Votes given by Er Mortadella

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    Malinconica e allo stesso tempo molto rilassante, inoltre fa da sottofondo ad una scena di un episodio di Breaking Bad. (S 5 ep. 14) Come posso non amarla? Ecco, ora torno a piangere nel mio angolino. Troppi ricordi.

    Edited by Swaky - 10/1/2018, 12:21
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    Fuori il sole inizia a sorgere e gli adulti già hanno iniziato a lavorare. Gli odori delle fabbriche di questa orrenda città mi arrivano al naso prima del suono della radio, che mi sveglia parlando di politica e guerre. Ancora assonnato e annoiato dalla triste routine degli eventi, allungo il braccio semi-addormentato per cambiare prontamente stazione.
    “... alto, occhi marroni, sulla ventina, pelato. Se lo vedete cont—“ cambio stazione di nuovo.
    Possibile che non si trovi della musica?

    Vorrei qualcosa di rilassante che possa aiutare il mio tremendo mal di testa dovuto, ancora una volta, a quella pazza che sta al piano di sotto: Deborah, quella maledetta donna che urla da mattina a sera contro Dio solo sa chi. I suoi avrebbero dovuto farla internare in un istituto psichiatrico quando ne avevano l’opportunità, si sarebbero risparmiati tanto dolore e io mi sarei risparmiato questo strazio.
    Forse sto esagerando, lo so, ma provate voi a dormire sopra l’appartamento di una donna come quella. A dire il vero sono anche troppo buono; avrei potuto lamentarmi e reagire già dall’inizio ma non l’ho fatto. Spero sempre che le persone possano cambiare.

    Finalmente, dopo essere passato da una stazione radio religiosa a una di gossip, dove un gruppo di donne con voci acute e risate fastidiose parla degli addominali del protagonista di un nuovo film rosa, mi ritrovo su una stazione di musica classica.
    Soddisfatto, mi stiracchio le gambe e le braccia e mi alzo definitivamente dal letto, direzione doccia. Lancio uno sguardo alle coperte stropicciate, e noto una macchia secca di… Oh, che schifo. Mi sono decisamente dato da fare ieri, a quanto pare. Un ubriaco che non riesce a rimorchiare in discoteca cos’altro può fare nella privacy di un letto? La visione ha un qualcosa di drammaticamente epico quando abbinata a Le Nozze Di Figaro in sottofondo.

    Decido di cambiare le lenzuola più tardi ed entro nel bagno con i vestiti puliti e l’accappatoio. Regolare la temperatura dell’acqua è sempre difficile, in case vecchie come questa, e oggi non è diverso.
    Mentre giro la manopola con precisione chirurgica, sento l’inquilina del piano di sotto urlare, di nuovo. Sbuffando, torno velocemente in camera per alzare il volume della radio, sperando che possa coprire le grida.

    Sotto la doccia, penso a quanto sia ingiusto che sia capitata a me un’inquilina simile. Proprio a causa di questo suo comportamento irritante – e, se posso permettermi, a volte quasi psicotico – non la conosco molto bene. Parliamo poco, o meglio, lei non mi parla. Come ho già detto, so che si chiama Deborah, so che ha un fidanzato dolce e belloccio ma momentaneamente assente, so che il posto dove abitava prima era grande e pulito – il contrario di questo.
    Mi dà l’idea di essere una maniaca dell’ordine ossessionata con i batteri e i microbi. Non deve essere facile per lei stare in questo orribile posto, ma alla fine è lei che se l’è cercato.
    E va bene, posso capire la sua frustrazione, ma questa storia sta andando avanti da troppo tempo. È qui solo da qualche giorno e già mi ha rotto le palle. Dico io, che bisogno c’è di sfogare tutta la sua rabbia, tristezza e paura urlando? Cosa spera di ottenere? Tirare pugni al muro sarebbe più efficace, per attenuare il dolore. Dovrei scrivere un libro sull’importanza dell’autolesionismo, uno di questi giorni. Dio solo sa quante cose avrei da dire.

    Quando esco dalla doccia noto con piacere che la donna si è stancata di urlare, ha probabilmente deciso di cambiare canale e ora è passata al pianto silenzioso. Mi fa pena. Pulisco lo specchio del lavandino con la manica dell’accappatoio e mi asciugo velocemente i capelli.
    “Avviso importante,” giunge la voce dalla radio “ricordiamo ai radioascoltatori che la polizia ha fornito un identikit del sospettato killer di Whiteton. Il soggetto è un ventenne bianco, alto, occhi marroni e pelato. Se lo vedete, siete pregati di contattare la polizia della vostra città immediatamente. Per ulteriori informazioni visitare il sito–“
    Sorrido e scuoto la testa. Occhi marroni e pelato… Come se questa non fosse la descrizione di migliaia di altri uomini presenti sulla faccia della terra. Piuttosto di dare informazioni così vaghe dovrebbero stare zitti. Chissà quante occhiatacce riceveranno oggi, i ventenni alti e rasati… Poveri bastardi.
    C’è da dire, però, che hanno fatto diversi passi avanti con le indagini, rispetto a qualche mese fa: hanno finalmente capito che si tratta di un serial killer, per esempio. All’inizio pensavano fosse semplicemente una catena di suicidi, qualcosa di simile a quel gioco Russo. Ora invece hanno addirittura un sospettato.

    La radio mi informa che sono quasi le nove. Mi devo sbrigare, o perderò l’aereo.
    Indosso velocemente i jeans scuri, la camicia leggermente stropicciata e la giacca grigia – elegante, ma comunque abbastanza casual. Ho una reputazione da crearmi.
    Mi infilo i calzini e le scarpe due numeri più piccole di quello che dovrebbero essere. Il dolore alle dita è noioso ma sopportabile e, comunque, potrò cambiarmele una volta salito sull’aereo. Raccolgo il mio accappatoio da terra insieme al tappeto del bagno e ritorno nella mia camera.
    Butto le cose del bagno sul letto e faccio un fagotto utilizzando le lenzuola sporche, carico il tutto in spalla come un Babbo Natale dello schifo e mi accingo a uscire dalla stanza insieme al trolley da viaggio.
    Mi fermo. Manca qualcosa. Sto dimenticando qualcosa. Mi giro e mi guardo intorno, ma non sembra ci sia nient’altro da portare con me. Mordendomi il labbro con ansia, mi convinco che è meglio lasciare qualcosa che perdere il volo. Tiro un sospiro di sollievo quando, tastando le tasche della giacca, sento la presenza delle mie sigarette e dell’accendino. Aiuteranno sicuramente a eliminare l’ansia.
    Finalmente esco dalla stanza, e i vecchi pavimenti in legno scricchiolano sotto le ruote della valigia. Scendo le scale sperando che le assi non si rompano sotto al mio peso, infilo i guanti in pelle per proteggermi, alzo il braccio per aprire la porta d’entrata e –

    Crash.

    Il suono di un tonfo proveniente dall’altra parte della porta di Deborah mi ferma.

    “Deb?” chiamo, ma non c’è risposta. Vorrei semplicemente uscire, fumarmi la mia sigaretta, buttarla, e partire verso l’aeroporto, ma la curiosità non me lo permette. Potrebbe essere caduta, o peggio, qualcuno potrebbe aver rotto un vetro per entrare. Non è difficile, in un quartiere desolato come questo, vedere ladri e tossici entrare nelle case della gente.
    Lascio la valigia e le lenzuola in terra e busso alla porta. “Deborah, posso entrare?” chiedo con la mia classica voce da altruista. Non ricevendo una risposta e annoiato dallo spreco di tempo prezioso, apro la porta ed entro nella stanza.

    Davanti a me, Deborah è appesa al soffitto dal collo. La sua sedia di plastica giace spaccata a metà sotto di lei, e i suoi piedi si muovono nell’aria mentre cercano di appoggiarsi a qualcosa.

    “Oh, cazzo,” sussurro d’un fiato, e vado verso di lei. Sta soffocando e i suoi occhi spalancati fissano i miei, chiedendomi aiuto.
    Noto subito che ha le mani legate dietro la schiena e dei lividi sul volto. Confuso, mi guardo intorno. Non faccio in tempo a girarmi che qualcosa fa click.

