Anche gli angeli han paura della morte

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  1. Shira™
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    In uno specchio scuro

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    «Solo tu puoi farlo»
    Gabriella rabbrividì al suono di quelle parole, le attraversarono la pelle come tante piccole scariche. Se ne stava lì, seduta sulla grande scrivania in mogano del suo studio, ad ascoltare la supplica dell'uomo che le stava di fronte. Lei era bassina, giusto un metro e settanta, con una cascata di riccioli biondi che le accarezzavano il collo e le spalle, e due occhi dello stesso colore del ghiaccio che, nell'insieme, contribuivano a farla apparire più severa di quello che fosse. Lui era un uomo anziano, con due folti baffi bianchi su un volto altrimenti rasato, ed occhi castani che, ora, la guardavano supplichevoli, dal basso della sedia su cui era seduto.
    Con un sospiro, Gabriella si lasciò scivolare giù dalla scrivania, i tacchi delle sue costosissime scarpe toccarono il suolo con un tintinnio acuto.
    «Non posso, Giu»
    Lo chiamava così, “Giu”, amichevolmente, invece di usare il più formale “Giuseppe”, nonostante l'età apparente che li separava.
    «Gab...»
    Voltò lo sguardo, per non osservare ancora i suoi occhi, ma il tono con cui la stava pregando era sufficiente a causarle una coltellata nel petto. Mosse qualche passo in direzione della vetrata, fermandosi dopo averla raggiunta. Attraverso il grande vetro a specchio, osservò la città che si dipanava sotto il suo ufficio, diversi piani più in basso, mentre sapeva di non poter essere vista da nessuna di quelle formiche che affollavano la strada.
    Lei e quell'uomo si conoscevano da tanti anni, molti più di quanto chiunque altro avrebbe potuto ritenere possibile, guardandola, e forse per questo non riusciva a sostenere il suo sguardo, e aveva bisogno di rifugiarsi nella contemplazione della città.
    «Non posso»
    Lo ripeté di nuovo, questa volta il dolore di quella risposta riuscì a filtrare attraverso la sua voce, e fu sufficiente perché lui si convincesse di avere qualche possibilità di convincerla.
    « È la mia unica figlia, Gab...»
    Ancora quel nomignolo che aveva sentito tante volte, quel nomignolo che concedeva solo a lui e a pochi altri eletti.
    «Lo so...» sapeva quanto Elena contasse per lui, c'era quando lui l'aveva stretta tra le braccia la prima volta, c'era quando l'aveva cresciuta, senza contare sulla figura di una madre ad aiutarlo. Aveva visto gioie e dolori e sapeva, sentiva, quando quell'uomo la amasse. Eppure...
    «... ma non posso»
    Si girò verso di lui, dando le spalle alla città che scorreva senza sosta, inconsapevole dei suoi problemi, di quei dilemmi che le dilaniavano l'animo, in bilico tra fede e sentimento.
    «Gab...» se avesse sentito ancora una volta pronunciare il suo nome in quel modo, si sarebbe messa a urlare.
    Alzò lo sguardo, i suoi occhi azzurri incontrarono la figura dell'uomo, che adesso si sera alzato dalla sedia, ma ancora non aveva osato muoversi.
    «Nessun altro può aiutarmi»
    “E non posso neppure io”. Avrebbe voluto dirlo, sapeva che quelle erano le parole giuste, ma non riusciva a mettere a soffocare quella piccola vocina che si faceva strada dentro di lei “Sì che puoi, hai il potere di farlo”.
    «... puoi... portarla?» si ritrovò a chiedere, maledicendosi poi internamente per averlo detto, per avergli dato una qualche speranza, ma ancora di più si maledisse perché sapeva che lei stessa stava iniziando a cedere.
    E, difatti, gli occhi dell'uomo mandarono un lampo di risolutezza, quindi un sorriso si allargò sotto i suoi folti baffi.
    «Sì» con uno schiocco di dita, un lampo di luce apparve a circa un metro di distanza da dove si trovava Giuseppe, ed in quel punto, subito dopo, apparve un tavolo con sopra stesa una donna di neanche quarant'anni, bionda, con dei boccoli dorati simili a quelli che ricoprivano il capo di Gabriella.
    La donna osservò quella figura, muovendosi ancora, questa volta nella sua direzione.
    «Ciò che Dio da, Dio toglie» pronunciò con voce bassa, misurata, gli occhi sempre fissi su quella figura che sembrava dormire: «Perderai i tuoi poteri, per questo». Ma sapeva quale sarebbe stata la risposta, ancora prima di sentirla.
    «Quali poteri? La capacità di richiamare a me gli oggetti? La vita di mia figlia vale di più, Gab. Ti prego, riportala da me».
    Si ritrovò ad annuire, e a maledirsi ancora, la mano sinistra che già si muoveva a sfiorare la pelle del cadavere, fredda al tocco. Da viva, Elena era stata una donna bellissima, e la morte non sembrava averle portato via nulla, se non quegli occhi dello stesso colore degli smeraldi più puri, che adesso restavano chiusi al mondo.
    Ciò che Dio da, Dio toglie.
    Adesso lei stessa avrebbe scoperto quanto quella frase potesse essere vera. Nell'arco della sua vita, aveva fatto diverse cose in grado di far arrabbiare l'Altissimo, ma mai aveva osato tanto come compiere una resurrezione, pratica assolutamente proibita per gli angeli.
    Soprattutto per quelli che erano stati cacciati dal Paradiso, ed ora, non abbastanza indegni per finire negli Inferi, vagavano sulla terra cercando di guadagnarsi nuovamente i favori divini. Lei non ci aveva mai provato davvero, si era sempre mantenuta su quel terreno neutrale che si staglia tra Paradiso e Inferno, un limbo che le impediva di tornare nei cieli superiori, ma le impediva anche di vincere in dotazione delle ali nere e la coda e di finire a torturare dannati.
    Ora, forse, anche lei avrebbe assaggiato la spada di Michele e sarebbe finita insieme a Lucifero.
    Però, in fondo, a Giuseppe lo doveva. Certo, quello che era successo non era stata interamente colpa sua, non è forse vero che ambasciator non porta pena? Nonostante tutto, aveva ritenuto giusto un risarcimento per quell'uomo, e così gli aveva donato una nuova vita, una nuova identità, una figlia da amare. Fino ad ora.
    «Solo perché sei tu...» sospirò ancora e, anche se non poteva vederlo, sapeva che dietro di lei Giuseppe stava sorridendo. La destra andò ad avvicinarsi alla sinistra, per posarsi a sua volta sul corpo della donna distesa. Chiuse gli occhi, con un ultimo, profondo, sospiro.
    Richiamare l'anima come aveva fatto Gesù con Lazzaro, per loro non era possibile. L'unica cosa che potevano fare – ma che era severamente proibita – era andare a riprendersela, così da legarla nuovamente al corpo che l'aveva ospitata.
    Così utilizzò il corpo di Elena come un canale per unire sé stessa ed il Paradiso dove la donna riposava, così da potersi trasportare là, o, più nello specifico, mandare là una sua proiezione astrale, mentre il suo corpo terrestre restava ben ancorato in quell'ufficio al nono piano del palazzo più grande della città.

