Votes taken by Pisy

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    A discapito di quanto possa sembrare, ti ho fatto molti complimenti. Lo stile cinematografico lo adoro.
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    A me non piace. Credo che non avrei mai smistato una cosa del genere. Viene usato un registro linguistico che non ha senso di esistere, nell'ambientazione della storia, e il tuo stile rimane lo stesso sia nel narratore che nei due personaggi, che non appaiono caratterizzati ed in cui è impossibile empatizzare. Di conseguenza, il plot twist è scarso, e non produce l'effetto a sorpresa tipico delle creepypasta.
    Usi il capslock e poi scrivi "urlò" nel discorso indiretto?
    Il nucleo della storia ci può anche stare, ma la trovo spiegata veramente male. Tutto è troppo precipitoso, per niente sincrono e non si crea l'effetto di ansia.

    Purtroppo mi ha deluso. Dalla prima posizione del contest mi aspettavo di più. Una cosa del genere a fatica, io, la avrei smistata. Anzi, non la avrei smistata proprio. Credo che se uno staffer si mette anche solo il dubbio tra "Cestino o AC?", allora debba prevalere la prima. È una questione di onestà intellettuale. Peccato, perché magari se ci avessi lavorato su un po' di più, avresti potuto ricavarne qualcosa di decente. Sembra una delle tante storiacce della wiki.
    Perdonami se ti sembro duro, ma ho voluto commentare e farmi sentire.
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    E invece no, perché vi annuncio che cerchiamo traduttori!
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    Risalimmo sul ponte, subito dopo la cena. Davanti a noi il Mediterraneo non aveva un’increspatura su tutta la parte visibile, marezzata di luna. Il grande piroscafo continuava la sua rotta gettando nel cielo seminato di stelle un gran serpente di fumo nero; dietro di noi l’acqua bianchissima, mossa dal veloce passaggio del bastimento, battuta dall’elica, era tutta una spuma. sembrava s’avvolgesse su se stessa provocando innumerevoli scintillii simili al bollore d’una liquida luce di luna.
    In sei o sette ce ne stavamo lì in silenzio e pieni di ammirazione, con lo sguardo rivolto verso l’Africa ancora lontana e dove ci stavamo dirigendo.
    Il Comandante, che stava fumando un sigaro in mezzo a noi. all’improvviso riprese una conversazione che era cominciata durante la cena.
    «Già, quel giorno ho avuto paura. Per sei ore la mia nave era rimasta con quello scoglio conficcato dentro, battuta dal mare in continuazione. Verso sera, per fortuna, fummo raccolti da una carboniera inglese che ci aveva avvistati.»
    Un uomo alto col viso abbronzato e l’aspetto serio, una di quelle persone che si capisce subito abbiano attraversato grandi paesi sconosciuti, tra continui pericoli, e il cui occhio sereno sembra conservare qualche cosa, nella sua profondità, degli strani paesaggi che ha veduto, un uomo insomma ben temprato dal coraggio, entrò allora per la prima volta nella nostra conversazione.
    «Comandante, lei dice d’aver avuto paura? Non lo credo.
    Forse equivoca sulla parola o forse sulla sensazione che ha provato. Un uomo coraggioso non ha mai paura nell’incombere d’un pericolo. E’ emozionato, agitato, nervoso; ma la paura è un altra cosa.»
    Il Comandante replicò ridendo:
    «Accidenti! E invece le garantisco che ho avuto paura!».
    Allora l’uomo abbronzato aggiunse parlando con estrema lentezza:
    «Mi permetta di spiegarmi. La paura — anche gli uomini più coraggiosi possono provarla — è un sentimento orrendo, una sensazione atroce, simile alla decomposizione dell’anima, uno spasimo spaventoso del pensiero e del cuore, il cui semplice ricordo provoca brividi d’angoscia. Ma, quando si è coraggiosi di natura, questo non avviene né davanti a un attacco pericoloso, né davanti a una morte inevitabile, né davanti a tutte le forme note del pericolo: ha luogo in circostanze anormali, sotto certe influenze misteriose, di fronte a rischi indefiniti. La vera paura è simile al ricordo dei terrori fantastici d’un tempo. Un uomo che crede ai fantasmi e che s’immagina di scorgere uno spettro nella notte, lui si che proverà la paura in tutto il suo orrore.
    Io ho intuito cos’era la paura in pieno giorno, circa dieci anni fa. L’ho provata l’inverno scorso durante una notte del mese di dicembre.
    Eppure m’ero trovato in frangenti e in avventure che parevano mortali. Ho combattuto spesso. Sono stato lasciato per morto dai banditi. Sono stato condannato all’impiccagione come insorto in America e gettato in mare aperto dal ponte d’una nave in Cina. Ogni volta mi son creduto spacciato e mi sono rassegnato subito, senza commozione e anche senza rimpianti.
    Ma questa non è la paura.
    Io l’ho presentita in Africa. Eppure essa è figlia del Nord: il sole la dissipa come una nebbia. Fate attenzione a questo, signori. Per gli orientali la vita non conta niente: si è subito rassegnati; le notti sono chiare e senza le cupe inquietudini che opprimono gli uomini dei paesi freddi. In Oriente si può conoscere il panico, si ignora la paura.
    Ebbene, ecco quel che m’è accaduto in terra d’Africa.
    Attraversavo le grandi dune a sud di Ourgla. E’ uno dei più strani paesi della terra. Voi conoscete la sabbia distesa, la sabbia delle interminabili spiagge oceaniche. Adesso figuratevi che l’oceano sia diventato sabbia in mezzo a un uragano: immaginatevi una tempesta silenziosa di immobili onde di polvere gialla. Sono alte come montagne, queste onde ineguali, diverse, sollevate in alto come cavalloni, ma ancora più grandi e striate come un’immensa pezza di amoerro. Su questo mare furioso, muto e apparentemente immobile, il divorante sole del Sud sparge la sua fiamma implacabile e diretta. Bisogna oltrepassare queste onde di cenere dorata, ridiscendere e ancora salire, salire senza sosta, senza riposo e senza ombra. I cavalli rantolano, sprofondano fino al ginocchio e poi si lasciano scivolare quando raggiungono l’altro versante di queste sorprendenti colline.
    Eravamo due amici seguiti da otto spahis e da quattro cammelli coi loro guidatori. Non parlavamo, oppressi dall’afa, dalla stanchezza, inariditi dalla sete come quel deserto ardente.
    D’improvviso uno dei nostri uomini lanciò uno strano grido:
    tutti si fermarono e restammo senza muoverci, sorpresi da un fenomeno inesplicabile, conosciuto solo da chi viaggia in quelle sperdute contrade.
    Chissà dove, eppure vicino a noi, da una direzione che non si riusciva a determinare, rullava un tamburo: il misterioso tamburo delle dune. Rullava distintamente, ora più ora meno vibrante, interrompendosi ogni tanto, ma subito dopo riprendendo il suo ritmo fantastico.
    Gli arabi, spaventati, si guardarono tra loro e uno disse nella sua lingua: "Sopra di noi c’è la morte!".
    Ed ecco che all’improvviso il mio compagno e amico, più che un fratello per me, cadde da cavallo a testa in giù, fulminato da una insolazione.
    E per due ore, mentre cercavo inutilmente di salvarlo, quel tamburo misterioso m’echeggiò nelle orecchie col suo ritmo monotono, intermittente e incomprensibile. Io sentivo insinuarmisi nelle ossa il terrore, la vera paura, la paura schifosa, davanti a quel cadavere, in quella buca incendiata dal sole, tra quattro montagne di sabbia, mentre un’eco sconosciuta ripercuoteva contro di noi, a duecento leghe da qualsiasi villaggio, il rullo veloce del tamburo.
    Quel giorno compresi che cosa sia aver paura, e lo seppi anche meglio un’altra volta...».
    Il Comandante interruppe il narratore:
    «Scusi, signore, ma quel tamburo... Che cos’era?».
