Vademecum della Poetica Italiana

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  1. Kalinicta
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    La metrica è molto importante, perché è alla base della musicalità che caratterizza il verso e che distingue la poesia dalla prosa. La parte più complessa del lavoro poetico è quello di riuscire a conciliare la forma, cioè un bel ritmo, una bella musicalità, magari abbellita anche dalla rima, con il contenuto, cioè un testo ricco di ispirazione, di immagini, di felice scelta delle parole.
    Poiché la materia poetica è impossibile da insegnare, dato che nasce da una naturale predisposizione, è meglio riuscire a fare pochi e piccoli lavori ben strutturati e corretti piuttosto che chilometri di versi che, alla fine, non sono né armoniosi e né metricamente esatti.

    La metrica italiana si basa sull'accentazione.
    Se gli accenti principali cadono nei punti giusti, il verso ha un bel suono, è armonioso, tende a fissarsi nella memoria.
    Se gli accenti sono fuori posto, il ritmo è dissonante o manca del tutto, e il "verso" suona come una semplice frase in prosa.

    Tanto gentìle e tanto onèsta pàre
    la donna mìa quand' ella altrùi salùta ..

    (Dante Alighieri)

    Indice dei paragrafi



    1.0 Accentazione e sillabazione
    1.1 Il verso
    1.2 La rima


    1.0 Accentazione e sillabazione



    Nella metrica italiana valgono gli accenti e la lunghezza dei versi, quindi per riconoscere o per comporre i versi occorre anzitutto saper contare le sillabe.

    Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

    (Dante, Inferno I,4):

    Questo, per la metrica, è un endecasillabo, cioè un verso di undici sillabe, eppure per la grammatica le sillabe sono ben 14 (e le vocali addirittura 16).

    dolce amore ... (dol-ce a-mo-re)

    Per la grammatica le sillabe sono 5; ma per la metrica sono solo 4, perché nella pronuncia l'ultima vocale di "dolce" si fonde con la prima vocale di "amore" in un unico suono. Questo fenomeno si chiama elisione o sinalèfe .

    Anche all'interno di una parola due vocali a contatto danno un unico suono (e contano quindi come una sola sillaba), non soltanto quando lo sono per la grammatica (dittongo), come nella parola "le-zio-ne", ma anche in altri casi, come nella parola "Pao-la".
    Nel verso di Dante sopra citato c'è un caso particolare: nella parola "ahi" c'è addirittura una consonante tra le due vocali; ma poiché "h" è muta, nella pronunzia le vocali si trovano a contatto e si fondono in un unico suono; questo conferma che per la metrica conta l'orecchio e non la grammatica.

    1.1 Il verso


    Il verso è l'unità elementare della poesia; il suo ritmo, in origine, era legato a quello della musica, a cui la poesia si accompagnava, ma poi ha acquistato la sua autonomia. Il suo nome (dal latino vèrtere = voltare) deriva dall'uso di scriverlo andando a capo e indica anche un ritorno ciclico del ritmo.

    Il ritmo del verso italiano consiste in una regolata successione di sillabe tòniche e di sillabe àtone , cioè con e senza accento. Per dare al verso la sua musicalità, gli accenti tonici principali devono trovarsi in determinate posizioni (vi possono essere altri accenti minori che però vengono pronunciati con poco risalto).

    Nel mezzo del cammìn di nostra vìta
    mi ritrovài per una sélva oscùra

    (Dante Alighieri)

    Ogni parola, monosillabi compresi, ha il suo accento, ma quelli che contano, che vengono pronunciati con maggior rilievo e che danno il ritmo al verso, sono quelli indicati, e sono detti appunto accenti “ritmici”; cadono sulla sesta sillaba e sulla decima nel primo verso; sulla quarta, sull' ottava e sulla decima sillaba nel secondo, e queste, come vedremo, sono posizioni "giuste" per dare all'endecasillabo la sua musica.

