Treno

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    La realtà è talmente assurda da superare, a volte, l'immaginazione!

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    Sguardo freddo, assente. Nonostante le pupille dilatate e i tremori che avverto poco al di sotto dell'occhio destro, dal mio sguardo non traspare nulla, non una sensazione, non un'emozione. Niente di niente.
    Chiudo la camicia fino all'ultimo bottone, sistemando frettolosamente il nodo della cravatta.
    Inumidisco la punta di un indice e rimetto apposto quei due o tre ciuffetti di capelli che si sono spostati poco fa.
    Immobile davanti allo specchio noto una piccola goccia di sangue sul polsino bianco della mia camicia che per quanto insignificante sia mi fa salire un brivido sul collo. Sbottono il polsino e lo rigiro all'interno della giacca. Faccio lo stesso anche con l'altro, osservo ancora per qualche istante la mia immagine riflessa sullo specchio del bagno e mi decido a uscire. Afferro la mia valigetta e il mio borsone, stringendo una nella mano e caricandomi l'altro sulla spalla, poi, disinvolto, apro la porta scorrevole giusto in tempo per sentire la voce robotica che avverte i gentili passeggeri che a breve il treno arriverà alla stazione. Controllo l'orologio mentre mi incammino verso la porta del vagone, contando mentalmente venti, diciannove, diciotto, diciassette fin quando il treno si ferma e la porta si apre.
    Prima di uscire, rivolgo lo sguardo al mio compagno di viaggio che sta ancora dormendo con la testa appoggiata al finestrino, proprio come lo avevo lasciato qualche minuto fa.
    "Rupert Collins..." dico sottovoce.
    "Che la fortuna sia dalla tua" penso.
    Sorridendo scendo dal vagone, poi mi avvio frettolosamente verso l'uscita, con la solita sensazione di avere un migliaio di sguardi puntati addosso.
    Ma sono le tre di notte, in giro non c'è un'anima.
    Il piazzale della stazione è illuminato da una decina di lampioni e dalle luci gialle e verdastre che indicano i parcheggi riservati a taxi e autobus, ovviamente sgombri.
    Il fruscio dei rami degli alberi smossi dal vento è l'unico rumore che sento, fin quando avverto in lontananza il rumore del treno che ricomincia a muoversi sulle rotaie.
    Senza girarmi, proseguo a camminare incontro alla notte, bella, scura, profonda. Ostile, ma valida alleata.

