Un altro uomo sta cantando nell’aria

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  1. misterpoe
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    Ma ditemi: dove trovare maestà più grave di quando il funambolo, con inchino ammirevole, si congeda dal filo?
    Philippe Petit


    So che un giorno arrivai in città. Che sono nato me l’hanno detto dopo.
    Dell’inizio non resta niente, se non la caduta e, per un poco, l’aberrante certezza d’essere equivalenti a se stessi. Da bambino giravo come un pesce tirato fuori dall’acqua, spigoloso e scontento, mosso da una grazia fatua o, per così dire, indifesa, che non cessava di spiegarsi ad ogni disincontro dei piedi con la strada: ero un corpo senza diritto di cittadinanza in terra che forse anche per questo parlavo poco, ma imperialmente (sono sempre esisti modi aulici anche per tacere). Invalidato, e finché in strada, incompleto, mi decisi finalmente per l’aria rubando un palloncino: come quando ci si impiega in un azione per esaurirne parallelamente anche il suo rovescio, mi ero convinto che licenziando le sue catene avrei in qualche modo strangolato anche le mie, o che forse, carezzandone con le mani il filo, sarei volato via insieme, cantando oscenità verso il basso sino a bruciarmi la bocca. Ma “la terre est ronde”, e i palloncini se li porta via il vento, con quella rituale incongruenza che fa “tabula rasa” delle alchimie e delle belle arti, degli dei e delle fantasie, siano essi la scienza di un pazzo o le arie sentimentali di un bambino che vuole volare: l’umanità è in fondo una bella notte di confidenze obliate il giorno dopo appena.
    Crebbi così cauterizzando lo sfregio dell'impotenza, tra una cianca e l'altra, e fu dunque un'adolescenza trascorsa nel fondo della notte. Tornavo spesso a interrogare il mio corpo come con un linguaggio stanco, e senza pazienza; i libri, che erano stati il conforto dei più solitari tra i pensatori, mi sembravano nient'altro che impasti di inchiostro o, più tardi, di cenere. Mi appartenevo , è vero, ma come ci appartiene qualcosa di lontano e separato; credo dunque che, prima di mettere un piede su una corda, io sia stato un'appendice innaturale di me stesso, l'immagine sbiadita di una specie che passa.

    Per me l'aria fu un'urgenza, e quello di Jean, il primo corpo la cui immediata crucialità seppe darmi la vertigine; egli m'appariva come una lotta ostinata di sforzi inutili e contrari, una nausea piombata a cavallo del cielo di cui ricordo ogni umore e ogni caduta. Io avevo 17 anni, lui 29, e quella fu l'unica occasione in cui seppi innamorarmi del funambolo, e non della corda.
    Quando cadde per l'ultima volta, avevamo già fatto l'amore abbastanza da dimenticarne la preminenza o, forse, da divenirne immuni: solo la corda non s'abitua a un corpo, col suo peso innaturale e anestetico; solo la corda non si manipola, ma si tende oltre, dove per tutti è impensabile che posso fare ancora ombra.
    Fu comunque grazie a Jean che inizia a profanare gli spazi trasparenti tra un tetto e l'altro, mosso da quella che più tardi realizzai essere l'inarresa vanità di un clandestino, o forse l'ultimo modo possibile per chiudere gli occhi: se per quelli che guardavano da sotto io sia stato un criminale, un anarchico o un mistico, siete liberi di giudicarlo, o di farne addirittura la vostra scienza: quando il sangue di un santo scolorisce, se ne fa subito inchiostro per scrivere.
    Ma che io sia stato, prima di tutto questo (o forse insieme), un malato terminale, ebbene questa consapevolezza fu l'unica eredità che Jean mi lasciò cadendo.

