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    Luogo omicidi: Giappone – Tokyo
    Periodo omicidi: 1992 – 2000
    Vittime: 2+, donne

    x6iomu



    Ricco proprietario di un'agenzia immobiliare, di origine sudcoreana, nasce in Giappone e il suo vero nome è Kim Sung Jong. Il padre aveva accumulato una fortuna gestendo locali in cui si gioca il pachinko (il flipper giapponese).
    Quando ha 17 anni, il padre muore e lo lascia erede unico di due miliardi di yen. A 21 anni, ottiene la cittadinanza giapponese e cambia legalmente il nome diventando “Joji Obara”. Da quel momento, vive da solo con un'anziana governante in una lussuosa casa a Setagaya ed esce esclusivamente di notte per “andare a caccia”.
    Durante le scorribande notturne, Obara utilizza sessanta nomi diversi e, in casa sua, la polizia trova scorte di tranquillanti, numerose fotografie e un centinaio di videocassette che documentano gli stupri, tutte catalogate, e i diari con i resoconti dettagliati dei suoi ultimi vent'anni.
    Il suo modus operandi è sempre lo stesso: Obara adesca giovani donne che lavorano come spogliarelliste nei locali esclusivi della vita notturna di Tokyo, scegliendo soprattutto ragazze occidentali, meglio ancora se con i capelli biondi; droga le vittime e le stupra, ma, a quanto risulta alla polizia, ne uccide soltanto due, anche se è sospettato di aver commesso altri omicidi.
    La prima vittima è una ragazza australiana uccisa nel 1992, poi droga e stupra cinque donne (tre giapponesi e due occidentali), ma non le uccide. Nel luglio 2000, uccide una ragazza inglese, la fa a pezzi con una sega elettrica e nasconde il cadavere in una grotta sulla spiaggia.
    Joji Obara viene arrestato nell'ottobre 2000.

    Tratto da: "I serial Killer" di Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca
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    x6iomu
    Luogo omicidi: Canada – Vancouver
    Periodo omicidi: 1983 – 2003
    Vittime: 15-63, prostitute

    Pickton è un agricoltore e allevatore di maiali. I familiari lo descrivono come una persona generosa che ha sempre cercato di aiutare le prostitute a vivere una vita migliore regalando loro denaro e rendendosi disponibile per lunghe conversazioni allo scopo di fornire sostegno. In realtà Pickton ha una doppia vita e trasforma una baracca della sua fattoria in una specie di locale artigianale, che chiama Piggy's Palace (Il palazzo dei maiali), frequentato da bande di motociclisti, tossicodipendenti e prostitute. Questa attività gli permette di avvicinare diverse prostitute e di fare amicizia con loro. Insieme al fratello, David Francis Pickton, e alla sorella organizza feste molto rumorose alle quali partecipano anche 1800 persone e l'attività dei fratelli Pickton è registrata per conto di una società non a scopo di lucro, denominata “società di carità”, da loro costruita nel 1996.
    Entrambi i fratelli, David e Robert, avevano già avuto problemi con la legge. Nel 1992, David era stato arrestato per aggressione sessuale ed era uscito di prigione su pagamento di una cauzione, mentre, fra il 1988 e il 1991, era stato arrestato tre volte per danneggiamenti provocati in strada per guida pericolosa. Nel 1977, Robert viene arrestato e incriminato per aver accoltellato una prostituta nella sua fattoria, ma la ragazza non aveva subito lesioni gravi e il caso viene inspiegabilmente archiviato.
    Il 7 Febbraio 2002, Robert Pickton è arrestato per due accuse di omicidio di primo grado e, nei giorni successivi, le accuse per nuovi omicidi si accumulano. La data del processo è rimandata più volte, perché la polizia continua a investigare. Scavando nel terreno di sua proprietà, sono rinvenuti diversi cadaveri e altri sono ritrovati conservati nelle celle frigorifere della sua fattoria. Nell'Ottobre 2003, le vittime attribuite a Pickton diventano 15 e il processo fissato per il 2004 viene spostato ancora, perché la polizia continua le indagini, ritenendo che le vittime complessive possano essere 63.
    Se il numero totale delle vittime fosse confermato, Robert Pickton si configurerebbe come il serial killer più spietato e prolifico della storia criminale canadese, anche se è possibile che, a Vancouver, siano attivi altri predatori sessuali non ancora scoperti.
    Quando muore una prostituta di morte violenta, le indagini della polizia vanno decisamente a rilento e si tende spesso a pensare che siano state uccise a causa di contrasti con gli spacciatori o con i protettori del quartiere: infatti è stata aperta ufficialmente un'indagine sulle donne scomparse di Vancouver soltanto nel settembre 1998, grazie all'iniziativa di un gruppo di prostitute che, stanche di essere massacrate impunemente, hanno inviato alla polizia una lista delle loro colleghe volatilizzate nel nulla, richiedendo espressamente un'investigazione. Senza questa iniziativa, è probabile che Robert Pickton e altri predatori come lui avrebbero continuato ad agire indisturbati.

    Tratto da: "I serial Killer" di Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca
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    Simone, presentati prima di postare. Inoltre sei pregato di non inserire messaggi non pertinenti alla discussione (come il tuo "buongiorno")
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    Le parti tra parentesi quadre sono miei riassunti, le parti non tra parentesi invece sono una fedele trascrizione della fonte


    x6iomu

    Martin Brown si alzò come sempre alle 6:30 del mattino e scese in cucina a prendere del pane e a versarsi un bicchiere di latte. Stava attento a non far rumore perché il sabato e la domenica i genitori volevano rimanere a letto più a lungo del solito.
    Nonostante avesse solo quattro anno e mezzo era lui a svegliare Linda, la sorellina di un anno, a vestirla e darle la colazione. Alle nove salutò la madre, ormai in piedi, e le disse che andava a giocare.
    Alle undici passò a casa della zia Rita Finley che si occupava di lui durante la settimana visto che la mamma June il mattino lavorava, ma riuscì quasi subito.
    Fu notato di nuovo alle tre del pomeriggio nel negozio di dolciumi del signor Dixon mentre comprava dei lecca-lecca. Poi tornò dalla zia per farsi dare la merenda.
    Nessuno lo avrebbe più visto vivo.



    Il 25 Maggio 1968, tre ragazzi entrarono in una casa diroccata per cercare del legno con cui costruire un rifugio per i piccioni. Passarono dal cortile posteriore e salirono al primo piano. In quella che era stata una camera da letto, trovarono il corpo del piccolo Martin Brown. Mentre uno di loro correva a chiamare l'ambulanza, il secondo avvertiva due elettricisti che lavoravano lì vicino e il terzo teneva stretto tra le braccia il bambino senza vita.
    Proprio allora Norma Bell, di tredici anni, e l'amica Mary Bell, di undici, che nonostante lo stesso cognome non erano parenti, entravano nell'edificio e salivano al primo piano. Furono fermate da uno degli elettricisti.

    [Le due bambine corsero da Rita Finley a riferirle che un bambino aveva avuto un incidente, inizialmente la donna reagì con indifferenza, poi, allertata da una vicina, si recò nella casa abbandonata, dove vide il piccolo nipote tra le braccia di un ragazzo. Nel frattempo anche la madre del piccolo Martin fu avvertita, e solo successivamente arrivò la polizia. Le indagini non evidenziarono segni di lotta o di una caduta ed il medico non si sbilanciò circa la causa del decesso. Il caso venne chiuso come incidente]

    Il giorno dopo, Norma e Mary tornarono da Rita Finley e le chiesero se potevano portare il piccolo John a fare una passeggiata. Rita pensò che fosse un pensiero gentile e chiese loro di lavarlo e vestirlo prima di condurlo fuori.
    Anche i giorni successivi le bambine andarono a giocare con John e rivolgevano a Rita domande strane. “Ti manca Martin?”. “Piangi per Martin?”. “A June manca il suo bambino?” e mentre chiedevano soffocavano le risate. Alla fine Rita non riuscì più a sopportare quello strano atteggiamento e chiese loro di non tornare.
    Il lunedì mattina una maestra aveva trovato nell'asilo in cui lavorava degli strani biglietti scritti in stampatello in cui qualcuno si autoaccusava di aver ucciso Martin. La polizia pensò ad uno scherzo di cattivo gusto. Quattro giorni dopo la morte del bambino, Mary Bell suonò a casa della famiglia Brown. A June, che le venne ad aprire, chiese di vedere Martin.
    “Mio figlio è morto” rispose lei.
    “Lo so” sorrise Mary “Mi piacerebbe vederlo nella bara”
    June si limitò a chiuderle la porta in faccia.
    Venerdì 31 Maggio suonò l'allarme dell'asilo comunale alla stazione di polizia. Un agente trovò Mary e Norma all'interno dell'edificio, erano passate dal tetto. Pensò subito agli strani messaggi trovati all'asilo, ma le bambine dissero che era la prima volta che entravano lì.
    Cinque settimane dopo, Mary andò a trovare i bambini degli Howe. Il padre aveva avuto cinque figli da due matrimoni, quattro maschi e una femmina, Pat, di quattordici anni. La madre dei due bambini più piccoli, Norman e Brian, se n'era andata due anni prima abbandonando la famiglia. Era Pat che si occupava dei fratelli e per farlo era stata costretta a lasciare la scuola. Quel giorno Mary confessò a Pat che la sua amica Norma aveva strangolato il piccolo Martin, poi se ne andò senza aggiungere altro.

