Qualcosa di sbagliato

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  1. Tommas02
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    C'era qualcosa di sbagliato in quel paese.
    Luigi se n'era accorto dal primo sguardo scambiato con un vecchietto seduto su una panchina all'ingresso del borgo. Gli era sfilato davanti in macchina e aveva notato come gli occhi del vecchio, da spenti e vaganti che erano, si fossero fissati su di lui, spalancati. Il contatto visivo era durato un secondo, ma subito dopo Luigi si era fermato di fronte al rosso di un semaforo, che aveva trovato stranamente posizionato: non c'era nessun incrocio, nei paraggi. Aveva comunque rispettato il divieto e, mentre aspettava che scattasse il verde, aveva continuato a osservare il vecchio dallo specchietto retrovisore. Il viso, da un groviglio di rughe pallide, si era disteso, e allo stesso tempo aveva preso colore. Un rosso dolce che gli aveva reso vive le guance. Gli era parso anche di vedere un bagliore istantaneo nel fondo dei suoi occhi, ma non avrebbe potuto dirlo con sicurezza: poteva essersi trattato di un abbaglio dovuto al sole, quasi basso a metà pomeriggio.
    Poi c'era stato l'incontro con il titolare di un bar, situato su un lato di un ampio piazzale che si apriva subito dopo la panchina occupata dal vecchio. Era un posto buio, che puzzava di umido e di residui di cenere e vomito. Il titolare era un uomo allungato, con una zazzera crespa che arrivava fino al collo.
    «Buongiorno» aveva detto Luigi con un sorriso.
    L'altro aveva indugiato un poco. «A lei» aveva fatto poi, anche lui sorridendo. Ma era un sorriso che si estendeva solo da un lato e Luigi l'aveva trovato vagamente spaventoso. «Come posso aiutarla?»
    «Stavo cercando un amico. Nicola Marto. Il nome le dice qualcosa?» Sperava e credeva di sì: si era informato su internet, e aveva scoperto che il paese contava poco più di cinquecento abitanti. Era probabile che il proprietario di un bar li conoscesse tutti, o quasi.
    Ancora qualche attimo di silenzio. «No. Non lo conosco. Ma se vuole può provare a descrivermelo». Il suo viso era un mare di calma piatta. Solo quel mezzo sorriso laterale sulle labbra, che sembravano di un rosso troppo splendido. Ma forse era solo il contrasto con il buio del locale.
    «Sì, certo. È robusto, di media altezza. È sulla trentina. Ha i capelli ricci e lunghi. Deve averlo visto: qui non siete poi tantissimi». Aveva cercato di strizzare l'occhio, ma il proprietario aveva mantenuto la stessa inflessibilità. Anzi, forse si era addirittura incupito, anche se nell'oscurità fitta era difficile cogliere qualche smorfia.
    «Mi dispiace, ma credo di non conoscerlo». Il sorriso si era allargato di di un po'. «C'è altro?»
    «No. Grazie mille lo stesso» aveva detto Luigi con un sorriso stentato. Era entrato lì dentro con l'intenzione di sorseggiare un buon caffè - il viaggio era stato lungo e la strada impervia -, ma adesso gli era passata la voglia. Aveva bisogno di aria.
    Aveva bisogno di uscire da quella catapecchia.
    Era rimontato in macchina e aveva imboccato una salita ripida in sampietrini. In cima, aveva trovato la chiesa. La porta era aperta, ma non era riuscito a distinguere l'interno: troppo buio. Aveva lasciato la macchina lì davanti, con le quattro frecce accese, perché di parcheggi non c'era nemmeno l'ombra.
    La chiesa era gelida rispetto all'aria esterna, che pure era frizzante. C'era odore di incenso e di qualche altra essenza che non aveva riconosciuto. Il miscuglio era nauseante, comunque.
    E allora la sensazione si era rinsaldata. C'era qualcosa di sbagliato in quel paese.
    Nella chiesa c'erano solo due persone. Luigi adesso stava osservando entrambi e proprio non riusciva a capire cosa quella vista stesse a significare, o se i suoi occhi lo stessero ingannando.
    Un prete sull'altare, con gli occhi socchiusi, che muoveva le labbra senza emettere alcun suono. O, se lo emetteva, sicuramente non arrivava in fondo alla chiesa, dove si era fermato Luigi. Muoveva le braccia con lentezza e solennità.
