"6" come le candele accese

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  1. Francesco Gianfreda1
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    Iniziai a sistemare tutto la mattina, avevo deciso di prepararle la cena e sorprenderla con una serata classica ma allo stesso tempo diversa dal solito divano e serie TV, volevo che ogni cosa fosse perfetta e meravigliosa.
    Appena entrati in casa, sulla sinistra, ci si può affacciare sulla cucina, più spaziosa rispetto alla casa dove abitavamo prima e che con le tonalità color vaniglia dei mobili, faceva si che l'ambiente fosse estremamente confortevole. Sul piccolo tavolino in legno accostato al muro, avevo già posato i piatti di ceramica buoni con le decorazioni floreali che mamma teneva nella mensola di legno antico posta all'ingresso.
    Uscendo a sinistra si entrava in sala, scenografia perfetta per la cena.

    Come sottofondo musicale nel camino scoppiettava un grintoso fuoco che riscaldava il divano di fronte.
    A creare una delicata e calda luce si aggiungevano cinque candele bianche di altezze diverse posizionate al centro del tavolo.
    Il piano di legno bianco con venature grigiastre l'avevo allestito seguendo le regole di mio fratello che, avendo frequentato due anni di liceo alberghiero, sapeva qualcosa su come apparecchiare in modo professionale.
    Due sottopiatti di vimini erano stati messi al posto della classica tovaglia che usavamo tutti i giorni, due forchette a sinistra e un coltello, rivolto verso l'interno, a destra.
    Al centro due tovaglioli di stoffa grigi che si abbinavano alle tende e al colore del divano, sopra al suo avevo messo una scatola di cioccolatini di cui andava ghiotta e un bigliettino scritto qualche minuto prima con tanto amore.
    Dato che non stavamo insieme da molto tempo non sapevo che fiori le piacessero e se effettivamente ne avesse un tipo preferito, così avevo chiesto a mamma, uscita la mattina mentre cucinavo, di prendere un mazzo di tulipani, che a me piacciono da matti.
    Decisi di poggiarli sul tavolo avvolti in una carta rossa e di darglieli una volta arrivata a casa.
    Guardai per 'un ultima volta la sala, i mobili e le pareti bianche illuminate avevano assunto una tonalità tendente al giallo-arancione e sulle cui superfici si proiettavano ombre fugaci e vive.

    La camicia rossa che mi aveva regalato a natale con dei jeans neri strappati alle ginocchia per mantenere uno stile “casual”, erano l'outfit perfetto per quell'occasione. Non volevo essere troppo elegante e metterla a disagio ma ci tenevo comunque a darmi un tono, era il mio momento e niente e nessuno l'avrebbe rovinato.
    Era in leggero ritardo, così decisi di sedermi sulla penisola del divano a guardare un programma di cucina dal grande televisore di cui papà andava fiero.
    Finalmente suonò il citofono, il rumore gracchiante e metallico stonava con l'ambiente ospitale e confortevole, purtroppo non era di certo l'intramontabile “din-don” ma piuttosto uno sgraziato “bzz”.
    Corsi a rispondere, non che fossi in ansia ma si sa, c'è una sorta di tensione che può prendere in certe situazioni: <<sono io>>, rispose lei dall'altra parte: le aprii.
    Andai alla porta a prendere le chiavi. Per arrivare a casa c'era un vialetto sterrato e poco illuminato con alla fine il cancello automatico verde della mia umile dimora; quando vidi che si avvicinava premetti il pulsante e si aprì.
    Veniva verso di me, con il cappello che mi aveva rubato il giorno prima in testa e una sciarpa a dir poco enorme che le avvolgeva il collo e che le copriva metà del volto rintanato nel cappottone come una tartaruga nel guscio.
    Riuscivo a vedere un vestito nero con delle scarpe dello stesso colore.
    Mentre si avvicinava riuscii a guardarla meglio in volto, gli occhi di quel blu-verde incredibile che amavo erano contorti in una smorfia d'odio, le sopracciglia corrucciate rivelavano quello che provava nonostante il viso coperto, il passo svelto mi fece capire che qualcosa non andava.

