Ossessione

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    3 Febbraio 2015

    Scrivo, perché non mi resta altro da fare.
    Ho trascorso un mese intero a disperarmi.
    Ho consumato gli ultimi tre giorni raggomitolato per terra, in lacrime, senza aver la forza di alzarmi.
    Senza osar guardare fuori dalla finestra, nel timore che il cielo, il sole, lo stesso brulicare delle persone sui marciapiedi e il ruotare di questo pianeta azzurro attorno al proprio asse non avessero più un senso, senza di lei.
    Non ho avuto il coraggio di mangiare, sebbene il mio stomaco lo pretendesse a gran voce, per il sospetto che il cibo potesse assumere la consistenza e il sapore di sabbia sotto ai denti, sapendola lontana.
    Eleonora.
    Nome soave, croce e delizia, ora mio eterno martirio, mia tortura atroce.
    Eleonora.
    Perché mi hai lasciato?

    Il dottor Cosmi mi ha aumentato la dose.
    Dice che me lo posso permettere, in questo periodo.
    Che l’unica speranza che ho di dimenticare la persona che ormai per me è diventata un’ossessione (quale ossessione, poi? E’ così che gli psichiatri chiamano un sincero e divorante amore?) e’ rappresentata dal Prozac.
    E dal mio laptop.
    L’illustre medico – uomo squisito, va detto - ritiene infatti che scrivere un diario o semplicemente cercare di cogliere le mie emozioni per iscritto possa essere un gran passo in avanti.
    Ho letto La Coscienza di Zeno, al liceo, e so che sono tutte puttanate.
    Ma, come dicevo, non ho altre idee, e il pensiero di Eleonora è semplicemente troppo penetrante per permettermi di concentrarmi su qualsiasi altra cosa.
    Forse scrivere di lei mi farà bene.
    Forse riuscirò davvero a dimenticarla.
    Ma lo voglio davvero?

    5 Febbraio 2015

    Oggi non ho niente da scrivere su questo documento/diario/psicanalista elettronico del cazzo.
    Ho un appuntamento con il dottore, stasera, gli dirò in faccia quanto sia stupida la sua idea.
    Eleonora, solo Eleonora nella mia mente, nei miei gesti, nella mia vita.
    Mi aggiro in questa casa deserta, come un fantasma, e la vedo in ogni angolo.
    La vedo dove è realmente stata, in cucina a preparare il caffè vestita solo della mia camicia, mentre ancheggia sensualmente, lasciando immaginare il paradiso oltre quell’orlo bianco.
    La vedo in bagno, intenta a guardarsi allo specchio e a spostarsi dietro l’orecchio destro quella ciocca di capelli dorati che non voleva saperne di stare al suo posto e di non fare capolino davanti ai suoi occhi grigi, come un bambino dispettoso in cerca di attenzione.
    La vedo qui, seduta dove sono seduto io ora, alla mia scrivania, con gli occhi chiusi e il capo appoggiato allo schienale, addormentata dopo avermi aspettato per tutta la notte.
    Eleonora, Eleonora, sempre e solo Eleonora.
    Non conta nient’altro.

    7 Febbraio 2015

    Emozioni di oggi: Rabbia. Tristezza. Nostalgia. Vuoto.

    Rivoglio la semplicità della mia infanzia, quando le cose piccole erano le più importanti.
    Quando l’amore ancora non aveva fatto incursione nella mia vita per rovinare tutto e rendere ogni cosa dannatamente più difficile.
    Ricordo i weekend d’estate, quando mio padre caricava qualche chilo di carne, qualche bottiglia di coca cola e di birra sul suo pick up e mi portava al fiume.
    Per tutto il viaggio sul sedile del passeggero stringevo il pallone in grembo, nella muta speranza che il mio vecchio trovasse il tempo e la voglia di giocare con me.
    E mentre lui abbrustoliva la carne sul barbecue, mi guardava distrattamente palleggiare e mi chiamava “campione”.
    Quanto è semplice far felice un bambino, vero?
    Adesso, invece …

    Ho trascorso la scorsa notte di fronte al suo appartamento, nascosto.
    Non so che cosa mi aspettassi.
    Forse che lei sentisse la mia presenza e si affacciasse, rivelandomi il suo amore incondizionato.
    Puttanate per bambini.
    Al diavolo questa merda.

