Posts written by Emily Elise Brown

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    Ero un'infermiera fresca di studi e desiderosa di iniziare a lavorare.

    Dopo essermi rivolta a varie strutture, fui accettata da un prestigioso ospedale privato, specializzato in ostetricia e cure prenatali.
    L'ospedale era famoso per i suoi programmi sulla maternità surrogata e aveva una buona reputazione a livello globale poiché "consegnava" bambini più sani e geneticamente superiori.

    Ero certamente eccitata e non potevo aspettare di vedere il mio nuovo ospedale e di conoscere i miei nuovi colleghi.

    Arrivai al famoso "Blessed Wing Hospital" alle 9 di mattina. Fui accolta da diversi medici ed infermieri allegri ed ottimisti e il mio turno fu meraviglioso. In breve tempo mi abituai alla routine e feci amicizia. Ovviamente, essendo nuova avevo delle aree dell'ospedale alle quali non potevo accedere a meno che non mi venisse concesso il privilegio.

    L'unica cosa che mi lasciò alquanto perplessa fu il fatto che non vidi mai pazienti entrare od uscire. Tutto ciò che vidi furono solo alcune coppie felici che venivano per adottare i neonati. Non vidi mai nessuna madre surrogata, né prima né dopo l'adozione.
    Il mio compito era quello di prendermi cura dei neonati e di assicurarmi che venissero adottati dalla giusta famiglia.

    Era davvero soddisfacente lavorare con quei piccoli, innocenti "fagotti" di vita. Tutti i bambini erano perfettamente sani ed erano tutti diversi l'uno dall'altro. Era come se ogni bambino fosse stato progettato su misura prima della nascita.

    C'era solo una cosa che mi incuriosiva. Quando mi trovavo fuori dalla nursery o dalla sala d'attesa, sentivo le forti grida di dolore delle donne in travaglio. I medici e le infermiere facevano del loro meglio per alleviare le urla delle partorienti, ma queste continuavano. Un'altra cosa strana era il fatto che le urla sembravano essere più di terrore che di dolore. Imparai a concentrarmi più sul miracolo della nascita che sulle urla, fino a quando non sentii una donna gridare una cosa che non dimenticherò mai: "Perché continuate a farmi questo? Vi prego, voglio andarmene!"

    Dopo qualche mese di lavoro, decisi di fare qualche domanda sulla mancanza di pazienti. Le miei domande incontrarono solo silenzio e sguardi severi di medici ed infermieri. Alla fine mi presero da parte e mi dissero di non fare domande e di limitarmi a fare il mio lavoro. Non c'era nulla di cui preoccuparsi.

    Le grida di dolore e paura continuavano a risuonare nei corridoi dell'ospedale. Trovavo conforto solo nel prendermi cura dei bambini, ma le urla mi avrebbero sempre seguito attraverso le sale.

    Il mio primo anno di lavoro passò senza incidenti e mi furono tolte certe limitazioni. Potevo girare liberamente in tutto l'ospedale, ma non avevo motivo di uscire dal mio reparto o dalla sala del medico.

    Tuttavia, la mia curiosità ebbe la meglio su di me. Poco dopo il mio primo anniversario di lavoro, mi aggiravo nei corridoi quando sentii nuovamente l'urlo di una donna in travaglio. Ma ciò che catturò realmente la mia attenzione fu il fatto che era la stessa donna che sentii supplicare poco dopo la mia assunzione. Stava partorendo un secondo bambino in meno di due anni, questo è davvero rischioso e, come madre surrogata professionista, avrebbe dovuto saperlo. La sentii urlare per la paura ed implorare di essere lasciata andare. Lasciarla andare? Era forse ricoverata contro la sua volontà?

    Passarono due settimane prima che mi convincessi ad andare a vedere le stanze sul retro dell'ospedale. Ero di turno di notte, perciò riuscii a muovermi inosservata. Mi ritrovai a camminare in un lungo corridoio con delle indicazioni di diverse sale parto, come se fosse una seconda sala medica.

