Dean Foster

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  1. Horrorwriter
         
     
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    Ricordo a tratti quella terribile notte.
    Non conobbi mai mio padre, ero solo e avevo dieci anni quando successe.
    Ero lì, sull’uscio della porta della camera di mia madre ma non vidi nulla, se non delle ombre e sentii molte grida; ero spaventato, non avevo intenzione di entrare a controllare fino a quando le urla non fossero cessate. E poi la vidi: stesa, occhi aperti, niente battiti, nessuna ferita ma in una pozza di sangue. Era morta. Chiamai la polizia, mi portarono via e mi spiegarono che mia madre mi aveva lasciato a causa di un’eccessiva perdita di sangue dalla bocca a causa di una probabile tubercolosi mai curata.


    Sono passati dieci anni da quel giorno, e non c’è momento della giornata in cui i miei pensieri non siano rivolti a mia madre.
    Mi chiamo Dean Foster, mi sono iscritto all’università della mia città in Ohio e dopo aver vissuto nove anni della mia vita con i miei zii, ho deciso finalmente di trasferirmi in una nuova casa più vicina alla scuola. Ogni giorno sono costretto ad assumere antidepressivi. Continuo ad essere sconvolto e non riesco a smettere di pensarci. Vorrei raggiungerla, vorrei togliermi la vita, tagliarmi la carotide, stringermi una corda al collo, immergermi nell’acqua e non uscirne più. Ma devo superarla. L’ho promesso a me stesso e devo mantenere la parola.
    Ho sistemato tutto nella mia nuova casa e ho finalmente ripreso gli studi.
    La nuova scuola mi piace, gli armadietti sono spaziosi, le aule enormi, i professori, come al solito, abbastanza stronzi, ma le persone che studiano qui sono quasi tutte simpatiche e socievoli, tranne una.
    Non conosco il suo nome, frequenta i miei stessi corsi e durante l’appello non viene mai nominata, ma sembra non importare a nessuno. Siede sulla sua solita panchina di legno vuota e rimane lì ferma a guardare verso il nulla. Me la ritrovo ovunque: in classe, al bar, in biblioteca; ed è sempre lì, seduta da sola a fissare un singolo punto, sembra perseguitarmi.
    Ma oggi ricorre il decimo anniversario della morte di mia madre ed ho deciso di portare sulla sua tomba delle ginestre, le sue preferite. Ho chiamato i miei zii per sapere come stessero e se gli sarebbe piaciuto venire con me, ma nessuno rispose al telefono, quindi decisi di andare da solo e di fare un salto da loro al ritorno.
    Cercai la lapide in lungo e in largo, non riuscendomi a ricordare dove fosse e poi la vidi.
    “Elizabeth Rogers 1940-1989”.
    Provai tantissima sofferenza nel vedere quell’incisione, in quel trattino era racchiusa tutta la sua vita e il suo altarino era sporco come una cantina non aperta da 50 anni. Poggiai lì una delle sue foto migliori, era bellissima. Lasciai i fiori e cercai di trattenere le lacrime quando si sentì un boato: iniziò a piovere, era in arrivo un temporale e quindi decisi di tornare a casa.
    Mi alzai da terra e mi girai.
    La ragazza era lì. Mi fissava con gli occhi spalancati, come se avesse voglia di scuoiarmi vivo, come se le avessi appena sparato al cuore. Era completamente bianca, sembrava un fantasma, ma i capelli le facevano ombra sul volto.
    Non sapevo cosa fare, sarei voluto scappare, ma le mie gambe erano completamente bloccate dalla paura e non riuscivo ad emettere suoni con la bocca per provare a chiedere aiuto.
    Abbassò la testa, ma continuò a fissarmi. Alzò un braccio e indicò una delle tante lapidi che c’erano in quel cimitero.
    “Margareth Rogers 1940-1960” e su di essa, la foto della ragazza che mi trovavo davanti.
    La paura mi fece sprofondare, non riuscivo neanche a reggermi in piedi, mi trovavo davanti ad un probabile fantasma che aveva lo stesso cognome di mia madre e che continuava a perseguitarmi. Non riuscivo a capire cosa diavolo stesse succedendo.
    Ma poi vidi con chiarezza: un lampo le illuminò la faccia e lasciò intravedere la sua vera forma.
    Il volto era completamente sfigurato, lembi di pelle le cadevano da quella che sarebbe dovuta essere la guancia, i capelli erano strappati, gli occhi non avevano una vera e propria forma, ma erano bianchi, sembravano assenti, come se fosse svenuta. La sua bocca era insanguinata e i suoi vestiti erano in parte bruciati.
    Iniziò ad avvicinarsi scomparendo e ricomparendo sempre più vicino, fino a quando non me la ritrovai davanti. Non respirava, non riuscivo a sentire nulla. Era solo lì, a fissarmi, come sempre.
    Decisi di correre.
    Corsi come mi avessero appena detto che la mia casa stava andando a fuoco.
    Corsi a gambe levate e mi rifugiai nella mia stanza, chiusi la porta a chiave, abbassai le tapparelle della mia finestra, accesi la luce e ingurgitai un antidepressivo: sentivo di averne nuovamente bisogno.