    Era davvero tanto tempo che non vedeva il Paradiso, da quando aveva mancato ai suoi doveri ed era finita sulla Terra, e per questo rivederlo le diede uno strano effetto: immaginava di provare nostalgia, forse persino di piangere per il dolore di essere stata allontanata, invece desiderava solo fare tutto in fretta, senza indugiare oltre nella contemplazione di un luogo che non era più casa sua e, di questo era sicura, non lo sarebbe mai stata. Non si illudeva di compiere quell'operazione all'insaputa di Dio, sapeva che ciò non era possibile, si augurava solo di riuscire a riportare indietro l'anima di Elena prima che qualcuno degli angeli superiori riuscisse a dare l'allarme. Una volta resuscitata, nessuno le avrebbe arbitrariamente tolto la vita di nuovo, solo per punire lei di quella grave insubordinazione, e a quel punto sarebbe stata pronta a qualsiasi punizione l'Altissimo avrebbe voluto infliggerle.
    Si guardò intorno, c'era solo bianco intorno a sé. Utilizzando il corpo di Elena come canale, si era ritrovata nel posto più vicino alla sua anima e quindi, per sua fortuna, già oltre i cancelli controllati da Pietro, altrimenti passare sarebbe stato impossibile.
    Adesso, però, doveva trovarla senza ulteriori aiuti, in quella distesa di bianco, soffice come zucchero filato. Mosse qualche passo in avanti, l'unica direzione in cui poteva andare adesso, dal momento che tornare indietro avrebbe voluto dire finire dritta dritta al cancello. Il bianco piano piano si diradava, fino a lasciare spazio ad una collina d'erba che dolcemente scendeva. Nonostante il tempo passato, i suoi ricordi non erano affatto sbiaditi, sapeva che, una volta superata la collina, avrebbe trovato alcune delle anime che avevano ottenuto l'accesso al Paradiso – tra cui anche Elena, visto che era stata catapultata direttamente lì – ma sapeva anche che avrebbe trovato ad attenderla anche una moltitudine di angeli.
    Doveva dunque farsi coraggio, e cercare di dare poco nell'occhio, con un po' di fortuna, forse, sarebbe riuscita a farsi passare per un'umana.
    Prima che potesse muovere ulteriori passi, però, avvertì distintamente il calore di una mano che si posava sulla sua spalla e poi un altro calore, più intenso, espandersi dal suo cuore. Conosceva quella sensazione bruciante, e non aveva neppure bisogno di voltarsi per sapere chi si trovava alle sue spalle, tuttavia lo fece.
    «Raffaele...» pronunciò, guardando negli occhi colui che per millenni aveva chiamato fratello.
    «Gabriele» quel nome non le apparteneva ormai da troppo tempo, scosse quindi le spalle, e, con quelle, anche i lunghi capelli biondi.
    «È Gabriella, sulla Terra»
    Il sorriso di Raffaele ancora una volta le scaldò il cuore, facendole provare quella fitta di nostalgia che non aveva provato al suo arrivo in Paradiso.
    «Non ha importanza. Sei tu»
    Questa volta, il medesimo sorriso si rifletté anche sul volto della donna.
    «Sì... sono io...» ma durò solo un istante, poi tornò a rabbuiarsi, consapevole di ciò che stava per fare, di ciò che aveva accettato di fare.
    «Perché sei qui?» eppure qualcosa, nel tono di Raffaele, le suggerì che lui era già a conoscenza della sua venuta, voleva solo sentirselo dire.
    «Per una resurrezione» le uscì così, senza tante esitazioni e senza giri di parole. La verità secca e cruda, così com'era.
    Come aveva previsto, non passò alcuna sorpresa attraverso gli occhi nocciola dell'Arcangelo.
    « È lì» al contrario, unì a quelle parole un ampio gesto del braccio, l'indice puntato verso un gruppetto di persone che correvano beate all'interno di quel prato incantato. Tra di esse, distinse senza grosse difficoltà proprio colei che stava cercando.
    «Come fai a-»
    «Non ho mai smesso di osservarti»
    Naturalmente non lo aveva fatto. Erano fratelli, erano stati arcangeli insieme, prima che la sua disubbedienza la portasse a cadere in quel limbo, Raffaele non poteva averla dimenticata, e si diede della sciocca per aver pensato, anche solo per un secondo, che potesse farlo.
    Adesso, però, occorreva prendere una decisione, perché quello che avrebbe fatto avrebbe deciso le sue sorti future.
    «Gabriele...»
    La voce di Raffaele la costrinse a voltarsi, per osservarlo ancora, il volto adesso reso triste, anche attraverso la luce che splendeva perpetua in quel luogo.
    «... è già stato duro perderti... se cadrai ancora... non ci vedremo mai più. Non potrò vegliarti, laggiù».
    Ne era consapevole, naturalmente.

