Il sentiero

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  1. Tommas02
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    Tre ragazzi scomparsi e nessuna traccia. Questo, oltre ogni altra considerazione, era tutto quello che quelli avevano. Non sarebbero giunti alla soluzione in questa maniera.
    Già la prima scomparsa aveva lanciato il paese su tutte le pagine dei giornali regionali, ma era con gli altri due ragazzi che il clamore aveva assunto dimensioni clamorose. Televisioni, opinionisti, criminologi: tutti ne avevano parlato. Era inevitabile che il caso fosse stato affidato alla polizia di Stato e non a lui, soprattutto quando la notizia era rimbalzata sui giornali, ma Borghi provava fastidio. Niente contro i suoi colleghi, che semplicemente svolgevano il loro lavoro, né contro chi gli aveva sottratto il comando delle indagini. Solo che lui aveva indagato sulla prima scomparsa, lui aveva tentato di trovare un sentiero percorribile in quella strada così misteriosa, e adesso a indagare c’era qualcun altro.
    Con quali risultati, poi?
    Stava percorrendo con la sua Panda la strada che correva in mezzo al bosco, dirigendosi verso il paese. Nelle ultime settimane il paese era stato invaso dai giornalisti e stare in mezzo a loro, o anche solo a casa con la consapevolezza che quelli lo aspettavano sotto il portone, si era fatto insopportabile. E poi quelle passeggiate in auto lo aiutavano a pensare. Lì c’era l’aria più buona che avesse mai respirato.
    Davanti a lui la strada si dipanava in curve e dossi. Ai lati si apriva il bosco, digradando verso il basso, sempre più folto. C’erano fossi e buche in ogni punto dell’asfalto. Il guardrail era arrugginito e ammaccato, e a tratti interrotto. Lì la strada si affacciava a strapiombo sugli alberi. Nel cielo c’era il sole di mezzogiorno, alto e secco.
    Avanzava lentamente, il finestrino aperto, lasciando che l’aria entrasse e circolasse nella sua mente, a rischiarare un po’ le tenebre fitte lì dentro. Ma non aveva effetto. Nessuna ipotesi davvero percorribile e un campo sterminato di possibilità che gli si stendeva davanti.
    I ragazzi avevano tutti tra i tredici e i quindici anni. Il primo era scomparso una mattina di tre settimane prima. Era uscito di casa per prendere l’autobus che l’avrebbe portato al liceo, in città. Ma i suoi compagni non l’avevano visto sul mezzo. Il suo zaino era posato su un muretto, vicino alla fermata del bus, a pochi metri dalla strada sterrata che si gettava nel bosco. Ma lui non c’era, e i giorni di ricerca erano stati vani.
    Poi era toccato a una ragazza. I genitori l’avevano vista uscire di casa alle sei e mezza di pomeriggio e le amiche la aspettavano al bar del paese alle sei e quaranta. Non era arrivata. Solo dieci minuti, ma sufficienti perché una ragazza sparisse nel nulla, senza dare segnali e senza lasciare tracce… e nessuno aveva visto nulla.
    Questo era accaduto otto giorni dopo la scomparsa del primo ragazzo. Dopo questo episodio, i carabinieri locali avevano serrato il controllo sul paese e la questura aveva affidato le indagini al commando regionale. Borghi aveva tentato di dare il suo apporto ai nuovi arrivati, ma non c’era stato nulla da fare.
    Solo quattro giorni prima, con le forze dell’ordine sparse per la città e i nuovi arrivati che sondavano il terreno per le indagini, era sparito il terzo ragazzo. Borghi lo conosceva bene e sapeva che aveva un rapporto di amicizia con il primo ragazzo scomparso. L’intuizione aveva gettato una luce ancora più oscura sulla vicenda.
    Intanto, l’asfalto si stava trasformando in ghiaia e cemento. Era la parte più consumata della strada, quella che più si avvicinava al paese. Forse, con la popolarità che si stava vivendo, avrebbero asfaltato anche quel tratto.
    Borghi aveva scandagliato qualsiasi possibilità. I ragazzi potevano essersi allontanati spontaneamente… ma perché? Non erano emerse problematiche con i genitori né avevano confessato qualcosa agli amici. Soprattutto, l’idea che tre ragazzi decidessero di svanire da un momento all’altro, in una comunità di settecento persone, era poco convincente.
    Allora si era insinuata nella sua mente l’ipotesi di un rapitore, o di un assassino seriale. Aveva tentato di trovare una sorta di filo conduttore che legasse i tre ragazzi – qualche legame che avesse spinto l’assassino a rapirli uno dopo l’altro – ma non ne aveva trovati. C’era solo l’amicizia tra il primo e il terzo. Era una cosa disturbante. Chissà perché, la mente di Borghi tornava sulla stessa ipotesi: il terzo ragazzo era giunto a un passo dalla verità e qualcuno aveva deciso di fermarlo. Un presentimento insensato, ma ossessivo, che gli ravvivava le braci recalcitranti che aveva nel cervello. Lui non era riuscito a intuire nulla, quelli della regione parevano in alto mare: come poteva un ragazzino avvicinarsi alla soluzione?