    «Non ne so nulla. Nessuno lo sa. Gli ufficiali, sorpresi da quel rumore singolare, ne attribuiscono la causa a un eco ingrandita, smisuratamente ampliata dagli avvallamenti delle dune e prodotta da una grandinata di grani di sabbia trasportati dal vento a urtare contro qualche ciuffo d’erba secca, poiché s’è osservato che il fenomeno si produce sempre vicino a certi arbusti arsi dal sole e duri come cartapesta.
    E dunque quel tamburo non sarebbe che una sorta di miraggio, un miraggio sonoro. Tutto qui. Ma questo lo seppi soltanto più tardi.
    Vengo alla mia seconda emozione.
    Accadde l’inverno scorso, in un bosco della Francia nord-orientale. La notte era scesa con due ore d’anticipo, tanto scuro era il cielo. In un sentiero molto stretto avevo per guida un contadino che camminava al mio fianco, sotto una cupola di abeti, da cui un vento scatenato traeva lunghi lamenti. Fra le cime dei monti distinguevo correre nuvole in rotta, certe nuvole impazzite che sembrava scappassero incalzate dal terrore. A tratti tutto il bosco sembrava inclinarsi con un gemito di sofferenza sotto una raffica di vento molto forte; e il freddo mi passava da parte a parte nonostante il passo rapido e le vesti pesanti.
    Dovevamo andare a cena e fermarci a dormire da una guardia forestale. La casa non era molto lontana da lì e io ci andavo per cacciare.
    Di quando in quando la mia guida alzava gli occhi e borbottava: "Diavolo d’un tempaccio!". Poi mi parlò della famiglia che ci avrebbe ospitato. Il padre aveva ucciso un bracconiere due anni prima, e da allora era sempre cupo, come se fosse ossessionato da quel ricordo. I suoi due figli, entrambi sposati, vivevano con lui.
    Le tenebre erano profonde. Non vedevo niente davanti a me, né intorno a me. Tutto il frascame degli alberi si urtava in continuazione e riempiva la notte d’un continuo fruscio.
    Finalmente scorsi una luce e subito il mio compagno bussava a una porta. Come risposta arrivarono acute grida di donne; poi una voce maschile, una voce rauca domandò: "Chi è?".
    La mia guida disse il suo nome. Entrammo. Mai dimenticherò quel che vidi.
    Un vecchio dai capelli bianchi, dall’occhio folle, con un fucile carico in mano, ci aspettava in mezzo alla cucina, mentre due giovanotti armati di scure erano di guardia ai lati della porta.
    Negli angoli oscuri in fondo alla stanza distinsi due donne inginocchiate col viso rivolto verso il muro.
    Demmo le spiegazioni necessarie. Il vecchio riappoggiò il fucile alla parete e ordinò che mi fosse preparata una stanza: ma poi, visto che le due donne non si muovevano, dette questa brusca spiegazione:
    "Sa, signore? Sono due anni stanotte da quando ho ammazzato un uomo. L’anno scorso è venuto a chiamarmi. E così l’aspetto anche questa notte". Concluse con un tono che provocò il mio sorriso: "Ecco perché non siamo tranquilli".
    Feci del mio meglio per rassicurarlo. Ero felice d’essere arrivato proprio quella sera e di poter assistere a quello spettacolo di terrore superstizioso. Mi misi a raccontare qualche storiella e così mi riuscì di calmare, almeno un poco, tutta la famiglia.
    Accanto al focolare un vecchio cane, mezzo cieco e baffuto, uno di quei cagnacci che somigliano a qualcuno di nostra conoscenza, dormiva, col muso tra le zampe.
    Una tempesta senza requie percuoteva il casolare e da un finestrino stretto stretto, proprio uno spiraglio accanto alla porta, vedevo alla luce dei lampi un gruppo di alberi scompigliato dal vento.
    Nonostante tutti i miei sforzi, percepivo chiaramente che un profondo terrore dominava gli animi di quelle persone. Ogni volta che smettevo di parlare tutte le orecchie si tendevano verso un punto molto lontano. Stanco di assistere a quei vani spaventi, stavo per chiedere di andar a dormire, quando la vecchia guardia forestale balzò improvvisamente dalla sedia e riafferrò il fucile sussurrando con evidente smarrimento: "Eccolo! eccolo! Lo sento!".