    --- --- ---

    Settembre è passato. Siamo a metà Ottobre, un mese maligno che ci illude che l'estate non sia ancora finita con pomeriggi soleggiati e ci ricorda prepotentemente che l'inverno non tarderà ad arrivare con piogge sparse e serate fredde e nebbiose.
    Siamo a metà Ottobre e oggi è stato un pomeriggio nuvoloso, con saltuarie e insignificanti pioggerelline bastarde.
    Ho passato gran parte della giornata in questo parco vicino alla stazione cittadina, questo Lueg Park dedicato a chissà chi, tutto sommato un bel posto. Seduto su una panchina, chinato con i gomiti sulle ginocchia, fingevo di leggere un libro mentre nel frattempo fomentavo le mie voglie osservando i passanti.
    Studenti, impiegati, spazzini, barboni, sportivi... A gran parte della fauna urbana piace passare del tempo al parco, in un puramente effimero ricongiungimento con la natura.
    Dietro agli spessi occhiali da sole i miei occhi si muovevano attivissimi, mentre sentivo crescere dentro di me una smisurata voglia di sfogarmi.
    Sono da poco passate le sette di sera, gran parte dei cittadini sta tornando a casa dalle proprie famiglie per la cena, che io invece sto consumando all'interno del parco mangiando un semplicissimo panino con insalata e formaggio.
    Poi, finalmente, arriva.
    Dopo tutte queste ore trascorse seduto sulla stessa panchina a osservare scarponi, Clarks, scarpe col tacco, stivali, Jeffrey Campbell, Timberland, Vans e Converse... Ecco la scintilla che mi fa andare in orbita.
    Una coppia di ragazze mi passa davanti, vestite a puntino per il footing con tutine aderenti, fasce per capelli, polsini di spugna e scarpette.
    La più alta indossa un coloratissimo paio di Nike nuove fiammanti, arancioni con ricami porpora e suola molleggiata grigio perla. Direi un numero 38 al massimo.
    Ma l'altra... L'altra aveva ai piedi un vecchio paio di Adidas Paul Smith bianche. Suole consumate, tallone sformato, linguette piegate verso l'interno della scarpa, stringhe rotte e ciondolanti che ondeggiavano a ogni passo... E poi la punta della scarpa sinistra... Ooooh la punta! La plastica aveva ceduto a causa della pressione dell'alluce della ragazza. Sicuramente erano scarpe vecchie, vissute. Pezzo unico con dozzine di imperfezioni che ne raccontavano la storia proprio come i cerchi concentrici dei tronchi fanno con gli alberi. Queste Paul Smith avrebbero fatto un figurone in mezzo alle altre... Peccato, ma vederle mi è bastato.
    Rammaricato, cerco di placare il batticuore respirando profondamente, mi alzo in piedi distendendo braccia e gambe per ridare vigore alle articolazioni, metto mano alle borse e mi dirigo verso la stazione, seguendo con lo sguardo le due ragazze che si allontanano nel parco.
    Come sono solito fare, entro in un vagone centrale e poi prendo posto sul penultimo vagone del treno, ben distante dalla locomotiva.
    Sistemo i miei bagagli occupando gran parte dello scompartimento vuoto, posizionandoli vicino al lato del finestrino.
    Rimettendomi in piedi, mi sfilo la giacca ripiegandola con cura sul sedile accanto a quello che ho scelto per sedermi, mentre su un altro posiziono una vecchia felpa sportiva Asics dai colori sgargianti. A questo punto, rimangono solo due posti liberi.
    Prendo di nuovo il mio libro e lo posiziono sulle ginocchia, infilando il biglietto del treno in un punto imprecisato, a mo' di segnalibro. Oh cavolo penso, sono già arrivato a metà?
    Sorrido nervosamente rivolgendo lo sguardo alla porta scorrevole dello scompartimento. È chiusa, con due grosse tende blu oceano fissate in alto con anellini di plastica grigia su un'asta metallica mentre ai lati sono tenute legate da un a striscia di tessuto con chiusura in velcro. A sinistra, incontro il mio stesso sguardo sul vetro del finestrino. Fisso i miei occhi fino ad avvertire un leggero bruciore, poi lascio che si formino le lacrime, che lascio accumularsi sulla superficie dell'iride. Sbattendo le palpebre, ritrovo lucidità. Respiro, mi calmo. Respiro. Respiro.
    Controllo l'orologio: mancano pochi minuti alle otto. Sul tabellone la partenza è indicata per le otto e tre minuti.
    È prevista scarsa affluenza, ma tutto sommato sono speranzoso.
    Chiudo gli occhi, mi concentro, si... Si... La calma è fondamentale... Freddezza ci vuole, si...
    Sollevo una gamba accavallandola sull'altra, apro il libro e aspetto di conoscere il mio compagno di viaggio che, solo se sono veramente fortunato, potrebbe salire già adesso, ma non alimento false speranze.
    I compagni di viaggio più interessanti salgono su questa linea al principio della notte, non certo all'ora di cena. Forse fra due o tre fermate... Comincio a fissare le pagine 164 e 165, in trepidante attesa.