    A un certo punto, Borghi notò qualcosa e accostò. La strada era ricca di sentieri e straducole che si inoltravano nel bosco e conducevano a chissà quali fontane, ma quello che si apriva alla sua sinistra gli pareva di non averlo mai visto. C’era un’apertura di un metro o poco meno tra gli alberi, in un punto in cui il guardrail si interrompeva. Al di là del varco, Borghi riusciva a scorgere la luce che penetrava tra le fronde e le erbacce insinuate tra il terriccio, ma solo per qualche metro. Non immaginava cosa potesse trovarsi oltre quel breve ritaglio di terra che riusciva a intravedere, perché il sentiero gli era del tutto nuovo.
    O forse era sempre esistito?
    Ne dubitava. Era cresciuto nel paese e aveva giocato tra i suoi alberi fino a conoscerne ogni angolo a memoria. Da ragazzo, quando nemmeno la seconda parte della strada era asfaltata, imboccava la via sterrata e camminava per due chilometri prima di incrociare il primo sentiero che lo portasse nel cuore del bosco. Questa apertura doveva trovarsi a non più di cinquecento metri dall’inizio del paese. Poteva già vedere il belvedere in bilico su un precipizio terroso e la cupola della chiesetta svettare sugli altri edifici.
    Ma le cose potevano essere cambiate negli anni. Percorreva ancora quella strada, ma lo faceva con minore attenzione – senza filare dritto fino al primo sentiero, col cuore in gola per la fatica di camminare su quelle salite. Andava dal paese alla città per fare compere e poi ritornava al paese, senza dar conto al numero e alla collocazione dei viottoli che si aprivano ai lati della strada principale.
    Eppure… no, non c’era mai stato. Ne aveva la convinzione, perché il suo occhio era abituato a quel paesaggio e ne avrebbe colto qualsiasi cambiamento, nonostante la sua mancanza d’attenzione. Ma il sentiero ora era lì.
    In quel momento si rese conto che c’erano delle impronte sulla terra, appena prima dell’imbocco della straducola. Passi confusi, forse due o tre paia di piedi. Alcune erano più fresche. Tutte continuavano oltre l’imbocco del sentiero, fin dove il suo sguardo riusciva ad allungarsi.
    Borghi sentì il cuore gonfiarsi fino a riempirgli il petto e un’esplosione di adrenalina correre per tutti i vasi sanguigni. Un sentiero sconosciuto, delle orme stampate che vi si immettevano. Poteva essere un inizio.
    Spense la macchina di fronte al sentiero e scese a terra. Il sole era sempre alto su di lui, e le ombre degli alberi erano tozze. La terra su cui erano impresse le orme pareva disseccata e arsa dal sole. I rami degli alberi creavano una sorta di arco striminzito, un passaggio per introdursi nella stradina. Borghi dovette chinarsi per oltrepassarlo.
    L’ambiente era tipico di quei boschi. La vegetazione verde e fitta, i tronchi imponenti e scuri, riarsi, su cui si arrampicava il muschio. Il sole penetrava a fatica tra le foglie e, poco dopo l’accesso del vialetto inondato di sole, sullo sterrato si stendeva una griglia ombrosa.
    Ma c’era qualcosa di diverso. Qualcosa di strano… di mancante. Borghi si girò immediatamente e per un attimo il varco da cui era entrato sembrò essere svanito. Solo rami e foglie fitte tutt’attorno a lui. Poi si accorse che c’era. Sembrava addirittura più stretto e basso di quanto gli fosse apparso prima, quando l’aveva scorto per la prima volta dalla strada e poi quando l’aveva attraversato. Non c’era da stupirsi che non l’avesse mai notato prima.
    Guardò davanti a sé. Il terriccio sembrava continuare per chilometri: nessuna casa, né fiumi né capannoni o fontane che si scorgevano lungo quel sentiero. C’era soltanto quella stretta strada in terra che si dipanava all’infinito. Però ai lati poteva aprirsi qualche ulteriore stradina. Una mulattiera, ingoiata tra gli alberi, e da quella parte un pozzo in cui gettare dei corpi, o dei massi con cui coprirli… Le cose cominciavano a mettersi al posto giusto. Borghi tastò la pistola d’ordinanza nella fondina.
    Camminò per una decina di minuti. Il sole era alto nel cielo – riusciva a intravederlo tra la scacchiera di foglie. L’aria era calda e umida. E c’era qualcosa di strano. Solo una sensazione che pulsava sommessamente nel fondo del petto. Non vide stradine dispiegarsi ai suoi lati. Il bosco pareva una coltre scura e inaccessibile; solo un sentiero lungo e tremulo ad attraversarlo. Un sentiero che pareva proseguire fino a quando l’occhio non lo perdeva di vista, sboccando sul nulla.