    Non uscii di casa per mesi, rimasi fermo sul mio letto in preda a continui attacchi di panico. Avevo paura di qualsiasi cosa, persino di aprire l’acqua del mio rubinetto. Fino a quando poi, in seguito ad una chiamata da parte dei miei zii molto preoccupati, decisi di tornare all’università, cercando di lasciarmi tutto alle spalle, pensando che tutto quello non fosse mai successo e che lo avessi immaginato a causa del ricordo di mia madre.
    E ci riuscii in parte quando girando per i corridoi e per le classi della mia facoltà, non vidi tracce della presunta Margareth. Mi godetti quella giornata al meglio, uscii con dei miei amici, lessi un libro nel giro di qualche ora mentre bevevo una cioccolata calda con una delle ragazze del mio corso sperando non fosse un fantasma anche lei.
    Decisi quindi, a tarda sera di ritornare finalmente a casa.
    Accadde il peggio.
    Guardai verso la mia casa mentre ero per strada, pioveva di nuovo. Era lì, alla finestra che mi fissava con i suoi occhi assenti e gli abiti stracciati e quando mi vide scomparve.
    Me la ritrovai di nuovo davanti, l’incubo si stava ripetendo, ma questa volta cercò di attaccarmi passandomi attraverso e poi svanì.
    In quell’esatto secondo in cui sentii le mie vene gelare, ebbi delle visioni riguardanti il passato: una casa in fiamme, mia madre che scappava e la ragazza nell’incendio; mia madre con me in braccio in sala parto, la ragazza con il volto sfigurato che ci fissava in un angolo ignorata da tutti, come se nessuno riuscisse a vederla, di nuovo; la mia prima volta in bicicletta e la giovane dai vestiti bruciati nascosta dietro ad una casa a fissarmi; e per ultimo, mia madre davanti a lei morta in una pozza enorme di sangue.
    Da lì, provai ad intuire il motivo di tanta persecuzione: mia madre aveva probabilmente lasciato sua sorella Margareth nell’incendio che scoppio nella loro casa, facendola morire tra le fiamme.
    Mia madre non mi parlò mai dell’accaduto, non ero a conoscenza di una terza zia e penso che non ne avesse mai fatto parola con nessuno.
    Dopo quello che avevo visto, le forze mi mancavano, ma riuscii a trovarne alcune per ritornare in casa e provare a stendermi sul letto, la ragazza sembrava svanita.
    Con un sonoro cigolio la porta si aprì e lei era di nuovo lì.
    Si limitò di nuovo a fissarmi e ad indicare qualcosa, come l’ultima volta.
    Indicò uno specchio da cui riuscivo a vedermi, ma non ad intravedere lei.
    Su di esso c’era una scritta rosso sangue: “Non dimenticherò mai quel giorno. Se io sono morta la stirpe di mia sorella verrà con me. Non sai di cosa le tenebre siano capaci. ”
    Avevo la pelle d’oca e un brivido mi attraversò dalla testa ai piedi e si amplificò alla vista di quello che dopo mi ritrovai vicino all’uscio della porta della mia cucina.
    Un mostro. Non era altro che la cosa più spaventosa che io avessi mai visto.
    Era completamente grigiastro, la sua pelle cadeva ad ogni passo, sembrava quasi uno scheletro. Aveva delle enormi dita appuntite, una bocca enorme con denti affilatissimi ricoperti di sangue e pezzi di carne umana. Testa completamente calva, occhi lucenti a sembrare due fari nella notte e intorno a lui un fascio enorme d’oscurità che lo copriva. Divenne tutto scuro fuori, il sole sembrava essersi eclissato nel giro di pochi minuti e poi accadde quello che era ormai stato predetto da quella scritta.
    Me lo ritrovai dietro. Vidi quel fascio di tenebre che era intorno a lui avvolgermi come per portarmi via. Mi trafisse con le sue mani, più e più volte. Il sangue mi usciva dalla bocca a fiumi, ma continuò, vendicativo, a infliggermi dolore con quei suoi artigli fino a quando, senza forze, mi accasciai, pallido come la luna, freddo come il ghiaccio. Per terra, nella mia pozza di sangue, allo stesso modo di mia madre.
    Aveva portato a termine il suo obbiettivo. Il mio cuore smise di battere.
    E dopo un po’, ritornò il sole.

    Edited by Horrorwriter - 26/5/2015, 14:16
     
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    Ti suggerisco di dividerla in paragrafi, in modo da facilitare la lettura, perché così é un blocco enorme :asd:
    Una volta fatto ciò, HS.
     
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    Metafisico: un uomo cieco che in una stanza buia cerca un cappello nero. E il cappello non c'è.

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    HS ben scritta, complimenti. Smisto.
     
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  4. La Morte Rossa
         
     
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    CITAZIONE
    stringermi una corda al collo, immergermi nell’acqua e non uscirne più.

    Combo!

    Npn l'ho capita :piango:
     
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  5. -ßuggy-
         
     
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    Scusate ma il narratore se alla fine muori come ha fatto ha raccontare la storia?
     
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  6. -Blaze2710-
         
     
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    CITAZIONE (La Morte Rossa @ 31/5/2015, 00:36) 
    CITAZIONE
    stringermi una corda al collo, immergermi nell’acqua e non uscirne più.

    Combo!

    Npn l'ho capita :piango:

    Il fantasma era la zia del protagonista. La madre del protagonista non salva sua sorella durante un incendio in casa,e lei una volta morta per vendicarsi la uccidde, e uccide anche il protagonista nello stesso modo della madre
     
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  7. »LadyBeth«
         
     
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    anche secondo me va separata, mi ha dato l'impressione di leggere un diario tutto di un fiato. Sarebbe interessante suddividerlo in capitoli attraverso delle date. Ci sono distanze di giorni e mesi quindi sarebbe semplice da fare. Cosa ne pensate?

    in ogni caso mi è piaciuta!
     
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6 replies since 12/5/2015, 16:14   285 views
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