L'uomo senz'occhi

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    Halloween è oramai una festività che non ha niente da invidiare alle altre, le persone si mascherano, escono a divertirsi, ma per me è tutt’altro che un giorno di spensieratezza, riporta alla mente ciò che non vorrei.

    Abito in un piccolo paesino montano del nord Italia del quale preferisco non rivelare il nome, con pochi abitanti e soprattutto pochi divertimenti. Costantemente avvolto da nebbia e da sconfinate foreste di alberi sempreverdi è l’ambientazione perfetta per storie dell’orrore e racconti folkloristici, storie che io e gli altri bambini sentivamo spesso dagli anziani del posto.

    Crescendo tutto il mistero che si era creato immaginando tesori nascosti e creature del bosco andò piano piano a svanire, solo una delle innumerevoli vicende narrateci mi è rimasta impressa sino ad oggi, sia per i suoi dettagli estremamente cruenti sia perché ho vissuto sulla mia pelle che non si trattava soltanto di finzione: l’uomo senz’occhi.

    L’uomo senz’occhi, per quanto ricordi, era una figura molto ricorrente nei racconti, una sorta di uomo nero, un demone probabilmente, che ogni 31 ottobre usciva dai freddi ed umidi boschi assumendo sembianze umane per portare con sé i bambini che non avevano l’accortezza di uscire con un adulto.

    Veniva descritto come un uomo di età avanzata, molto alto e snello, con una bocca più grande del normale che celava denti appuntiti come quelli di un predatore ed un viso segnato da cicatrici e graffi, riconoscibile soprattutto dal cappello che indossava per nascondere le due cavità in prossimità dei bulbi oculari, in modo da non spaventare i bambini che, incuriositi dalla sua simpatica goffaggine, gli si sarebbero sicuramente avvicinati.

    Una volta catturati i bambini venivano trascinati nel suo rifugio, una vecchia capanna a ridosso di un gigantesco faggio, resi schiavi e divorati un po’ alla volta, in modo da resistere al lungo inverno ed all’estate afosa che intercorrevano tra un 31 ottobre ed il successivo.

    La possibilità di vederlo ad occhio nudo svaniva con l’età adulta sebbene potesse essere comunque avvertito o catturato mediante l’utilizzo di un “terzo occhio”, come una telecamera o uno specchio.

    Sembrava uno dei moniti più banali mai escogitati, il solito cliché del mostro cannibale per evitare che i bambini più spericolati uscissero la sera di Halloween e per regalare ai genitori una serata di tranquillità, se non fosse che la situazione era l’esatto contrario: prima che calasse il sole le famiglie, compresa la mia, in fretta e furia si rinchiudevano in casa, sigillando l’ingresso a più mandate ed oscurando ogni possibile orifizio dal quale fosse possibile spiare l’interno, obbligando i più piccoli a non guardare mai fuori dalle finestre e soprattutto a non uscire dall'abitazione.

    Con tutta l’ingenuità dei nostri 7 anni io ed i miei amici eravamo sicuri che si trattasse di una trovata dei nostri genitori per elevare all’ennesima potenza le parole che ascoltavamo di tanto in tanto riuniti intorno ad un focolare, così come a natale lasciamo i biscotti vicino al camino ad Halloween chiudiamo tutto per non permettere all’uomo senz’occhi di entrare.

    Fu così che, guidato dallo spirito d’avventura e dalla voglia di dare una lezione a quella creatura disegnata dai crepitii delle fiamme mentre ne venivano raccontati gli efferati omicidi, il 31 ottobre del 1989 mi addentrai nel bosco subito dopo pranzo, armato di fionda e di un grosso pezzo di legno che a malapena riuscivo a tenere dritto. Pensavo sarebbe stata una figata se invece dei soliti vecchi fossi stato io stesso a narrare una storia, la MIA storia.

    Era chiaramente una battaglia immaginaria, non andavo realmente a caccia di qualcosa di concreto, dentro di me sapevo che non avrei trovato niente, piuttosto andavo a caccia del brivido dell’ignoto, una ricerca comune a tutti i bambini che si stanno affacciando all’età preadolescenziale.