    [Mary Belle nacque il 26 Maggio 1957 da Elizabeth (detta Betty), una prostituta di 17 anni. Inizialmente la donna cercò di liberarsi dalla figlia, lasciandola ai parenti o cercando di darla in adozione. Successivamente sposò Billy Bell, che la mise incinta di una secondo figlio. In quell'occasione, Mary rischiò di morire per colpa di alcune pillole, fu salvata]

    A due anni si comportava in modo strano, non voleva giocare con gli altri bambini, era fredda e distaccata. Non piangeva mai ma aveva improvvisi scoppi di rabbia, tanto che ruppe il naso di uno zio con un giocattolo. Anche all'asilo era aggressiva e più di una volta la maestra la trovò con le mani intorno al collo di qualche bambino.
    “Perché lo fai?” le chiese
    “Perché? Non posso ucciderlo?”.
    A cinque anni Mary ingoiò un flacone di pillole blu e fu di nuovo portata all'ospedale. Al medico disse che la madre le aveva dato degli smarties.

    [Betty rimase incinta per la terza volta e cominciò ad allontanarsi sempre di più dalla famiglia. Mary crebbe sempre più isolata, gli altri bambini la evitavano a causa del suo carattere solitario e aggressivo]

    x6iomu
    Mercoledì 31 Luglio 1968, Brian, il più piccolo degli Howe, di tre anni e mezzo, un bambino magrolino con folti ricci biondi, stava giocando in strada con il fratello Norman e due bambine. Alle 15:20 la sorella Pat tornò a casa dopo essere stata con i suoi amici e chiese al fratellastro Albert, di ventun anni, dove fosse Brian. Albert, che stava guardando la televisione insieme a Irene, la fidanzata, rispose che il bambino era uscito a giocare ma Pat non riuscì a trovarlo. Riunì alcuni ragazzi che conoscevano Brian e chiese loro di aiutarla a cercarlo. Nel gruppo c'erano anche Mary e Norma.
    “Andiamo a vedere da Davy's...” disse Mary. Ma nel negozio di dolciumi nessuno lo aveva visto.
    “C'è un altro posto dove potrebbe essere” suggerì ancora Mary e condusse tutti in un cantiere abbandonato dove i bambini si divertivano a giocare fra mattoni rotti, sacchi di cemento, cumuli di terra, secchi arrugginiti, vecchie pale e altro materiale da costruzione. Pat affermò che Brian non andava mai in quel luogo, ma volle lo stesso dare un'occhiata in modo superficiale: il bambino non c'era. Cercarono anche al parco pubblico dove si trovava già il fidanzato di Pat che non aveva avuto maggiore fortuna. Insieme tornarono indietro per telefonare alla polizia.
    Brian fu trovato alle 23:10 di quella sera. Era infilato fra due blocchi di cemento nel cantiere abbandonato. Accanto a lui un paio di forbici con una delle lame spezzata e l'altra piegata. Il corpo era stato coperto da uno strato di erba e di fiorellini rossi.

    L'autopsia rivelò che Brian era stato strangolato e aveva anche delle punture, effettuate probabilmente con la lama delle forbici, sulle gambe e sulle cosce. Erano ferite superficiali che fecero escludere la mano di un adulto che avrebbe sicuramente usato maggior pressione. Il medico legale concluse che il piccolo era stato ucciso tra l'una e mezzo e le cinque e mezzo del pomeriggio. La polizia preparò un questionario che distribuì a milleduecento bambini tra i sei e i quindici anni e ai loro genitori perché aiutassero i figli a compilarli. L'agente Kerr arrivò a casa Bell alle quattro del pomeriggio del primo Agosto e diede il foglio a Norma.
    “La famiglia Howe si è trasferita della nostra strada un anno fa circa e Brian ha cominciato a giocare con mio fratello John” raccontò la bambina “L'ultima volta che l'ho visto è stato mercoledì 31 Luglio alle 12:45 mentre si trovava con suo fratello e due bambine all'angolo di Whitehouse Road e Crosshill Road. Tra l'una e le cinque io sono stava davanti casa con le mie amiche Gillian e Linda Routledge”
    L'agente Kerr andò pi a casa di Mary Bell e la trovò insieme a Billy. “Lei è il padre?” chiese.
    “No, sono lo zio” rispose l'uomo seccamente.
    Il detective fu stupito dall'evasività e dalla freddezza con cui Billy rispose alle sue domande. Anche la bambina gli sembrò strana, a ogni domanda che le rivolgeva guardava “lo zio” come per chiedergli un suggerimento. Alla fine la sua dichiarazione fu: “Ho visto Brian l'ultima volta alle 12:30 circa in Whitehouse Road mentre giocava con suo fratello. Non sono andata al cantiere abbandonato quel giorno. L'ultima volta è stato due mesi fa”
    Più tardi l'agente vide di nuovo Norma che volle aggiungere qualcosa a quello che aveva detto in precedenza.
    “Alle 11:30 ho incontrato Mary. Siamo rimaste nel retro del mio giardino fino alle 13:30. Un'ora dopo l'ho chiamata per andare insieme da Davy's, il negozio di dolciumi, a giocare con la figlia del proprietario, Elaine. Siamo tornate ciascuna a casa propria per dieci minuti e poi alle 15:15 ci siamo incontrare di nuovo per cinque minuti. Poi io ho raggiunto le mie amiche Gillian e Linda. Non ho visto Mary fino alle sette di sera. Non so dove sia stata dalle 15:30 in poi”
    L'agente tornò anche da Mary perché gli spiegasse certe incongruenze nel suo racconto. Lei allora raccontò di aver visto, il giorno del delitto, Brian Howe con un paio di forbici in mano. Le forbici che escrisse all'agente sembrarono identiche a quelle trovate vicino al cadavere del piccolo. Come poteva saperlo, Mary, se non erano state fotografate e non erano apparse sui giornali? Kerr fece rapporto all'ispettore Dobson e gli disse che Norma e Mary continuavano a cambiare la loro versione.
    “Concentriamoci su quelle due” rispose Dobson.
    Il 4 Agosto l'agente Thompson tornò da norma.
    “Senti piccola” disse “a differenza di ciò che ci hai detto, molte persone ti hanno vista quel pomeriggio dopo le tre insieme a Mary Bell e al suo cane”. Norma cominciò a piangere e gli chiese di potergli parlare senza la presenza del padre. Rimasta sola col poliziotto, ammise che Mary l'aveva condotta a vedere il cadavere di Brian. A questo punto della rivelazione, Thompson la interruppe, chiamò il padre e gli disse che doveva portare Norma al commissariato. Qui fu interrogata dall'ispettore Dobson.
    “Quando hai visto il corpo del piccolo Brian?”
    “Sono andata con Mary al cantiere e dietro i blocchi di cemento ho pestato qualcosa di morbido e poi mi sono accorta che era il corpo di Brian”
    “Che cosa vuoi dire?”
    “Che ho sentito qualcosa sotto un piede e quando ho guardato ho visto Brian coperto di erba. Mary mi ha detto di averlo strangolato e che non dovevo raccontarlo a nessuno”
    “Che altro ti ha detto Mary?”
    “Che si era divertita a farlo”
    “Hai visto qualcosa vicino a Brian?”
    “Mary mi ha mostrato un rasoio e ha detto che con quello aveva fatto dei tagli a Brian. Gli ha tirato su la maglietta e mi ha fatto vedere delle piccole ferite che aveva sulla pancia. Poi ha nascosto il rasoio dietro una pietra”
    Per essere sicuro che la bambina non mentisse, l'ispettore le chiese alcuni particolari relativi al cadavere, quali ferite avesse, come si presentasse il viso, se aveva gli occhi aperti o chiusi. Tutte le risposte facevano pensare che Norma dicesse la verità. Più tardi la condusse al cantiere e le domandò dove fosse il rasoio. Lei indicò un punto dietro una pietra e l'ispettore lo trovò.
    Tornati alla stazione di polizia, Dobson volle che Norma firmasse una dichiarazione di tutto quello che aveva rivelato poco prima. Ancora una volta la bambina chiese che il padre lasciasse la stanza e poi dettò la sua dichiarazione a un poliziotto. Un'ora dopo fu condotta nel riformatorio di Newcastle.