    Corse ancora una volta con lo sguardo ad Elena: sembrava felice, e per un istante si chiese se non fosse giusto lasciarla lì, permetterle di vivere eternamente nella luce del Signore, senza riportarla indietro solo per gli egoistici desideri del padre.
    «Devo fare quello che reputo giusto»
    «No» questa volta nella voce del fratello vibrava una nota diversa, più decisa «Devi fare quello che è giusto. Elena ha finito il suo tempo»
    Continuava a guardarla, le lacrime iniziarono a pungerle l'interno degli occhi, minacciando di sgorgare da un momento all'altro.
    «È così giovane...»
    «Tanti sono stati chiamati anche più giovani di così».
    Era vero, tanti ragazzi e bambini venivano chiamati tutti i giorni a giocare in quel parco, senza che mai nessuno si presentasse a reclamare la loro anima. Non avevano meno diritto di Elena, e lei non aveva alcun diritto di privilegiare un'anima a scapito di un'altra.
    Eppure...
    «Lo so»
    Eppure c'era quella supplica a bruciarle dentro, lo sguardo di Giuseppe a scavarle nell'animo. Non era stato facile, essere ripudiata dal Paradiso. E, quando questo era successo, non c'era nessuno ad aiutarla. Non c'era Michele, la cui arma scintillante era già pronta a scagliarla più in basso, non c'erano gli altri fratelli con cui aveva condiviso la luce. Non c'era Raffaele. L'aveva seguita, l'aveva osservata, ma lei non ne era mai stata consapevole, neanche una singola volta, non aveva mai davvero goduto della sua vicinanza, del suo sostengo. Giuseppe era stato l'unico ad accoglierla nella sua vita, a permetterle di trovare un piccolo scopo anche in una vita terrestre. Lui l'aveva spronata a studiare le leggi terrestri, lui l'aveva spronata ad intraprendere la carriera di avvocato, per poter aiutare, anche lì, delle anime innocenti a non perire sotto i soprusi.
    «Davvero sceglierai Giuseppe, invece dell'Altissimo?»
    Raffaele aveva sempre avuto la capacità di leggerle dentro, di leggere i suoi pensieri più profondi.
    «No» rispose, e mentre lo faceva congiunse le mani, animandole di un bagliore che rivestì anche Elena, qualche metro più in là: «Scelgo di fare quello per cui sono stata creata... aiutare».