    “Aah… Sì, ora ricordo.”
    L’alcol fa davvero perdere la memoria, vero? Sono tornato presto dalla discoteca, ubriaco, e l’ho slegata dal calorifero. L’ho portata a letto, ma cercava di graffiarmi. Non posso permettermi di lasciare pelle sotto le sue unghie. E per l’altra traccia di DNA che ho lasciato… Beh, diciamo che le lenzuola verranno bruciate per quello. Sono una persona prudente.
    Quando ho finito, l’ho riportata di sotto e le ho infilato un cappio al collo. Ecco perché mi sono svegliato più annoiato del solito, oggi: già mi ero rotto i coglioni ieri notte. Forse volevo vedere quanto avrebbe resistito in bilico su quella piccola sedia di plastica.
    Osservo la sua faccia diventare sempre più rossa e i suoi occhi sempre più sporgenti. I suoi versi soffocati ed incoerenti sono un suono dolcissimo, soprattutto dopo tre giorni passati a sentirla urlare. È una tosta, questa, avrebbe potuto rompersi il collo quando si è rotta la sedia, ma non è successo.
    “Guarda il lato positivo,” le dico, “volevo farti bruciare insieme alla casa. In confronto, questo è un modo decisamente migliore di andarsene, no?” Ovviamente, Deborah non risponde. “Grazie per avermi risparmiato la fatica.”
    Lei emette versi di soffocamento mentre io mi guardo intorno per avere la certezza di non star lasciando niente in giro. Certo, potrei comunque dar fuoco alla casa giusto per essere sicuri, ma ho poca benzina e mi serve per il fagotto di coperte che ho fuori.
    Nell’angolo della stanza, accanto a una piccola pozza di sangue sotto al calorifero, vedo la mia calotta in lattice da pelato. “Sapevo di star dimenticando qualcosa” dico, giusto per dirlo.
    Raccolgo la parrucca da terra e considero la macchia di sangue. Sì, nei tre giorni che è stata con me, Deborah mi ha fatto arrabbiare più volte. Giusto per divertimento ci appoggio dentro un piede prima di tornare dalla mia vittima, lasciando una traccia rossa dietro di me.
    Le scarpe che ho usato con la mia ultima ragazza erano di tre misure più grandi. Se prima la polizia aveva intuito io fossi alto per quello, sono curioso di sapere cosa tireranno fuori da queste piccole impronte.
    Deborah sta smettendo di muoversi e la radio sta cambiando canzone. Sono felice di non averla spenta.

    “Non mi auguri buon viaggio?” le chiedo. “Io lo auguro a te.”
    Non risponde, e i suoi occhi rimangono fissi mentre lei dondola. Mi dispiace non toccarla un’ultima volta, ma ho mezz’ora di tempo per bruciare le mie cose e raggiungere l’aeroporto. Con un ultimo sorriso, esco dalla stanza e chiudo la porta dietro di me.
    Aggiungo la parrucca nel mucchio da bruciare, apro la porta di ingresso e mi dirigo verso il piccolo bosco vicino alla casa. Vorrei dire che è un peccato che case come queste vengano lasciate alla deriva, ma a me fa comodo.

    I capelli mi cadono negli occhi e infastidiscono ancora di più le mie lenti a contatto verdi, i piedi mi fanno male con ogni dolorante passo che faccio, il trolley balla sulla strada sterrata e la fretta di raggiungere l’aeroporto mi mette ansia.
    Ma il tutto è coronato da La Gazza Ladra di Rossini in sottofondo. Adoro la musica classica.

    È una delle poche storie che ho completato e, per questo, vi ringrazio per l'incipit fornito nella scuola. M'avete ispirata :rock2: :love:


    Edited by DarknessAwaits - 5/1/2018, 18:42
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    It was time to stahp


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    La sabbia del deserto di Yondo non e' come la sabbia degli altri deserti; perché Yondo si trova più di tutti vicino al confine dei mondi; e strani venti, provenienti da un pozzo che nessun astronomo potrà mai sperare di sondare, hanno seminato le sue terre desolate con la polvere grigia di pianeti sgretolati e con le nere ceneri di soli estinti.

    Le oscure colline semicircolari che si alzano dal suolo grinzoso e butterato non sono del tutto sue, alcune sono asteroidi caduti e semisommersi dalla sabbia abissale.

    Strane cose sono strisciate su Yondo dagli spazi infernali, cose la cui incursione e' proibita dagli dei in tutte le terre sane e ben ordinate; ma non ci sono questi dei su Yondo, dove invece vivono antichi spiriti di stelle morte e demoni decrepiti rimasti senza casa dopo la distruzione di inferni ormai dimenticati.

    Era il pomeriggio di un giorno di primavera allorche' emersi da quella interminabile foresta di cactus in cui mi avevano abbandonato gli spietati inquisitori di Ong, e vidi innanzi ai miei piedi l'inizio delle grigie terre di Yondo. Lo ripeto, era il pomeriggio di un giorno primaverile; ma in quella spaventosa foresta io non trovai traccia ne' ricordo di una primavera; e le gonfie, fulve, morenti e semimarce piante che io incontrai durante il mio cammino, non erano cactus normali, ma disgustose forme abominevoli che a stento potrei descrivere. L'aria era pesante e impregnata di un odore stagnante di decadimento; e licheni malati chiazzavano il suolo nero e la vegetazione sanguigna con frequenza sempre crescente.

    Vipere verde pallido sporgevano le loro teste da sotto i tronchi di cactus abbattuti e mi guardavano con occhi di luce ocra privi di palpebre e di pupille. Cose come queste mi perseguitarono per ore; odiavo quei funghi mostruosi, con i gambi senza colore e le ondeggianti teste malva velenoso, che crescevano dagli orli fradici di fetide pozze d'acqua; e le onde sinistre che si diffondevano e si smorzavano sull'acqua gialla al mio avvicinarsi non erano certo rassicuranti per una persona dai nervi ancora scossi da torture innominabili.

    In seguito, quando i cactus malati e pustolosi divennero più radi e stantii, e rivoli di sabbia cinerea iniziavano ad insinuarsi tra di essi, cominciai a sospettare quanto grande era l'odio che la mia eresia aveva suscitato tra i sacerdoti di Ong e a comprendere l'infinita malignità della loro vendetta.

    Non entrerò in dettaglio nel raccontarvi le circostanze che mi portarono, straniero imprudente di terre lontane, nelle grinfie di questi potenti e temibili maghi servitori del dio dalla testa di leone Ong. Queste circostanze, e i particolari del mio arresto, sono troppo dolorosi da ricordare; e men che mai desidero rammentare la tortura delle budella di drago cosparse con polvere di diamante, su cui i malcapitati venivano distesi ignudi e poi stirati; o quella stanza buia con le finestre da sei pollici da cui gonfi vermi nutriti da cadaveri in decomposizione strisciavano all'interno a centinaia dalle vicine catacombe.

    Sarà sufficiente dire che, dopo aver dato libero sfogo alla loro turpe fantasia, i miei inquisitori mi sistemarono bendato sulla groppa di un cammello per lasciarmi, dopo un tragitto interminabile, in quella sinistra foresta verso il finire del mattino. Ero libero, dissero che potevo andare dove volevo; e in nome della clemenza di Ong, mi diedero un pezzo di pane raffermo e una bottiglia di pelle piena di acqua rancida come scorta. Era il pomeriggio dello stesso giorno in cui arrivai al limitare del deserto di Yondo.