    L'ispettore Dobson andò a prelevare Mary Bell a casa e la portò al commissariato per interrogarla di nuovo.
    “Dimmi, Mary: quel pomeriggio tu e Norma siete andate al vecchio cantiere? Dove hanno trovato Brian?”
    “No. Non ci vado mai. Ci sono stata solo una volta molto tempo fa”
    “Ho ragione di credere, invece, che tu ci sia stata proprio quel giorno...”
    “No”
    “Dove sei andata con Norma e il tuo cane?”
    “Al parco”
    “Cosa indossavi quel giorno?”
    “Questo vestito nero che ho ora...”
    “Io invece credo che tu ne portassi uno verde...”
    “No. Quello verde non lo metto da molto tempo”
    “Hai giocato spesso con Brian?”
    “Mai. Era troppo piccolo. A volte lo riaccompagnavo a casa dall'asilo...”
    “So che quando eri al vecchio cantiere con Norma c'era un uomo, poco lontano, che stava sgridando dei bambini. Probabilmente quest'uomo ti riconoscerebbe...”
    “Dovrebbe avere una buona vista...”
    “Perché?”
    “Perché lui era...” Mary si interruppe e fece una breve pausa, poi riprese in tono gelido “Adesso voglio tornare a casa”
    “No. Non puoi tornare a casa”
    “Allora telefono a un avvocato che mi farà andare a casa!”
    L'ispettore non diede peso allo scatto della bambina che lo guardava con occhi fiammeggianti e riprese
    “Io so che hai mostrato a Norma qualcosa con cui hai ferito Brian... e che poi hai nascosto”
    “Non è vero”
    “Norma mi ha fatto vedere dove si trovava e ora ce l'ho io”
    “Che cos'è? Io a quella l'ammazzo!”
    “Vuoi fare una dichiarazione riguardo alla tua versione dei fatti e firmarla?”
    “Non firmerò nessuna dichiarazione. Norma è una bugiarda e mi mette sempre nei guai!”
    Alle tre e mezzo del mattino Mary fu riaccompagnata a casa senza che avesse fatto alcuna ammissione riguardo all'omicidio di Brian.

    Il 5 Agosto Norma disse che voleva aggiungere qualcosa a quanto aveva raccontato.
    “Tutto quello che vi ho detto è vero. Ma quel giorno non sono stata una sola volta al cantiere abbandonato. Alle tre del pomeriggio io e Mary abbiamo visto Brian giocare con suo fratello che gli aveva dato un paio di forbici. Mary gli ha chiesto di venire con noi e io gli ho tolto le forbici. Arrivati al cantiere, Mary ha costretto Brian a sdraiarsi a terra e poi gli ha messo le mani intorno al collo. Lui lottava perché voleva liberarsi mentre io la pregavo di lasciarlo andare. Allora sono corsa via e sono andata a giocare con Gillian e Linda come vi ho detto. Venti minuti dopo Mary è venuta a chiamarmi. Siamo tornate al cantiere. Quando ero andata via avevo lasciato le forbici sul terreno e si trovavano ancora lì. Mary aveva raccolto un rasoio dalla strada e con quello fece dei tagli sulla pancia di Brian. Io gli presi il polso ma il cuore non batteva più. Ognuna di noi è tornata a casa per la merenda. Alle cinque ho visto di nuovo Mary che portava fuori il suo cane e siamo andate al cantiere per la terza volta. Lei voleva tagliare tutti i capelli di Brian con le forbici ma ne ha preso solo una ciocca perché abbiamo visto da lontano un uomo che sgridava dei bambini e siamo corse via”.

    Brian Howe fu sepolto il 7 Agosto e una grande folla seguì il feretro al cimitero. La madre di Mary, Elizabeth, era ancora in viaggio e l'ispettore Dobson convocò la bambina nel suo ufficio. Pallida e tesa rispose alle domande dell'ispettore torcendosi le mani. Ammise di aver indossato il vestito verde il giorno dell'omicidio ma di averlo poi cambiato con quello nero. Prevedendo una confessione, l'ispettore fece chiamare un'assistente sociale visto che non erano presenti i genitori di Mary.
    “Quel pomeriggio io e Norma abbiamo portato Brian nel negozio di dolci” raccontò Mary
    “Poi Norma ha voluto che andassimo al cantiere e lì ha fatto sdraiare Brian in terra. Gli ha messo le mani intorno al collo e ha stretto così tanto che sono diventate bianche. Brian cercava di liberarsi e io ho preso Norma per le spalle perché smettesse ma lei si è arrabbiata e ha fatto sbattere la testa di Brian contro un pezzo di legno. Le ho detto che aveva fatto tutto lei, che io non c'entravo niente e Norma mi ha chiesto di smetterla di gridare o avrebbe ammazzato anche me. Poi siamo tornate a casa e lei è uscita di nuovo con un paio di forbici. Mi ha chiesto di andare a prendere una penna perché voleva scrivere qualcosa sulla pancia di Brian. Le ho detto di no e lei mi ha minacciata con un rasoio. Siamo tornate al cantiere e Norma ha tagliato una ciocca di capelli di Brian e lo ha ferito con le forbici e con il rasoio alle gambe. Quando abbiamo visto l'uomo siamo corse via. Ma prima lei ha nascosto il rasoio e le forbici dietro una pietra. Più tardi, quando tutti cercavano Brian, ho cercato di far capire a Pat che poteva essere al vecchio cantiere ma lei ha risposto che il fratello non ci andava mai e non ha guardato bene”
    L'ispettore Dobson fece condurre Mary nel riformatorio di Newcastle dove già si trovava Norma. Incriminò entrambe per l'omicidio di Brian Howe mentre cominciava a pensare che ci fosse un collegamento con la morte del piccolo Martin Brown.

    x6iomu
    [L'udienza preliminare del processo si svolse il 14 Agosto. Diversi psicologi visitarono Mary, Robert Orton disse che aveva conosciuti diversi bambini psicopatici, ma mai una intelligente e manipolatrice come Mary. Il processo iniziò alle 10:30 del 5 Dicembre 1968 e durò nove giorni. Durante il processo, Norma attirò la compassione del pubblico, che non fu invece benevolo con Mary]

    Norma si rivelò un importante testimone a carico di Mary. Il pubblico ministero le chiese:
    “Mary ti ha mai fatto vedere come si uccidono i bambini?”
    “Sì”
    “Quel biglietto trovato nell'asilo è stato scritto da entrambe... come mai lo hai fatto?”
    “Eravamo a casa di Mary e lei mi ha chiesto di scrivere un biglietto che le serviva... non so per quale motivo”.
    Nonostante le bambine si accusassero vicendevolmente si capiva che erano unite da un legame molto forte, spesso si cercavano con lo sguardo, si sorridevano o ammiccavano. Entrambe negarono di aver ucciso Martin, ma ammisero di essere state presenti durante l'omicidio di Brian. Eppure le dichiarazioni di Mary al riguardo non sembrarono così credibili come quelle dell'amica. Norma disse di essere corsa via prima che il bambino fosse ucciso e le sue amiche confermarono che a quell'ora erano insieme. Per lo stesso lasso di tempo Mary non aveva un alibi. Quando venne chiamata a deporre, l'aula era straripante di gente.
    “A scuola hai realizzato un disegno... Come hai fatto a disegnare il corpo di Martin senza averlo visto?” le chiese il pubblico ministero
    “Io l'ho visto”
    “Sì, tu l'hai visto quando era stato già trovato, quando era in braccio all'operaio... ma lo hai disegnato vicino alla finestra dove si trovava dopo essere stato ucciso. Come hai fatto?”
    “Ho sentito le chiacchiere della gente”
    “Come è arrivato il bambino fino a quella stanza all'ultimo piano?”
    “Forse si è arrampicato sul tetto ed è caduto£
    “Eppure hai detto agli Howe che Norma lo aveva strangolato”
    Mary sorrise con insolenza, si rendeva conto che lo stava mettendo in difficoltà. “Perché quel giorno avevamo litigato e io volevo dire qualcosa di cattivo su di lei...”
    “Di chi è stata l'idea di entrare nell'asilo, distruggere tutto e lasciare quegli strani biglietti?”
    “Di Norma”

    [Dopo la testimonianza, vennero chiamati gli psichiatri che avevano esaminato la bambina. Testimoniarono la sua personalità psicopatica, priva di empatia verso gli altri esseri umani. La difesa cercò di porre l'attenzione sulla difficile infanzia di Mary, senza però grandi risultati]

    La giuria, composta da cinque donne e sette uomini, tornò in aula dopo un'ora di discussione. Norma fu assolta mentre Mary venne ritenuta colpevole di entrambi gli omicidi. Il giudice Cusack la condannò al carcere a vita. Mary scoppiò a piangere ma nessuno della sua famiglia andò a consolarla.

    Durante il processo si scoprì che prima dei due omicidi altri bambini erano stati aggrediti da Mary Bell. L'11 Maggio 1968 un suo cugino di tre anni era stato trovato in un cortile dietro un pub, con la testa insanguinata. Il piccolo disse ai genitori di essere caduto da un cornicione, ma il seguito Mary ammise di averlo spinto. Il giorno successivo tre ragazze stavano giocando vicino all'asilo quando furono attaccate da Mary in compagnia di Norma. Una delle ragazze raccontò che Mary le aveva stretto le mani intorno al collo, poi aveva fatto lo stesso con la sua amica. Era intervenuta la polizia per rimproverare le due bambine che avevano giurato di non farlo più. Quattordici giorni dopo Martin Brown veniva ucciso.

    x6iomu
    [A causa delle problematiche legate alla sua giovane età, Mary non viene chiusa in una normale prigione, ma viene affidata a un duro istituto correzionale per minori, successivamente fu trasferita nel carcere femminile di Styal (Cheshire), dove si fece punire varie volte per il suo comportamento ed intrecciò delle relazioni con alcune detenute. Nel 1977 Mary fuggì dalla prigione ma fu catturata nuovamente; fu scarcerata nel 1980, dopo dodici anni di reclusione. Cambiò nome, si sposò ed ebbe una figlia, ma i continui litigi la portarono a separarsi dal marito. La figlia non era a conosceva della vera identità della madre, almeno finché un reporter non riuscì a trovarle]

    Nonostante fosse passato tanto tempo, Mary ancora non aveva capito cosa l'avesse spinta a compiere i due omicidi. Perché aveva tanta voglia di mettere le mani intorno al collo di un bambino e stringere fino a strappargli la vita? Riguardo a Martin Brown, continuò per anni a cambiare versione, passava dall'incidente all'impulso irresistibile.
    “Perché avrei dovuto fare del male al piccolo Martin? Mi piaceva, era il mio vicino di casa... ma sentivo qualcosa nella testa... qualcosa che mi spingeva a stringere... non era un sentimento, io non sentivo niente... la mia mente era vuota”.
    Nel 2003 vinse una battaglia legale perché l'anonimato per lei e sua figlia fosse esteso per la vita. Dopo quella sentenza della corte inglese, le norme per la protezione dell'anonimato a vita vengono definite negli Stati Uniti “Mary Bell Order”.

