| Il tacito scrittore sedeva inerme nel suo tormento, come faceva ormai tutte le sere. Poggiava i gomiti sulla scrivania di mogano e lasciava gli occhi scorrere sul pesante e pressoché interminabile volume che teneva sotto il naso.
"Serpentario" si poteva leggere dalla sovraccoperta, sebbene questa fosse logora ed indicibilmente antica.
Ovviamente - credo sia inutile specificarlo - il suo sguardo si perdeva tra le pagine aperte, ingiallite; si perdeva tra le parole e le terminologie arcaiche, alcune delle quali egli non aveva mai udite; non tra le pieghe della sovraccoperta.
D'altronde, non avrebbe potuto che esser così, data l'espressione sgomenta e visibilmente atterrita, esausta scolpita sotto gli occhi del poverino.
Quella sera non sarebbe rimasto sveglio fino a tardi a leggere o a riflettere, scrivere - se gli andava bene -, no; i resoconti di marinai lungimiranti a proposito di remote costellazioni l'avevano ridotto all'osso della stanchezza. Spense il lumino sulla scrivania e si gettò sul materasso, senza curarsi di cambiare il lenzuolo né di sfilarsi i pantaloni.
I suoi sogni non furono tranquilli. Inaspettatamente, tra tutte le informazioni che aveva appreso quella sera dal Serpentario - che spaziavano a ruota libera da costruzione di lance baleniere a composizione atomica delle stelle -, nessuna riemerse poi in sogno; bensì, ciò che riemerse fu un'unica ed apparentemente insensata parola, che gli era venuta in mente negli ultimi attimi di veglia: lungimiranza.
Sarò forse io lungimirante? si chiedeva ora, sempre sognando. Lo sono di certo, poiché miro in lontananza, lungi da dove mi trovo ora; il mio sguardo volge lontano, come i miei sogni e le mie speranze.
Si destò di scatto - ne fu costretto -, a causa di un forte latrato demoniaco di quelle che parevano decine di cani provenienti da chissà dove; gli parve da molto meno lontano del solito dal suo appartamento.
Decise che per quella notte non avrebbe più dormito e, quando il latrato dei cani fu sostituito dal ben più sopportabile canto dei galli mattinieri, si levò per andare nel suo cucinino a preparare il caffè. Il sole non era ancora sorto quando riprese in mano il Serpentario.
Dire che lo prese "in mano" è chiaramente una semplificazione, giacché non ne bastavano nemmeno due per sorreggere quel peso immane. Magari altre mani, mani più possenti ed abituate al lavoro ci sarebbero anche riuscite, ma quelle di un povero filosofo che traeva la sua massima felicità da frasi stampate a macchina; certamente quelle mani mai avrebbero potuto.
Nell'ultimo periodo, specialmente, l'indennità fisica dello scrittore era, a detta di tutti - i pochi sciagurati con i quali avesse contatti; altri poetuncoli -, rovinosamente crollata, quasi caduta in pezzi.
Egli non lasciava il suo buco d'abitacolo da circa un mese, e da due settimane non mangiava, seppure sua sorella avesse tentato con tanta dedizione di infrangere il suo morboso interesse per quel testo tanto raro quanto funereo, azzardando quasi a bruciarlo.
Non soffermiamoci troppo sulle disquisizioni fraterne, però; vi basti sapere che i due giunsero presto ad un compromesso: il poveretto avrebbe letto un ultimo capitolo, quello sulla costellazione del Pesce Volante, al che avrebbe restituito il volume, giacché l'aveva preso in prestito da un altrettanto disperato filosofo, un tipo stravagante di cui magari vi parlerò più avanti. Pare che il Serpentario fosse uno dei frutti marci del suo pensare.
Torniamo brevemente alla sorella: accettò, seppur diffidente, e si levò dai coglioni - testuale espressione del consangue.