    10 Febbraio 2015

    Troia schifosa.
    Ma lo sapevo, lo sapevo!
    Io qui a struggermi, a consumarmi d’amore e lei a spassarsela con quel coglione.
    Il diavolo se li prenda! Entrambi!
    E si prenda anche me, così stupido a versare tante lacrime per una cagna!
    Emozioni di oggi: Rabbia. Ira. Collera.

    11 Febbraio 2015

    Devo esprimere quello che provo, vero?
    “Raggiungere una nuova consapevolezza del dolore, l’elaborazione della perdita”, direbbe il dottor "mi-faccio-pagare-per-farti-scrivere".
    Benissimo. Esprimiamole, allora.
    Voglio scrivere un racconto.
    Non ho bisogno di individuare le mie emozioni, non più, ormai.
    So bene che cosa provo, devo solo sfogarmi.
    E nulla meglio di un racconto grandguignolesco potrebbe fare al caso mio.
    Non ho idea della trama – infondo, non scrivo nulla che sia frutto della mia immaginazione dalle scuole medie, non sarà certo un capolavoro.
    Intanto la sua funzione catartica la svolgerà egregiamente.
    Ci sarà sangue. Sangue a fiumi.
    E persone che urlano, scappano, si nascondono, senza riuscire ad evitare un destino già scritto.
    E’ il destino di tutti.
    Ma non auguro a nessuno di compierlo come faranno i miei personaggi.
    Torture, sevizie, mutilazioni.
    Coltelli, ferri roventi, aghi.
    Motoseghe?
    Ma sì, dai, la fantasia è gratis.

    13 Febbraio 2015

    Scrivo senza sosta da due giorni, senza essere riuscito a produrre nulla che mi soddisfacesse appieno.
    Ho cancellato ogni tentativo.
    Sebbene avesse sull’attimo lo sperato potere di calmarmi – quanto è benvenuta la fantasia quando per un attimo dissolve le tenebre della realtà, facendoti sprofondare in tenebre ben peggiori! - ogni volta che rileggevo il manoscritto mi sentivo in imbarazzo e mi vergognavo, scritto male come poche cose.
    Non credevo si potesse dimenticare come si scrive un racconto.
    Ed invece eccomi qui, a scrivere di omicidi e mutilazioni in modo prevedibile e scontato, senza un barlume di originalità.

    Ho sempre disprezzato gli scrittori, che cosa ci vuole?
    Culo sulla sedia e mani sui tasti? Scherziamo? Potrebbe farlo chiunque.
    A questo punto è diventata una questione personale, voglio scrivere qualcosa di decente.
    Il testo deve trasudare emozioni, deve essere sincero e cristallino, non un banale tentativo di mettere su carta le scene truculente viste nei film horror che danno in seconda serata la domenica, che seguo con occhio stanco e una birra in mano, sdraiato indecentemente sul divano.

    Voglio una trama per la storia.
    E personaggi carismatici, psicologicamente definiti, in cui il lettore possa rispecchiarsi.
    Se il lettore sarò unicamente io, tanto meglio.
    Ma ho come il sospetto che non sarà così, vero?
    Avrà risonanza, questo racconto, me lo sento.
    Potrei iniziare pubblicandolo su uno di quei forum amatoriali di aspiranti scrittori, oppure su un sito che raccolga racconti del terrore, di quelli che diventano virali su internet nel giro di qualche condivisione.
    E una volta ottenuto un certo successo - perché no? - potrei pubblicare un libro.
    Una raccolta di racconti del terrore, magari con qualche importante risvolto psicologico, alla Stephen King.