    La scrittrice Gitta Sereny scrisse due libri sulla storia della piccola assassina. Nel secondo, uscito nel 1998, Mary rivelò per la prima volta cosa accadeva in casa quando lei era bambina. La madre era morta da quattro anni di polmonite e non poté commentare quello che stava per essere pubblicato sul suo conto.
    Cominciando a raccontare, Mary divenne pallidissima. Parlava quasi sussurrando, facendo frequenti pause. Poi alzò la voce e fu l'urgenza di dire quello che aveva tenuto nascosto dentro di sé per tanto tempo a farle accelerare il ritmo mentre le lacrime le scorrevano lungo le guance.
    Aveva circa cinque anni quando la madre la fece entrare in camera dove lei e un uomo giacevano nel letto matrimoniale.
    “Ricordo il pene bianco dell'uomo... E quando cominciarono... io non capivo cosa stessero facendo... c'era quell'odore, orribile... e poi anch'io ero nel letto... e loro furono su di me”
    I ricordi affioravano uno dietro l'altro.
    “Avevo i calzini bianchi e un top... e mia madre mi prese le mani piegandomele dietro la schiena e spingendomi indietro la testa... lasciò che il pene dell'uomo entrasse nella mia bocca... e quando lui eiaculò io cominciai a vomitare...
    A volte mi copriva gli occhi con un fazzoletto che legava dietro la nuca e mi faceva girare ridendo... poi mi sollevava per mettermi sul letto e ricominciavano... Lui mi stringeva il collo tra le mani, per gioco, e io non riuscivo più a respirare...”
    Disse che non aveva avuto il coraggio di raccontare a Billy quello che succedeva in casa durante le sue assenze e aggiunse che la madre e i suoi amici facevano attenzione a risparmiarle la verginità.
    “Mi facevano sdraiare a pancia sotto e... faceva male, molto male... mia madre diceva di non preoccuparmi che non sarebbe durato a lungo...”

    [Mary raccontò anche di come la madre picchiasse spesso lei e il fratello, anche per futili motivi, come un acquisto sbagliato]

    A Gitta Sereny, Mary raccontò anche che quando la madre era morta aveva aperto un cassetto nella sua stanza trovando delle lettere.
    “Erano dirette a lei e portavano la mia firma. Iniziavano tutte con le parole Cara, cara mamma oppure Carissima mamma adorata, ma io non ho scritto nessuna di queste lettere!”

    Il libro suscitò grande scalpore e i giornalisti tornarono alla carica per intervistare e fotografare “l'assassina di bambini”. Mary dovette nascondersi insieme alla figlia adolescente e cambiò di nuovo indirizzo.

    Fonte: "Io sono un'assassina" di Cinzia Tani
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    Le parti tra parentesi quadre sono miei riassunti, le parti non tra parentesi invece sono una fedele trascrizione della fonte


    “Portavo la pistola perché mi era stato ordinato, ma non ho mai sparato a nessuno. Non ho frustato le prigioniere a morte né le ho fatte azzannare dal mio cane lupo”
    “Non ho preso parte alle selezioni delle detenute per la camera a gas ma ero d'accordo che venissero fatte. Gli ebrei venivano messi in fila, nudi, e io dovevo impedire ogni tentativo di fuga”
    “Ho fabbricato una frusta speciale, foderandola di cellophane intrecciato, flessuoso e lucido, e la portavo sempre con me anche se era proibito. La usavo se trovavo qualcuno a rubare o semplicemente per mantenere la disciplina, ma non ero autorizzata a farlo”



    [Irma nasce il 7 Ottobre 1923 nel villaggio di Wrrechen. Sua madre Berta si uccide bevendo acido cloridrico quando la bambina ha solo dodici anni, stanca dei continui tradimenti del marito. Lui si risposò ed ebbe un altro figlio (il sesto) dalla nuova moglie, in casa entrarono anche i quattro figli della donna, avuti da una precedente relazione. Non c'è un buon rapporto tra Irma e la matrigna]

    Irma, terza dei cinque figli di Berta, era una bambina timida e spaventata da tutto, non osava prendere l'iniziativa neppure nelle questioni più semplici, come comprare il pane se si accorgeva che mancava. Aspettava che qualcuno le dicesse cosa fare, che organizzasse le sue giornate. Irma era molto bella, e questo scatenava maggiormente la rabbia della matrigna che la costringeva ad indossare abiti che la rendevano goffa, mortificando la sua femminilità.
    La matrigna non si occupava dei cinque ragazzi che non avevano il suo sangue, si limitava ad assicurarsi che non morissero di fame e per il resto li abbandonava a se stessi. Il padre, invece, violento e irascibile, trovava ogni pretesto per picchiare i più fragili fra i suoi figli e Irma era la vittima ideale. Le dava dell'incapace, della stupida, e la colpiva con la cinta per godere nel vederla piangere. Lei non trovava il coraggio di ribellarsi, subiva le punizioni immeritate cercando di trattenere le lacrime, ma nella sua stanza la rabbia esplodeva in piccoli gesti distruttivi.

    [Il padre entra in contatto con alcuni nazisti, che lo convincono ad entrare nel partito. Lui accetta, più per opportunismo che per reale convinzione. Irma, invece, viene subito attratta dall'ideologia nazionalsocialista. Decide così di entrare nella Lega delle ragazze tedesche (la BDM), che educava le ragazze con ferrea disciplina perché fossero pronte a combattere e morire per il Terzo Reich. In seguito a questa decisione, il padre cacciò Irma di casa. La ragazza decide quindi di fare un apprendistato infermieristico in un ospedale a circa trenta chilometri da casa. Durante la seconda guerra mondiale Karl Gebhard destina la clinica all'uso esclusivo delle Waffen-SS. Gebhard è molto soddisfatto di Irma, così decide di mandarla a parlare con un suo collega, nel campo di lavoro di Ravensbruck. Il medico che la incontra è altrettanto soddisfatto, e le promette un lavoro al compimento dei diciotto anni. Nel frattempo, Irma tenta per la seconda volta l'esame da infermiera, ma fallisce nuovamente. La Lega decide quindi di mandarla a Ravensbruck come sorvegliante, dopo aver completato un corso di tre settimane sotto la supervisione di Dorothea Binz, che le trasmette la passione del sadismo]

    Irma era la più giovane e la più bella sorvegliante del campo, ma ne divenne presto una delle più crudeli. Finalmente veniva considerata, aveva potere e curava maniacalmente i simboli di tale potere: la divisa, gli stivali, la frusta, il suo cane. Aveva intenzione di tornare a casa per farsi vedere con l'uniforme, godere per una volta dell'ammirazione del padre, suscitare l'invidia dei fratelli e degli amici. Non immaginava che Alfred l'avrebbe invece guardata con orrore, salutandola appena e correndo subito dopo a bere al bar.

    [Durante un litigio, Alfred colpisce Irma alla testa con il calcio della sua pistola. Da quel momento Irma decide di non tornare più a casa, nonostante le suppliche della sorella Helena. Una volta tornata al campo, scopre di essere stata trasferita al campo di Birkenau. Dopo aver lavorato al centralino, come supervisore degli addetti ai giardini e come ispettrice della posta, i superiori decidono di promuoverla a sorvegliante del settore destinato alle ebree polacche]

    Portava una divisa nera con pesanti stivali, il cinturone a cui agganciava la pistola e un frustino con l'anima di piombo. La crudeltà verso chi trasgrediva, le punizioni feroci che impartiva, il suo controllo costante e puntiglioso a cui non sfuggiva niente le valsero un encomio da parte dei superiori e il passaggio a supervisore senior, il secondo ruolo più importante a cui una SS donna potesse aspirare. Aveva il compito di sorvegliare trentuno baracche che contenevano circa trentamila donne ed ebbe il permesso di eliminare tutte coloro che non rispettavano le regole. Doveva fare rapporto quotidianamente a Maximilian Grabner, capo della Gestapo ad Auschwitz. Il famigerato Blocco 11 era sotto la sua diretta giurisdizione. Nel cortile del blocco era stata costruita una prigione e davanti al muro vennero uccisi centinaia di prigionieri accusati di aver organizzato piano di fuga o di mantenere i contatti con il mondo esterno,

    [Durante il soggiorno al campo, Irma intreccia una relazione con il dottor Josef Mengele e spesso lo aiuta a scegliere i prigionieri destinati alla camera a gas]

    Irma ebbe anche relazioni omosessuali con alcune sorveglianti e perfino con alcune prigioniere. Sapeva che in questo modo stava violanto una delle direttive più importanti del campo, ma faceva attenzione a non esere scoperta. Se si accorgeva che una donna l'aveva vista in compagnia dell'amante, la uccideva con la sua pistola o la indicava come inadatta al lavoro e quindi pronta per la camera a gas.
    Si divertiva a frustrare le donne sul seno che spesso si infettava, poi portava la prigioniera in infermeria e la faceva operare senza anestesia, godendo delle sue sofferenze. Arrivò al culmine della crudeltà quando fece legare insieme le gambe di una partoriente che morì fra atroci dolori insieme al suo bambino. Ma sapeva anche gratificare chi le era utile. Per esempio Lilika Salzer, la prigioniera che le cuciva le uniformi. Irma le portava il tessuto e Lily soddisfaceva perfettamente i suoi desideri. Un giorno, per ringraziarla, Irma acconsentì ad accompagnarla in una delle baracche dove si trovavano le sue sorelle e le lasciò il tempo di abbracciarle e di parlare qualche minuto con loro.