    A 27 anni ero già stato arrestato 16 volte, avevo abitato soglie e confini di almeno tre capitali, ero divenuto un corpo atopico nel quale si consumavano massicciamente significati insensati o fantasie, e dove sempre s'arrischiava l'estremo che unico mi permetteva d'abitare la mia nuda vita.
    Ero famoso e -fino ad allora- irreplicabile: ogni volta che le folle mi vedevano tendere una corda più in alto, era come se il mio corpo si ribellasse contro tutto il tempo, e dal buio della sala s'aprisse uno squarcio capace di fare la Storia: ero così divenuto l'ultima forma d'una utopia collettiva, o di un sonno dal quale si faceva fatica a svegliarsi. Io m’avventavo sulla corda simile a un oggetto di equilibrio, dimenticandomi delle platee, guadagnandomi con i piedi il cielo, e sapendo che ogni saluto poteva e doveva essere un addio. Così, quando decisi infine di attraversare le “due torri”, fu decidere di correre verso una caduta sicura.

    Fu un giorno uguale agli altri.
    Percorsi la prima metà del cavo lasciando che il sole mi oscillasse addosso: il mio corpo immobile era l’immagine di un movimento estremo, quasi che l’acrobata fosse divenuto la sua traversata.
    Quando poi ne superai i tre quarti, commisi l’errore del principiante o, magari, quello del campione: tesi un occhio alla platea. Dal basso, una folla che assomigliava a un bell’ardore, o a un bosco in fiamme, mi salutava come si saluta l’impresa di un’argonauta, e allora iniziai a sentirmi i piedi.
    Inizia a sentirmi vivere.

    Quando al bambino della folla sfuggii di mano il palloncino, io cantavo parole oscene verso il basso; lo vidi poco dopo avvicinarsi, nutrito dal vento, verso il cavo, poi raggiungermi. Lasciai che mi sfiorasse; mi tesi per prenderlo: quello fu l’ultimo saluto di “uno stupido acrobata” alla leggerezza. Caddi immediatamente dopo, nel silenzio.

    “Perché lo fai?” avevo chiesto un giorno a Jean.
    “Perché non ho mai saputo accomodarmi con il mondo” mi aveva risposto.
    Era stata la prima volta che l’avevo visto salire, a piedi nudi, sulla canapa.
     
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  2. McCandless
         
     
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    Un sublime consunto di parole orgasmiche per gli occhi.
    Inutile dire: è un piacere leggerti e si vede, leggendo, che il racconto è ben strutturato in tutte le sue forme. Seppur non veda l'ora che esca un tuo libro (e me lo auguro), non posso far altro che aspettare ed accontentarmi (si, sono un avido lettore).
    Quindi non posso far altro che concordare coi miei colleghi qua sopra e votare per Drammatico.
     
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  3. Lux Lisbon
         
     
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    Complimenti, è scritto molto bene. Anche per me va in drammatico. Avrei però da chiederti una spiegazione per la frase che cito di seguito, visto che non credo di averla capita.
    CITAZIONE
    come quando ci si impiega in un azione per esaurirne parallelamente anche il suo rovescio, mi ero convinto che licenziando le sue catene avrei in qualche modo strangolato anche le mie, o che forse, carezzandone con le mani il filo, sarei volato via insieme, cantando oscenità verso il basso sino a bruciarmi la bocca.
     
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  4. misterpoe
         
     
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    Ringrazio tutti per le squisite parole dedicate al mio racconto. Per quanto concerne il frammento citato da Lux, rispondo dicendo che si tratta di una traduzione del terzo principio della dinamica, che qui funziona anche da architettura logica del racconto (all'azione iniziale del palloncino ho fatto poi corrispondere il ribaltamento finale della narrazione).
     
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    Metafisico: un uomo cieco che in una stanza buia cerca un cappello nero. E il cappello non c'è.

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    Come ho già detto al riguardo del racconto da te pubblicato per il Creepycontest, sto notando con piacere come finalmente riesci nell'impresa di snellire il tuo stile ed eliminare le forzature. Drammatico.
     
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  6. Phawk
         
     
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    Per me è stata una lettura catartica, come se questo testo mi avesse mondato di ogni fastidio che provo a quest'ora della sera.

    Va be', ormai elogiarti è diventato scontato. Mi inchino e dico Drammatico.
     
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    Scusa il ritardo Poe. Non posso fare a meno di quotare Shade.
    Davvero un bel racconto Drammatico.
     
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6 replies since 12/10/2014, 14:20   163 views
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