    Il clima non era dei migliori, una tipica giornata di ottobre in montagna, caratterizzata da umidità e da un cielo tutt’altro che rassicurante, i pochi raggi di luce che oltrepassavano la coltre di nuvole venivano assorbiti dalle particelle d’acqua nell’aria.

    Decisi che avrei iniziato da una delle tante strade che dal mio paesino portavano a grosse terre incolte, deviando verso valle quando ne avrei avuto voglia abbandonando ogni tipo di sentiero, solo io, la natura e l’uomo senz’occhi.

    Scendendo controllavo meticolosamente il mio orologio che a malapena sapevo leggere, avevo stimato un tempo massimo di 2 ore per la riuscita della missione, il tempo massimo affinché non saltasse la mia copertura, se i miei mi avessero scoperto non avrei dovuto temere niente, sarei stato rinchiuso in casa in punizione fino all’Halloween successivo.

    Mano a mano che avanzavo lasciavo dei segni del mio passaggio, spezzando dei rami o con costruzioni improvvisate di rocce e bastoni. Il bosco si faceva sempre più fitto, l’umidità nell’aria trasformava ogni respiro in una nuvola densa che svanendo si riuniva alla nebbiolina che aleggiava nell’aria.

    “Non può essere troppo lontano”, questo pensiero riecheggiava nella mia mente più forte ad ogni passo che facevo, forse era semplicemente il mio subconscio che mi suggeriva di tornare indietro, ero solo un marmocchio di appena 7 anni in mezzo al nulla, alle mie spalle la civiltà svaniva, davanti a me l’ignoto.

    Guardando l’orologio mi accorsi che avevo camminato per un’ora e dieci minuti, preso dallo sconforto stavo per tornare indietro quando in lontananza lo vidi, dietro qualche arbusto si ergeva maestoso un faggio gigantesco, conoscendo bene la zona e la sua vegetazione capii immediatamente che quello era il faggio di cui avevo sentito parlare tante volte, infatti bastarono pochi passi affinché potessi scorgere la cabina proprio accanto all’albero, in un piccolo spiazzo.

    Una modesta costruzione in legno, logorata dal tempo e dalle intemperie, munita di due finestre entrambe sbarrate con tavole di legno. Mi misi a qualche metro dall’entrata, esaurendo la dose di coraggio che fino ad ora mi aveva spinto all’inverosimile. Se già arrivato a quel punto la luce penetrava a malapena il fitto fogliame, la piccola costruzione sembrava inghiottire anche quel poco che riusciva a filtrare dall’alto: non c’era nessuna porta ma non potevo vedere assolutamente niente all’interno, l’ingresso era illuminato per pochi centimetri e poi solo oscurità.

    Nell’attimo in cui stavo per prendere una decisione, andarmene o avanzare, vidi spuntare dall’angolo in basso della porta una mano pallida ed ossuta che si teneva ritta sulla punta delle dita, poi un’altra, seguita dalla testa e dal busto di una figura umanoide che mi scrutava dall’entrata della sua abitazione come fosse un animale domestico.

    Ci volle poco perché questa si alzasse, mostrando una statura sproporzionata al resto del corpo, al punto che dovette abbassarsi di poco per passare dalla porta. Pervaso da un misto di frenesia e terrore capii ben presto chi fosse, ma tutto mi fu più chiaro quando frugandosi dietro i pantaloni tirò fuori un cappello trasandato che si mise prontamente in testa, lasciando scoperta la parte dal naso in giù, accennando un piccolo inchino.

    Ero distante qualche metro da lui, la nebbia mi impediva di vederlo chiaramente, nel dubbio sfoderai il bastone come fosse una spada tenendolo saldamente con due mani, intimandolo di non avvicinarsi.

    L’uomo di sua risposta cominciò lentamente ad avviarsi verso di me con la testa chinata verso il basso, la schiena ricurva in avanti e le braccia penzolanti che assecondavano i suoi movimenti. Non c’era nessun suono nella foresta, come se il tempo si fosse fermato. Si potevano solo udire i rumori sgraziati dei suoi passi che incontravano rametti e foglie secche, accompagnati da strani e grotteschi scricchiolii provenienti dalle articolazioni, come se si stesse sempre ricomponendo dalla forma a quattro zampe assunta prima.