    --- --- ---

    Inclino la testa di lato, aprendo soltanto l'occhio destro.
    Cristo che rincoglionimento, questa luce del cazzo poi...
    "Mi scusi... È libero qui?"
    Sollevo la testa, fissando ad occhi spalancati per un secondo il sedile di fronte al mio, quindi guardo di nuovo a destra, in direzione dell'entrata dello scompartimento.
    Sulla porta, un tipo che ha l'aria di essere stremato.
    "Ma sicuro!" gli dico io, schiarendomi la voce e indicando con la mano i due posti.
    Il tipo si guarda intorno, indugia e chiede se ci sono almeno due sedili liberi poiché ha una valigia e un grosso zaino con sé, spiega.
    Sistemo il biglietto in mezzo alle due pagine e chiudo il libro appoggiandolo su un bracciolo e alzandomi mi offro per aiutarlo a sistemarsi.
    "No grazie davvero, non ce n'è bisogno, guardi io..."
    "Suvvia, oramai sono in piedi, si lasci aiutare!"
    Tengo aperta la porta con un piede mentre lui mi passa la valigia sorridendo.
    Auff esclamo sforzandomi, bella pesante!
    Il tipo sorride e basta, sollevando le spalle.
    "Questo posto non è già occupato?" dice indicando la felpa sportiva.
    "Oh, credo proprio di no, sono entrato qua dentro oltre due ore fa e non c'era nessuno se non un'anziana signora in pelliccia" dico mentendo "È stata probabilmente dimenticata da qualche ragazzo, tutto qua"
    "Bene allora! Sistemo lo zaino su quelle valigie allora, così..."
    "NO FERMO!" esclamo
    Il tipo si spaventa, ritraendosi con il corpo.
    Calma calma calma calma calma calma ca
    "Mi perdoni il tono, ma nei bagagli ho importanti documenti di lavoro e prodotti in vetro lavorati a mano da far esaminare alla mia ditta... Mi perdoni se l'ho fermata in maniera così burrascosa".
    "No, mi perdoni lei, stavo per combinare un bel pasticcio!"
    Sorride ancora, l'idiota... Che ingenuo.
    Gli porgo la mano.
    "Piacere di fare la sua conoscenza, signor...?"
    Torco di poco la testa e alzo il sopracciglio spingendolo a rispondermi.
    "Pallet! Luke Pallet, molto piacere! Ma mi dia pure del tu!"
    Adoro dare del tu alla gente, è una liberazione, mi solleva... È un po' come togliersi la cravatta.
    "Benissimo Luke, io sono Phil! Stai partendo per un viaggio, se posso chiedertelo?"
    "Eh no, magari... Sono di ritorno, o meglio, sto tornando! Questo è l'ultimo treno, dopodiché sarò arrivato!"
    Lo aiuto a sistemare lo zaino mentre sposto la felpa dal sedile.
    Questa volta non è servita a molto.
    Mi guardo intorno. Lo scompartimento è occupato per metà dalle mie valigie e dai suoi bagagli, fuori è buio pesto e nel vagone regna il silenzio. Lascio che Luke si sistemi come meglio preferisce e per farlo lo abbandono un minuto soltanto, giusto il tempo di una visita veloce al cesso.
    Quando ritorno, trovo Luke ben appoggiato alla parete del vagone, con il sedere su un sedile e i piedi su quello a fianco, rannicchiato con le ginocchia piegate che rovista in uno zainetto.
    Accortosi della mia presenza, solleva lo sguardo e mi chiede un fazzoletto.
    "Dovrei averne" gli dico, e dopo aver cercato nelle tasche della giacca, gliene porgo uno.
    Mettendomi di nuovo a sedere, gli chiedo da che tipo di viaggio è tornato, che posti ha visitato, se si è divertito... Ascolto in maniera distaccata ogni singola risposta, fingendo interesse e controbattendo di tanto in tanto.
    Ascolto per più di mezz'ora le avventure di Luke nella terra dei canguri, le gite, le camminate, il mare, il deserto, gli animali... Venti giorni in Australia lasciano il segno, dice lui, e non potrei essere più d'accordo di così.
    Mentre fingo di strofinarmi il naso, poso lo sguardo sugli scarponi Timberland che Luke ha ai piedi.
    Avverto il solito tremolio sotto all'occhio, così ci passo la mano per farmelo passare.
    Guardandolo, sorrido mentre lui parla e parla e parla... Continuo a guardare questo simpatico e spensierato viaggiatore che adesso è il mio compagno di viaggio... Il mio souvenir.
    Stasera ho fatto bingo.

    --- --- ---

    Intravedo sulla faccia di Luke i primi cenni di cedimento per via della stanchezza. È già il quarto sbadiglio che strozza in gola da qualche minuto... Le palpebre si sono abbassate sempre di più, sempre di più, impercettibilmente sempre di più... Si è mosso sul sedile per trovare una posizione più confortevole, abbracciandosi il busto con entrambe le braccia e sorreggendosi la testa poggiando una mano chiusa a pugno sotto al mento barbuto.
    Tra poco passerò all'azione. Inizio a contare mentalmente quaranta secondi.
    Trentanove.
    Trentotto.

    "... Non è stata proprio la serata che mi aspettavo, credo, cioè... Pensavo andasse diversamente... Perooò..."
    Trentuno.
    Trenta.

    Un altro sbadiglio, stavolta nemmeno strozzato. Sta cedendo.
    Ventisette.
    "...Scusa. Però ho saputo accontentarmi, ecco! Grande esperienza lo stesso..."
    Lo guardo negli occhi, fingendo un piccolo sbadiglio.
    "Anche tu sei stanco, eh?" mi chiede sempre sorridente, con l'aria di chi ne sa una più del diavolo.
    Annuisco stropicciandomi un occhio.
    Quindici.
    Quattordici.

