Una cena rumorosa

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  1. Legolas00
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    Alla cena del signor Fabrizi non c'era solo tutta la parentela estesissima sia di lui che della moglie, ma aveva ben pensato, ovviamente accordandosi con quest'ultima, di permettere a ciascun invitato di portare "al massimo" e dico al massimo, uno o due amici.
    Ciò che ne venì fuori solo Dio lo sa, sebbene il signor Fabrizi possedesse una di quelle case che a vederle rimandano l'immaginazione ai film di mafia e sebbene le sale fossero molte ed ampie (e ben arredate), si era raggiunto senza dubbio il limite massimo di capienza e accettabilità a quella "festa" se così la si poteva ancora chiamare.

    La tavola dove sedevano lui e la moglie era circolare, ed era stata posizionata nell'atrio della villa, che era molto ampio, dal quale si snodavano le due scalinate per il piano superiore. L'atmosfera già sofisticata che circolava era resa ancor più regale dai giganteschi lampadari in cristallo, che brillando pendevano al centro di ogni sala.
    Il lampadario nell'atrio era certamente il più vistoso ed esagerato, tant'è che scendeva fino quasi a toccare il tavolo al centro della sala, circolare e di enorme diametro, dove come ho già detto sedevano i signori Fabrizi.

    Tutta la serata fu dominata dal brusio generale, sebbene il contegno che ogni ospite in piccola parte mostrava. Gli invitati erano troppi e il signor Fabrizi contestò il fatto alla moglie, incolpandola di aver essa spinto lui a far entrare in casa sua così tanti estranei tutti in una volta. Temeva anche che col bere troppo si sarebbe prima o poi sconfinati nel chiasso, e dichiarava che avrebbe preso la decisione di fermare la distribuzione del vino nei vari tavoli, nel punto almeno in cui la serata sarebbe giunta alla sua metà.
    Ciò generò disappunto negli invitati che sedevano in prossimità della coppia, perciò gli furono rivolte lamentele, da parte di un cugino di secondo grado dello zio acquisito di lei e da parte dell'amico assai stretto del fratello di quest'ultimo.
    Il signor Fabrizi finì per cedere alle rimostranze, per cui come sin dall'inizio sospettava e temeva, l'atmosfera della festa oltrepassò i confini della cortesia e della galanteria, sconfinando nell'indecenza quando furono organizzati degli abusivi balletti di gruppo tra maschi ubriachi e signore intimidite, con canti a dir poco volgari.

    Nonostante le sue perlustrazioni frequenti nelle varie sale, il suo intimare alla calma e alla discrezione, le cose andarono peggiorando, sebbene di poco, e la serata si concluse col suo ripensamento sul non aver assunto delle guardie addette alla sicurezza, ma d'altronde non avrebbe potuto prevedere tutto ciò.
    Ma l'allegria in lui non sparì di certo. Vi furono i balli di coppia, quelli previsti e organizzati a dovere nella sala da ballo, e lo champagne scorse comunque e i violinisti suonarono con l'ardore necessario, e il dolce stridere di corde accompagnò la serata sino alla conclusione.

    Fu incredibile a dirsi, ma bastarono cinque consequenziali tintinnii prodotti dal bicchiere del signor Fabrizi a calmare il chiasso perpetuo generatosi in sala. Da un tavolo rialzato nella sala da ballo dove la coppia sedeva dopo aver finito di danzare, il signor Fabrizi scrutava la folla con sguardo allegro e calmo, e un sorriso delineava i contorni dei suoi baffi grigi e curati.
    Era il momento del discorso, ogni invitato fece del suo meglio nel rispetto dell'ospitante signore e per la maggior parte, tacquero chi più chi meno.

    "Sono entusiasta di riferire a voi tutti, nel caso a qualcuno sia stato taciuto il motivo scatenante di questa, oserei dire, grande festa, che oggi si festeggia la mia guarigione. Ebbene sì, miei cari, oggi posso davvero dire di aver concluso una fase della mia vita in cui ero gravido del peso di un enorme, terribile malanno, che ha consumato le mie energie per lungo tempo e per lungo tempo mi ha relegato alla sofferenza in questa casa, dentro il letto che se avesse vinto la malattia, sarebbe diventato letto di morte."