    Fino ad allora, non avevo ancora pensato di tornare indietro, a causa di tutti quegli orribili cactus marcescenti, e delle altre piccole cose malvagie che nascondevano. In quel momento mi ero preso una pausa, ben sapendo le tremende leggende che riguardavano quella terra in cui ero arrivato; perché Yondo e' un luogo dove pochi si sono avventurati di bella posta e senza costrizione alcuna. E i pochi che riuscivano a tornare da quei luoghi, balbettavano di orrori sconosciuti e strani tesori; e gli arti rinsecchiti e scossi da tremiti violenti di quei poveretti semiparalizzati accanto al bagliore folle dei loro occhi sfuggenti dalle ciglia e sopracciglia incanutiti, non contribuivano certo ad incoraggiare chi avesse avuto in animo di addentrarsi nel deserto di Yondo. Così, esitai a lungo sul limitare di quelle terre grigio cenere, e avvertii il tremito di una nuova paura salire dalle mie viscere. Sarebbe stato tremendo sia proseguire sia tornare indietro, perché ero sicuro che i sacerdoti avevano previsto una tale eventualità. Così, dopo un po', decisi di andare avanti, canticchiando ad ogni passo, con riluttante disinvoltura, seguito da certi insetti dalle lunghe zampe che avevo incontrato durante il tragitto fra i cactus.

    Questi insetti erano del colore di un cadavere vecchio di una settimana ed erano grandi come tarantole; ma, quando intrapresi il cammino ed iniziai a calpestare il suolo di Yondo, un mefitico fetore si alzò, più nauseante ancora del colore di quegli insetti, tanto che, per il momento, cercai di ignorarli il più possibile.

    In realtà queste cose erano gli orrori minori della mia situazione. Davanti a me, sotto un grande sole malato e scarlatto, Yondo appariva interminabile come la terra in un sogno indotto dall' hashish, sullo sfondo di un cielo nero.

    In fondo, sul limite più lontano, si innalzavano le nere montagne semisferiche di cui ho detto prima; in mezzo si stendevano terribili spazi di grigia desolazione, e basse colline spoglie come il dorso di mostri semisepolti.

    Arrancando, scorsi enormi pozzi dove le meteore cadute erano completamente sprofondate; e gioielli colorati brillare nella polvere. Mi imbattei in cipressi abbattuti che marcivano, simili a mausolei sbriciolati, sui cui sudici licheni grossi camaleonti strisciavano tenendo delle perle regali nella bocca.

    Nascoste dalle basse colline, vi erano città delle quali nessuna stele era rimasta incorrotta, città immense e senza memoria, disgregate pietra dopo pietra, atomo dopo atomo, per andare a nutrire desolazioni infinite. Trascinai i miei arti indeboliti dalle torture sopra grandi mucchi di detriti che una volta furono templi possenti; e divinità cadute si accigliavano tra il marciume o mi lanciavano bieche occhiate dal porfido spaccato ai miei piedi.

    Su tutto regnava un silenzio malvagio, rotto soltanto dal riso diabolico delle iene, e dal fruscio delle vipere proveniente dai boschetti di spine morenti o da antichi giardini infestati da ortiche e fumarie avvizzite.

    Raggiunta la cima di una delle molte colline simili a dei tumuli, scorsi le acque di uno strano lago, insondabilmente scuro e verde come la malachite, segnato da strisce di sale fulgente. Tali acque giacevano lontano in basso sotto di me in una valletta a forma di coppa; ma dappertutto ai miei piedi sulle ondulate, consunte colline sorgevano cumuli di quel sale antico; e compresi che il lago altro non era che il torbido residuo di un antico mare.

    Scendendo dal dirupo giunsi in breve alle acque scure, e iniziai a sciacquarmi le mani; ma provai un acuto e corrosivo dolore in quell'acqua salata immemore, tanto che desistetti subito preferendo la sabbia del deserto che lentamente mi aveva coperto come un sudario.

    Qui decisi di riposare un poco; e la fame mi spinse a consumare parte delle scarse e beffarde vivande di cui ero stato rifornito dai sacerdoti. Era mia intenzione andare avanti se la la mia fibra me l'avesse permesso, e raggiungere le terre che giacciono a nord di Yondo. Queste lande sono in realtà desolate, ma la loro desolazione e' più normale di quella di Yondo; ed erano a volte attraversate da alcune tribù di nomadi. Se la fortuna mi avesse arriso, avrei potuto imbattermi in una di esse.

    La misera colazione mi diede energia, e, per la prima volta da un numero di settimane di cui avevo perduto il conto, percepii il sussurro di una debole speranza. Gli insetti cadaverici avevano smesso da un pezzo di seguirmi; e fino ad allora, a dispetto dell'irrealtà del sepolcrale silenzio e della polvere delle rovine senza tempo, non avevo incontrato niente di orribile nemmeno la metà di quegli insetti. Iniziai a pensare che gli orrori di Yondo fossero stati in qualche modo esagerati.

    Fu allora che udii un diabolico riso provenire dalla parte della collina giusto sopra di me. Il suono cominciò con una tagliente bruschezza che mi allarmò oltre ogni ragione, e continuava senza fine, rimanendo costante nella sua singola nota, come la risata di un demone idiota. Mi girai e vidi la bocca di una caverna oscura, ornata di stalattiti verdi simili a zanne, di cui non mi ero ancora accorto. Il suono sembrava venire da quella grotta.

    Con i sensi allerta, terrorizzato fissavo l'ingresso buio. Il suono cresceva sempre più forte, ma per un po' non potei vedere nulla. Al più riuscivo a distinguere un chiarore biancastro nell'oscurità; poi, con la rapidità di un incubo, emerse una Cosa mostruosa. Aveva un corpo pallido, glabro, a forma di uovo, grande come quello di una capra gravida; e questo corpo era sostenuto da nove gambe ondeggianti con molte frange, come le zampe di un ragno enorme. La creatura corse oltrepassandomi verso la riva; e vidi che non c'erano occhi nella sua strana faccia obliqua, ma due orecchie come coltelli si ergevano sulla testa, e un sottile naso grinzoso pendeva giù da sopra la bocca, le cui labbra cascanti, da cui usciva quell'eterno riso soffocato, mettevano in mostra file di grossi denti. Bevve l'acqua acida e amara del lago, poi , soddisfatta la sete, si girò e sembrò avvertire la mia presenza, perché il naso grinzoso si alzò e puntò verso di me, odorando udibilmente. Se la creatura avesse voluto fuggire o attaccarmi, non lo posso dire; perché non potendo sopportare oltre quella vista, fuggii con le gambe tremanti tra le rocce pesanti e i grandi cumuli di sale lungo le rive del lago.

    Mi fermai infine, completamente senza fiato, e accertatomi di non essere inseguito , sedetti, continuando a tremare, all'ombra di un masso roccioso. Ma potei godere di una misera tregua, perché iniziò la seconda di quelle bizzarre avventure che mi costrinse a credere a tutte le folli leggende che avevo udito. Più impressionante ancora di quel diabolico riso fu il grido che si alzò vicino al mio gomito dalla sabbia salina, un grido che poteva venire da una donna sofferente un'agonia atroce, o abbandonata in balia di mille diavoli. Voltandomi, contemplai una Venere; nuda, in una candida perfezione, senza timore di subire una disamina, era immersa fino all'ombelico nella sabbia. I suoi occhi spalancati dal terrore mi supplicavano e le sue mani di loto si allungavano implorando aiuto. Balzai accanto a lei... e toccai una statua di marmo, le cui ciglia scolpite erano abbassate in qualche enigmatico sogno di cicli morti, e le cui mani erano sepolte con la perduta leggiadria dei fianchi e delle coscie. Di nuovo fuggii, scosso da una rinnovata paura; e di nuovo udii il grido di una donna in agonia. Ma questa volta non mi girai per vedere i suoi occhi e le sue mani imploranti. Su per il lungo pendio, verso il nord di quel lago maledetto, inciampando sui massi di basanite e sui ripiani cosparsi di punte metalliche griogioverde; balzando tra i pozzi di sale, sulle terrazze modellate dalla marea in ritiro di antichi eoni. Fuggii, come un uomo vola da un incubo ad un altro di una notte cacodemoniaca.

    Intanto c'era un freddo sussurro nel mio orecchio, che non veniva dal vento del mio volo; e guardando indietro, quando giunsi su una delle terrazze più alte, percepii un'ombra singolare che correva seguendomi passo dopo passo. Non era l'ombra di un uomo, ne' di una scimmia, ne' di una qualsiasi bestia conosciuta; la testa era troppo grottescamente elongata, il corpo tozzo troppo gibboso; e non riuscivo a distinguere se l'ombra possedeva cinque gambe, o se ciò che appariva essere la quinta era semplicemente la coda.