    Nonostante il comandante di Auschwitz avesse proibito l'uso della frusta, Irma ne aveva fabbricata una speciale, foderata di cellophan trasparente, da cui non si separava mai. Spesso seguiva in bicicletta la colonna di prigioniere dirette ai luoghi di lavoro, accompagnata dal suo pastore tedesco. Se si accorgeva che una donna era troppo debole per camminare a passo spedito nel lungo sentiero di sedici chilometri o sembrava malata e quindi inadatta a portare pesi, ordinava al cane di attaccarla e sbranarla. I suoi appelli potevano durare anche sei ore, durante le quali le prigioniere dovevano tenere sollevati sopra la testa dei pesanti massi. Una volta, all'arrivo di un nuovo contingente di vittime, sparò a bruciapelo a una donna che aveva osato uscire dalla sua baracca per guardare.
    Amava appassionatamente il suo lavoro e lo svolgeva con estremo scrupolo, tanto che venne decorata con una medaglia per il suo “onorevole servizio”. Alla sette di mattina era già pronta, con i capelli perfettamente pettinati, il trucco accurato e l'uniforme impeccabile. Attraversava il campo spargendo terrore qui e là, secondo i capricci del momento. Le prigioniere cercavano di tenersi a distanza da lei ma non era sempre possibile. A volte insieme al dottor Mengele selezionava le donne che dovevano lasciare il lager per andare a lavorare altrove. In quei casi individuava le sorelle o le madri con le figlie e faceva di tutto per separarle; se protestavano le frustava fino a lasciarle agonizzanti sul terreno.

    [Irma resta incinta di uno dei suoi numerosi amanti, chiede quindi alla dottoressa Gisella Perl -medico ebreo che lavorava nel campo- di farla abortire. Subito dopo l'aborto Irma è pronta a tornare al lavoro. Come ringraziamento per l'aiuto, fa pervenire a Gisella un cappotto]

    Nel Giugno del 1944 scelse 350 prigioniere e le costrinse a stare per tre giorni e tre notti sul pavimento di cemento di una lavanderia, senza cibo né acqua. Intervenne il maggiore medico delle SS, il dottor Klein, pregato dalla dottoressa dell'ospedale da campo, la prigioniera Olga Lengyel, perché facesse qualcosa per salvare le donne. Il risultato fu che la stessa Olga venne percossa crudelmente alla testa col calcio della pistola da Irma.

    [A marzo del 1945 viene trasferita nel lager di Bergen-Belsen. Il comandante Josef Kramer vorrebbe mandarla in un altro campo, ma lei lo prega di farla rimanere perché nel frattempo ha cominciato una relazione con un ufficiale delle SS trasferito in quello stesso campo. La sua richiesta viene accolta]

    Il 15 Aprile le truppe inglesi entrarono nel lager di Bergen-Belsen per liberare i prigionieri. I soldati rimasero scioccati da quello che videro. Un luogo costruito per ospitare ottomila persone ne conteneva centomila tra uomini, donne e bambini; ovunque mucchi di cadaveri putrefatti, mentre i sopravvissuti erano solo grandi occhi spalancati sui liberatori. Gli inglesi parlarono con Josef Kramer, che si mostrò gentile e disponibile tanto da ordinare all'orchestra di musicisti ebrei di suonare qualcosa per accogliere i nuovi venuti. Alle spalle degli orchestrali giacevano diecimila cadaveri insepolti e altri quarantamila si trovavano nelle fosse vicino al campo.

    [Irma viene arrestata insieme ad altri. Nel frattempo arrivano al campo i legali inglesi per iniziare gli interrogatori. Durante un intervista un giornalista chiede sprezzante a Irma “Ma non hai una coscienza?” la raggelante risposta è “No, la mia coscienza è Adolf Hitler”. Irma viene accusata di crimini di guerra sulla base della testimonianza dei sopravvissuti. Il processo contro Josef Kramer e 44 SS, di cui 19 donne, per genocidio inizia il 17 Settembre 1945]

    Il pubblico ministero, colonnello T.M. Backhouse, dichiarò che Irma era “la peggiore donna del campo”. Quando fu proiettato un filmato sulla liberazione dei lager, lei non mostrò alcuna emozione ma si aggiustò i capelli e si soffiò il naso. Il suo difensore, il maggiore L.S.W. Cranfield, disse che non c'erano dubbi che l'imputata Grese avesse commesso delle atrocità a Birkenau e a Bergen-Belsen, tuttavia secondo lui la sua partecipazione ai crimini era stata minima: “Irma Grese faceva parte del sistema, eseguiva gli ordini, a volte doveva difendere la sua stessa vita, altre doveva mantenere la disciplina. Le testimoni Dora Szafran e Ilona Stein che la accusano stanno sicuramente esagerando!”.
    Chiese a Irma come agissero i prigionieri posti sotto la sua sorveglianza.
    “All'inizio, quando ce n'erano pochi e avevano cibo sufficiente si comportavano bene” disse lei “In seguito quando sono diventati trentamila, si sono trasformati in animali. Nel momento in cui arrivavano le donne con il cibo c'erano sempre dei gruppetti nascosti che le assaltavano per derubarle. Lo stesso per l'igiene: scomparsa. Le prigioniere usavano ogni angolo del campo come latrine e le vere latrine venivano intasate con ogni sorta di oggetto e smettevano di funzionare”.
    Il pubblico ministero chiamò a deporre la prigioniera ungherese Ilona Stein.
    “Nel Luglio 1944 stavo lavorando nella cucina di Birkenau quando vidi una donna andare verso la rete divisoria per parlare con sua figlia che si trovava in un'altra sezione del campo. Irma Grese, che stava passando in bicicletta, scese immediatamente, si tolse la cintura di cuoio e colpì la donna. Poi la prese a pugni sul volto finché non la vide stramazzare in terra e allora la calpestò. Quella prigioniera fu ricoverata per diverse settimane in ospedale. Spesso ho visto l'imputata partecipare, insieme al dottor Mengele, alle selezioni delle prigioniere da mandare alle camere a gas. In una di queste, nell'Agosto del 1944, ci furono più di duemila donne scelte per la morte. A volte le condannate si nascondevano sotto i letti ma Irma le trovava e le frustava finché non cadevano al suolo esanimi. A Settembre una donna raggiunse la figlia in un'altra fila durante le selezioni e Irma ordinò a una SS di spararle. Fui io a portare via il corpo”
    “Irma l'ha mai frustata?”
    “Non in cucina dove lavoravo, ma un giorno mi vide mentre parlavo con una conoscente attraverso il filo spinato e cominciò a picchiarmi”
    “Ha visto l'imputata frustare molte prigioniere?”
    “Più ad Auschwitz che a Bergen-Belsen”.
    Venne chiamata a testimoniare anche Gisella Perl, il medico che aveva praticato l'aborto su Irma. Gisella disse: “Grese era la più bella ragazza che avessi mai visto. Il suo corpo era perfetto, il viso dolcissimo, gli occhi azzurri erano angelici, i più gioiosi che si potrebbero immaginare. Eppure era la più depravata, crudele e pervertita donna che io abbia mai incontrato”.

    Durante le testimonianze, Irma prendeva appunti su un taccuino, scuoteva la testa, a volte rideva sommessamente. Solo una volta pianse e fu mentre deponeva sua sorella Helene.
    “Lei pensa che una persona come sua sorella possa aver picchiato i prigionieri che erano sotto il suo controllo?” chiese il pubblico ministero.
    “No” affermò con decisione Helene “Quando andavamo a scuola spesso scoppiavano liti violente fra le ragazze, e Irma invece di partecipare scappava via”
    “Quando sua sorella tornò a casa, vi raccontò cosa faceva nel campo di concentramento?”
    “Ci riferì che supervisionava i prigionieri che lavoravano nel complesso e che doveva stare attenta che svolgessero bene i loro compiti e non cercassero di fuggire. Noi le abbiamo chiesto cosa mangiassero quelle persona e cosa avessero commesso per essere chiuse nel campo. Lei rispose che non aveva il permesso di parlare ai prigionieri e per questo non sapeva di cosa si nutrissero”
    “Perché quella volta vostro padre si arrabbiò con lei?”
    “Perché odiava le SS. Tutte noi ragazze volevamo entrare nelle BDM ma non ci diede mai il permesso. Comunque io non ho più visto mio padre dall'Aprile del 1945”.