    A queste parole il brusio aumentò per una decina di secondi, accompagnando la pausa del festeggiante, che era in piedi accanto al suo tavolo, con in mano il calice di champagne.

    "A voi tutti dedico queste ore, in cui ho offerto la mia ospitalità e il mio spazio, per ringraziare non solamente chi mi è stato e tutt'ora mi è vicino, ma anche, anzi direi soprattutto, l'aiuto esterno della provvidenza, la quale mi ha davvero teso la mano e riportato alla vita quando si pensava tutto fosse ormai vano."
    "Ho organizzato tutto rigorosamente da solo, nei minimi dettagli, e lo riferisco con una punta, alquanto necessaria di orgoglio."
    "Ogni parvenza di abbinamento stilistico nelle tovaglie, la forma delle posate persino, ogni portata della vostra cena è stata pensata, assaggiata e programmata da me personalmente".
    "Nonostante il gran numero di persone presenti, siamo riusciti a compensare le richieste, l'impegno è stato grande da parte del mio staff di camerieri e di cuochi, di portaborse, fino a coloro che vi hanno accolto a porte spalancate, ognuno di loro si è ripeto impegnato per garantire la massima cortesia, e la massima efficienza."

    "Mi rattrista il fatto che davanti a cotanto ed evidente impegno...
    Vi fu un orrendo colpo di tosse, che interruppe il filo del discorso inaspettatamente.
    Un signore grasso e calvo cominciò a tossire e arrossì in volto, due camerieri intervennero sollevandolo e scortandolo fuori dalla sala, dandogli forti pacche sulla schiena affinché sputasse ciò che aveva inghiottito.
    Subito il brusio aumentò, ma il calice del signor Fabrizi tintinnò altre cinque volte, e ciò bastò a calmare le acque.

    "Mi rattrista il fatto che dinnanzi a cotanto ed evidente impegno, alcuni di voi si siano abbandonati a qualcosa che non era ne nello spirito di questa festa, ne nelle mie più lontane intenzioni. Ad alcuni di voi non è bastato vedersi circondati dall'ospitalità, dal buon cibo, e dalla cortesia per essere rispettosi, cosicché abbiamo assistito a tutto ciò che da metà serata fino ad adesso si è perpetrato, a ciò che voi stessi avete visto e a cui avete partecipato, a ciò che io, mi spiace dirlo, non volevo accadesse."
    "Mi rincresce criticare il vostro comportamento irrispettoso, tuttavia come vedete la festa è andata avanti, la mia allegria non è sparita e nemmeno la vostra mi auguro, tutti qui siamo felici, sono onorato di festeggiare con voi quest'evento e devo dire, che alla fine mi fa estremamente piacere che siate in tanti, ciò glorifica la guarigione e l'intervento divino che mi ha condotto di nuovo qui, smaniante di vivere e sorridente come sempre."
    "A voi, a me e a Dio, vi ringrazio tutti, immensamente."

    Vi fu un applauso generale, che fu interrotto dal suono dei violini incitati dal festeggiato e dal riaprire delle danze.

    Il valzer era piacevole, dolce, lento, e la sala si era ripopolata di coppiette danzanti. Sorridevano di nuovo e cianciavano. Tutt'intorno vi era una luce calda e potente, sprigionata da sei diversi lampadari posti in cerchio lungo la circonferenza della sala. Da fuori il buio, poiché era notte, tre grandi vetrate ritraevano una luna piena e rossa, così grande che sembrava addirittura avvicinarsi ogni secondo di più.

    Di colpo un frastuono di vetri rotti e piatti rovesciati, un uomo era caduto a terra, trascinando con se tutto ciò che era in tavola, aveva gli occhi aperti, sbarrati nell'aria, il volto vermiglio. Si contorceva sul pavimento, piegandosi su se stesso e tossendo debolmente, senza aria, tremava e spalancava gli occhi che sembrava stessero per sgusciare fuori dalle orbite nerastre.
    Poi l'urlo di una donna.
    Il chiasso aumentò di colpo.