    I versi dunque si distinguono dal numero delle sillabe, non contate con le regole della grammatica, ma secondo il suono.

    I versi di solo due o tre sillabe, sono in realtà frammenti; la loro brevità non permette di avere un ritmo, una scelta di accenti, e quindi non si può creare una musicalità. Si possono eventualmente intercalare ad altri versi più lunghi, per dare effetti particolari o sottolineare una parola o un'espressione.
    I primi versi veri e propri sono i quadrisillabi (o quaternari), poi i quinari (5 sillabe), i senari, e così via, fino agli endecasillabi (11 sillabe) che sono i più lunghi usati nella poesia italiana di ogni tempo. Ci sono poi i versi composti, dal doppio quaternario al doppio settenario, fino a tutti i possibili abbinamenti di versi uguali o disuguali.
    Nella poesia del Novecento sono presenti spesso anche versi più lunghi dell'endecasillabo o versi composti, dato lo sperimentalismo che è stato in voga specie nella prima metà del secolo e la ricerca (spesso non riuscita) di una musicalità nuova, svincolata dalla tradizione.



     Verso Numero Sillabe
     Accenti
     Quaternario 4 1 (o 2); 3
     Quinario 5 1 (o 2); 4
     Senario 6 2 (o 1; o 3); 5
     Settenario 7 1 (o 2; o 3; o 4); 6
     Ottonario 8 (1); 3; (5); 7
     Novenario 9 2; 5; 8
     Decasillabo 10 3; 6; 9 (altri poco usati)
     Endecasillabo 11 6; 10
    oppure 4; 8; 10
    meno frequente 4; 7; 10
    molto raro 6; 7;10



    Quadrisillabo :

    C'è un castello,
    c'è un tesoro,
    c'è un avello.
    Dove? ignoro.
    Questo so:
    che morrò
    nel cercare
    terra e mare

    . . . .
    (Guido Mazzoni)

    Osservazioni:

    - Questo verso, breve e fortemente ritmato, non è adatto per poesie serie e impegnative, ma per filastrocche.
    - Gli accenti giustamente sono sulla prima e terza sillaba di ogni verso (vedi tabella).
    - "C'è un" si pronuncia come un unico suono, per l'elisione (vedi I parte); così nel quarto verso si fondono la "e" e la "i", nonostante la piccola pausa dovuta al punto interrogativo, e, nell'ottavo verso, la "a" di terra e la "e" che segue.
    - Il quinto e il sesto verso sembrano trisillabi, ma l'ultima sillaba è accentata (anche "so", naturalmente, ha il suo accento); allora, per la metrica, è come se dopo ci fosse un'altra sillaba; dunque non sono trisillabi, ma quadrisillabi tronchi, e hanno lo stesso ritmo dei quadrisillabi "normali" (leggere di seguito, ritmando molto, per conferma).
    Spesso il rifiuto della metrica nasce da due errori: quello di chi prova a scrivere in metrica (e in rima) senza conoscerla e quello di chi attribuisce l'effetto sgradevole alla metrica in generale, anziché alla brutta metrica.

    Il quadrisillabo, come qualunque altro verso, può anche essere usato insieme a versi di differente lunghezza. Ecco un esempio:

    Belle rose porporine,
    che tra spine
    sull' aurora non aprite;
    ma, ministre degli amori,
    bei tesori
    di bei denti custodite:
    . . . . .

    (Gabriello Chiabrera)



    Quinario

    . . . . .
    Venezia! l' ultima
    ora è venuta;
    illustre martire
    tu sei perduta ...
    Il morbo infuria,
    il pan ti manca,
    sul ponte sventola
    bandiera bianca!