    Ho anche deciso che finché continuerò a cancellare i miei tentativi non andrò da nessuna parte.
    Non cancellerò più nulla, così potrò monitorare i miei progressi.
    Chissà che tra qualche settimana non rilegga i miei primi tentativi con un sorriso di compassione sulle labbra per quanto ingenue e poco penetranti erano le mie stesse parole.
    Riproviamo, dunque.

    La scena che si presentò agli occhi di Leonore, dopo essersi svegliata, era agghiacciante.
    Sangue ovunque. Una fredda luce al neon illuminava quella stanza dalle pareti bianche, in tutto e per tutto simile ad una cella frigorifera.
    Al suo fianco, legato ad una sedia proprio come lei, un corpo, anche se delle sembianze umane che un tempo dovevano caratterizzarlo rimaneva ben poco: le gambe erano segate all’altezza delle ginocchia, le braccia all’altezza dei gomiti.
    Le orecchie erano state recise, così come le labbra e le palpebre.
    Aveva la testa reclinata sullo schienale della sedia, e non avrebbe potuto dire se fosse morto o addormentato … come dorme una persona senza più le palpebre?
    Provò paura.
    Una paura lancinante, che la prese alle viscere.
    Ma fu ancora più sconvolta quando, guadando verso il basso, notò che anche il suo braccio sinistro era stato tagliato all’altezza del gomito.
    Dapprima provò un senso di repulsione, di ribrezzo e disgusto per il suo stesso corpo mutilato.
    Poi si affacciò alla sua mente l’ombra di un dolore, evidentemente attutito dalle droghe.
    Nel giro di pochi minuti, il dolore crebbe di intensità.
    Pianse a lungo e urlò a squarciagola.
    Nessuno sembrava poterla udire.


    Patetico.
    Insopportabile da leggere, privo di emozione, descrizioni grossolane e poco incisive.
    Posso fare di meglio, molto meglio.
    Quanto lavoro da fare e quanto poco tempo per farlo!

    14 Febbraio 2015

    Flaubert.
    Madame Bovary.
    Questi pensieri mi hanno ossessionato per tutta la notte.
    Non sono riuscito a dormire, mi sono rigirato tra le lenzuola, in preda ad una certa agitazione, pensando al mio racconto.
    A come renderlo più penetrante, perfetto.
    Un piccolo gioiello.
    Qualcosa di meraviglioso, che tutti possano ammirare estasiati e finalmente riconoscere il mio genio.
    Mi è venuto in mente Flaubert, e la sua Madame Bovary.
    Avevo letto qualcosa in merito, al liceo.
    Ci ho pensato per tutta la mattina, ed ecco che cosa ho prodotto.

    Quando Leonore si costrinse ad aprire gli occhi, per sfuggire alle tenebre che sembravano essersi impossessate della sua mente, le si presentò una scena agghiacciante.
    Più che dalle pareti di quella che sembrava essere a tutti gli effetti una cella frigorifera, un tempo bianche e rese vermiglie dal sangue ancora fresco; più che dalle fredde luci al neon, che sembravano volersi insinuare tra gli spiragli lasciati dalle sue ciglia, trapanandole il cervello con la loro intensità; Leonore fu spaventata da ciò che sedeva al suo fianco.

    Un uomo – o almeno quel che ne rimaneva - era legato alla sedia accanto alla sua, proprio come lei.
    Le sue gambe erano state recise all’altezza delle rotule, e lei poteva scorgere distintamente i femori fare capolino dai brandelli di carne ancora umidi di sangue.
    Il medesimo trattamento era stato riservato alle braccia, segate all’altezza dei gomiti.
    Salendo con lo sguardo, gli occhi di Leonore incontrarono il suo volto: solo allora fu completamente sveglia, e un sudore gelido cominciò ad impregnarle la fronte, mentre la bocca dello stomaco le si serrò come stretta da un laccio emostatico.
    Fori insanguinati erano tutto ciò che al suo sventurato compagno rimaneva ai lati della testa, dove un tempo dovevano trovarsi le orecchie.
    La sua espressione era deformata in un perenne ghigno diabolico, e i suoi occhi la scrutavano con turpe crudeltà, dal momento che labbra e palpebre erano state asportate.