    "Io direi di dormire un po', il viaggio è ancora lungo, non credi?"
    Annuisco di nuovo, fremendo nell'interno.
    "Niente di più giusto Luke! Chi si sveglia per primo sveglia l'altro, come d'accordo!"
    Gli strizzo l'occhio e lui alza il pollice.
    Sette.
    Luke chiude gli occhi e appoggia la testa di lato sul sedile, con le mani incrociate sul petto.
    Quattro. Tre... Due...
    Velocissimo, infilo la mano sinistra dentro alla camicia all'altezza della spalla destra e la mano destra nella tasca interna della giacca, estraendo in meno di un secondo un fazzoletto e una piccola ampolla di vetro, alla quale svito via il tappo muovendo rapidamente pollice e indice per poi riversare il contenuto nel fazzoletto che tengo sull'altra mano rivolto verso l'alto. Chinandomi leggermente in avanti, abbasso un calzino dalla gamba destra mettendo mano alla siringa.
    Cloroformio e tranquillante sedativo. Un giochetto.
    Mi alzo di scatto e premo il fazzoletto sul volto di Luke, che apre gli occhi e tenta di dire qualcosa, allarmato.
    Io stringo la presa intorno alla mandibola, sugli zigomi, premendo.
    Sta cercando di dimenarsi con le braccia, ma è un tentativo vano. Non se ne accorge, ma è già troppo tardi per reagire. L'ago della siringa entra con relativa facilità penetrandogli nel collo, poco vicino alla scapola sinistra. Spingo il pistone, poi è questione di pochi secondi. Luke è di nuovo tranquillo sul suo sedile, rispedito nel mondo dei sogni.
    Mi siedo, respiro, chiudo gli occhi, mi rilasso, mi concentro.
    Boccetta di vetro, tappo di plastica, siringa, fazzoletto. Metto il tutto dentro una scatolina di cartone che infilo in una busta e quindi nella tasca della giacca.
    Alzandomi, tiro bene le tende del finestrino e della porta dello scompartimento, che blocco con la chiusura a incastro di metallo. Per maggiore sicurezza, utilizzo tre pezzettini di nastro isolante per tenere insieme le tende.
    Rivolgo lo sguardo verso Luke, sorridente e compiaciuto. Strofino le mani, impaziente.

    --- --- ---

    Posiziono la valigetta sulle ginocchia, estraendo il contenuto in maniera meticolosa.
    Guanti in lattice monouso, che indosso subito stringendo i polsi con due elastici.
    Due ritagli di plastica da due metri quadrati ciascuno, uno per il pavimento e uno per i sedili.
    Indosso poi una specie di grembiule di plastica monouso per coprire i miei indumenti.
    Quando sollevo il sottilissimo strato di gommapiuma è sempre un momento speciale. Sento i brividi salirmi su per la schiena, sul collo, sulla nuca... Alla vista dei laccetti emostatici, dei seghetti e dei bisturi mi fremono le articolazioni.
    Un filino di bava mi staziona sul labbro inferiore leggermente inarcato verso l'esterno.
    Faccio un respiro profondo, un altro e un altro ancora.
    Luke è fermo, immobile e ignaro sul suo sedile, forzatamente spedito nel mondo dei sogni dal sottoscritto.
    Prendo un'altra siringa per l'anestesia locale.
    Calo di una decina di centimetri i pantaloni di Luke e gli siringo entrambe le cosce, poi gli afferro le caviglie e mi porto i suoi piedi sul grembo, ben posizionate sopra alla plastica.
    Mentre gli sollevo l'orlo dei pantaloni fino a scoprire gli stinchi e il polpaccio faccio dei respiri veloci e ritmati, muovendo freneticamente la lingua all'interno della bocca.
    La mia mano trema e vacilla mentre impugno i laccetti emostatici. Ne lego due intorno ad ogni gamba, tra polpacci e caviglie, molto stretti, lasciando tra di loro circa due centimetri di spazio.
    Prendo il seghetto.
    Una goccia di sudore freddo mi cala dalla tempia e termina il suo percorso sul mento. Si stacca e finisce sulla punta di uno scarpone. In quel momento i dentini metallici della sega iniziano a lacerare la carne della gamba. Esce del sangue, che schizza e cade gocciolando sulla plastica posta sul pavimento.
    Ad ogni affondo della sega, il tremolio compiaciuto della mia mascella si fa sempre più frequente e faccio fatica a controllare la salivazione.
    Tengo d'occhio Luke. La sua faccia, inespressiva, è quella che si attribuirebbe a un morto.
    Impassibile, con la bocca leggermente aperta in un angolo e le palpebre serrate sugli occhi.
    Non sente nulla, non si accorge di niente.
    La sega finalmente incontra le ossa.
    Estraggo dalla valigetta un seghetto da macellaio indicato apposta per questo genere di lavori.
    Il metallo incontra l'osso ricoperto di sangue, pezzi di carne e muscoli e comincia a grattare e incidere.
    Applico più pressione e intacco la superficie scivolosa della tibia, reggendo con forza lo scarpone per tenere la gamba ferma. Chiudo gli occhi e dopo qualche minuto di attenta lavorazione, mi godo il rumore sordo dell'osso che si spezza nel silenzio dello scompartimento, sussultando e mordendomi le labbra, con la faccia modellata in un ghigno sadico e soddisfatto.
    Mi lavoro il perone e finisco il lavoro con l'altro seghetto, separando in maniera definitiva il piede e la caviglia dal resto della gamba.
    Respiro affannosamente per lo sforzo fisico, ma dopo aver esaminato il frutto della mia fatica mi compiaccio di me stesso.
    Adesso tocca all'altra gamba.