    . . . . .
    (Arnaldo Fusinato)

    Osservazioni:

    - Il ritmo incalzante del quinario sottolinea la drammaticità e il precipitare degli eventi; la metrica, qui come altrove, non è un inutile ornamento, ma partecipa con le parole alla creazione dell'atmosfera poetica e alla costruzione del messaggio dell'autore.
    - Cambiano però i gusti e la sensibilità propria di ogni epoca: la retorica del testo e un ritmo così accentuato sarebbero eccessivi in una poesia di oggi.
    - Gli accenti principali sono sulla seconda (o sulla prima) e sulla quarta sillaba.
    - Il primo, il terzo e il settimo verso sono sdruccioli, perché terminano con una parola che ha l'accento sulla terzultima sillaba; ma, come si è detto, le due sillabe dopo l'accento finale del verso contano per una (altrimenti quelli sarebbero senari); il quinto verso poi ha un suono simile, perché termina con un dittongo e anch' esso ha due vocali dopo quella tonica; è chiara dunque la volontà dell'autore di alternare versi dispari di tipo sdrucciolo a versi pari piani, per dare al testo un'ulteriore coloritura musicale che, con la metrica e la rima, contribuisce a creare l'armonia propria di questa composizione.


    Senario

    . . . . .
    Un popolo pieno
    di tante fortune,
    può farne di meno
    del senso comune.
    Che popolo ammodo,
    che Principe sodo
    che santo modello
    un Re travicello.

    (Giuseppe Giusti)

    Osservazioni:

    - Anche il senario è un verso molto ritmico e "popolare", più adatto per argomenti satirici o comunque leggeri.
    - Gli accenti principali sono sulla seconda sillaba e sulla quinta.


    Settenario


    Dopo l'endecasillabo, è il verso più usato e più bello della poesia italiana; è anche abbastanza facile, perché, dei due accenti, il primo può essere su una qualunque delle prime quattro sillabe (l'altro, come sempre, è sulla penultima); quindi è molto difficile fare un settenario sbagliato.

    Chi non è pratico di metrica e vuole provare, potrebbe cominciare proprio con una poesia in settenari, magari cercandone una in qualche antologia e provando poi a cambiare le parole, mantenendo la musica. Il fatto poi che gli accenti possano essere in posizioni diverse, pur mantenendo la musicalità, fa sì che una poesia in settenari abbia un ritmo vario, non eccessivo, di gusto moderno. (A maggior ragione la stessa cosa si dirà dell'endecasillabo).

    L'albero a cui tendevi 1; 6
    la pargoletta mano, 4; 6
    il verde melograno 2; 6
    da' bei vermigli fior, 4; 6
    . . . . .

    (Giosuè Carducci)

    Osservazioni:

    - Accanto ai versi è segnata la posizione delle sillabe con gli accenti principali; ci sono, in questi esempi, tutti i casi possibili.
    - A volte è molto chiaro quali sono gli accenti principali: nel primo verso di Carducci, le parole "a" e "cui" sono senza dubbio meno importanti, mentre "albero" e "tendevi" sono quelle che esprimono il concetto; dunque i loro accenti sono anche gli accenti principali del verso, e poiché si trovano nelle posizioni giuste, il verso suona bene. Nel primo e nel quinto di Ungaretti invece la situazione è più ambigua: vi sono più parole significative, che lasciano qualche incertezza sul modo di leggere; ma nel quinto verso, ad esempio, che si preferisca appoggiare la voce più su "è" o più su "primo", secondo la sfumatura che si vuol dare alla frase, non fa differenza per la metrica: in tutti e due i casi gli accenti sono giusti, e che ce ne sia anche un altro non disturba, anzi arricchisce la melodia. Poi, conoscendo Ungaretti, si può pensare che la cosa non sia casuale, ma faccia parte della sua tendenza a spezzare e ricomporre la metrica tradizionale, in cerca di sonorità nuove.
    - Il quarto verso di Carducci è tronco; infatti (per un gioco di rime con le strofe seguenti) è stata fatta cadere la "i" finale e l'ultima parola da piana è diventata tronca: per la metrica non cambia nulla: è come se la sillaba mancante, dopo l'accento, ci fosse lo stesso. (Naturalmente "bei" si conta come un unico suono e così anche "fior").