    Leonore si girò di scatto, reprimendo un conato di vomito, ma nel movimento repentino, qualcosa attirò la sua attenzione.
    E le gelò il sangue nelle vene.
    Anche il suo braccio sinistro aveva subito il medesimo trattamento riservato allo sconosciuto al suo fianco: reciso all’altezza del gomito.
    Dapprima provò un moto di disgusto e raccapriccio per il suo stesso corpo mutilato, ma i brividi che ben presto pervasero ogni centimetro della sua pelle tramutarono queste sensazioni in terrore puro.
    Lacrime limpide rigarono le sue guance, quando il dolore si affacciò alle soglie della sua mente, attraverso la cortina fumogena delle droghe.
    Dapprima fu tenue, quasi un fastidio, un prurito in prossimità del moncherino, ma ben presto esplose in maniera dirompente, procurandole scariche di brividi lungo tutto il corpo, che la portarono ad inarcare la schiena, per quanto possibile, sulla sedia alla quale era legata da catene robuste.
    Sentiva la carne viva incendiarsi a contatto con l’aria, e un prurito insopportabile attanagliare come una sadica morsa il suo omero, privo di altre ossa a cui articolarsi.
    Il dolore straziante e prolungato la fece precipitare in un baratro di disperazione, dal quale non riuscì a trovare sollievo nemmeno urlando a pieni polmoni per esprimere la sua frustrazione e la sua impotenza.
    In risposta, solo il rimbombo causato dalle pareti di quella camera infernale e indifferente.


    Bello, vero?
    Un incipit sicuramente più penetrante di quello schifo immondo di ieri.
    Più vivo e sentito, più partecipe, più ricco di emozioni e di figure di forte impatto.
    Grazie, Flaubert.
    L’autore di Madame Bovary era così ossessionato dal suo romanzo da voler sperimentare in prima persona quello che descriveva, per coglierne ogni minima sfumatura.
    Si dice che bevve arsenico per essere certo degli effetti che lo stesso avrebbe provocato sulla sua eroina, Emma, condannandosi a sopportare mal di pancia atroci.
    L’immedesimazione è la principale forma di arte: il lettore si immedesima nei personaggi, prova quello che loro provano.
    Ma perché questo sia possibile è necessario che lo scrittore, in prima istanza, si immedesimi, si emozioni.
    E deve farlo alla perfezione.
    Un lavoro meticoloso.
    E sono davvero soddisfatto del risultato, anche se ho impiegato tutto il pomeriggio per scriverlo.
    Non è facile, con una mano sola.

    17 Febbraio 2015

    Si svegliò in un ambiente sconosciuto, per la seconda volta in poche ore.
    O almeno, questa era la sua percezione del tempo, ottenebrata com’era dalle droghe e dagli antidolorifici.
    Era sdraiata su un letto cigolante, tendine azzurre ai lati e un crocefisso impolverato sulla parete di fronte a lei.
    Parete bianca, immacolata. Senza sangue.
    L’odore di disinfettante e biancheria pulita era così penetrante da farle girare la testa.
    Un brivido caldo corse lungo la sua spina dorsale, facendola sentire rilassata e tranquilla.
    Posò la testa sul soffice cuscino, cullata dai “bip” monotoni e regolari della flebo di morfina al suo fianco.
    Il braccio sinistro era stato bendato e medicato, e la garza bianca e umida non sembrava lasciar trasudare sangue.
    Evidentemente era stata cambiata da poco.
    O forse era in quell’ospedale già da più giorni?