    Appena sotto i gradini, invece, era inginocchiata una bambina. Era minuta, dei capelli corti portati a caschetto le ricadevano sul volto chinato.
    «Scusate» riuscì a scandire, ancora stordito. Il suono gli venne fuori spezzato e flebile, ma bastò, perché il prete aprì gli occhi, smise di muovere le labbra e fece un cenno alla bambina.
    Luigi camminò nella navata centrale verso i due. «Buongiorno».
    «Buongiorno» rispose il prete. Adesso Luigi poteva guardarlo da vicino: i lineamenti erano duri, provati, e sotto la pelle s'intravedevano le vene verdi delle guance. «Le serve qualcosa?»
    «Sì». Inspirò una profonda boccata di aria gelida e nauseabonda. Sentì i polmoni che dolevano e tiravano. «Stavo cercando un amico. Ho chiesto al barista, nella piazza di sotto, ma non ha saputo aiutarmi. Scusate se vi ho interrotto».
    I due si scambiarono un'occhiata. La bimba aveva il naso piccolo e i lineamenti dolci, ma dal modo in cui teneva le spalle dritte e dalla fierezza del suo sguardo, Luigi avrebbe giurato che fosse almeno un'adolescente. Un'adolescente senza alcun accenno di seno e alta un metro e mezzo. L'idea lo fece sorridere.
    Il prete tornò a rivolgersi a lui. «Le sconsiglio di incontrare il suo amico qui. Non capisco nemmeno perché l'ha invitata, sinceramente».
    «Non mi ha invitato. È una sorpresa. E poi era anche un'occasione per visitare il paese: non ha mai voluto parlarmene». Da quei pochi minuti che ci aveva passato, però, capiva perfettamente perché Nicola non gli aveva mai parlato del paese. Se l'era già detto due volte, no?
    Qualcosa di sbagliato.
    «Non è detto nemmeno che sia qui, allora. Magari è fuori per lavoro o per altri motivi». C'era fermezza, nella voce del prete. In qualche modo, era una nota che lo rassicurava.
    «Credo che sia qui, invece. Ci ho parlato ieri e ne sono abbastanza sicuro».
    Il prete fece un respiro profondo e sibilante. Le sue labbra si erano piegate verso il basso, come in una smorfia di rassegnazione. Si piegò verso la bambina e disse qualche parola che Luigi non capì del tutto. Però forse gli parve di intuirle: Dobbiamo cacciarlo.
    «Va bene. Glielo dirò. Sta parlando di Nicola, giusto? È lui il suo amico».
    Il suo cuore ebbe un balzo. E lui come cazzo faceva a saperlo? Annuì solamente: la bocca si era seccata e, se avesse provato a parlare, gli sarebbe venuto fuori solo un verso rauco.
    «Immaginavo. Glielo dico. Però facciamo un patto: se io le do l'indirizzo, lei mi promette di andare via entro le sette di sera. Non più tardi».
    «Ma perché?» disse Luigi. Anzi: quasi lo urlò. Le parole riecheggiarono nella chiesa, per spegnersi poi dopo qualche secondo. Il suo cuore era un pesce che si dibatteva nella rete.
    «Non posso spiegarle adesso. Le dico solo che non dev'essere qui dopo quell'ora. Si fidi di me. La prego».
    «Mi dia l'indirizzo. Poi vedrò io come fare. Non ci sono locande, alberghi, nei paraggi?» Tentò di usare il suo tono più asciutto e sicuro, ma gli parve di percepire l'agitazione della sua stessa voce.
    «Niente. Nessun locale». Un altro sospiro, un altro sguardo con la bambina. «Anche se le dessi l'indirizzo, non lo troverebbe mai. Nessuno l'aiuterebbe. La accompagnerà Lucia». Per un attimo Luigi si chiese chi diavolo fosse Lucia; poi, guardando il gesto del religioso, capì. Certo, la bambina.
    «Grazie». Si sforzò di sorridere, poi si avviò verso l'uscita.
    A qualche metro dal portone, però, la voce del prete lo bloccò. «Mi ascolti, quando le dico di andare via».
    Luigi non si girò. Rabbrividì, e all'improvviso gli precipitò addosso un'altra consapevolezza.
    Non c'era solo qualcosa di sbagliato. C'era anche altro.
    Qualcosa di malvagio.

    Poi riprese a camminare. Le gambe erano sabbia sgretolata, la luce esterna gli faceva male agli occhi. Pensò di ascoltare il consiglio del prete: sarebbe andato via subito, abbandonando il suo proposito di fare la sorpresa all'amico.