    Poi prima uno, poi due, poi tre invitati e così a seguire fecero la stessa fine dell'uomo.
    Tempo venti secondi, il pavimento della sala era costellato dai loro corpi, tutti contorti dal dolore, e l'aria era pregna dei loro latrati disperati. Il signor Fabrizi li osservava seduto al suo tavolo, sembravano un groviglio di vermi brulicanti.
    Tra il tossire orrendo e le urla di dolore, non mancavano le maledizioni:
    "Dio vi maledica, che possiate morire mangiato dal cancro"
    Una donna strisciava piangente verso il tavolo del signor Fabrizi e implorava col viso deforme dal pianto: "V-vi pre-ego..h-ho dei figli a casa, i miei bambini.i..i..non ho fatto niente...vi prego salvatemi.."
    Lui la guardò spirare, seguendo il movimento dei bulbi che si torcevano all'indietro, mostrando solo la parte bianca dell'occhio.

    La sala brillava della stessa luce violenta e dorata, che illuminava i volti violacei dei morti e dei moribondi. Tutto rintonava ai loro insulti, al loro parlare confuso, deliravano, invocavano il cielo o talvolta lo maledivano atrocemente. Man mano le loro parole si fecero più deboli, più soffuse nell'aria, esse vagavano imploranti come spiriti inquieti e si infrangevano contro i muri.

    Il festeggiato posò il calice che prima teneva alto in mano nel pronunciare il discorso, ancora pieno, con lo champagne che ancora bolliva all'interno, poi prese per mano sua moglie e si incamminò verso l'uscita della sala.
    Nel silenzio vi fu un ultimo.."Che Dio ti maledica..." alquanto soffocato, poi più nulla.
    Sospirò sorridendo, a sentire di nuovo la quiete.
    Il chiasso lo aveva frastornato, odiava il rumore, di qualsiasi genere.
    Vi erano solo le rane a gracidare per il caldo, deboli, da fuori, e il rumore dei suoi passi e quelli della moglie, un picchiettare costante e ordinato in quell'inferno silente.
    "Mia cara, pare sia venuta l'ora di riposarsi. Mi appresto a cambiarmi d'abito. Mi raggiungeresti?"
    "mmmh mhh mhhhhhh" rispose con un gemere alquanto impaurito, non essendo capace di articolare alcun suono, sin dalla nascita.
    "Molto bene, è stata una giornata sicuramente piena"
    Mentre i tacchi risuonavano per le scale, decisi, svizzeri, intorno nessun rumore, l'aria era ferma.

    I servi avrebbero pulito tutto, senza proferire parola, in senso letterale, poiché anche loro erano muti. Le loro bocche mai avrebbero potuto descrivere gli orrori visti, mai nemmeno una parvenza di suono avrebbe scosso le corde vocali, né la lingua avrebbe mai articolato, poiché gli era stata rigorosamente tranciata. Durante la notte i corpi sarebbero come scomparsi nel nulla e così tutto ciò che gli apparteneva.
    Sarebbe stata una giornata perfetta se per caso gli invitati non fossero stati così...tanti...e così... chiassosi. Di sicuro non avrebbe permesso ad alcuno di allargare l'originaria lista esclusivamente composta dai propri parenti, se non fosse stato malamente sostenuto e indirettamente incitato da sua moglie.
    Se c'era una cosa che il signor Fabrizi odiava era il chiasso, il rumore, e gli sembrava strano che il suo timpano geneticamente così delicato avesse potuto sopportarli per una serata intera...addirittura!
    La sua capacità di sopportazione aveva ben superato il limite.
    Se quegli incivili avessero continuato ancora per un altro minuto le onde sonore avrebbero certamente reciso la sua oltremodo sottile membrana timpanica.
    Quelle odiose, minuscole personcine boccheggianti e chiassose lo avrebbero danneggiato permanentemente, urtavano ogni suo limite di sopportazione, meritavano di essere schiacciate, messe a tacere.

    Tutto ciò che desiderava ora era il silenzio, i suoi timpani si sarebbero rigenerati di sicuro dopo una notte con tappi e l'immenso silenzio della sua casa di giorno. Non avrebbe permesso di parlare a nessuno, dall'indomani sino ad almeno i prossimi venti giorni, d'altronde era per la sua salute e non c'era nulla che giovasse di più alla sua salute come il beato silenzio.

    Oh possiamo dirlo di certo, se c'era una cosa che il signor Fabrizi amava, era il silenzio.

    Edited by Legolas00 - 29/8/2017, 16:37
     
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