    Fu allora che udii una donna piangere dal dolore. Capii che si trattava di una donna in travaglio. La cosa strana era che il pianto veniva da una stanza e sulla sua porta vi era la scritta "Incubatrici".

    Non vidi nessuno nell'area maternità o uscire dalle sale parto, quindi entrai nella stanza a controllare. Vorrei non averlo fatto.

    Quando aprii la porta, vidi qualcosa che mi provocò un senso di nausea che provo ancora oggi.

    La grande stanza aveva due dozzine di letti, ogni letto ospitava una donna in diverse fasi di gravidanza. Le donne erano tutte giovani di diverse razze e tutte avevano braccia e gambe amputate.

    Ognuna di loro era sola ed indifesa. Tubi e flebo contenenti nutrienti e fluidi serpeggiavano tra i corpi mutilati delle donne, come se fosse l'unico mezzo per tenerle in vita.

    Una donna bionda, con un ventre troppo grande proporzionato al resto del corpo, mi vide e mi implorò di aiutarla.

    "Ti prego! Devi farci uscire da qui!"

    Non riuscii a parlare. Non riuscii nemmeno a muovermi. Rimasi a guardarla, coprendomi la bocca con una mano.

    "Ti prego!" Pianse nuovamente. "Non ci vogliono lasciare andare! Continuano ad usarci, ad usare i nostri corpi!"

    Distolsi lo sguardo, dirigendolo verso la porta.

    La donna mi gridò contro, con le lacrime agli occhi. "Non possiamo muoverci! Non possiamo scappare, ti prego, devi aiutarci!"

    La paura si impadronì di me e fuggii dalla stanza. Ritornai alla nursery dell'ospedale e guardai con ammirazione i neonati che riposavano davanti a me. Quello non poteva essere il risultato di un esperimento così atroce, vero?

    Quando il mio turno finì, non riuscii ad uscire dall'ospedale abbastanza velocemente. Appena giunsi nel mio vialetto, vomitai sull'erba e iniziai a piangere per quelle povere donne che avevo abbandonato.

    Non riuscii a dormire quella notte. Continuavo ad udire quelle urla di dolore e le suppliche per la loro libertà.

    Due giorni dopo tornai in ospedale ed iniziai il mio turno. Andai nella nursery e la mia attenzione venne immediatamente attirata da un neonato biondo. Aveva gli stessi capelli della donna che mi supplicò di aiutarla.

    E capii che quel che avevo visto era vero.

    Mentendo, chiesi di poter tornare a casa presto perché non mi sentivo bene. Appena arrivai a casa, mi sentii al sicuro e chiamai la polizia e riferii ciò che avevo visto.

    La polizia arrivò in ospedale e trovò lo stesso raccapricciante spettacolo che trovai io.

    Le donne vennero portate in un altro ospedale mentre quello in cui lavoravo fu chiuso. Tirai un sospiro di sollievo e aspettai che la notizia venisse trasmessa al telegiornale. Ma non venne trasmessa. Non si parlò neanche una volta delle incubatrici umane che vennero liberate dall'ospedale.

    In realtà, non vi era alcuna traccia di donne che arrivarono al nuovo ospedale per ricevere cure adeguate...