    Chiuse gli occhi, respirò a fondo.
    Solo un prete. Chissà cosa c'era, nella testa di quello. Già quel modo di comportarsi quando Luigi era entrato in chiesa - gli occhi chiusi, i gesti lenti e incomprensibili - non era poi tanto normale.
    Calma, si disse. Hai incontrato due tizi strani: non è detto che siano tutti così.
    Ma il cuore nel petto non dava segno di voler cessare la sua corsa e il fatto che il prete avesse indovinato il nome del suo amico dava alle sue parole un'aria più realistica. Realistica e inquietante, anche.
    Il paese era carino. I vicoli che si incrociavano, i ciottoli invece che l'asfalto, le piccole case dai tetti spioventi al posto dei palazzi anonimi. Un altro mondo, più calmo e pulito, rispetto al caos e alla ferocia delle città.
    Il sole continuava ad abbassarsi. Ancora non si nascondeva dietro le montagne grigie che svettavano qualche chilometro oltre la città, ma mancava poco. Il cielo si era già lievemente imporporato e presto sarebbe diventato di un rosso più intenso.
    Le vie erano quasi deserte e la bambina tacque per tutto il tempo. Forse era meglio così: lui aveva lasciato l'auto di fronte alla chiesa e doveva ricordare la strada per potervi tornare.
    A un certo punto, nei pressi di una discesa ripida, due cani iniziarono a latrare verso di loro. Avevano gli occhi rossi, sangue alle estremità. Uno dei due aveva un filo di bava che colava, in equilibrio sul pelo bianco e sporco. Facevano dei salti sulle zampe e continuavano a sbraitare, ma non si avvicinavano a loro. Uno dei due - quello con la bava alla bocca - fece qualche passo in più, poi balzò all'indietro con un guaito di dolore. Nei suoi occhi ora c'era un odio profondo, che brillava e prometteva vendetta.
    Cominciarono a ululare. Era un suono profondo, duro. Luigi esitò per un momento. Non aveva paura dei cani... di solito. E nemmeno questi lo stavano spaventando, per quanto fossero grossi e inferociti. Però provo l'improvviso bisogno di voltarsi, correre su per la salita, rimettersi in macchina e scappare.
    Qualcosa di malvagio, ricordò.
    Rabbrividì. Ora arrivavano ululi da ogni parte: più attutiti quelli dei boschi che circondavano il paese come una cinta verde; forti e vicini - troppo vicini - versi che sembravano provenire dai vicoli accanto ai quelli in cui loro camminavano. La bambina però procedeva con passo deciso e sembrava non essersi nemmeno accorta dei versi che li stavano ricoprendo. Il suo atteggiamento lo tranquillizzava. Pensò che, se c'era lei al suo fianco, non poteva correre pericoli.
    L'idea che a proteggerlo dovesse pensarci una bambina nemmeno adolescente lo fece sorridere. Smettila, stupido. Non c'è nulla da cui dovrebbe proteggerti.
    Adesso erano arrivati davanti alla casa di Nicola. Non ci fu bisogno che la bambina glielo dicesse: lo capì perché quella era l'unica casa in cui ci fossero delle luci accese. Tutte le altre erano buie, con le tapparelle serrate e mucchi di foglie gialle all'esterno. Dietro le tende di quella casa, scorse un'ombra che si muoveva. Un'ombra con i capelli lunghi e ricci: Nicola. Gli scappò un sorriso. C'era arrivato, nonostante la strana reticenza degli abitanti del posto.
    «Puoi andare. Grazie. E ringrazia il parroco: è stato gentilissimo a farmi accompagnare fin qui» la congedò con un sorriso. L'altra fece un cenno breve con la mano e si voltò.
    Luigi stava già cercando il campanello quando la bambina parlò. «Signore, dia ascolto al prete». Aveva una voce ferma che stupiva, addosso a un'età così piccola. «È importante».
    Si voltò per risponderle, ma quella aveva già ripreso a camminare. O meglio: corricchiava. I suoi passi erano brevi e frequenti e Luigi pensò che assomigliasse a una lucertola.
    Diede uno sguardo al sole. Il suo orologio segnava appena le sei e trenta, ma quello era solo una macchia rossastra ormai morente, e la luminosità era calata. Adesso per guardarsi intorno doveva sforzare gli occhi. Strano: in città, adesso che ottobre era appena cominciato, il sole cominciava a scendere quando erano passate le sette. Poi notò un dettaglio particolare: nella via non c'era nessun lampione. Anzi, se ci pensava bene, non ricordava di aver visto lampioni in tutto quel paese.