    Ottonario

    L'ottonario ha normalmente gli accenti ritmici sulla terza e settima sillaba; a volte anche sulla prima e sulla quinta, e in questo caso è come un doppio quadrisillabo, ed è molto ritmato, avendo accenti ogni due sillabe.

    (C'è anche un ottonario "novecentesco", non riportato in tabella, che avendo gli accenti principali su 4a e 7a - raramente 2a e 7a - non è cantilenante come l'ottonario "classico" e pertanto è molto usato dagli autori del secolo scorso).


    (Le vocali su cui cadono gli accenti metrici sono evidenziate nei testi).

    Su 'l castello di Verona
    batte il sole a mezzogiorno
    da la Chiusa al pian rintrona
    solitario un suon di corno,

    (Giosuè Carducci)

    Bella Italia, amate sponde,
    pur vi torno a riveder!
    Trema in petto e si confonde
    l' alma oppressa dal piacer.

    (Vincenzo Monti)

    - Nel primo brano gli accenti principali sono su terza e settima sillaba; nell'altro su tutte le sillabe dispari ed il ritmo è ancora più incalzante.
    - Notare i casi di vocali vicine che si fondono metricamente in un'unica sillaba e i versi tronchi; es.: "l'al/ma op/pres/sa/ dal/ pia/cer/" in cui ho evidenziato la divisione in sillabe, che sono solo sette, perché dopo la settima con l'accento è come se ce ne fosse un'altra.



    Novenario

    Dov' era la luna? ché il cielo
    notava in un' alba di perla,
    ed ergersi il mandorlo e il melo
    parevano a meglio vederla.

    (Giovanni Pascoli)

    - Il novenario ha gli accenti su seconda (raramente terza), quinta e ottava sillaba. Come in tutti i versi italiani, un accento è sempre sulla penultima sillaba (nel caso del novenario, l'ottava).
    - Il fatto che gli accenti siano ad intervalli regolari, ogni tre sillabe, e che tutti i novenari, normalmente, abbiano gli stessi accenti, dà a queste composizioni una musicalità molto ritmata e ripetitiva.



    Decasillabo

    L' han giurato. Li ho visti in Pontida
    convenuti dal monte, dal piano.
    L' han giurato, e si strinser la mano
    cittadini di venti città.

    (Giovanni Berchet)

    - Il decasillabo ha gli accenti principali su terza, sesta e nona sillaba (esistono alcune varianti, ma sono poco usate).
    - Anche qui gli accenti sono ad intervalli regolari, ogni tre sillabe, e vale perciò la stessa osservazione fatta per il novenario.
    - Notare l'ultimo verso tronco e quindi formato da solo nove sillabe.



    Fino ad ora abbiamo visto dei versi che, ad eccezione del settenario, hanno gli accenti molto regolari e praticamente obbligati, questo fa sì che le poesie risultino assai ritmate. Ciò non è necessariamente un male, anzi! Il cervello entra, per così dire, in risonanza con l'andamento musicale dei versi e l'effetto può essere gradevole.
    Non è un caso però che i versi più usati della poesia italiana di tutti i tempi siano il settenario e soprattutto l'endecasillabo, poiché hanno il pregio, se fatti bene, di essere musicali, ma non troppo ritmati, anche perché è possibile alternare vari schemi di accenti senza perdere l'armonia.



    Endecasillabo


    Questo, come ha affermato lo stesso Ungaretti, è "lo strumento poetico naturale della nostra lingua", e non si potrebbe dir meglio.

    Gli accenti principali (fermo restando che uno è sempre sulla penultima sillaba, in questo caso la decima, e che se un verso ha l'ultimo accento sulla decima è un endecasillabo) possono avere tre schemi:
    sesta sillaba e decima
    oppure quarta, ottava e decima
    oppure quarta, settima e decima.