    Una volta a distanza di pochi metri potei vederlo per come era davvero, o almeno per come fosse in quel momento, vestito con un normale paio di jeans a vita alta ed una maglietta nera, alzò la testa e sorrise.

    Non so cosa mi terrorizzò di più, se la mancanza di occhi, i denti frantumati volontariamente per appuntirne la cima o il volto lacerato coperto di pustole e ferite grondanti. Continuava a muovere la testa freneticamente ed il suo respiro si faceva sempre più pesante ed affannoso, il sorriso si tramutò ben presto in un’espressione di disprezzo, lasciando trasudare una cattiveria non appartenente a questo mondo. Nonostante la mancanza di occhi percepivo ogni sua singola emozione, capii che sarebbe passato ancora poco prima che si sarebbe avventato su di me.

    Le mie mani tremanti lasciarono cadere a terra l’arma ed al suo minimo cenno di movimento risposi con uno scatto altrettanto fulmineo in direzione opposta.

    Seguii abilmente le tracce lasciate in precedenza, voltandomi all’occorrenza per vedere gli arbusti che si piegavano al passaggio della creatura che affannosamente cercava di starmi dietro, priva della dose di adrenalina che in quel momento aveva pervaso ogni parte del mio corpo e che mi permise in poco tempo di ritornare alla strada dalla quale ero sceso, dove rividi finalmente qualche flebile raggio di luce. Continuai comunque a correre, voltandomi un’ultima volta per vedere l’uomo senz’occhi in mezzo alla strada, che mi fissava con la testa chinata da un lato ed un sorriso contorto stampato sul volto. Non appena mi sentii al sicuro mi accasciai a terra e piansi copiosamente, mischiando le lacrime al sudore.

    La sera stessa non parlai molto, quasi per niente a dire la verità. Raccontai ai miei genitori che nel tragitto di ritorno ebbi uno sfortunato incontro con un cinghiale ed i suoi piccoli che mi costrinse a scappare a gambe levate.
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    Passò qualche anno dall’accaduto. Il giorno di Halloween continuavano a sparire bambini ma tutto taceva, sapevo che chiunque era a conoscenza del perché tutto ciò stesse succedendo ma nessuno aveva il coraggio di parlarne, fu così che giurai a me stesso che compiuti 18 anni mi sarei trasferito in città.

    L’unica persona in famiglia che sapevo mi avrebbe ascoltato era mia nonna, se avessi parlato dell’uomo senz’occhi ai miei non avrei ricevuto alcuna risposta, o peggio ancora avrebbero tirato fuori motivazioni del tipo “avevi un amico immaginario” o “i bambini hanno una grande immaginazione”.

    Fu così che un pomeriggio, mentre eravamo soli io e lei all’ora di pranzo smisi di mangiare e, guardandola negli occhi, le inizia a raccontare cosa mi accadde quell’Halloween. Conclusi il mio interminabile monologo chiedendole <nonna, dimmi tutto ciò che sai sull’uomo senz’occhi>.

    Mi fissò per qualche secondo, per poi alzarsi ed andare in un’altra stanza senza proferire parola.

    Tornò con un pezzo di carta, me lo mise in una mano e prendendomi l’altra lo chiuse tra le due. Mi pregò di andarmene mentre stava per scoppiare in lacrime, capendo di aver urtato troppo la sensibilità di una vecchia di ottant’anni feci come mi chiese.

    Appena fuori casa lo aprii, era una foto: c’erano 3 bambini, la più grande era chiaramente mia nonna, inizialmente non individuai subito i due più piccoli ma capii ben presto che erano i suoi due fratellini di cui mi parlò spesso. Mi disse che erano stati dati in adozione in quanto la famiglia, molto povera, non era in grado di accudire tre figli. Purtroppo, guardando meglio la foto, mi resi presto conto del perché mia nonna fosse scoppiata in lacrime, e che i due piccoli in realtà non sono andati più lontani dei freddi boschi dove quel giorno fronteggiai le mie paure e ne uscii vincitore.

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    Edited by RàpsøÐy - 6/2/2018, 16:13
     
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