    Edited by Emily Elise Brown - 23/3/2017, 12:35
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    la 8778 è morta facendo bungee jumping
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    magia
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    la 8786 ha avuto un attacco psicotico e si è lanciata nel Gran Canyon
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    la 8789 rimase talmente sconvolta dalla morte della 8790 che si buttò sotto un tram
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    la 8791 è morta cercando di rubare il cioccolato di Mello
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    Calesse
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    Correvo come un ossesso da circa venticinque minuti, era notte fonda e faticavo ad orientarmi nel bosco dietro casa mia; sapevo di non potermi permettere di perdere tempo prezioso se volevo sistemare le cose, ma sapevo anche che se non mi fossi fermato un attimo, sarei svenuto. Mi appoggiai ad un albero e ripresi fiato, mentre il sudore mi colava dalla fronte, sentivo il cuore martellarmi violentemente nel petto e le gambe tremare per lo sforzo.
    "Cazzo!" pensai: "Se avessi controllato quella fottuta porta! Se solo mi fossi assicurato di averla chiusa, ora non sarei in questo fottuto casino!". Cercai di ragionare con lucidità, ma la paura che potesse essere troppo tardi per rimediare, continuava a pervadermi il corpo. Potevo solo sperare ormai. Sperare che le cose si sistemassero da sole. "La prossima volta, controllerò di aver chiuso la porta, prima di andare a letto...", pensai: "Se mai ci sarà una prossima volta...". Mi rimisi a correre non curante del freddo della notte, dei rami che mi graffiavano il viso e dei rovi che mi infilzavano le gambe; dopo altri dieci minuti di corsa, mi accorsi di essere ormai vicino alla strada. In quel momento sperai che le cose si sistemassero per il meglio. Mi avvicinai al ciglio della strada e in un momento, tutte le mie speranze morirono: un'auto stava ripartendo a gran velocità.
    Mi svegliai di soprassalto, ansimando, pervaso da un senso di terrore; mi guardai attorno e notai, con grande sollievo, di essere nella mia camera. Feci una risatina isterica ributtando la testa sul cuscino. "Era solo un sogno", pensai: "Un fottuto sogno del cazzo!". Mi alzai e scesi al piano inferiore, per assicurarmi di aver chiuso la porta. Avvicinatomi alla porta trattenni il respiro e abbassai la maniglia: sentii un cigolio e vidi aprirsi uno spiraglio.
    Sorrisi.
    Se quel sogno non mi avesse svegliato, spingendomi a controllare questa dannata porta, mi sarei ritrovato in un bel casino. Aprii completamente la porta, entrai in cantina ed accesi la luce. "Scusa se ti sveglio nel cuore della notte, piccola mia" dissi alla mia adorata creatura: "Ma ho avuto un incubo e volevo assicurarmi che fosse tutto ok". Mi avvicinai e, chinandomi su di lei, le accarezzai dolcemente la testa. Emise un singhiozzo soffocato e cercò di divincolarsi.
    "Ssssssssh... va tutto bene..." le dissi: "Non ti devi preoccupare di nulla, ci sono qua io...", mi rialzai e afferrai l'accetta, gustando il suono del suo respiro affannato, dei suoi singhiozzi e la bellezza del suo corpo, così perfetto. "Credimi" le dissi con voce dolce e affettuosa, mentre alzavo l'accetta sopra la testa: "Questo farà molto più male a me che a te ma sai, non posso permettermi di ripetere lo stesso errore... Potrei non essere più così fortunato come oggi... Sto solo prendendo delle precauzioni, non posso permettermi di perderti, lo capisci vero?". Mi fissò con i suoi meravigliosi occhi azzurri, pieni di terrore e arrossati dal pianto, ma pur sempre bellissimi; quegli occhi mi stavano implorando di non farlo. Ma io dovevo farlo.
    "So che non sarà piacevole e credimi, neanche io vorrei farlo, ma è per una buona ragione...". La guardai ancora un per un secondo, ammirando e assaporando la sua bellezza; ignorando singhiozzi disperati. Non potevo perderla. Non potevo correre questo rischio.
    Senza indugiare oltre, sferrai un colpo deciso alle sue gambe meravigliose.

    Edited by Shira™ - 11/12/2016, 11:57
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    Grazie a entrambi! ^.^
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    Ciao! sono Emily e mi sono appena iscritta a questo forum!
    Mi piacerebbe conoscere (virtualmente) ragazzi e ragazze con la mia stessa passione per le Creepypasta e vorrei condividere quelle partorite dalla mia mente malata ;)
1482 replies since 9/11/2015
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