    --- --- ---

    Apro il borsone e prendo una busta, dalla quale estraggo due stivali chantilly verdi, del genere utilizzato negli ambienti rurali di tutto il mondo civilizzato, e li posiziono a terra.
    Riempio entrambi gli stivali con carta e cotone e poi ci infilo i moncherini di Luke, facendo bene attenzione a infilargli i pantaloni all'interno senza rimuovere i laccetti emostatici.
    Così messo, appoggiato alla parete e seduto sul sedile, Luke pare avere un aspetto normale. Questi stivali si intonano molto ai suoi pantaloni militari a cui prima non avevo fatto caso, distratto com'ero dalle Timberland che indossava.
    Prendo i miei due souvenir e li infilo nella busta degli stivali chantilly, che poi rimetto al suo posto nel borsone.
    Riprendo i due pezzi di plastica ripiegandoli con accortezza senza lasciar cadere sul pavimento e sui sedili nemmeno una goccia di sangue e infilo anch'essi nel borsone. Rimetto apposto anche i seghetti, sistemandoli nella valigetta e coprendoli con lo strato di gommapiuma. Siringo di nuovo Luke al collo con un altro sedativo, per sicurezza. Rimuovo i pezzetti di nastro isolante dalle tende e mi preparo a lasciare il treno. Controllo l'orologio e scopro con sorpresa che sono da poco passate le due di notte. Fuori dal finestrino è buio pesto, e qualche gocciolina di pioggia si sta abbattendo sul vetro.
    Prendo l'agendina dalla giacca e controllo tutti i dati a disposizione.
    Treno 3461-B, in perfetto orario, nessun rallentamento straordinario, ore due e dodici del mattino. Se è tutto nella norma, la prossima fermata avverrà alle due e diciotto. Ho sei minuti per andarmene, secondo più secondo meno.
    I miei bagagli sono tutti al posto giusto, lo scompartimento è ordinato e Luke sta ancora dormendo della grossa.
    Mi concedo una breve pausa di due minuti al cesso, dove mi controllo in maniera maniacale la faccia, le braccia, le mani, il vestiario. Non una traccia di sangue, non un segno. Perfetto.
    Respiro e ricerco la calma. Ritrovo sullo specchio lo sguardo freddo, glaciale e impenetrabile di cui ho bisogno per andarmene, poi sorrido alla mia immagine riflessa mentre stringo la cravatta al collo ed esco.
    Il treno sta rallentando, è il momento di concludere anche questa storia.
    Prendo dal taschino il bisturi e lo affondo negli stivali di Luke, recidendo entrambi i laccetti emostatici dando via allo sfogo di sangue delle sue gambe mutilate.
    Lo fisso per un interminabile istante mentre sul suo viso compare una smorfia e una volta imbracciato il borsone e afferrata la valigetta, sono fuori dallo scompartimento.
    Il treno si ferma, la porta del vagone mi si spalanca di fronte e un'umida folata di vento mi si abbatte sulla faccia.
    "Luke Pallet..." dico sottovoce.
    "Che la fortuna sia dalla tua" penso.

    Edited by Zeta_JK - 17/10/2014, 16:17
     
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    La realtà è talmente assurda da superare, a volte, l'immaginazione!

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    Credo di aver aggiustato tutto quanto, mi ero dimenticato i corsivi e qualche altra cosetta, grazie per le correzioni!

    Il protagonista è ovviamente disturbato e ha questa singolare ossessione per le scarpe che hanno "una storia da raccontare" e le fa sue in maniera totalmente sadica :)
     
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  3. Phawk
         
     
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    Grazie per la spiegazione e rinnovo i miei complimenti perchè mi è piaciuta veramente tanto.
     
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    Crime, ottimamente strutturato.
     
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    CITAZIONE (»VShade @ 27/10/2014, 14:36) 
    Crime, ottimamente strutturato.

    Nient'altro da dire.
     
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  7. -ßuggy-
         
     
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    Veramente molto bella, complimenti!
     
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