    Il terrore mi comunicò nuova forza, e avevo già raggiunto la sommità della collina quando ebbi l'ardimento di girarmi nuovamente indietro, ma l'incredibile ombra seguitava a tenere il passo; e ora avvertivo un curioso e insano odore, osceno come l'odore di pipistrelli appesi in un ossario tra la muffa della corruzione. Corsi per leghe, mentre il sole rosso declinava sopra le montagne-asteroidi che si stagliavano a ovest; e la misteriosa ombra continuava a seguirmi mantenendosi sempre alla stessa distanza.

    Un'ora prima del tramonto giunsi a un cerchio di piccole colonne che si ergevano miracolosamente intatte tra i grandi cumuli di rovine corrotte. Passando tra queste colonne udii un verso, come quello di un animale feroce, tra la collera e la paura, e notai che l'ombra non mi aveva seguito all'interno del circolo. Mi arrestai e attesi, ipotizzando intanto di aver trovato un santuario che il mio sgradito inseguitore non avrebbe avuto il coraggio di violare; e in quel momento la mia idea fu confermata dal comportamento dell'ombra. La Cosa esitava, poi correva intorno al circolo di colonne, sostando spesso tra di esse; e infine, seguitando a lamentarsi, si diede alla fuga e disparve nel deserto verso il sole morente.

    Per una buona mezz'ora non osai muovermi; poi, l'imminenza della notte, con tutto il suo carico di nuovo terrore, mi spinse ad andare avanti fintanto che potevo verso nord. Mi trovavo infatti, ora, nel cuore di Yondo dove i demoni e i fantasmi potevano assalire chi non portava rispetto al santuario delle colonne incorrotte.

    Mentre avanzavo faticosamente, la luce del sole cambiava sensibilmente; perché il disco rosso vicino all'orizzonte collinoso affondava, ardendo lentamente, in una cintura di nebbia miasmatica, dove la polvere galleggiante di tutti i templi sgretolati di Yondo si mescolava ai vapori malefici che si arricciavano verso il cielo dagli enormi golfi neri giacenti al di là del limite più esterno del mondo.

    In quella luce l'intero deserto, le montagne arrotondate, le colline serpeggianti, le città perdute, erano imbevute di uno spettrale e scuro scarlatto.

    Poi, oltre il nord, dove le ombre si addensavano, di là venne una curiosa figura; un uomo alto in catene, bardato di tutto punto; o, meglio, ciò che assunsi essere un uomo. A mano a mano che si avvicinava, sferragliando malinconica ad ogni passo sulla terra cosparsa di rovine, vidi che la sua armatura era di ottone chiazzato di verde e grigio; e un casco dello stesso metallo, munito di corna arrotolate e di una cresta dentellata, si alzava alto sopra la sua testa; dico la sua testa, perché il sole era ormai tramontato, e non potevo vedere chiaramente a quella distanza. Ma quando l'apparizione giunse più vicino, mi accorsi che non vi era un volto sotto i bordi di quel bizzarro elmetto, i cui vuoti contorni si stagliarono per un istante contro la luce ardente. Poi la figura passò oltre e, continuando a sferragliare malinconicamente, sparì.

    Ma alle sue calcagna, prima dello svanire della luce, venne una seconda apparizione, stridendo con incredibile intensità e fermandosi quasi sopra di me nel crepuscolo di fiamma; la mummia mostruosa di un qualche antico re, ancora incoronata con oro lucente, esibendo al mio sguardo sgomento un volto che più di un'era e di un verme avevano devastato. Bende rotte penzolavano intorno alle gambe scheletriche, e sopra la corona ornata da zaffiri e rubini arancioni un qualcosa di nero dondolava e accennava orribilmente; ma, per un istante, non vidi ciò di cui si trattava. Poi , giusto a metà, due occhi obliqui e scarlatti si aprirono e brillarono come tizzoni infernali, e due zanne di serpente scintillarono nella sua bocca scimmiesca. Una tozza, glabra e informe testa sopra un collo di lunghezza sproporzionata si chinò giù inspiegabilmente e sussurrò nell'orecchio della mummia.

    Quindi, con un urlo, il titanico cadavere coprì metà della distanza fra di noi;

    dalle pieghe della stoffa sbrindellata si sporse un braccio ossuto e dita scarne ad artiglio cariche di gemme splendenti raggiunsero e frugarono la mia gola...

    Indietro, indietro atttraverso eoni di pazzia e di terrore, in un volo precipitoso corsi via da quelle dita spaventose che si appigliavano al crepuscolo dietro di me; indietro, indietro per sempre, senza pensare, senza esitare, verso tutti quegli abominii che avevo già lasciato; indietro nel crepuscolo sempre più fitto, verso le rovine decrepite e senza nome, il lago, la foresta di cactus maligni, e infine i crudeli inquisitori di Ong, che attendevano il mio ritorno.

    Titolo originale: The Abominations of Yondo
    Fonte:

    Edited by Swaky - 3/1/2018, 12:42
  6. .
    Si, ho già nominato in un altro topic questa canzone.
    Il fatto è che per me è così bella, che ho sentito il bisogno di postarla qua. Ogni qual volta che ho bisogno di evadere dalla realtà, la ascolto e vado in un mondo tutto mio. Per quattro minuti riesco (quasi) a dimenticare i problemi. Probabilmente è una cosa stupida, ma è ciò che accade quando la ascolto. :v Dopo questa giuro che comincerò a postare anche canzoni di altri autori. Forse.



    Edited by Swaky - 30/12/2017, 15:58
  7. .

    Troppa musica normale. Cambiamo aria.
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    Stavano avanzando nella foresta. Henry Shears, un contabile pelato e con un bel pancione, e Dylan che gli puntava un fucile alla schiena.

    "Perché lo stai facendo?" Chiese Shears.

    "Soldi" Replicò Dylan.

    "È il tuo lavoro?".

    "Qualche volta".

    "Non sei costretto a farlo" Disse Shears, la voce che si incrinava.

    "Lo so", rispose Dylan. "Voglio i soldi".

    "Lasciami andare. Ti darò qualunque cosa tu voglia".

    "Non funzionerebbe". Disse Dylan. "Il tizio che mi ha ingaggiato potrebbe incazzarsi. Potrebbe anche provare a farmi fuori. Anche se non lo facesse, la prossima volta che avrò bisogno di soldi col cazzo che mi ingaggerebbe".

    "Chi è che ti ha ingaggiato?" Shears domandò.

    "Un tizio che conosco".

    "Perché mi vuole morto?".

    "Perché un altro tizio l'ha pagato perché succedesse.", disse Dylan. "O una tizia. Non lo so. Non importa".

    La boscaglia si infittiva, la luce scemava. Mentre continuavano a camminare, il passo di Shears rallentava. Anche quello di Dylan.

    "Ho una moglie!" Shears esclamò. "Due bambini! Mia madre ha l'Alzheimer... Hanno bisogno di me...".

    "Sapevo che avevi moglie e figli", Dylan rispose. "Non di tua mamma, però... Mi dispiace stia male, ma non cambia 'na ceppa".

    "C'è qualcosa che ti può far cambiare idea?" Implorò Shears. "Dio Santo, ti prego! Qualunque cosa!".

    "Già deciso.", Dylan rispose. "L'unico motivo per cui non sei ancora crepato è che non c'avevo voglia di trascinarti alla tomba che ho scavato".

    "Ti scongiuro!".

    Dylan sospirò. "Ascolta... Tutti pensano che cambierò idea o che sbaglierò, o che qualcuno verrà a salvarli. Come in un film del cavolo. Non capiterà. Ho già fatto 'sta roba. Andata ogni volta perfettamente. 'Sti film non hanno colpi di scena. Solo finali.".

    "Sei un pezzo di merda!".

    "Lo so".

    "Che Dio ti maledica!" Urlò Shears, e poi si fermò di colpo. Erano arrivati ad un buco, una montagnetta di terra di fianco. E una pala.