    Non appena questi pensieri si affacciarono alla sua mente, alzò di scatto la testa dal cuscino, guardandosi attorno con occhi sgranati e aria preoccupata.
    Doveva andarsene, da lì.
    Sentiva un richiamo fortissimo, e non aveva tempo da perdere.
    Doveva trovare chi le aveva fatto questo e fargliela pagare.
    Non aveva altro in mente, solo questo pensiero ossessivo.
    Vendetta.
    Sangue sulla mano, urla atroci. Non le sue.
    Una missione da compiere, un destino ineluttabile, una nuova ragione di vita, una nuova ossessione.
    Il braccio destro che aveva ospitato l’ago della flebo ora sanguinava dalla vena lacerata, per la violenza repentina con cui Leonore si era strappata il tubicino, appoggiando i piedi nudi a terra.

    Si dice che nessuna vita sia degna di essere vissuta senza una buona ossessione.
    Il significato dell’esistenza è quello che noi vogliamo darle, trovando qualcosa che la riempia, che la renda degna di essere vissuta, ponendoci un obiettivo.
    Si dice anche che, col tempo, le persone diventino ciò che le ossessiona.
    Che l’immedesimazione sia talmente travolgente da dissolvere i confini del Sé, da annientare la personalità.
    - Vittima sopravvissuta di un killer. Ora, killer a mia volta. – pensò correndo lungo i corridoi dell’ospedale, reggendo con una mano le bende sul moncherino e lasciando dietro di sé solo qualche goccia di sangue, molti sguardi stupiti, un’infermiera a terra e un carrello con guanti e farmaci rovesciato.
    "E se tu scruterai a lungo nell’Abisso, anche l’Abisso scruterà dentro di te." , scriveva Nietszche.
    Ora, l’Abisso protendeva le sue dita fameliche e si affacciava sulla soglia della sua anima.
    Non vi vide altro che il suo orrendo riflesso.


    Porci schifosi, in ospedale mi hanno portato.
    Ho un lavoro da fare, non ho tempo devo finire.
    Il racconto, conta solo il racconto, il racconto conta, il racconto conta.
    Mi volevano strappare dal racconto, infami, il diavolo se li porti!
    Sono scappato e ora posso scrivere, sì!
    Scrivo scrivo!
    Madame Bovary!
    Flaubert, urlatela nelle orecchie a squarciagola quella tua storia!
    Fa che sia perfetta!

    18 Febbraio 2015

    La sorprese addormentata nel suo letto, stretta ad un belloccio, la troia schifosa.
    Leonore si appostò nella penombra, osservando il ritmico e rilassato respiro di quella donna maledetta testimoniato dall’alzarsi e dall’abbassarsi di quel suo seno perfetto.
    Provò addirittura il lontano ricordo di una sorta di eccitazione sessuale, subito messa a tacere dalla rabbia feroce che rendeva l’aria nelle sue narici incandescente e le faceva bruciare il moncherino come se fosse stato disinfettato con acido fluoroantimonico.
    Non temeva di essere scoperta.
    Anzi, pretendeva che lei la vedesse bene in faccia mentre soffriva e si contorceva, sottoposta alle stesse torture a cui aveva sottoposto le sue vittime ignare, abbagliate dalla sua bellezza lancinante e inconsapevoli del dolore che avrebbe loro causato.

    Leonore uscì dal suo nascondiglio di ombre e, alla luce lunare, estrasse rumorosamente la sega, il coltello e il taglierino dalla borsa di pelle che aveva portato con sé.
    Le due figure sul letto si mossero lentamente, ridestandosi dal dolce torpore del sonno, per essere accolti nella realtà infernale che li attendeva.
    Senza esitare, Leonore avanzò verso l’uomo che fino ad un attimo prima era assopito al fianco della sua aguzzina e, senza dargli il tempo di realizzare che cosa stesse accadendo, lo sgozzò con il coltello.
    Il rivolo di sangue che copioso imbrattò la sua mano la fece sentire euforica ed eccitata.