    Le donne tornarono a inginocchiarsi nel loro angolo nascondendo il viso; i figli impugnarono di nuovo le scuri.
    Mi preparavo a calmarli ancora una volta, quando d’improvviso si risvegliò il cane addormentato e, tendendo il collo verso il fuoco e guardandolo con l’occhio quasi spento, emise uno di quei lugubri ululati che la sera spaventano in campagna i viandanti. Tutti ci volgemmo a guardarlo: era rimasto immobile, ritto sulle zampe, come in preda a una visione. Poi ricominciò a urlare verso una cosa invisibile e spaventosa perché tutto il pelo gli s’era rizzato. Livido in volto, la guardia gridò:
    "Lo sente! Lo sente! Mi ha visto ucciderlo!".
    Anche le due donne si misero a urlare come forsennate, all’unisono col cane.
    Mio malgrado, un brivido mi corse tra le spalle, lunghissimo. La visione di quell’animale a quell’ora e in mezzo a quella gente terrorizzata era spaventosa. Per un’ora intera il cane ululò senza muoversi, come nell’angoscia d’un sogno premonitore. La paura, la schifosa paura m’invase. Paura di che cosa? Lo sapevo forse? Era la paura, tutto qui.
    I nostri visi erano violacei nell’immobilità e nell’attesa di qualcosa di tremendo, con l’orecchio teso, il cuore in tumulto, sempre più sconvolti a ogni minimo rumore. Il cane si mise a girare attorno alla stanza, fiutando i muri e continuando a mugulare.
    Quella bestia ci faceva impazzire! Allora il contadino che mi aveva fatto da guida, in una specie di parossismo furibondo, gli si buttò addosso, l’afferrò e la gettò fuori in un cortiletto interno.
    Il cane tacque di colpo, noi rimanemmo immersi in un silenzio ancor più terrificante. D’improvviso sussultammo tutti insieme: qualcuno strisciava contro il muro esterno, dalla parte del bosco; poi passò verso la porta, sembrò sfiorarla con mano tremula. Per due minuti non sentimmo più alcun rumore, due minuti che ci portarono alla soglia della demenza; quindi quella presenza misteriosa tornò a sfiorare il muro e grattò leggermente come farebbe un bambino, con l’unghia d’un dito.
    All’improvviso apparve contro il vetro del finestrino una testa bianca, con occhi luminosi come quelli delle belve. E dalla bocca uscì un suono indistinto, un mormorio lamentoso. Fu un attimo. Un fragore improvviso rimbombò nella cucina. La vecchia guardia aveva sparato. E subito i figli si precipitarono, tapparono lo spiraglio rizzandovi contro il grande tavolo, che poi puntellarono con la credenza. Vi giuro che allo scoppio della fucilata che non m’aspettavo ebbi una tale angoscia nel cuore, nell’animo e nel corpo che mi sentii mancare, prossimo a morire di terrore.
    Restammo così in attesa sino all’aurora, incapaci di muoverci, di dire una sola parola, contratti da un orrore senza nome.
    Osammo rimuovere la barricata soltanto quando scorgemmo dalla fessura d’un’imposta un pallido raggio di luce.
    Ai piedi del muro, contro la porta, giaceva il vecchio cane col muso sfracellato dalla fucilata.
    Era uscito dal cortiletto scavandosi un varco sotto la palizzata.»
    L’uomo dal volto abbronzato tacque, poi soggiunse:
    «Quella notte non corsi alcun pericolo, eppure preferirei rivivere tutte le ore nelle quali ho affrontato situazioni davvero terribili piuttosto che il solo istante di quella fucilata sparata contro la testa villosa apparsa nello spiraglio».
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    Il lutto è una cosa strana, e molte culture mostrano il loro accordo con questa affermazioni in diversi modi.
    Ma ci sono diversi motivi per cui in genere si associa l'età Vittoriana alla morbosità e alla morte, ed una di queste è il detto "memento mori".