    "Ci ha maledetti tutti.", disse Dylan. "In ginocchio".

    Shears si girò a guardarlo. "Vai. A. Fanculo."

    Dylan sorrise calorosamente ed annuì, poi puntò il fucile. Shears si rannicchiò, chiuse i suoi occhi lacrimanti, e poi gridò quando dalla tasca di Dylan iniziò a suonare la musichetta di Mission Impossible.
    Dylan tirò fuori il cellulare.
    "Si?", rispose. "No... Certo che sono sicuro. Va bene, ok." Dylan terminò la chiamata. "Beh, che io sia maledetto...".

    "Cosa?".

    "È il tuo giorno fortunato.", disse Dylan. "Un tizio o tizia non ti vuole più morto."

    "Mi stai... lasciando andare?".

    "Non ancora", disse Dylan. "Prima metti il culo per terra e conti fino a mille mentre io me ne vado. Poi puoi andartene tu. Capito?".

    "Si!", Shears rispose. "Grazie!".

    "Basta che non ti becchi a guardarmi mentre me ne vado".

    Shears si sedette rivolto verso il buco, lacrime ancora fresche sulle sue guance ov'era disegnato un sorriso. "Uno... due... tre... quattro... cinque...", cominciò, contando i passi di Dylan che si allontanavano. "Sei... sette... otto... nove... dieci... und-".

    Un sparo echeggiò.

    Dylan si avvicinò alla tomba. Il corpo di Shears era, molto convenientemente, cascato dentro. Anche la maggior parte della sua testa. "Mi dispiace per la messinscena", disse Dylan afferando la pala.

    "Non volevo che te l'aspettassi.".

    Preso da qui.


    Edited by KingRyuX - 11/1/2018, 22:34
  9. .
    Cosa vi dice il nome "Dan Cooper?" Niente, probabilmente.
    In realtà questo nome è legato ad un poco conosciuto personaggio dei fumetti e, cosa più interessante, ad un uomo ancora oggi circondato da un'aura di mistero. Costui si identificò all'aereoporto come Dan Cooper, per l'appunto. Visto e considerato ciò che ha fatto, col senno di poi è lecito pensare che si sia ispirato all'omonimo personaggio dei fumetti, costantemente impegnato in numerose avventure aeree. Ma procediamo con ordine. Il 24 novembre del 1971 si presentò all'aereoporto internazionale di Portland munito di valigetta, acquistò un regolare biglietto per Seattle e si imbarcò sull'aereo, si accomodò al posto 18c e dopo essersi acceso una sigaretta, ordinò del bourbon. Secondo alcuni testimoni oculari costui era alto 1.80m e dimostrava quarantacinque anni, indossava una camicia bianca ben stirata e una cravatta nera, e naturalmente aveva con sé la valigetta.
    L'aereo (un boeing 727-100, volo 305), decollò alle 14.50 ora locale. Di seguito l'identikit elaborato dal Fbi:


    DBCooper



    Dan Cooper che fino a quel momento si era comportato come un qualsiasi viaggiatore, passò un biglietto all'assistente di volo Florence Schaffner, biglietto che la donna inizialmente ignorò. Poco dopo a quanto pare l'uomo sussurrò alla donna quanto segue: "Signorina, farebbe meglio a dare un'occhiata a quel biglietto. Ho una bomba". Sul biglietto, in maiuscolo e con un pennarello nero, c'era scritto:
    "Ho una bomba nella mia valigetta. La userò, se necessario. Voglio che si sieda accanto a me. State per essere dirottati". Non è possibile stabilire quale fosse l'esatto contenuto del biglietto, in quanto il suddetto fu ritirato poco dopo dallo stesso criminale. Ci si deve affidare perciò a delle testimonianze oculari, alcune di esse ci restituiscono una versione del messaggio con un dettaglio aggiuntivo: "Ho una bomba nella mia valigetta. La userò, se necessario. Voglio che si sieda accanto a me. State per essere dirottati. Non fate scherzi." L'uomo mostrò all'assistente il contenuto della valigetta, e in seguito dettò le sue richieste: duecentomila dollari, quattro paracadute, e un'autobotte pronta a rifornire l'aereo. Di seguito un identikit ancora più accurato:

    DB_Cooper_Wanted_Poster



    L'assistente di volo consegnò dunque le istruzioni al pilota, il quale velocemente contattò la torre di controllo di Seattle, raccontando per filo e per segno ciò che era successo. Alle persone a bordo fu comunicato che a causa di un problema l'atterraggio sarebbe stato ritardato: né Cooper né l'equipaggio erano intenzionati ad informare i viaggiatori di una presunta bomba a bordo. L'aereo restò in volo per altre due ore, attendendo che la Fbi preparasse tutto il necessario, a richieste soddisfatte finalmente atterrò. Erano le 17.40.
    A quel punto D.B Cooper mostrò tutta la sua preparazione: ordinò di spegnere ogni luce per impedire ad eventuali cecchini di individuarlo. L'Fbi aveva nel frattempo raccolto dei soldi, banconote non segnate ma aventi per la maggior parte un numero di serie simile. Curiosamente il criminale rifiutò i paracadute militari, e decise di chiedere dei paracadute civili. Una volta ottenuto tutto ciò che aveva chiesto, Cooper liberò tutti i passeggeri e gran parte dell'equipaggio, e indicò ai restanti membri dell'equipaggio la tappa successiva: Città del Messico. Diede inoltre precise istruzioni, ordinò al pilota che l'aereo avrebbe dovuto viaggiare lentamente e ad un'altezza non superiore ai tremila metri, dimostrando un'insolita conoscenza di ciò che andava fatto a quell'altezza e a quella velocità. L'aereo partì da Seattle alle 19.40, seguito da due caccia F-106.
    Verso le 20.00 Cooper ordinò a tutti di rinchiudersi nella cabina di pilotaggio, da lì uno di loro vide una spia accendersi, non ci volle molto a capire che Cooper aveva aperto il portellone e si era lanciato col paracadute. Fuori era buio, e pioveva molto forte. In ogni caso l'aereo atterrò verso le 22.00 all'aereoporto di Reno, in Nevada. Si riuscì a stabilire che Cooper si era lanciato in una zona compresa fra Reno e Seattle, probabilmente era atterrato nelle vicinanze del fiume Washougal, nello stato di Washington.
    La valle del suddetto fiume venne perlustrata per ore, ma ovviamente non furono ritrovati né Cooper né il paracadute. Nel 1980 un bambino trovò delle banconote nei pressi di un affluente del fiume Washougal, tre pacchetti da venti per un valore totale di cinquemila e ottocento dollari. L'Fbi le analizzò, e scoprì che quelle banconote facevano parte dei duecento mila dollari consegnati a Cooper. Secondo alcuni esperti molto probabilmente Dan Cooper non sarebbe nemmeno sopravvissuto al salto, non aveva dimostrato di essere particolarmente esperto e inoltre era saltato di notte in una zona piena di boschi. Varie furono le riprese del caso, ma in oltre quarantaquattro anni L'Fbi non è riuscita a trovare o ad identificare il colpevole, riuscì al massimo a stilare una lista di ottocento sospettati, che poi diminuirono fino ad arrivare a venti. Nel caso sia ancora vivo, Cooper avrebbe circa centouno anni. L'Fbi ha però dichiarato il caso chiuso, lasciandolo di fatto irrisolto.

    Di seguito una ricostruzione dell'aspetto che dovrebbe avere se fosse ancora vivo:


    Fonti: In parte wiki, "ilpost" ed una pagina facebook chiamata "Cannibali e Re."


