ascoltata, quella voce metallica lo inquietava sempre. Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi.
    «JJ, Agente del dipartimento S.I.C.»
    Disse, con voce risoluta e calma, aspettando la risposta affermativa della macchina.
    “Riconoscimento voce: affermativo. Password accettata.”
    Il ragazzo aprì gli occhi e quasi trattenne il respiro. Era sempre una stranza pressione capire di stare entrando in una società segreta. La voce del computer risuonò ancora, una volta che si aprirono le porte.
    “Bentornato, agente JJ.”
    Jonathan avanzò nel suo ambiente.

    Il dipartimento S.I.C., era completamente diverso sotto ogni aspettativa, e non somigliava neanche minimamente ad una normale agenzia.
    Si rasserenò ritrovandosi davanti il distributore di caramelle - l'unica cosa normale lì dentro, ma per quale motivo fosse stato messo lì è tutt'oggi un mistero - che era molto simile al distributore di giocattolini a gettone, con la campana di vetro a sfera, posta sopra un pilastro in acciaio laccato in rosso. L'unica differenza era che bastava girare la manopola, per far scendere le caramelle. L'avevano battezzata "Mrs. Candy", ma il perché avessero dato una nomina a quel distributore era anch'esso un mistero.

    L'agente percorse il tragitto fino ad arrivare alla scrivania della signora Bridget, la donna che stava alla portineria. Lei era una signora tutta paffuta e sempre sorridente, che andava sulla cinquantina. Jonathan era molto educato e non si permise affatto di chiederle l'età, anche se avrebbe voluto davvero tanto conoscerla. La scrivania era piena delle sue scartoffie e dei dati del computer alla quale lei ci lavorava giorno e notte, senza mai staccarsi. Infatti al posto delle lenti aveva due fondi di bicchiere, per quanto fosse miope.
    Salutò, quindi, l'agente JJ con un largo e pimpante sorriso da stregatto e ritornò al suo computer.
    Il ragazzo prese la sua caramella da Mrs.Candy e gli era proprio capitata una al gusto di arancia, la sua preferita.

    «Caramella gusto arancia, uno schiaffo sulla guancia!»
    Esclamò JJ, colpendo leggermente il viso di Bruce, un suo collega agente del quale era molto amico.
    «Maledetta Mrs. Candy, sono sicuro che faccia apposta a far uscire la caramella all’arancia ogni volta che ho il mal di denti!»
    Esclamò Bruce in tono alterato, spostandosi i capelli biondi all'indietro. Era un tic che aveva da sempre. JJ si fece scappare una risatina mentre proseguì verso l'ufficio del capo, non prima di essere distratto da un enorme quadro sul muro raffigurante il sovrintendente Mord. JJ fermò l'inserviente delle pulizie, di cui nessuno sapeva il nome, e gli chiede da quando quel quadro fosse lì e soprattutto perché. L'inserviente rispose semplicemente: «Voleri del boss JJ, sai quanto è megalomane ed egocentrico.»

    Proprio mentre si apprestava a bussare la porta di Mord, il cellulare gli squillò. Era un numero anonimo, e JJ si allontanò di qualche metro prima di rispondere.
    «Pronto.»
    «… … …»
    Solo silenzio.

    L'agente chuse la chiamata infastidito e si riavvicinò alla porta dell'ufficio del capo. Davanti ad essa però, a bloccargli l'accesso, c'era un uomo alto più o meno due metri, e muscoloso, che il ragazzo non aveva mai visto.
    «Devo entrare.» Disse JJ, in tono placido.
    L'energumeno si spostò, aprì la porta ed entrò nell'ufficio, invitando JJ a fare lo stesso. Una volta entrati chiuse la porta alle loro spalle. L'agente era impaziente di sentire quale missione gli aveva affidato il sovrintendente.
    Lo vide con lo sguardo incollato allo schermo del monitor gigante con occhi vacui, ma quando vide il ragazzo sulla soglia della porta spense subito il monitor con il telecomando, allarmato. Ma Jonathan riuscì a vedere la foto, anche se per un battito di ciglio. Si trattava di un uomo giovane, vestito in modo elegante, solo che sfortunatamente non riuscì a distinguerne bene i tratti somatici del volto.

    «Eccoti qui Jackson.» Disse il capo facendo un profondo respiro, poi proseguì: «Vedo che hai già conosciuto Martin.»
    «Chi? Quel colosso?» Disse JJ, indicando con il pollice la porta.
    «Sarà uno dei tuoi compagni di squadra.» Disse con noncuranza il sovrintendente Mord mentre estraeva il suo walkitalky dalla tasca, facendo sembrare il turbamento di prima una sciocca immaginazione. Allungò la ricezione ed aprì lo sportellino nero, dopodiché se lo posò all'orecchio. Attese per qualche secondo poi parlò, sotto lo sguardo incuriosito e indagatore del suo subalterno. Disse solo: «Agente R, la attendo nel mio ufficio. Passo.»
    “Agente R?” Pensò JJ, inarcando lievemente un sopracciglio. “È un nome che non ho mai sentito... Mi hanno affibbiato tutti agenti che non conosco, cavolo!” Tuttavia JJ si ritrovò a ripensare al volto visto in quella foto. Un uomo giovane, probabilmente poco sotto la quarantina, con capelli scuri e carnagione chiara. Si chiese chi fosse, se magari avesse fatto parte dell'agenzia e se centrasse in qualche modo con la missione che doveva portare a termine... Il suo pensare venne interrotto dalla porta che si apriva nuovamente. Entrò nel capo-ufficio una donna minuta, dai capelli corti rossi e sbarazzini e con una tuta di jeans scura, il colletto aperto in modo da far risaltare le forme. Lo sguardo affascinante, dagli occhi grandi e verdi. Guardò JJ con leggero stupore, poi però subito rivolse la propria attenzione a Mord, che era ormai in piedi.
    «Signore...» Incominciò lei, facendo un cenno col capo. Aveva una voce molto cristallina, notò Jonathan. Il sovrintendente sorrise.
    «Agente JJ, vi prensento la vostra compagna di squadra.»
    La donna s'avvicinò al collega porgendogli la mano, sorrise affabile.
    «Sarò lieta di lavorare con voi.»

    Edited by RoryJackson - 12/5/2013, 20:33
     
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