    - John, ma cosa … - iniziò la ragazza ancora avvolta dalle lenzuola, per poi ammutolirsi scorgendo nella penombra il sangue scuro che aveva inzuppato il materasso e il cuscino vicino al suo.
    Il silenzio durò ben poco, rotto da urla isteriche alle quali Leonore assistette con la stessa freddezza che le mura bianche della cella frigorifera avevano riservato alle sue.
    -Non John. Io sono Leonore, brutta troia. Ricorda il mio nome. Leonore. – sussurrò con rabbiosa calma la donna, prima di avventarsi sulla sua carnefice, ora divenuta sua vittima.

    Ogni taglio nella pelle della sua aguzzina era un brivido di gioia per Leonore.
    Ogni osso che si opponeva al penetrare della sega per poi capitolare inevitabilmente con un gustoso rumore di grissini spezzati la faceva vibrare di piacere, come anche incontrare nuovamente la piacevole tenerezza della carne dopo quel breve tratto di ostica resistenza alle sue torture.
    Le labbra recise con precisione chirurgica con il taglierino – mai avrebbe immaginato che tale operazione comportasse un tale dispendio di sangue – avevano la stessa consistenza delle striscioline di carne che grigliava all’aperto sul barbecue con suo padre, quando da bambino lo portava vicino al fiume, a fare qualche tiro con il pallone e a chiamarlo “campione”.
    I graffi che la troia apriva sulle sue guance non erano dolorosi, erano solo un invito a spingere più a fondo la lama nelle sue carni tenere e ormai martoriate.
    Ogni grido di dolore era un tifo remoto che sembrava incitarla a maggiori barbarie, più vaste, più truculente, più a fondo.

    Dopo qualche ora, Leonore si fermò e si ritrasse.
    Osservò alla luce del giorno che stava nascendo la poltiglia di carne, ossa, tendini ed organi che aveva creato su quel materasso ormai grondante, tra quelle lenzuola fradice che le parvero un poetico drappeggio di un’opera d’arte bellissima e perfetta.
    Così, soddisfatta, pervasa da scariche di piacere continue che le avevano causato un’erezione, se ne andò, pulendosi la mano insanguinata sulla manica penzoloni della sua camicia, dove un tempo aveva un altro avambraccio, immolato in nome della sua ossessione.
    - L’ossessione conta solo l’ossessione conta solo quello – pensò, avviandosi verso casa.
    Ora che l’ossessione si era spenta, che il ruggito che la spingeva ad agire aveva finalmente trovato quiete, che la sua storia era giunta a conclusione, che cosa le rimaneva da fare?
    Trovare un'altra ossessione, naturalmente.
    Una nuova ragione di vita.
    E continuare il suo racconto.


    Il racconto conta solo il racconto il racconto conta il racconto conta che sia il più realistico possibile.

    Edited by John Constantine - 23/2/2015, 13:59
     
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    Meh. Prevedibile ma molto ben scritta. Mi piace.
     
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  4. Vixeepy
         
     
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    Ben scritta, ti attira molto. ;D
     
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    Il cantastorie dei Cercatori

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    Molto bello, solo, nell'ultima parte ho notato una leggera confusione nell'identificazione di "lui" e "lei", ovvero quando nel testo ci si riferisce a Leonore, a volte lo si fà al femminile, a volte al maschile.
     
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    CITAZIONE (Tallahassee @ 8/3/2015, 22:35) 
    Molto bello, solo, nell'ultima parte ho notato una leggera confusione nell'identificazione di "lui" e "lei", ovvero quando nel testo ci si riferisce a Leonore, a volte lo si fà al femminile, a volte al maschile.

    Esatto ;)
     
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