    Edited by Hero - 29/12/2017, 23:46
  10. .
    Non penso di riuscire a farlo di nuovo nemmeno se mi ci impegno
  11. .

    cos'è 'sta roba
    non la capisco ma mi fa effetto
  12. .
    volevamo tenervi sulle spine un altro pò, ma ci sono troppi cuori teneri nello staff, quindi vi annunciamo chi tra i candidati che hanno sostenuto il colloquio passera alla fase successiva (quella in cui verrà frustato a sangue finché non implorerà una morte rapida)

    DarknessAwaits

    IanEmerson

    Hero

    Er Mortadella

    Swaky

    alla faccia, a questo giro siete stati tutti bravi, complimenti!

    a breve verrete sequestrati ed inizierà la vostra avventura come staffer in prova!
  13. .
    I raggi del sole illuminavano le placide acque, l'aria era pregna del tipico odore di salsedine; in sella a Rushaa stava rientrando dal suo giro di perlustrazione.
    In pieno periodo di pace era più che altro un modo per staccare un po' dagli impegni e dai doveri che gravavano su di lei, a causa del ruolo che ricopriva nella sua tribù.
    Un ultimo battito di ali e percorse i pochi metri che la separavano dai mastodontici cancelli della città sospesa di Dravaji; un'immensa isola fluttuante su di un favoloso mare azzurro, che ricopriva quasi interamente le terre di Shiru.
    L'unico modo per arrivarci era in sella ad un drago, ma solo i membri del suo popolo avevano il privilegio di riuscire ad addomesticare e cavalcare quelle fiere creature; quando era solo una bambina il suo insegnante le aveva spiegato che i draghi e i Dravaki, l'appellativo che la sua tribù usava per definirsi, avevano un antenato in comune; molto probabilmente era questo il motivo per cui i draghi si fidavano al punto da permettere loro di salirgli in groppa.

    Al suo arrivo diverse grida annunciavano l'arrivo del comandante Runa e conseguentemente ordinavano l'apertura dei cancelli.
    Rushaa atterrò con la grazia tipica della sua specie, senza scomporsi minimamente del gran viavai che ogni giorno caratterizzava il porto della città. I mercanti stavano caricando le merci sui loro draghi, pronti a scendere nelle terre degli umani per i loro scambi commerciali; era l'unico contatto che avevano con le tribù della razza da loro definita dei primati, per via della loro discendenza dalle scimmie.
    Alcuni soldati stavano sistemando i finimenti sui loro draghi, giovani reclute che avevano il compito di scortare i mercanti nel loro giro tra i villaggi umani. Per quanto, da molto tempo prima della sua nascita, vi fosse un trattato di pace tra umani e Dravaki, i loro rapporti erano comunque tesi. Le tribù delle terre sottostanti, infatti, non condividevano il loro modo di vivere e la loro cultura; molti della sua razza credevano che il vero motivo fosse l'invidia per via del loro legame con i draghi; serpeggiava il sospetto che avessero acquisito da loro quelle conoscenze che li rendevano tecnologicamente più avanzati sia nel campo militare che in quello scientifico.
    In realtà il loro sapere derivava dal passato, da molto prima che draghi e Dravaki si distinguessero in due razze: la loro tecnologia si basava principalmente sulla magia, tutto nella loro città funzionava grazie alla magia o veniva creato per mezzo di essa, dai mezzi di trasporto interni, alle armi che usavano.

    Stava osservando i soldati, mentre con un dito seguiva il profilo del corno che spiccava sulla sua fronte, un gesto inconscio che aveva sin dalla più tenera età e che la caratterizzava ogni volta che era assorta nei suoi pensieri. Uno dei soldati, l'istruttore della squadra che si sarebbe diretta ai villaggi a est, si rese conto del suo sguardo.
    Si avvicinò al drago dalle scaglie nero fumo, porse una mano alla creatura, essa l’annusò e uno sbuffo di fumo uscì dalle sue narici, segno che gli concedeva il permesso di accostarsi un po' di più senza il timore di essere colpito dalla possente coda.
    “Buongiorno, comandante Runa!”

    La giovane dall’arruffata zazzera nera riemerse dal filo dei suoi pensieri, posò sulla sporgenza della sella la mano che stava accarezzando il
    corno, i suoi occhi blu elettrici saettarono sulla figura del militare e si strinsero in un'aria truce.
    “Com’è andato il giro di pattugliamento?”
    La ragazza sospirò esasperata e, con un unico fluido movimento, scese dal drago.
    “Come al solito, noioso.”
    Scostò malamente l'ufficiale, era stufa che ogni singolo militare ci provasse spudoratamente con lei solo per il suo grado, e si avviò verso la strada principale che si trovava a pochi metri dal nido di atterraggio, poco dopo un magazzino dove venivano stipate le armature dei draghi guerrieri, a portata di mano in caso fosse scoppiata improvvisamente una guerra o avessero dovuto difendersi dall’attacco inatteso da parte di qualche misterioso nemico.

    Non volevano essere colti impreparati, soprattutto perché prima che lei nascesse avevano quasi rischiato di perdere l’isola fluttuante a causa della superficialità di un mercante; costui, non avendo controllato la merce che stava trasportando da un villaggio umano ed ignorando il nervosismo del suo drago, imputandolo solo all’arrivo di una tempesta, aveva involontariamente condotto alle porte della città un manipolo di soldati umani, i quali, appena sbarcati, avevano messo tutto a ferro e fuoco e massacrato molti, troppi Dravaki.
    Alla fine i nemici furono respinti e gettati nel vuoto dalle mura della città, ma per il consiglio militare degli anziani l’intervento era stato troppo lento e le perdite troppo pesanti; per questo le varie caserme che erano posizionate all’interno della città furono spostate a presidio dei quattro cancelli che davano sul mondo esterno. Il vero nemico non era tra loro, ma fuori.

    Runa camminava fiera tra la folla, la sua nascita aveva portato grande lustro alla sua famiglia di umili origini; semplici allevatori di Saliki, grossi uccelli inadatti al volo, ma ottimi alla brace e dalle uova estremamente nutrienti.
    Quando sua madre ancora non sapeva di essere in dolce attesa, ebbe la visita di un sacerdote del dio drago Dravani, che le comunicò che il loro dio si era manifestato e aveva indicato la nuova vita appena concepita nella sua famiglia come il nuovo Dravami, che nella loro lingua significava “figlio di Dravani”.

    Un dio tra i mortali, che nasceva dal loro sangue con il compito di proteggere il popolo Dravaki da un pericolo che avrebbe rischiato di farli estinguere.
    Anche se il suo status le dava molti privilegi, lei aveva sempre cercato di non approfittarne. L’umiltà che aveva visto trasparire dal sudore di suo padre l’aveva segnata, ai suoi occhi il potere non aveva alcuna importanza, l’unica cosa che contava era affrontare la vita a testa alta e con determinazione; il padre, nonostante fosse fiero che la sua unica figlia avesse un posto così importante nella società, aveva continuato ad allevare i suoi amati Saliki fino alla sua morte; un brutto male se lo era portato via quando lei era poco più che una bambina.
    Si era fatta strada da sola, era riuscita a mettersi in luce in varie missioni, dimostrando non solo di essere fisicamente più forte dei suoi coetanei, ma di essere in grado di comandare con pugno di ferro centinaia di rudi soldati che non avevano la minima voglia di sottostare ai capricci di una ragazzina, anche se questa era il Dravami delle loro leggende.
    Riuscì a guadagnarsi il grado di comandante supremo dell’intero esercito di Dravaji a soli tredici anni ed ora, a sedici anni, era in procinto di sposarsi.

    L’unica cosa che si era concessa grazie al suo status, era stata chiedere la mano della loro giovane regina, Saryskha, che nonostante avesse molti e molte pretendenti aveva scelto lei. Si conoscevano praticamente da sempre, il loro legame era cresciuto negli anni sino a sbocciare in quel dolce amore.
    L’unica cosa che le piaceva nell’essere il Dravami era stata la possibilità di averla conosciuta.
    Si mise in coda per usufruire del miira, il loro trasporto pubblico; il miira era molto simile ad una carrozza interamente fatta di metallo, senza ruote e con un massimo di venti posti a sedere, aperta nella parte superiore.
    Nell’isola sospesa il clima e la temperatura erano sempre costanti, in ogni stagione: il tutto era regolato da un meccanismo di natura magica situato al centro della città, proprio dove sorgeva la cattedrale del dio drago.
    Il miira viaggiava sospeso nell’aria ad una trentina di metri da terra, lungo un tragitto intervallato da sfere di rame denominate ska, che al loro interno contenevano una carica magica che rilasciavano in minima quantità al passaggio del miira, per caricarlo d’energia fino al ska successivo. Questi globi venivano ricaricati una volta all’anno, nel giorno che chiamavano del grande silenzio.
    Il miira era un mezzo molto veloce e permetteva di attraversare la città in pochi minuti.
    Rifiutò varie volte, garbatamente, le proposte di saltare la fila da parte di chi le stava davanti, anche per questo praticamente tutta la tribù l’amava.