Veniamo ora a noi: costellazione del Pesce Volante. Non occorre riportare per filo e per segno ciò che era scritto sotto questa voce inusuale e che sapeva di mistico. Il capitolo era diviso in qualche dozzina di sezioni, a loro volta dislocate tra sottosezioni ed una quantità inudibile di note a pie' pagina. Ogni sottosezione, udite, riportava un esercizio fisico ed uno psichico da svolgere obbligatoriamente per poter passare a quelle successive - le pagine risultavano infatti incollate tra loro, in caso contrario.
Inutile dire che il nostro protagonista era ormai talmente preso, talmente bramoso di conoscere i segreti delle stelle, da non curarsene se le richieste pretese da quei fogli di carta risultassero a tal modo assurde.
Ad esempio, una recitava: "O voi, afferrate il candelabro più vicino, aizzatelo e tenetelo fermo, con la fiamma verso l'addome, per venti minuti"; un altro: "O lei, applichi delicatamente la lama di un coltello - che sia ben affilata! - in prossimità della cassa toracica, tra i solchi delle costole".
Andò avanti per settimane, l'infame, a rispettare quegli ordini che non stavano né in cielo né in terra; ed alla fine, come evitarlo?, accadde. Ed egli se ne compiaceva!
Si compiaceva che fosse quello il fine ultimo della tanto aspirata lungimiranza, quello di assumere fattezze anfibie.
La metamorfosi fu ovviamente graduale; dapprima iniziò a respirare non più dalla bocca o dal naso, ma dagli squarci nella carne che erano ad una piuma dal cingergli i polmoni; poi - ma questo non c'entra con le istruzioni - le sue mani divennero sempre più piatte, come i suoi piedi, fatto dovuto alla eccessiva sedentarietà ed al contatto ossessivo con la carta e le copertine dei libri.
Per ultimo, la schiena gli si era incuneata ad un punto che mai vi auguro di vedere in vita, almeno non con occhi umani, bensì solo con quelli degli angeli che tutto possono rendere dall'infimo al sublime. La colonna vertebrale sporgeva 'sì tanto che, appunto, l'unica cosa cui poteva esser paragonata era la cresta di una qualche preistorica creatura sotterranea.
La cute mutò il pallore in un verde soffocante, e tanta era la sua impossibilità nel muoversi che gli arti inferiori si atrofizzarono e divennero un tutt'uno - una viscida ed orribilmente lunga coda di tritone.
Signori, vi parlo di una mutazione durata mesi, se non anni. Ciò che ad oggi conosciamo sul caso del poeta Bezdomnji ci è dato dalle poche testimonianze dei suoi vicini di casa, che con lui solo avevano da spartire le tasse condominiali.
Ma è passato tanto, troppo tempo che neanch'egli, con tutti i suoi studi sulla linea temporale verticale (lo so che non ve ne ho parlato, ma non sono cose che vi riguardino!); neppur egli stesso, dicevo, sarebbe stato in grado di definirlo.
L'intero edificio venne evacuato a causa di una lungimirante ondata di un qualche liquido salmastro che sgorgò proprio fuori dell'appartamento di Bezdomnji.
Molti affermano di aver intravisto un uomo, quel giorno, scuro in volto e nelle movenze, fare su e giù per le scale, da un piano all'altro, sogghignando ed accarezzando i due serpenti che gli cingevano il collo.
Per il resto, ciò che ci è dato supporre - tralasciando quest'ultimo avvertimento, ancora da accertare - è che il filosofo-anfibio sia stato sbranato dai cani, i cui latrati e mugugni famelici rimbombavano vicini come non mai - a detta di tutti! - nelle vicinanze del palazzo.
E così, come un palloncino viene fatto esplodere dalla puntilla di un ago, egli implose in sé stesso assieme ai suoi assalitori, divenendo il gorgo di un uragano che mai nessuno avrebbe assestato.
Edited by InKubus - 19/11/2016, 19:42 |
|