    I primi due schemi si possono mescolare fra loro senza che si notino differenze; il terzo invece (quarta, settima e decima) comporta un cambiamento di ritmo che un orecchio un po' sensibile avverte. Ciò è dovuto al fatto che in questo caso gli accenti sono ad intervalli regolari e si torna al tipo di musicalità del novenario o del decasillabo.
    Se si vuole fare poesia in metrica, bisogna cercare di farla come si deve; altrimenti conviene seguire la moda, così diffusa soprattutto fra i poeti amatoriali, del "verso libero", che si chiama così proprio perché è libero da qualunque regola metrica, esattamente come la prosa.

    (Il "verso sciolto", invece, che è quello usato, per esempio, da Leopardi e spesso anche dai vari Saba, Montale, Gatto, etc., è tutt' altra cosa: è un vero verso, con gli accenti al posto giusto e quindi con la giusta musicalità, però "sciolto" da uno schema fisso di strofe e di rime - le rime, se ci sono, sono casuali - e spesso utilizzato, specie dai moderni, mescolando versi di varia lunghezza: " polimetro ").


    E veniamo agli esempi (tralasciando Dante e Petrarca, perché è scontato ricorrere a loro per l'endecasillabo, e citando invece i moderni). Negli endecasillabi, che sono formati da molte parole, ci sono anche altri accenti, oltre a quelli metrici, ma ciò che conta è che ci siano gli accenti giusti nei posti giusti; gli altri in più non disturbano, anzi creano una variazione musicale che evita alla poesia di essere cantilenante. (I numeri indicano la posizione delle sillabe con accenti metrici).

    La bella bimba dai capelli neri 4; 8; 10
    è là sul prato e parla e gioca al sole. 0; 6; 10
    Io so quei giochi e so quelle parole; 0; 6; 10
    rido quel riso e penso quei pensieri. 0; 6; 10
    Son io la bimba dai capelli neri. 4; 8; 10

    (Vittoria Aganòor Pompilj)


    Odora al vento dell'addio la sera 4; 8; 10
    fredda in amore dalla luce morta 4; 8; 10
    ed il cielo si stacca nella vera 0; 6; 10
    lontananza dei monti, in una porta 0; 6; 10
    vuota di luna e di sereno albore. 4; 8; 10
    Sale nell'aria il fresco dei giardini, 0; 6; 10
    l'ampio silenzio delle case in fiore 4; 8; 10
    coi bimbi addormentati sui gradini. 0; 6; 10

    (Alfonso Gatto)

    E' tempo di levarsi su, di vivere 0; 6; 10
    puramente. Ecco vola negli specchi 0; 6; 10
    un sorriso, sui vetri aperti un brivido, 0; 6; 10
    torna un suono a confondere gli orecchi. 0; 6; 10

    (Mario Luzi)


    Si noti in quest'ultimo brano la rima irregolare tra " vivere " e " brivido ": la vocale tonica (cioè con l'accento) è la stessa e così la consonante che segue, ma cambiano le lettere successive; questo nel caso delle rime sdrucciole non turba l'armonia dell'insieme. (Nella stessa poesia c'è un altro esempio, ancora più ardito, tra " immagini " e " traggono ", mentre tutte le altre rime sono perfette).

    Dodecasillabo

    Per questo verso, di cui non si parla nei libri scolastici, possiamo indicare alcuni schemi di accenti, ma si tratta in ogni caso di un verso composto, che suona bene solo se sono metricamente perfette le parti componenti. Gli accenti principali possono essere su terza, settima e undicesima sillaba (e di fatto è un quadrisillabo unito a un ottonario); o su quarta, settima (o ottava) e undicesima sillaba (ed è un quinario più un settenario), come in:

    E, come allora, scompaiono cantando.
    (Pier Paolo Pasolini)

    oppure su una delle prime sillabe, e poi sulla sesta, ottava (o nona) e undicesima (ed è un settenario più un quinario):