    Quando arrivò il suo turno di salire sul miira dai colori sgargianti, si accomodò al primo posto disponibile rilassandosi il più possibile, pur sapendo che sarebbe arrivata a destinazione in meno di cinque minuti. Si perse nuovamente tra i suoi pensieri mentre guardava case e palazzi sfrecciarle accanto.
    Arrivata a destinazione un ruggito l’accolse.
    Sorrise nel vedere quel furbacchione di Rushaa che l’aspettava come un cagnolino scodinzolante alla fermata del miira. E si ripromise che un giorno avrebbe scoperto come facesse quel burlone di un drago ad eludere la sorveglianza degli stallieri e riuscire a sgattaiolare per la città senza essere visto, un enorme dragone di duecento chili nero come la notte non poteva di certo passare inosservato.
    Saltò giù dal mezzo di trasporto e si aggrappò al collo dell’animale che posò il muso sul suo naso.

    “Come fa un drago della tua età a comportarsi come se fosse appena uscito dall’uovo?!”
    Ridacchiò lasciandosi andare a terra, accarezzò il muso del drago e si avviò verso una gigantesca costruzione fatta interamente di cristallo, le cui vette aguzze toccavano i cento metri di altezza. L'intera struttura era stata creata grazie alla magia e poteva resistere a qualsiasi attacco; era antica, molto: risaliva a prima della costruzione della città sospesa, che era stata eretta intorno ad essa, veniva utilizzata come difesa ultima in caso di attacco. Poteva ospitare l’intera popolazione Dravaki. Era il Palazzo reale.

    Al cancello era stanziato un gruppetto di quattro soldati, con l’armatura da guerra e armati fino ai denti. Stavano chiacchierando, appollaiati intorno a delle carte da gioco sparse a terra.
    “Che diavolo state combinando?! Il vostro compito è di difendere il palazzo di sua maestà, non di prendervi una pausa!”
    urlò furibonda, i quattro scattarono in piedi e portarono la mano destra all’altezza del petto inchinandosi leggermente in avanti, il saluto militare.
    Runa ringhiò, le labbra le tremarono fin quasi a lasciare scoperti gli affilati canini. I soldati rabbrividirono, sapevano che far infuriare il comandante supremo significava morte certa, uno di loro tremando vistosamente si fece avanti.

    “Ci perdoni comandante, è sempre così calmo qui che ci siamo concessi un piccolo svago per non cadere vittime della noia.”
    La Dravami urlò ancora con tutto il fiato che aveva in corpo:
    “Razza d’idioti! il vostro è il più importante e anche il più onorevole dei compiti! La sicurezza della regina Saryskha è nelle vostre mani!
    E voi che fate, giocate?! Ma vi rendete conto che se ci avessero attaccati vi avrebbero assaliti facilmente e sarebbero entrati nel palazzo reale!”
    Ancora più impauriti i soldati iniziarono a balbettare:
    “C-ci scusi ancora comandante, non accadrà più”

    Un ruggito potente fece letteralmente accasciare i militari.
    “Ovvio che non accadrà più! Siete sospesi! Ora sparite dalla mia vista!”
    I quattro scapparono a gambe levate; anche se ora avevano una grossa macchia sulla loro carriera, almeno erano ancora vivi.
    “Ho bisogno di quattro soldati seri ai cancelli, ora!”
    urlò ancora una volta Runa, e in meno di due minuti altri quattro soldati arrivarono di corsa, le fecero il saluto militare e si posizionarono al loro posto.

    “Se vi spostate solo di un centimetro vi sbranerò tutti!”
    ordinò furiosa. E mentre si allontanava, mosse la mano nella direzione di Rushaa, che si accucciò accanto ai cancelli reali, puntando lo sguardo sui quattro militari; tutti impettiti, sotto i pesanti elmi, costoro sudavano vistosamente: avere il drago di Runa che li controllava era come avere lo stesso comandante che li teneva sott’occhio.
    Entrata nel palazzo si servì del miisa, una variante ridotta del miira che permetteva di salire diversi piani evitando la fatica di percorrere svariate rampe di scale.
    Runa scese dal miisa, percorse pochi metri e si fermò dinanzi ad una semplice porta di mogano scuro. Mosse la mano all’altezza della vita, una sfera incastonata nella porta s’illuminò e quest’ultima si aprì senza alcun rumore.
    La ragazza entrò nella stanza, era appena pomeriggio ma era già stanca, si avvicinò ad una specie di panca lunga ricoperta di pelli animali, iniziò a togliersi l’armatura che in quel momento le pesava come un macigno, e la buttò sulla panca.

    “Non pensi di aver esagerato con quei poveri soldati?”
    Si aspettava quella soave voce d’angelo, come si aspettava l’ennesima ramanzina sulla sua rigidità.
    “Ti ha sentito l’intero palazzo, urlavi come un’ossessa.”
    Runa sospirò e con addosso solo una semplice maglietta smanicata si buttò sul letto.
    “Finirai per perdere la voce, e anche la sanità mentale, se continui ad arrabbiarti per ogni più piccola cosa.”
    La snella figura dai lunghi capelli corvini posò il libro che stava leggendo sul basso tavolino di ciliegio dinanzi a lei, si alzò e con grazia paradisiaca, esaltata da un lungo abito azzurro che le superava i piedi, si avvicino al letto.

    “Quegli idioti non hanno la minima idea dell’immenso onore che hanno nel servire la famiglia reale e il popolo Dravaki! Perdono tempo invece di fare il loro dovere, la sicurezza di migliaia di Dravaki è nelle loro mani ma sembra non importargli.”
    Sbottò il comandante cercando di trovare una posizione comoda sul suo giaciglio.
    “Hai ragione, ma proprio perché devono difendere migliaia di Dravaki non credi che turni così lunghi, nell’unico posto della città dove non c’è molto movimento, possano tediare i soldati, alla lunga?”
    Runa fissò Saryskha negli occhi nocciola riflettendo sulle sue parole.

    “Accorcerò i turni di guardia ai cancelli del palazzo reale.”
    Rispose alla fine distogliendo lo sguardo. Gliela aveva data vinta.
    “Sono sicura che i tuoi soldati apprezzeranno.”
    Rispose Saryskha sorridendo dolcemente, un sorriso così bello Runa non lo aveva mai visto; e probabilmente era una delle tante cose che l’aveva fatta innamorare della ragazza.
    La lunga e sinuosa coda della giovane dai corti e selvaggi capelli ebano si strinse delicatamente al polso dell’altra.
    “La mia regina vuole stendersi accanto a me?”