    La porta non aveva campanello, quindi diede due colpi con le nocche sul legno pesante. Riecheggiarono due tonfi sordi e, dopo qualche secondo, la luce in casa si spense.
    Che cosa stava succedendo?
    Batté altre due volte sulla porta. Nessuno rispose. Eppure Nicola era lì dentro. Lo sapeva: la strada era buia, sì, ma non tanto da impedirgli di vedere il profilo dell'amico che, lentamente, strisciava nella stanza. Perché si stava nascondendo?
    «Nicola, sono Luigi. Aprimi, per favore». Ma la voce gli era venuta fuori debole e dovette schiarirsi la gola. L'ululo dei cani, ormai diventato un sottofondo inavvertito, si fece più cupo e minaccioso. «Nicola!» urlò con tutto il fiato che aveva.
    Dopo qualche secondo la porta si dischiuse. Luigi scorse il naso affilato dell'amico, appena riconoscibile nell'oscurità fitta.
    «Nicola!» Non sapeva perché, ma alla vista dell'amico si era sentito più tranquillo. «Volevo farti una sorpresa! Fammi...»
    «Vai via. Corri». Era stato solo un sibilo. Un brivido gli corse dietro la schiena.
    «Ma che cosa...»
    Luigi lo bloccò con una mano, poi guardò alle sue spalle, nella direzione del sole. «Abbiamo cinque minuti. Non di più». Un respiro profondo. «Entra, veloce». Sparì nel buio.
    Luigi lo seguì. Sentiva le gambe molli che, da un momento all'altro, sarebbero annegate nel mare nero che si apriva davanti a lui. Accelerò il passo e sperò di indovinare la direzione dei passi dell'amico.
    Fu fortunato: Nicola era entrato in una piccola cucina. Un tavolo rotondo, due sole sedie poste di fronte. Alla parete, uno a fianco all'altro, erano appesi due calendari: uno gregoriano, con immagini di santi e frasi tratte dalla Bibbia; l'altro, che consisteva in un'unica grande pagina, aveva un altro ordinamento. Non riuscì a scorgere bene di cosa si trattasse: la luce lì almeno alleviava l'oscurità, ma non abbastanza da consentire una lettura tranquilla. Non ebbe nemmeno il tempo di studiarlo: l'amico cominciò a parlargli, mentre trafficava con le mani vicino alla parete.
    «Abbiamo poco tempo, per questo non mi bloccare». Poi trovò l'interruttore della luce, che si accese singhiozzando, e si voltò verso Luigi. «E, appena te lo dico, vai via. Anche se ormai credo che sia troppo tardi».
    Luigi ebbe il modo di vedere il viso dell'amico. Gli occhi neri parevano infossati in un paio di orbite troppo grandi. Sulle guance sopravviveva la barba di qualche giorno, delle spaccature rossastre gli si erano formati sulle labbra. I capelli erano sempre ricci e lunghi, ma lucidi e sfilacciati, come annegati nell'unto. «Va bene, parla». Più che spaventato, si sentiva scoraggiato.
    «Non so se riuscirai a tornare in macchina. Immagino che, se sei arrivato fino a qui, tu l'abbia lasciata di fronte alla chiesa. Don Dante ha ordinato alla bambina di accompagnarti, giusto?»
    Luigi non sapeva cosa dire. Non conosceva il nome del prete, ma Nicola ci aveva azzeccato. Sentiva il battito del suo cuore nelle tempie.
    Perché non dovrei riuscire a tornarci?
    «"Perché non riuscirò a tornare in macchina?" ti chiederai». Guardò per un attimo nel vuoto, poi riprese. «Perché le strade cambiano. La via che dovrai prendere al ritorno sarà diversa da quella con cui sei arrivato. Certo, c'è la probabilità che la nuova combinazione abbia lasciato intatta la strada da qui alla chiesa, ma...» Fece un sorriso, ma gli occhi erano sempre annegati nelle orbite e l'effetto fu triste. Luigi capì da solo come sarebbe finita la frase.
    «Ma cosa vuoi dire? Nicola, su, sono venuto fin qui...» Aveva l'impressione che l'amico fosse mezzo ubriaco.