    In un istante mille furono i pensieri che mi passarono per la testa, non le avevo mai nascosto niente ed ero abbastanza sicuro di non aver combinato alcun tipo di guaio, forse un messaggio che non aveva gradito o magari una questione rimasta in sospeso erano le possibili risposte al dilemma che mi attanagliava.
    La salutai piano, quasi con timore, lei neanche mi rispose ed entrò in casa.
    Entrai anch'io e chiusi la porta alle mie spalle, facendo silenzio e sperando che mi facesse capire per quale motivo fosse adirata.
    Per buoni trenta o forse quaranta secondi non disse nulla, nel togliersi il cappello si arruffò i capelli biondi, poggiò poi il cappotto sul divano e in quel momento notai che portava un altro giubbotto di pelle sotto, si tolse anche quello rivelando quello splendido vestito nero che le arrivava poco sopra le caviglie.

    Era bellissima, il colore del vestito faceva risaltare la carnagione lattea di cui lei tanto si lamentava.
    Purtroppo la sua espressione cambiò poco, quello che mutò in maniera drastica da un momento all'altro fu invece il suo tono di voce:
    <<ma tu sei completamente scemo a farmi venire qua mezza nuda con il freddo che c'è fuori?! Me sto a gelà>>.
    Pensai di aver capito male o che stesse facendo una battuta e mi sfuggì una leggera risatina:
    <<questa è l'ultima volta che mi vesto così, tu e le tue manie di perfezionismo mi danno sui nervi>>, disse lei.
    Rimasi basito, la bocca mezza aperta rivelava la mia incredulità e il mio sguardo cercava un'insignificante traccia che lei stesse scherzando.
    Avevo preparato tutto quanto, volevo farle passare un momento indimenticabile ma ovviamente non le andava bene.
    Le chiesi cosa ci fosse che non andava. Cercai di capire in che modo avrei potuto migliorare una serata che era già perfetta così. Scervellandomi intanto nel riuscire a leggere il suo viso, seguii i suoi occhi che si poggiavano sul camino e sulla tavola aspettando di vedere un cambiamento nella sua espressione che le avesse fatto capire che avevo fatto tutto per lei.
    Niente, con uno sbuffo e voltandosi disse:
    <<senti, lascia stare>>.

    Si stava prendendo gioco di me, stava insultando me e tutto il lavoro che avevo fatto dalla mattina. Mi montò una rabbia incontrollabile, le nocche delle mani si dipinsero di bianco e scoprii i denti in una maschera di odio e disprezzo.
    Se si fosse girata forse avrebbe avuto il tempo di scappare ma io fui più veloce: mi lanciai su di lei e le attanagliai il sottile collo con il braccio.
    Mi afferrò tentando di liberarsi e quando sentì che la sua forza non bastava mi graffiò sugli avambracci. Il calore del sangue usciva dalle ferite, colava fino al gomito e andava a macchiare il pavimento.
    Il battito del suo cuore era impazzito e implorava aiuto, avrebbe potuto urlare poverina ma tutto quello che usciva dalla sua bocca erano gemiti e singhiozzi.
    Dopo essersi dimenata come una matta, sentì che la forza che aveva stava diminuendo, me ne accorsi perché aveva smesso di graffiarmi e si stava accasciando su di me.
    La appoggiai delicatamente a terra, i suoi occhi vitrei e vuoti mi fissavano con aria terrorizzata e il suo volto era di un pallore innaturale; probabilmente non esisteva un'altra ragazza nel mondo così pallida come la mia lady stasera.
    Presi il telefono e composi il numero di mamma.
    Mi disse di non preoccuparmi, che evidentemente non era quella giusta e di aspettare papà che da lì a poco sarebbe arrivato.
    La ringraziai e chiusi la telefonata.
    Misi un altro po' di legna nel camino, andai in cucina e presi un accendino e il coltello più grosso che trovai.
    Quella sera avrei dovuto accendere un'altra candela, la sesta.

    Edited by KingRyuX - 14/6/2018, 21:17
     
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7 replies since 9/6/2018, 10:54   477 views
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