    La ragazza sorrise ancora più dolcemente.
    “Volevo finire di leggere i mille racconti di Brasar”
    Disse, voltandosi leggermente ad osservare la copertina bluastra del libro abbandonato sul basso tavolino
    “Ma non è una raccolta di racconti erotici?!”
    Chiese Runa sorpresa.
    La regina ridacchiò sommessamente mentre si lasciava guidare sul letto dalla coda della compagna.

    ringrazio per l'aiuto Andysky21, InKubus e KungFuTzo


    Edited by RàpsøÐy - 31/12/2017, 15:03
  14. .
    Buh, mai postato nulla in questo topic.

    parte 1- SU DI TE

    1. Il tuo nome completo: //
    2. Che nome vorresti avere? Masaniello :sisi:
    3. Chi è l’amico/a che conosci da più tempo? Uhm, un filosofo che ho conosciuto alle superiori.
    4. Dove ti piace essere baciato/a? Dove mi son fatto male. Eh.
    5. Sei un/a tipo/a geloso/a? Più di quanto vorrei.
    6. Una tua paura: Il futuro.
    7. Hai parenti all’estero? Dove? Si, a crucchiland. (Germania per le persone normali.)
    8. A che ora esci da scuola? Eh boh, dipende. Al massimo verso le 18.00.
    9. E a che ora entri? Alle 9.00. Oh rabbia.
    10. Ti hanno mai dedicato una canzone? Si, ma la canzone è troppo ridicola. Sul serio, mannaccia.
    11. Quale parte del tuo corpo desideri modificare di più? Il Naso.
    12. Perchè? Ehehehe. No schè, è difettoso.
    13. Hai mai avuto un disturbo alimentare? Mangio pochissimo, e in genere non ho tanta fame.
    14. Piangi facilmente? //
    15. Hai il sonno pesante o leggero? Ultimamente leggero, son più schizzato di un gatto fradicio.
    16. Esprimi un desiderio alle 11:11? Ma che è sta cafonata? :asd:
    17. Dormi con la porta chiusa o aperta? Aperta. Paranoia.
    18. Se ne avessi la possibilità, cosa vorresti sapere sul futuro? Eh, troppe cose. In genere pensarci mi inquieta.
    19. Da piccolo avevi un diario? Ma quanto erano imbarazzanti i diari tempo fa?
    20. Conservi gli scontrini? Nope, sono insensibile. Al massimo quelli legati ad acquisti speciali/significativi.
    21. Un tatuaggio che vorresti fare: Non li detesto, ma preferirei non tatuarmi.
    22. Possiedi un braccialetto rosso? Di rosso ho solo la bandiera. *Marx intesifies* Scherzi a parte, non che io ricordi.
    23. Al tuo prossimo compleanno quanti anni farai? Buh, probabilmente potrò richiedere la pensione. :sisi:
    24. Una canzone che ti ricorda l’estate 2012: Non ho una buona memoria. :v
    25. Pensi di essere carino/a? Eh oh, i miei dicono di si. Ma neanche.
    26. La prima cosa che noti guardandoti allo specchio? "Ma quanto son bello oh!" Buh, è sempre una brutta esperienza.
    27. Porti i capelli all’indietro o li lasci cadere davanti agli occhi? Davanti agli occhi.
    28. Sei poco insicura o molto insicura? Perchè me lo hai chiesto? Cosa ho fatto? Ho risposto bene a questa domanda? Ho commesso errori grammaticali? Aiuto. Molto insicuro.
    29. Tratti subito una persona da amica o ti ci vuole tempo per stringere amicizia? Eh, dipende da tanti fattori. Tratto alcune persone da amiche molto velocemente, e determinate persone manco dopo secoli.
    30. Su youtube ascolti una canzone tante volte o cambi appena finisce? Cambio appena finisce, non riesco a riascoltare subito la stessa canzone.
    40. Ti svegli prima o dopo le 7:00? Chiedetelo allo studio. Mannaccia a lui.
    41. Ti alzi appena suona la sveglia o rimani nel letto ancora un po’? Se ho impegni urgenti, immediatasubitovelocemente. In genere però preferisco restare ancora un po' nel letto.
    42. Hai più di 3 insufficienze a scuola? Buh, avevo una buona media. Però la matematica un po' mi odiava eh.
    43. In cosa? //
    44. Vorresti un gatto? Yeppa, possibilmente nero. Poi vorrei pure un cane. E un criceto. E un coniglio.
    45. Quando hai avuto il tuo primo cellulare touch? 14 anni, next turbo. Damnatio memoriae pt.2
    46. Più o meno, quante canzoni hai sul tuo iPod? Eh, gli ipod son per quelli ricchi.
    47. Sei bravo/a a disegnare? Secondo molti no. Secondo me sono invidiosi.
    48. Ti piacerebbe avere un lavoro nel mondo della musica? In questo momento no.
    49. Vorresti fidanzarti con un ragazzo o con una ragazza? //
    50. Quante stanze da letto ha casa tua? Troppe.


    parte 2- PREFERITI

    51. Che scarpe porti di solito? Buh, non saprei manco come definirle.
    52. Come prendi di solito il gelato? Iniettatemi la stracciatella nelle vene.
    53: Lettera dell'alfabeto preferita: Non credo di avere una lettere preferita.
    54: Numero preferito: 30
    55. Colore preferito: Rosso
    56. Colore preferito per i vestiti? In questo periodo son molto banale, bianco/nero/blu. Colori del genere. Ma va a periodi eh.
    57: Preferisci avere caldo o avere freddo? Caldo.
    58. Giorno o notte? Entrambi in egual misura.
    59. Vestiti monocromatici o colorati? Combinazioni dei colori citati sopra, di solito.
    60. Portatile o pc? Pc, a me non conviene avere un portatile. :v
    61. Film romantico, horror, divertente, drammatico, azione o mistero? Drammatico/Horror. Di tanto in tanto, divertenti.
    62. La tua pietra preziosa preferita? "Non son pietre, ma minerali!" Cit.
    63. Il cibo di McDonald's che preferisci? Bleah
    64. Il tuo tipo di pizza preferito?
    MARGHERITAA.
    Buh, adoro pure la diavola.
    65. Preferiresti avere un milione di euro o poter volare? Preferirei avere due milioni di euro.
    66. Felpe aperte o chiuse? Buh, le adoro entrambe.
    67. Ragazza acqua e sapone o con un po’ di trucco, anche leggero? //
    68. Frutta estiva o frutta invernale? Buh, di solito non mangio molta frutta.
    69. Guardare la tv sul letto o sul divano? Divano.
    70. In autobus, preferisci parlare con un amico/a o ascoltare musica? Parlare con un amico. La musica va ascoltata in treno, fa figo.
    71. Bacio o abbraccio? Gli abbracci, meglio ancora se son della mulino bianco.
    72. Facebook, Twitter o Tumblr? Effebbì
    73. Programma televisivo preferito: Non ne ho uno.
    74. Passatempo preferito: Lamentarmi. Ascoltare musica. Leggere. Lamentarmi. Bah.
    75. Rivista preferita: //


    parte 3- IN QUESTO MOMENTO

    76. Sei stanco/a o rilassato/a? Stanchissimo.
    77. Dov’è il tuo cellulare? A caricare.
    78. Che ore sono? 22.04. Mado, di già? :v
    79. Cosa stai ascoltando? Un mio familiare che urla in dialetto mentre gioca.
    80. In che stanza sei? Cameretta.
    81. Cosa stai indossando? Felpa e jeans.
    82. C’è una canzone che esprime il tuo stato d’animo in questo momento? Buh, China town forse. Solo in parte.
    83. Il colore delle mutande che indossi? Wtf
    84. Cos’hai al momento sfondo desktop? Sfondo pre impostato. Boh, son pigro.
    85. Se ora ti chiamassi al cellulare, che suoneria sentirei? Una roba molto rilassante, suppongo.
    86. La cosa più vicina alla tua mano destra? Il muro.
    87. E alla tua mano sinistra? Un cuscino.
    88. C'è qualcuno nel raggio di 10 metri? Un mio familiare.
    89. Com’è il tempo? Madochefreddo.
    90. Vorresti fare qualcos’altro o stai bene dove sei? Per carità, in questo momento sto benino. Durante la giornata avrei preferito dormire, magari. :asd:

    parte 4- ULTIMI

    91. Ultima canzone ascoltata: China Town. :sisi:
    92. Ultimo messaggio ricevuto: //
    93. Ultima persona con cui hai parlato: Un familiare.
    94. Ultima felpa indossata: Felpa random con numero random. Sprizzo originalità da tutti i pori.
    95. Ultima sufficienza presa:
    96. Ultima insufficienza presa:
    97. Ultima cosa comprata: Una barretta della milka.
    98. Ultima cosa che hai mangiato: Frittata.

    99. Hai risposto sinceramente a tutte le domande? Direi di si.
    100. Cosa ne pensi del test? Che non l'ho superato. :v

    Edited by Swaky - 14/12/2017, 22:38
  15. .


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