    Una delle imputate, Helena Kopper, riferì che era abitudine di Irma Grese scegliere delle prigioniere ebree e ordinare loro di portare qualcosa oltre la rete divisoria del campo. Quando le donne si avvicinavano alla rete venivano minacciate dalle guardie, ma poiché Irma selezionava solo coloro che non parlavano il tedesco, queste proseguivano perché non capivano gli ordini e venivano uccise. Secondo Helena, Irma Grese era responsabile almeno di trenta morti al giorno in conseguenza di questo macabro gioco, ma ne uccideva molte di più in altre occasioni.


    Dora Szafran, un'ebrea polacca di ventidue anni, disse di aver visto Irma frustare a morte una ragazza nella cucina di Bergen-Belsen, due settimane prima che arrivassero gli inglesi.
    “Ad Auschwitz sparò a due donne che cercavano di fuggire dalla finestra per evitare la selezione. In quel campo aveva una pistola mentre a Bergen-Belsen usava la frusta. Era una delle poche donne tra le SS che avesse il permesso di portare armi”.
    L'avvocato difensore chiese a Irma di commentare quelle dichiarazioni.
    “Dora Szafran l'ha accusata di aver ucciso due ragazze ad Auschwitz perché volevano sottrarsi alla selezione. E' vero?”
    “Non ho mai uccido una prigioniera!” esclamò Irma.
    Il pubblico ministero le chiese della frusta foderata di cellophane che si era fabbricata da sola, descritta da diverse prigioniere.
    “E' vero che anche il suo comandante le chiese di smettere di usarla?”
    “Sì”
    “A Birkenau lei aveva anche un bastone da passeggio e a volte usava questo invece della frusta per punire le prigioniere, è vero?”
    “Sì”
    “Le era permesso picchiare le prigioniere?”
    “No”
    “Così quando ha dett di aver semplicemente eseguito gli ordini dei superiori ha mentito. Lei ha usato la frusta e il bastone contro le regole, è vero?”
    “Sì”
    “Lei era l'unica a picchiare le prigioniere e andare così contro le regole?”
    “Non lo so”
    “Ha mai visto altre sorveglianti picchiare le prigioniere?”
    “Sì”
    “Avevano l'ordine di farlo?”
    “No”
    “Ha mai ordinato ad altre sorveglianti che lavorano per lei di picchiare le prigioniere?”
    “Sì”
    “Aveva l'autorizzazione per farlo?”
    “No”

    Le testimonianze oculari, la parziale confessione dell'imputata, il suo atteggiamento arrogante durante gli interrogatori resero inutile tutto il lavoro svolto dall'avvocat difensore. Il 17 Novembre il presidente del Tribunale, il generale Berney-Ficklin, lesse il verdetto per l'imputata numero nove, Irma Ilse Ida Grese: “Il tribunale degli Alleati ha giudicato Irma Grese colpevole di genocidio e di strage e l'ha condannata a morte mediante impiccagione”. Delle diciannove imputate, solo tre vennero condannate a morte: Juana Bormann, Elisabeth Volkenrath e Irma Grese.

    [Viene chiamato il boia inglese Albert Pierrepoint. Tredici persone devono essere impiccate tutte nella stessa giornata, un caso unico in Inghilterra. La mattina del 12 Dicembre Albert ispeziona il patibolo, quindi misura e pesa i condannati per scegliere la corda migliore. Irma si presenta alla pesa sorridendo. La sera prima dell'esecuzione, i condannati ricevono una porzione extra di salsiccie, panini e caffè, e le donne passano la notte a cantare inni nazisti. Il mattino dopo tutto è pronto per l'esecuzione]

    Albert andò nella cella di Irma Grese e le legò i polsi chiedendole di seguirlo. La ragazza percorse il corridoio e, arrivata davanti al patibolo, salì velocemente i sette gradini e si posizionò nel punto che il boia le aveva indicato. Baciò un crocifisso che il sacerdote le tendeva e chiuse gli occhi. Mentre le infilava il cappuccio, Albert Pierrepoint la sentì dire “Schnell!”, Presto!
    Irma Grese aveva 22 anni. Fu la donna più giovane giustiziata dagli inglesi nel Ventesimo secolo e anche la più giovane sorvegliante dei lager a venire impiccata.

    Fonti: "Io sono un'assassina" di Cinzia Tani
  6. .
    Bhe, oddio, commettere un omicidio per evocare un mostro assassino non direi che è una cosa fatta "senza cattiveria", a prescindere dal resto. Conta che 65 anni di carcere possono essere mutati in 65 anni in una clinica psichiatrica se si rendono conto che soffrono di qualche disturbo (e probabilmente è così). Ed anche in quel caso possono uscire prima, se non sono più giudicate un pericolo.
    Non facciamo l'errore di pensare "Sono piccole quindi sono creature innocenti, se ammazzano non lo fanno con cattiveria", Jesse Pomeroy ha cominciato torturando bambini quando aveva solo 11 anni, se invece di metterlo in riformatorio lo avessero chiuso in carcere due bambini di 4 anni (che ha ucciso una volta uscito) sarebbero ancora vivi.
  7. .
    Sono pericolose. Non è solo questione di "punizione", è questione di tenerle lontane dalla società. Questa volta non ci son riuscite, la prossima potrebbero affinare la tecnica.
    L'America prevede sia la libertà vigilata, sia la libertà sulla parola, anche in caso di tentato omicidio. Se le due si dimostreranno buone, se dimostreranno di non essere più un pericolo, potranno poi chiedere la libertà e uscire prima di aver scontato la loro condanna, ma se ciò non dovesse succedere?
    Se io metto una persona in carcere per 65 anni posso dopo, per esempio, 20 anni decidere che si è dimostrato pentito e accettare la sua richiesta di libertà sulla parola o di libertà vigilata (a seconda).
    Se io metto una persona in carcere per 20 anni e dopo 20 anni questo non si è pentito di una mazza, essendo finito il periodo decretato devo comunque lasciarlo uscire, col rischio che vada ad ammazzare qualcuno.
    Capisci perchè in America danno pene alte? Si parano bene. Se dimostri di non essere più un pericolo ti faccio uscire prima, se sei ancora pericoloso di tengo qui incapace di nuocere
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    La pena di morte non ha ragione di esistere, non siamo nessuno per decidere se una persona deve morire o meno, uccidendoli non ci dimostriamo migliori di loro. In fondo, se io ho il diritto di decidere arbitrariamente che siccome hanno fatto qualcosa di male non meritano di vivere, allora anche loro hanno il diritto di decidere arbitrariamente che io posso essere sacrificata nel tentativo di evocare Slenderman (o per un qualsiasi altro motivo che a loro in quel momento paia giusto). Praticamente li punisci perchè si sono arrogati il diritto di decidere a loro arbitrio della vita di una persona... decidendo a tuo arbitrio della vita di una persona. Coerenza zero.
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    Sì, ma non è successo in Italia.
    In America se il crimine è considerato particolarmente efferato (e 19 coltellate lo sono) ti processano come un adulto, indipendentemente dagli anni che hai, puoi pure averne tre. E di solito la pena per omicidio è l'ergastolo (se non direttamente la pena di morte, ma non so se in quello stato è in vigore), quindi alla luce delle leggi vigenti 65 anni non sono tanti
  10. .

    Due 12enni Ossessionate dalle Storie di Fantasmi Accoltellano 19 volte una Coetanea



    Due ragazzine di 12 anni che sono accusate di aver brutalmente accoltellato una compagna di classe 19 volte, hanno detto alla polizia che lo hanno fatto per unirsi a ‘Slender Man‘ dopo aver letto di lui online. Le ragazzine hanno spiegato agli inquirenti di credere che Slender Man fosse reale e mediante l’uccisione della loro amica che le aveva invitate ad un pigiama party nel sobborgo di Milwaukee di Waukesha, Wisconsin, volevano entrare in contatto con lui.

    Slender-Man



    Gli atti giudiziari raccontano una storia terribile di due ragazzine pre-adolescenti di una cittadina tranquilla che freddamente hanno eseguito un attacco brutale e intimo su un’altra 12enne. E’ accaduto sabato scorso dopo che le tre amiche avevano trascorso due giorni insieme. Erano andate nel bosco a giocare a nascondino quando hanno aggredito la vittima che è riuscita a fuggire nel bel mezzo dell’assalto; a quel punto le due dodicenni l’hanno riacciuffata e trascinata nel bosco dove hanno continuato ad infierire su di lei dicendole di stare calma e di essere tranquilla. Secondo i documenti del tribunale dopo un po’ se ne sono andate certe che morisse dissanguata.

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    La vittima è poi riuscita a strisciare fuori dal bosco, era ricoperta di sangue dopo essere stata accoltellata alle gambe, braccia e tronco. Un ciclista passando l’ha vista e chiamato la polizia. La ragazzina è stata portata in ospedale dove ha fatto i nomi delle sue due assalitrici e non dovrebbe essere in pericolo di morte, pur essendo stata accoltellata 19 volte. I chirurghi dicono che è stata ad un ‘millimetro dalla morte’ – una delle coltellate ha sfiorato una importante arteria.