    Il fatto è che, in questo periodo, le immagini come questa, fatte postmortem, venivano scattate molto più di fotografie di altro tipo - specialmente negli U.S.A. - ed in molti casi vi era un grande studio dietro: il soggetto veniva disposto con cura e si sistemava meticolosamente la location a lui circostante, tanto che, spesso e volentieri, queste erano le uniche foto mai fatte a quegli individui.
    Un estratto da Sleeping Beauty: Memorial Photography in America di Stanley Burns:
    "Queste fotografie costituiscono una caratteristica peculiare della cultura americana del diciannovesimo secolo, una parte del processo luttuoso, importante per la commemorazione del defunto. I familiari ancora in vita ne erano orgogliosi, le appendevano nelle loro case, mandavano copie ad amici e parenti, le riponevano nei medaglioni che indossavano e le portavano con se negli specchi da tasca o nelle cipolle."



    Bambino in una bara nella camera mortuaria

    Da PBS.com: Sembra che questo ritratto sia stato scattato nel salotto o nella camera mortuaria di una casa di famiglia. Il salotto era considerato un luogo importante all'intero del rito funebre per gran parte del XIX secolo, il posto in cui si poteva dare l'estremo saluto ai familiari deceduti. Questa immagine è datata 1890-1905, un periodo in cui molti funerali venivano avevano ancora luogo in casa. Presto, comunque, si tese ad abbandonare questo aspetto, e verso la fine della Grande Guerra, in seguito alla ricezione dell'assistenza sanitaria, dal momento che si moriva negli ospedali o presso gli ambulatori, gli americani iniziarono a celebrare i loro funerali nelle agenzie di pompe funebri. Non appena queste agenzie iniziarono ad entrare a pieno regime, il salotto lasciò presto il posto al soggiorno così come lo si conosce oggi.

    Vedete la silhouette sulla destra? È l'assistente del fotografo che tiene aperto lo sportello della bara, pronto per lo scatto.






    È molto interessante notare che, talvolta, stavano in posa con i morti anche i parenti vivi, i quali erano soliti mostrarsi in un atteggiamento stoico e distaccato, che lasciava tuttavia trasparire un leggero velo di tristezza.





    Altre volte, come in questo caso, quando non era possibile fotografare il corpo del defunto, nella foto si inseriva un elemento tipico delle preoccupazioni del tempo: lo spirito. La scena veniva intrisa di melodrammaticità, ritoccandola con l'immagine dell'anima del morto, scattata non al morto stesso, bensì ad un attore. Qui, tre orfani che hanno appena perso la madre.





    Per concludere, un'altra tendenza tipica era quella di riprendere il morto come se fosse ancora vivo (la foto all'inizio dell'articolo ne è una prova eclatante, in quanto presenta il defunto con gli occhi aperti). L'utilizzo di oggetti di scena come il giornale di quest'uomo era meno comune; forse è stato inserito per distrarre l'attenzione dalla rigidità innaturale delle sue mani.

    Fonte: Mental_floss
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    È stata scritta il 27/8/2012 alle ore 18:06, quando ancora il tema del non voltarti non era abusato. Dunque, prima di lasciare commenti volti solo a denigrare una pasta, ti consiglio di valutare almeno tutti gli elementi, grazie. Siamo qui tutti per migliorare. Dare commenti solo perché "ah! tu non sai scrivere e forse neppure io ma ti dico che fa schifo perché così la gente vede che ne capisco qualcosa" in quanto staffer mi fa salire il nervoso, in quanto utente mi fa salire la compassione.
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    Hai ragione, di solito non tratto uomini di paglia ma mi sembrava rendesse bene

    Edited by Pisy - 23/6/2014, 16:27
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    È come se io andassi dal David di Firenze di Michelangelo e dessi la mia griglia di valutazione.

    Originalità: ma no, non si può, nel V secolo a.C. Fidia ha fatto di meglio, direi 1/5
    Scultura: mani e testa non sono proporzionali... non va proprio bene, 2/5
    Generale: 1,5/5 direi che è una buona media
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    Decisamente "purtroppo"
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    Cari utenti, eccoci di nuovo qui che chiediamo la vostra collaborazione. Per il primo maggio, festa dei lavoratori, volevamo riproporre la radio che avevamo preparato per il giorno del compleanno del forum, a febbraio. Le modalità saranno un po' diverse dall'ultima volta, nel senso che avremo non un solo monologhista a gestirlo, ma più di uno. L'idea era quella di unire utenti e staffer in una radio che non dev'essere solo "dello staff", ma "del Forum".
    Pertanto, noi avevamo pensato ad un sistema di interviste a membri dello staff o ad utenti oltre che presentazioni di argomenti vari, o comunque un episodio radiofonico un po' più movimentato del precedente.
    Tuttavia, non possiamo lasciare che tutti gli utenti interagiscano liberamente a voce, ma la mole di utenza ci impone l'obbligo di fare delle selezioni, sperando che ci scuserete per l'impossibilità di dare a tutti una possibilità.