    Come pesa la neve su questi rami
    (Attilio Bertolucci)

    Infine gli accenti metrici possono essere su seconda, quinta, ottava e undicesima sillaba, e allora non è neppure un vero dodecasillabo, ma un classico doppio senario, come in:

    o falce d'argento, qual mèsse di sogni
    ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

    (Gabriele D'Annunzio)

    Verso di tredici o più sillabe

    Vale quanto detto per il dodecasillabo: questi versi suonano bene se composti da versi in perfetta metrica, come in questa strofa:

    Camminiamo una sera sul fianco di un colle,
    in silenzio. Nell'ombra del tardo crepuscolo
    mio cugino è un gigante vestito di bianco,
    che si muove pacato, abbronzato nel volto,
    taciturno. Tacere è la nostra virtù.
    Qualche nostro antenato dev'essere stato ben solo
    - un grand'uomo tra idioti o un povero folle -
    per insegnare ai suoi tanto silenzio.

    (Cesare Pavese)

    Questi sono tutti versi di tredici sillabe (formati da settenari più senari dal ritmo perfetto) salvo il terzultimo di 16 sillabe (ma è un settenario più un novenario) e l'ultimo, che è un normale endecasillabo. C'è una rottura del ritmo, nell'insieme della poesia, data da questi due versi differenti dagli altri. L'unica regola, se non si vuol fare a meno di usare versi molto lunghi e per ciò stesso prosastici, è cercare ad orecchio un effetto melodico che sollevi i versi dalla piattezza di un semplice susseguirsi di frasi.

    Versi sciolti

    I versi sciolti (che spesso sono confusi con i versi liberi, ma non c'entrano) sono veri versi, in metrica, con accenti giusti e quindi giusta musicalità, "sciolti" però da schemi precostituiti di strofe e rime. Le strofe non ci sono, e i versi si susseguono senza stacchi, oppure ci sono, ma formate da un numero variabile di versi e senza ripetitività; le rime sono assenti o sparse senza regola fissa.
    Esempi altissimi di versi sciolti sono la quasi totalità delle poesie di Leopardi, formate in genere da endecasillabi e settenari, che sono, come già detto, i versi italiani più nobili e più usati, proprio per la loro varietà e la musicalità che non è mai cantilena.

    Versi liberi

    Sono molto usati dai poeti amatoriali, ma non altrettanto dagli autori moderni grandi o comunque noti, i quali, salvo eccezioni, ne fanno un uso saltuario o limitato ad un periodo della loro esperienza poetica, o, come detto, li inseriscono in ordine sparso tra i versi in metrica.
    La prima poesia in versi liberi che si ricorda è del 1224 ed è il famoso Cantico di Frate Sole di S. Francesco; è quindi coetanea delle prime poesie in metrica italiana. Da allora sono state fatte di certo tantissime composizioni in versi liberi, anche se, e non per caso, quelle che hanno resistito al tempo sono quasi tutte in metrica.

    L'esaltazione del verso libero, come più adeguato ai tempi risale alla seconda metà dell'Ottocento, ad opera di Walt Whitman, estroso e retorico poeta americano della nuova frontiera, seguito da alcuni autori francesi, come Jules Laforgue e Gustave Kahn; più tardi, nel primo Novecento, alle teorie di Whitman e degli altri si sono ispirati alcuni autori italiani, tra cui i "Futuristi".

    Il verso libero è, come dice il nome, del tutto libero (al contrario del verso sciolto): è privo di metrica e di rima; ha quindi le stesse regole della prosa, anzi anche meno, perché in genere la prosa ha degli obblighi di coerenza, di logicità, nonché di grammatica e di sintassi, che la poesia può anche non avere. Questo ovviamente rende tutto più facile e dà la possibilità di esprimere al massimo le proprie emozioni.
     
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