    Aveva scelto.
    Giusta o sbagliata, aveva preso la sua decisione.
    Riaprì gli occhi dentro il suo ufficio, le mani che ancora brillavano di quella luce a cui aveva legato l'anima di Elena. La donna ancora giaceva stesa sul letto, e Giuseppe si era nel frattempo avvicinato, ed ora, accanto a lei, teneva la mano della figlia tra le sue, rozze e callose.
    Gabriella portò le mani alle labbra, e subito la luce che le animava si mosse verso il suo volto, quasi volesse farsi risucchiare da lei. Giuseppe si limitò ad osservarla, senza proferire parola, neanche quando l'angelo si chinò verso Elena, posandole un bacio sulla fronte.
    Fu questione di un attimo, la luce si spanse su tutto il corpo della donna, riportando il colore sul suo volto ed il calore nella sua pelle, che l'uomo stringeva.
    « È...?» chiese lui, titubante.
    «Viva, sì» confermò la donna, per poi allontanarsi e tornare verso la scrivania, il corpo proteso in avanti, e le braccia posate sulla scrivania, a sostenerne il peso.
    Ormai non poteva più tornare indietro, aveva violato il giuramento e messo fine alla sua possibilità di redenzione.

    «Stai bene?»
    Non c'era una risposta, o, per meglio dire, la risposta era ovvia, e nel giro di pochi secondi si palesò davanti agli occhi attoniti di Giuseppe. Non ci fu nessun annuncio, nessuna avvisaglia, semplicemente il corpo di Gabriella iniziò a raggrinzirsi, come quello di una prugna, ed un pallore mortale prese il posto del roseo incarnato che l'aveva contraddistinta, mentre anche i capelli presero a invecchiare sotto la spinta di un invecchiamento tanto rapido quanto ineluttabile.
    Gabriella ebbe giusto il tempo di voltarsi verso di lui, di allungare una mano nella sua direzione, in una muta e inutile richiesta di aiuto, poi il suo corpo non resse più il fardello dell'età e finì per cadere su sé stesso. Giuseppe si mosse rapido, allungò le braccia verso di lei e prese quel corpo ora fragile come quello di una centenaria, prima che potesse toccare il suolo.
    «Gab...» la chiamò ancora una volta, mentre cercava di sostenerle la testa.
    «Ho... paura...» una lacrima solitaria scivolò lungo la guancia di colei che era stata messaggera di Dio, poi, con un ultimo singhiozzo, chiuse gli occhi.

    Edited by Emily Elise Brown - 26/2/2020, 22:26
     
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