La gita

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  1. KungFuTzo
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    Non ho proprio voglia di andare in gita. Penso mentre fisso il finestrino dell’autobus che lascia il parcheggio dove mi ha accompagnato mia madre. Sempre meglio che fare lezione in aula, ma che noia! Andare a vedere un mucchio di sassi messi su da qualche vecchia civiltà scomparsa? Solo perché la prof non ha voglia di spiegare. Se Emma fosse venuta forse sarebbe stato divertente.
    Prendo lo zaino e guardo il pranzo che mi ha preparato mia mamma, sono solo due panini con verdure. Megan, lo hai sentito il dottore, devi mangiare più verdure. Come se quell’omino possa capire qualcosa. La sua voce è come una cornacchia, ha i capelli sempre unti e puzza terribilmente di pesce, ma poi cosa vuole sapere un ciccione di come dovrei mangiare?

    L’autobus si ferma per far passare il tram che scorre sulla corsia dedicata e il mezzo fa uno scossone che mi risveglia dai pensieri, alzo gli occhi e guardo fuori. La giornata è bella e il sole splende senza nemmeno l’accenno di una nuvola.
    Megan, ricordati la protezione, non vorrai squamarti tutta come l’altra volta?
    Riprendo lo zaino e controllo il tubetto della crema solare idratante e scuoto il capo. Mi crede ancora una bambina, come se fossi uscita dal nido ieri.

    Tra i sedili si sentono risate e canzoni, l’autobus ha ripreso a filare veloce per la strada e ha appena lasciato la città per entrare nella campagna, il sito archeologico è molto vicino e conosciuto, mia madre mi ci ha portato almeno trenta volte. E la stessa cosa vale per i miei compagni.
    Cosa ci sarà di così affascinante poi? Penso decidendo di mettere gli occhiali scuri anche se siamo sopra al bus. Oggi mi sono alzata dalla parte sbagliata.
    Sbuffo e cerco il libro che mi sono portata ignorando quei cretini di terza che continuano a gridare dagli ultimi posti, si sentono così fichi ad essersi posizionati nell’ultima fila…

    Il viaggio dura quasi quaranta minuti, ma alla fine arriviamo.
    Finalmente. Prima si inizia, prima si finisce.
    Abbasso il libro che stavo leggendo e cerco di guardare fuori dal vetro. Il sole è troppo luminoso e mi sono abituata al buio del bus accentuato dagli occhiali, nonostante le lenti scure rimango abbagliata per qualche secondo e strizzo gli occhi.

    Quando riesco a mettere a fuoco vedo che il campo d’erba si sta muovendo sotto le bordate del vento e sembra una distesa di mare aperto, le onde verdi vanno a destra e a sinistra e per un momento mi dimentico del mio male umore.
    Ma solo per un momento.
    «Ragazzi, siamo arrivati.» inizia la prof con la sua voce acuta. «Mi raccomando, mettete tutti la protezione prima di scendere, il sole è troppo forte, non voglio che qualcuno di voi inizi a squamarsi.»
    Sbuffo e prendo il tubetto passandomi la crema bianca sulle braccia e sul collo. L’odore dolciastro mi dà quasi la nausea e guardo l’orologio anche se so che mi darà solo lo sconforto vedendo che mancano sei ore alla fine di quello strazio.

    Finalmente scendiamo e possiamo distendere le gambe.
    Faccio un sospiro e mi stiro la schiena allargando le braccia verso l’alto e alzandomi sulla punta dei piedi.
    Il sole è davvero inclemente e decido di spostarmi all’ombra. Almeno quella non manca. Penso camminando verso la parte più scura dell’erba insieme a molti miei compagni. Fortunatamente le costruzioni del sito creavano moltissime zone fresche al riparo dal sole, altrimenti sarebbe stato impossibile sopravvivere a quella giornata.

    Alzo lo sguardo e fisso per un attimo l’immenso complesso che si staglia contro il cielo, è semi distrutto e la vegetazione ne sta prendendo possesso. È davvero una costruzione imponente, gigantesca, mastodontica. Per quanto voglia fare la figura della dura oggi, non posso negare che stare lì davanti mi faccia sentire in soggezione.
    Sono insignificante davanti alla storia.
    Chissà come ha fatto una civiltà capace di costruire cose del genere a scomparire nel tempo di una notte…


    Edited by Annatar - 15/5/2019, 20:27
     
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