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    ‘La cosa strana è che non mi sento alcun rimorso‘, ha detto una delle ragazzine ai detective. ‘La parte cattiva di me voleva che morisse, quella buona voleva che vivesse‘, ha detto l’altra dodicenne. Entrambe le imputate verranno processate come adulte per tentato omicidio per-meditato. Se condannate, entrambe rischiano 65 anni di carcere e sono detenute con una cauzione di 500 mila dollari ciascuna.

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    Le ragazze sono state trovate mentre camminavano fianco a fianco una autostrada interstatale poco dopo che la loro vittima era stata salvata. Avevano uno zaino pieno di snack e un coltello. Hanno detto che avevano progettato di scappare e unirsi a Slender Man nella sua villa nei boschi fuori città. Una ragazzina aveva anche una foto della sua famiglia con lei. Ha detto che se l’era portata perché non voleva dimenticare quello che era. Slender Man è un mito di internet ed era diventato virale da quando era apparso online nel 2009. La creatura paranormale, rapisce e traumatizza i bambini per il proprio divertimento. Si dice che possa anche controllare la gente e che sia grado di comunicare telepaticamente.

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    Le ragazze hanno detto di ritenere che ‘Slander Man’ fosse reale dopo la lettura online di storie su di lui su un sito chiamato CreepyPasta Wiki, dove gli utenti possono postare le proprie storie spaventose. A ogni studente della scuola media che le ragazzine frequentavano era stato recentemente dato iPad. I genitori dicono che i docenti avevano promesso di monitorare l’attività on-line degli studenti, ma non era mai stato fatto.

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    Entrambe le ragazze sono apparse in tribunale indossando le tute del carcere e le catene. Erano circondate dagli agenti dello sceriffo, che torreggiava sopra di loro. I familiari di una delle ragazze piangevano apertamente mentre i reporter scattavano le fotografie. La famiglia dell’altra ragazza sedeva impassibile. Secondo la denuncia penale, una delle ragazze ha detto ad un investigatore che avevano iniziato a progettare di uccidere la loro amica a dicembre. L’altra ragazza ha spiegato alla polizia che hanno deciso di ucciderla in modo da poter diventare le preferite di Slender Man, che le avrebbe accettate e fatte vivere con lui nella sua villa nella Nicolet National Forest. Una delle due ha detto che vede Slender Man nei suoi sogni e che lui la guarda ed è in grado di leggere la sua mente e di teletrasportarsi. ‘Questo episodio è estremamente inquietante come genitore e come capo della polizia’ ha detto Jack Russell in una conferenza stampa.

    Le due ragazzine compariranno in tribunale il prossimo 11 Giugno.
  11. .
    Salve, utenti del Creepypasta Forum :)
    Una piccola domanda per voi: come siete giunti qui? Come avete trovato il Creepypasta Forum?
    Eravate già a conoscenza del fenomeno delle creepypasta e cercavate un sito sull'argomento?
    Ci siete arrivati per caso tramite altri siti/forum? (quali?)
    O in altri modi ancora?

    Fatecelo sapere, in questo modo sapremo quali sono le fonti di pubblicità più produttive e potremo indirizzare al meglio i nostri sforzi :)
  12. .
    CITAZIONE (»VShade @ 16/5/2014, 15:56) 
    Grazie a Shira per avermi fatto da sponsor in più di una occasione. L'unica. Sei una brava scrittrice e il tuo impegno qui dentro è evidente, forse fin troppo. Siamo spesso in disaccordo su parecchi argomenti, ma non importa. <3

    Ehh... dovevo scegliere su quale cavallo puntare (ce n'è sempre uno u.u) e ho visto un piccolo Ponyta in un angolo del forum ;)
    Non si può vincere la Lega al primo tentativo, ma a furia di Caramelle Rare alla fine ti sei evoluto <3
  13. .
    Messi i link in ordine di tempo
    Quando uppate in quelli segnati alla voce "Up non specificato" ricordatevi di dare un'occhiata al regolamento spam, nel caso fosse cambiato inserendo un limite preciso.

    Edited by Shira™ - 30/12/2014, 19:46
  14. .
    Le pareti bianche della stanza la soffocavano, togliendole il respiro. Odiava quella stanza, odiava quel bianco sgargiante che la accecava, odiava il freddo pavimento di pietra su cui era seduta.

    Lasciò vagare lo sguardo lungo le quattro pareti, per poi fissarlo in un angolo, dove una figura rannicchiata costituiva l'unica nota di colore in quei pochi metri quadrati. Si schiarì piano la voce, sperando che questo bastasse a svegliare suo fratello, ma la figura non si mosse.
    «Layon!» gridò quindi, ottenendo l'effetto sperato. Il fagotto di carne e abiti si animò, volgendo la testa verso la sorella.
    «Buongiorno Maryl»
    Lei inarcò un sopracciglio, squadrandolo con attenzione mentre lui si alzava in piedi e la raggiungeva.
    «E' giorno?» domandò, con voce dubbiosa.
    «Ho immaginato lo fosse» lui si sistemò accanto a lei, le gambe robuste incrociate a sorreggere il corpo, le mani dietro la testa, così da formare un rudimentale cuscino con cui appoggiarsi alla candida parete.
    «Già, hai immaginato» ridacchiò lei «Hai sempre avuto una fervida immaginazione, giusto?» gli domandò, osservandolo con un grande sorriso.
    «Se lo dici tu...» ribatté lui, mostrando i denti, bianchi come la stanza.
    Maryl sbuffò, guardandosi attorno
    «Per quanto tempo dovrò restare in ospedale?» gli chiese
    «Finché non guarirai»
    «Ma tu continuerai a venirmi a trovare, giusto?»
    Il fratello scosse le spalle con noncuranza, regalandole un altro sorriso «Finché lo vorrai»
    Maryl osservò i suoi corti capelli ricci che gli accarezzavano il collo, amava accarezzargli, sembravano i capelli di una bambola, soffici come un dorato campo di cotone.
    Ad un tratto, quasi risvegliata da un pensiero improvviso, Maryl scattò in piedi.
    «Mio padre è ricco e potente, non possono tenermi qui!»
    Layon inarcò un sopracciglio, osservando la ragazza
    «Nessuno ti tiene qui... vogliono solo aiutarti»
    Ricevette solo un'occhiata sferzante in risposta, seguita da un lieve borbottio.
    «Nostro padre però non viene mai a trovarmi...» tornò a sedersi, sbuffando appena.
    «E' solo troppo occupato per farlo» ribatté lui, alzando appena le spalle con noncuranza.
    «Ma sono sua figlia... non dovrebbe lasciarmi sola qui, in mezzo a tutti questi dottori... ho solo quindici anni...»
    Il fratello non rispose, limitandosi a fissare la porta, i muscoli del collo tesi, come se avesse sentito qualcosa.
    «Sta arrivando qualcuno»
    «Un dottore o un'infermiera, di sicuro» sbuffò Maryl
    «Probabile»
    Layon si alzò in piedi, allontanandosi di qualche passo dalla sorella. La porta della stanza si aprì e un dottore sorridente fece la sua comparsa.
    «Allora, come ti senti oggi Maryl?» chiese, affabile.
    «Bene, dottore... posso andarmene?» rispose lei incrociando le braccia e con un broncio sul viso.
    «Ancora no, mi dispiace» rispose lui, e dalla sua espressione si sarebbe potuto pensare fosse sincero. Ma Maryl non lo pensava. Si limitò a lanciare un'occhiata al fratello, che le rispose con un sorriso.
    «Avanti dottore, mia sorella sta bene» ribatté lui. Maryl annuì con convinzione, osservando il vecchio, impegnato a scrivere su una cartellina.
    «Mio fratello ha ragione”» si lamentò. “E lui è grande e grosso” avrebbe voluto aggiungere “Se volesse potrebbe portarmi via da qui... solo che è tanto buono...”
    «Ha sicuramente ragione» ribatté il dottore con un grande sorriso. Scrisse ancora qualcosa su quella sua dannata cartella e poi si diresse verso l'uscita. Mosse un passo fuori dalla porta, ma poi si fermò, tornando a voltarsi.
    «Maryl, scusa, mi servono alcuni dati per completare la scheda... quanti anni hai?»
    «Quindici!» rispose lei, frustrata. Ogni giorno le facevano domande stupide... quanti anni aveva, come si chiamavano i suoi genitori, dove abitavano, quanti anni avevano, come si chiamava suo fratello, quanti anni aveva lui... credevano forse che lei fosse idiota?
    Quando il medico fu uscito, Maryl si avvicinò al fratello, appoggiando la testa contro la sua spalla e inalando il suo odore.
    «Perché mi fanno tutte queste domande?» gli chiese. Lui si limitò a scuotere le spalle, cingendole il corpo con le braccia.
    «Hai battuto la testa, forse vogliono controllare tu non abbia vuoti di memoria» la sua voce però suonava dubbiosa, e questo a Maryl non sfuggì.
    «Layon tu sai perché sono qui?» gli chiese, ma non ottene da lui nessuna risposta, solo uno sguardo freddo e spento
    «Hai detto che ho battuto la testa... dimmi di più»
    «Lo sai» rispose lui, sciogliendo l'abbraccio e allontanandosi da lei, dandole le spalle. Maryl lo osservò curiosa.
    «No, non lo so. I dottori continuano a parlare di un incidente, senza dirmi niente di più, non ricordo cos'è successo. Non ricordavo nemmeno di aver battuto la testa, me l'hai detto ora tu!»
    Layon scosse la testa, tornando a voltarsi verso la sorella, il volto improvvisamente pallido.
    Aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma poi la richiuse.
    «E' meglio se vai a dormire, Maryl» la sua voce suonava stanca.
    «Se prima era giorno adesso non può essere già notte»
    «Ho solo immaginato che fosse giorno. Non lo so. Vai a dormire, Maryl»
    Con uno sbuffò la ragazza si voltò, dirigendosi verso un piccolo letto addossato alla parete, le lenzuola bianche come il resto della stanza. Si sdraiò e chiuse gli occhi.
    Era certa di averli chiusi solo qualche secondo, ma i suoi sensi dovevano averle giocato uno scherzetto, quando riaprì gli occhi, infatti, suo fratello se n'era andato. Evidentemente si era addormentata. Sospirò appena e si rannicchiò di più dentro le coperte, lasciandosi scivolare nel sonno.