    Chi volesse pertanto partecipare con un ruolo attivo alla radio, mandi pure ad uno di noi staffer un programma recante:

    un elenco di canzoni da presentare durante la serata (dalle ore 20.00 in poi)
    una serie di domande da porre ad eventuali intervistati
    argomenti vari ed eventuali

    Edited by »VShade - 23/4/2014, 21:07
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    Sei consapevole del fatto che fossi ironico, vero? :v:
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    In base all'indice di eccitazione che causa in me una notizia del genere. Darwin aveva ragione.
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    Modifica del regolamento: Aggiunta norma già operativa della Creepyquette riguardo l'utilizzo dei colori in shoutbox e nei topic.
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    ...ma a nessuno importa.
    ...ma a nessuno importa.
    ...ma a nessuno importa.

    Sì, lo so ahahaha Che dire, proprio non me lo aspettavo. È sempre stato un traguardo che non ho mai aspirato a raggiungere e ho sempre pensato mi sarei fermato al grado di supervisore, visto che non ho mai lavorato a questo scopo.
    Spero di non deludere nessuno con questo nuovo incarico, e di migliorare quei difetti del mio essere staffer che sappiamo tutti esistere.
    Grazie infinite agli altri admin per l'opportunità gigantesca che mi stanno offrendo :D
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    Salve, gentili utenti.
    Si è reso necessario, da parte di noi staffer, comunicarvi qualcosa di molto importante. Abbiamo notato che, da diverso tempo, in shoutbox (temporaneamente sostituita dalla tagboard) si è diffuso un malcostume piuttosto particolare.
    Come tutti sappiamo, il regolamento del Creepypasta Forum prevede che prima di postare in qualsiasi sezione ci si debba presentare nella sezione ~ Welcome, e fin qui nulla di strano. Il problema arriva nel momento in cui un nuovo utente fa capolino in tag.
    Volendo imitare lo staff, avete letteralmente iniziato ad assalire tutti i neofiti chiedendo loro in massa e sgarbatamente di presentarsi, cosa che qualche giorno fa ha addirittura causato un flame che ha coinvolto varie sezioni del forum, oltre che alla tagboard stessa.
    Dovete capire che il primo approccio che i nuovi utenti hanno al Forum è fondamentale per la loro futura permanenza: se si trovano bene dall'inizio saranno maggiormente propensi a restare a lungo.
    Pertanto, non possiamo più ammettere che si ricorra a vecchie formule stilizzate diventate famose nel corso dei mesi (come ad esempio lo stra-abusato "Presentati prima di postare"), né vogliamo impedirvi di essere utili al foro ricordando ai nuovi utenti di presentarsi. Quindi, abbiamo pensato a dei punti che possano rendere questa moda un po' meno pressante:

    • È sufficiente che solo un utente, sia esso staffer o no, ricordi di dare il benvenuto;

    • è inutile chiedere in tagboard, oltre che presentarsi, di leggere il regolamento: verrà fatto nella sezione Welcome;

    • non usate formule stilizzate, ma cercate di essere gentili disponibili.


    Vi consigliamo, inoltre, l'uso delle emoticon. Mettetevi nei panni di un nuovo utente: è molto più probabile che egli segua il consiglio di chi si rivolge a lui con simpatia e gentilezza, piuttosto che con acidità e freddezza. Saremo costretti ad ammonirvi (o nei casi peggiori a ricorrere a piccole sanzioni), qualora questi tre punti non verranno osservati.
    Siamo certi che capirete che vogliamo venirvi incontro per aiutare a preservare un clima di pace all'interno della nostra community.
    Grazie per l'attenzione!

    ~ Lo staff.
239 replies since 9/5/2012
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