    Doveva tornare indietro. Poteva essere pericoloso inoltrarsi nel folto del bosco, con tutti quegli alberi dietro cui poteva celarsi qualcuno, quella vegetazione compatta a nascondere minacce sconosciute. Aveva trovato un traccia fondamentale per l’avanzare delle indagini, ma adesso non doveva fare l’eroe. Era tra le prime cose che imparavi, a fare questo lavoro. Si voltò e camminò verso l’accesso del sentiero. L’afa offuscava il paesaggio davanti a lui, e al di là di qualche centinaio di metri Borghi non vedeva che immaginarie pozzanghere d’acqua.
    Proseguì per qualche minuto, ma il paesaggio non mutò. Il varco d’accesso al sentiero non si intravedeva nemmeno a distanza. Continuò a camminare, fino a quando un doloroso crampo cominciò a tirare i suoi muscoli, proprio in mezzo alle spalle. Doveva essere quasi giunto a destinazione… ma allora perché la sua meta rimaneva invisibile? Stirò i muscoli e controllò l’orologio. Segnava l’una in punto. Quando era entrato nel sentiero, doveva essere passato mezzogiorno da qualche minuto. Era trascorsa quasi un’ora, quindi, ma il sole pareva non essersi mosso da quella posizione, fisso al centro del cielo.
    In quel momento il panico inondò il suo cervello, il terrore gli riempì le vene di veleno. Cominciò a correre. Le gambe scoordinate inciampavano sullo sterrato, i piedi bruciavano a contatto con la terra bollente e presto cominciò a sentire caldo dentro di sé, come se i polmoni e lo stomaco fossero immersi nell’acqua bollente.
    Si fermò e si accasciò al suolo. Forse aveva sbagliato strada. Aveva pensato di essersi voltato nella direzione giusta, ma aveva semplicemente proseguito dritto, ingannato dal fatto che la strada si distendesse allo stesso modo in entrambi i versi. Era per questo che non trovava più l’accesso. Adesso avrebbe ripreso fiato, recuperato la calma e sarebbe tornato verso l’apertura del sentiero. Poi avrebbe radunato una squadra, o informato i capi…
    Si rialzò a fatica. Le gambe erano già indolenzite, i muscoli della schiena anchilosati. Il sudore gli si era seccato sul collo e gli aveva appiccicato la camicia alla pelle. Il sole nel suo zenit sembrava sempre più abbacinante, benché gli alberi filtrassero la luce.
    Si voltò e riprese a camminare, barcollando. L’aria attorno a lui pareva troppo densa. La sensazione era quella di camminare nell’acqua. Ai suoi lati, gli alberi erano una massa compatta e impenetrabile.
    Ecco cosa manca, realizzò poi. Gli insetti. Non ho sentito il loro ronzio da quando sono entrato qui. E non sono venuti a posarsi sul mio sudore. Eppure non mancano mai.
    Ma poi il pensiero gli sfuggì, e camminò ancora nell’aria umida.

    Il sole cadeva ancora a picco su di lui quando fu costretto ad accasciarsi, spossato. Si era girato innumerevoli volte per cambiare strada, e innumerevoli volte non aveva incontrato che il bosco fitto ai suoi lati e il sentiero terroso di fronte a sé. Se quando si era introdotto in quel passaggio si era ritrovato immerso in una cascata di luce, adesso da tempo indicibile si ritrovava intrappolato in quei riquadri d’ombra.
    Intrappolato. Era la parola giusta. Intrappolato, chiuso in una bocca che l’aveva prontamente ingoiato e adesso indugiava a masticarlo e si gustava il freddo terrore nelle sue vene…
    Si rigirò nel terreno e la polvere gli entrò nelle narici. Tossì. Almeno non c’erano gli insetti. Poi si voltò e guardò il cielo e il sole.
    Sarebbe mai giunto il tramonto?
    Tutto era fermo attorno a lui. Niente vento – un altro elemento mancante in quel territorio immobile; nemmeno il suono di un ruscello in sottofondo, che era così frequente incontrare in quei sottoboschi. Non provava fame o sete: nulla di nulla. Pareva che i suoi sensi avessero perso acutezza.
    Provò a chiudere gli occhi e ad abbandonarsi al sonno – o qualcosa di più profondo. Non ci riuscì, nonostante la spossatezza dei muscoli.
    Intrappolato per sempre in quel sentiero, col sole infinito di mezzogiorno, lo sguardo a perdersi e a intontirsi dietro quei riquadri di luce e ombra…
    Forse il bosco poteva salvarlo. Era così vicino… così nero. Il tuo sguardo si poteva perdere lì dentro e potevi annusare la paura sulla tua pelle, ma tutto era meglio di quel monotono labirinto.
    Si risollevò con un ultimo sforzo e si infilò tra due alberi vicini. Forse i suoi rami gli sfiorarono le braccia. Cadde subito dopo, la testa già immersa tra la vegetazione.
    Poi venne la penombra, e nella penombra poteva scorgere la compattezza immobile del bosco. Il sonno non arrivò. Non l’avrebbe fatto mai.

    Edited by Tommas02 - 18/6/2018, 00:23
     
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