    Non fu un sonno tranquillo, gli incubi vennero a visitarla più volte. Incubi frammentati, senza senso, che al risveglio ogni volta svanivano, perdendosi tra le ombre.
    Alla fine Maryl si mise a sedere, in un bagno di sudore. Non ricordava quasi niente, solo alcune immagini guizzavano nella sua mente: una colla, delle grida e sangue, tanto sangue.
    Quanto tempo aveva dormito? Si guardò intorno, alla ricerca del fratello, ma di lui non c'era traccia. Sospirò appena, tornando a sdraiarsi, gli occhi sgranati fissi sul soffitto. Non avrebbe più preso sonno, non poteva, aveva paura di quegli incubi. Li aveva già fatti, in passato? Qualcosa le diceva di sì, ma non riusciva a ricordarlo.
    Le sembrò di sentire un rumore, e subito si voltò. Suo fratello era lì, in piedi accanto a lei. Maryl sorrise, ma il giovane non rispose al suo sorriso.
    «Hai ricordato?» le domandò, con tono cupo.
    Maryl scosse appena la testa, alzandosi in piedi.
    «Sei uno zuccone...» disse con un sospiro «Dimmelo tu cos'è successo, così abbiamo finito»
    La risposta di lui la spiazzò
    «Se lo so io, allora lo sai anche tu»
    Sbatté gli occhi un paio di volte, squadrandolo attentamente.
    «Piantala di fare lo sciocco e dimmi cos'è successo» tentò ancora una volta «Forse così i dottori mi lasceranno tornare a casa»
    Suo fratello la spaventava, in quel momento. I capelli spettinati, il volto pallido, gli occhi tristi...
    «Quanti anni hai?» chiese, sedendosi sul letto, prima occupato da lei.
    Lei si sedette al suo fianco, la rabbia evidente nei suoi occhi
    «Mi prendi in giro? Quindici! Ne avevo quindici quando è arrivato il medico, non penso di aver cambiato età nel frattempo!»
    Era frustrata da tutte quelle domande prive di logica.
    Il fratello le afferrò una mano, avvicinandosi di più a lei. Maryl sorrise, era piacevole sentire il suo calore su di sé.
    «Maryl, ti ricordi quando sono venuto al mondo?»
    Un frammento di ricordo colpì la mente della giovane, che chiuse gli occhi per afferrarlo.
    «Sì» rispose quindi, mentre il ricordo diventava più nitido «Nostro padre mi portò a vederti, eri insieme ad altri neonati, fasciato dentro una tutina gialla. Erano tutti silenziosi, ma tu no, tu urlavi a pieni polmoni» una lieve nota di nostalgia trasparì dalle sue parole.
    Layon annuì appena, continuando a tenere la mano della sorella tra le sue.
    «Sai quanti anni ho io?»
    “Di nuovo domande stupide... diamine, certo che so quanti anni ha mio fratello!”
    «Venticinque» rispose stizzita, osservandolo con un lampo di sfida nello sguardo. Gli occhi del fratello di solito brillavano della stessa luce, ma questa volta no, questa volta sembrarono diventare ancora più tristi.
    «Dieci più di te? Non è possibile, lo sai, vero?»
    Maryl spalancò gli occhi, stupida. Layon aveva ragione, naturalmente, come poteva ricordarsi della sua nascita se lui era nato dieci anni prima.
    «M-mi sarò sbagliata...» balbettò «Ricordavo la nascita di un altro bambino... magari un vicino...»
    “La testa... che male...”
    In quel momento avrebbe avuto bisogno di un'aspirina, la testa le stava scoppiando.
    «No... era la mia...»
    «Ma non è possibile» ringhiò lei
    «Forse ti sbagli sulla mia età...» rispose lui con voce morbida.
    Lei tolse immediatamente la sua mano da quelle di lui, guardandolo con severità.
    «Non dire sciocchezze, tu hai venticinque anni!»
    «E tu?»
    «Quindici!» urlò a pieni polmoni, mentre le lacrime cominciavano a sgorgare dai suoi occhi. Abbassò lo sguardo, osservando la mano che prima era tenuta da Layon. Sgranò gli occhi, arrestando per un secondo anche il flusso delle lacrime.
    “Non è... possibile... la mia mano...”
    Quella non era la sua mano, non poteva esserlo. Era pallida, più grande di come la ricordava, le dirà erano più tozze e tremava leggermente.
    Sentì la stretta di suo fratello sulle spalle, e improvvisamente provò l'istinto di mettersi a urlare e fuggire. Ma fuggire dove, se i medici non aprivano quella porta?
    “Layon però è entrato...”
    «Dimmi come sei entrato!» gli intimò, allontanandosi bruscamente da lui «Voglio andarmene da qui!»
    «Non sono entrato» rispose lui con un sospiro «Non sono mai uscito»
    Lei lo fisso come se fosse improvvisamente impazzito. Certo che era uscito! Era sicura di non averlo visto nella stanza, e non c'era alcun luogo dove lui potesse nascondersi. La stava prendendo in giro, non c'era altra spiegazione. Era uno scherzo crudele.
    «Smettila...» disse, ricominciando a piangere
    Layon si alzò, tornando da lei, tornando ad afferrarle le spalle, guardandola negli occhi.
    «Sono venticinque anni che sei qui» le disse, in un sussurro. Maryl sentì una sferzata d'aria gelida sul volto, anche se in quella stanza non esistevano finestre da cui potesse entrare il vento.
    Si sentiva frustrata, istintivamente portò una mano sul capo, e fu come una nuova sferzata di dolore. Al posto dei morbidi capelli lisci e lucenti che l'avevano sempre accompagnata, adesso la sua mano toccava radi capelli stopposi e viscidi. Che cosa le stava succedendo?
    Chiuse gli occhi, mentre la stretta del fratello si faceva sempre più debole.
    E improvvisamente ricordò...
    Le grida di suo fratello nella culla, il sangue sulle pareti, il pianto dei suoi genitori, il coltello tra le sue mani, e il silenzio che ne era seguito. Suo fratello non urlava più, non poteva più farlo, non poteva più disturbarla, non l'avrebbe più tenuta sveglia la notte. Voleva solo quello: un po' di silenzio. Era da biasimare per questo?
    «Quanti anni ho?» chiese in un sussurro, riaprendo gli occhi.
    «Quaranta»
    Maryl non disse altro, le sue gambe erano diventate improvvisamente deboli, e lei si lasciò cadere al suolo, lo sguardo fisso su di lui.
    «In effetti non sono un tipo pieno di immaginazione» le disse, con un lieve sorriso triste «Forse lo sarei stato...» aggiunse.
    Maryl lo osservò. Soffermò lo sguardo sul volto delicato e gentile, sui muscoli che premevano sotto la stoffa della maglietta, sui soffici capelli dorati -ma tutti in famiglia li avevano neri-, sugli occhi color del mare che la osservavano -qualcuno nella sua famiglia aveva mai avuto gli occhi azzurri?
    «Mi dispiace...» disse solo, lo disse così piano che nemmeno lei stessa udì la sua voce, ma suo fratello sorrise.
    Maryl abbassò lo sguardo al suolo, sentendosi improvvisamente stanca, vecchia.
    Vuota.
    Dai suoi occhi non sgorgavano più lacrime, il suo viso era asciutto. Lei vi portò una mano, scoprendo rughe che prima non aveva notato.
    Rialzò lo sguardo, solo per accorgersi che suo fratello non c'era più. Non ci sarebbe mai più stato.
    Con un gemito, si rannicchiò a terra.

    Le pareti bianche della stanza la soffocavano, togliendole il respiro. Odiava quella stanza, odiava quel bianco sgargiante che la accecava, odiava il freddo pavimento di pietra su cui era sdraiata.

    Edited by Shira™ - 3/7/2014, 18:08
  15. .
    Ragazzi, se un principio di flame sfiamma in maniera naturale... evitate di fare di tutto per farlo tornare, grazie.
150 replies since 22/7/2006
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