    «Ricordi cosa ti ho detto all'inizio? Fai parlare me. Ci è rimasto poco tempo». Chiuse gli occhi e si toccò la testa, come per riordinare i pensieri. «Succede così. Non so dirti il perché, non so quando me ne sono accorto. Lo sai, io sono nato qui, e... Non importa. Non devo divagare. Per me è una cosa normale. Succede perché in questo paese c'è...»
    «Qualcosa di sbagliato» lo interruppe Luigi. La gola gli si era seccata di nuovo.
    «Esatto» disse Nicola. La sua espressione era rimasta inflessibile, e solo un altro sorriso incavato inarcò le sue labbra. Non sembrava stupito, in ogni caso. «Esatto. Qualcosa di malvagio».
    Luigi lo sapeva. Non capiva cosa ci fosse, di così malvagio, ma intuiva la presenza di qualcosa. L'aveva percepita sin dall'inizio: ora si spiegava quel lampo rossiccio negli occhi del vecchio all'ingresso del paese. E adesso quella presenza malvagia cominciava a inquietarlo. Nicola non gli sembrava un avvinazzato, adesso.
    «Qualcosa di malvagio che vuole che tu resti qui. E se questo accade, al tramonto...» Anche qui l'allusione, insieme a quella mezza smorfia, fu sufficiente. Luigi adesso tremava. Era una follia, certo, e alle follie non bisogna dar corda... ma come mai era già la seconda persona a dirgli una cosa del genere? Il prete era stato più generico, ma il significato era lo stesso.
    «Non posso restare da te per la notte?»
    «Non puoi».
    «Ma perché?» Vuoi mandarmi in pasto a quella cosa malvagia? Non lo disse, però. Era una follia, no?
    L'altro rincorse qualche pensiero con lo sguardo nel vuoto. «Mettiamola così. Io, quando il sole scende, so come difendermi. Sono uno dei pochi ancora sani qui dentro, e devo restare in paese perché così sono attratti da me... da me, dal prete e dalla bambina. Se non ci fossimo noi ad attrarli, loro uscirebbero dal paese e porterebbe il male lì fuori». Fece un gesto vago e tacque per qualche secondo. «Se siamo in casa insieme, però, l'attrazione raddoppia. Io so come resistere a una sola tornata, non a due. E tu... nemmeno capisci di cosa sto parlando».
    L'inquietudine era diventato terrore. Terrore puro. Desiderò trovarsi nel suo letto a dormire, oppure dall'altra parte del mondo... anche annegato nel mezzo dell'oceano sarebbe andato bene.
    Ovunque, ma non lì.
    «Cosa stai dicendo?» La voce era tutta un tremore.
    «Lo so cosa stai pensando. Uno: sono pazzo, non devi darmi retta. Due: qualcosa di strano l'hai notato e le mie parole, in realtà, non sono così da pazzo». Su entrambi i punti, constatò Luigi, l'amico aveva indovinato. «Adesso però lascia stare e vai via. C'è ancora Lucia qui fuori?» chiese, alzandosi. Cominciò a camminare verso la porta, ma Luigi non ebbe la forza di seguirlo.
    Scosse solamente la testa. La bocca era ormai un pezzo di cemento lasciato a cuocere sotto il sole. Poi riuscì a dire: «L'ho mandata via quando siamo arrivati qui».
    Nicola rallentò con la sua camminata e lo guardò. Il viso era pallido, smagrito, e i capelli sembravano una corona di spine sporca di grasso. «Immaginavo. Allora fai una cosa: corri. Non importa dove, tu corri. Anche perché, te l'ho detto, le strade cambiano di continuo, e solo chi abita qui sa bene quale direzione prendere. Io però non posso uscire. Se sei fortunato e riesci a trovare la macchina, saltaci su e scappa. È l'unico modo».
    Non credergli. Non devi credergli. È impazzito, forse ubriaco.
    Ma, se ascoltava la sua parte più istintiva, sentiva che l'amico aveva ragione.
    Forse però era meglio credere il contrario. La sua salute mentale ne avrebbe giovato.
    Giunsero alla porta. «Vai, amico... e buona fortuna» disse Nicola. Poi aprì la porta, che emise un lamento. «E scusami se non ti ospito stanotte. Capire forse è impossibile, però...»
    Luigi fece un passo fuori. Non salutò l'amico e aspettò che la porta si chiudesse con un tonfo. Rabbia e paura ribollivano nel petto, i suoi occhi si erano gonfiati e si sentiva sul punto di piangere. Il sole era visibile solo per una lama sottile, appena oltre la V formata dall'incrocio tra due montagne.
    Iniziò a correre. L'ululo dei cani - o forse dei lupi?- si era fatto più vicino, più grottesco, e ogni secondo che passava la minaccia sembrava più incombente. Le strade erano deserte, il sole non era più visibile e aveva lasciato solo la sua scia rossa. Un'occhiata all'orologio, senza bloccare le gambe: le sette meno tre minuti.
    Tentò di seguire la strada dell'andata, ma in cima alla salita la chiesa non c'era più. Né quella né la macchina. Al posto di quella, una vecchia casa gialla con le finestre sbarrate. Si fermò per qualche secondo, piegato sulle ginocchia. Forse allora Nicola aveva ragione. Pensarlo adesso gli metteva addosso i brividi. Ma non aveva già creduto alle sue parole, con quella sua corsa pazza senza meta? Aria gelida gli entrava nei polmoni e glieli squarciava. Il buio ora era più fitto e del sole era scomparsa anche la scia rossa. Riprese a correre. Sbucò in un vicolo, tentò di svoltare in un altro, percorse una strada che puzzava di ammoniaca e pelo sporco. Risbucò di fronte alla stessa casa gialla. L'ululo sempre più vicino, come un cerchio che si stringeva fa ogni lato. La luna non c'era, o forse era nascosta dalle nuvole grigie sulla sua testa.
    Poi, mentre scendeva verso il basso, ancora correndo, sentì due suoni.
    Un ringhio, in basso. Riuscì a distinguere la sagoma di un uomo robusto, dalle spalle spesse, un po' piegate in avanti. Le braccia erano lunghe e ciondolavano nel vuoto. Nel buio, gli occhi brillavano ed erano rossi.
    In basso, invece, una voce. La riconobbe subito: il prete! Si girò verso quella direzione e cominciò a correre.
    Uomini simili al primo ora venivano fuori da tutti i vicoli. Le spalle larghe e pesanti, la schiena curva, gli occhi rossi e famelici. Ringhiavano, ma non era un ringhio da cane. Era qualcosa che apparteneva a qualche altra bestia, un suono più rauco e stertoroso.
    Come di un animale morente.
    Cominciarono a corrergli dietro. All'inizio i loro passi erano pesanti, i corpi grossi facevano da ostacolo alla loro corsa. Luigi continuava a correre lungo la salita, che pareva essersi fatta più ripida. Inciampò su due sampietrini sconnessi e si procurò un'abrasione a una gamba, ma si rialzò e continuò la sua corsa. Il prete era più lontano di prima. Gridava ancora, ma era un grido soffocato dai ringhi che aveva vicino.
    Poi gli uomini cominciarono a correre sostenendosi anche sulle braccia. Così parevano decisamente a loro agio e, se prima Luigi era riuscito a tenerli a distanza, ora la distanza che li separava stava diminuendo.
    Diminuendo sempre di più.
    Il prete era sparito. Forse aveva deciso di salvare almeno se stesso, pensò Luigi nella corsa. Sentiva ormai le gambe pesanti e il respiro rotto. Non sarebbe durato ancora per tanto e non aveva ancora scorto la sua macchina.
    Inciampò di nuovo, e questa volta gli uomini gli furono addosso. Sentì un dolore lancinante a una gamba e uno squarcio che si apriva nell'addome. Una delle bestie gli saltò sulla gola. Ebbe l'occasione di vederne il viso.
    Occhi rossi da demone, saliva lucida sulle labbra vermiglie. Nell'oscurità, appena prima che quello gli azzannasse il collo, Luigi scorse due incisivi appuntiti e splendenti.
    Poi il dolore cessò. Una coltre nera cominciò a oscurargli gli occhi, ma non era rilevante: era da tempo che non vedeva la luce. Diede un ultimo sguardo al suo corpo. La gamba destra non c'era più e sbucavano i tendini bianchi e qualche muscolo sanguinante. Il braccio, invece, era rimasto attaccato alla spalla. Solo che una spinta di un'altra di quelle cose glielo staccò del tutto e lui ebbe la visione del suo sangue che sgorgava come uno zampillo da una fontana. Provò ribrezzo.
    Nessun dolore, però.
    Poi il mondo divenne di un nero più profondo.

    Edited by Tommas02 - 27/10/2017, 20:11
     
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3 replies since 16/10/2017, 16:21   352 views
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