Horror club

Un tributo a "The Breakfast Club"

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    Salve, il mio nome è Andrew e non bevo più da due anni ormai.
    La dipendenza mi ha fatto perdere tutti i lavori che ero riuscito a trovare e non sono mai stato capace di costruirmi una famiglia.
    Adesso ho un posto in un’officina e ho una relazione stabile con Nancy, una straordinaria ragazza che lavora all’ufficio di collocamento.
    Sono felice, ma devo ammettere che ogni tanto, quando la notte sogno gli avvenimenti di quel giorno… in quelle sere sento veramente il bisogno di bagnarmi la gola con del rum.
    Sono sicuro che i miei problemi con l’alcool siano iniziati per colpa di quella storia.

    Era il periodo delle superiori ero il miglior atleta del campus e il mio futuro sembrava luminoso.
    Quel giorno, un sabato, ero dovuto andare a scuola a causa di una punizione che avevo preso.
    La mattina era piuttosto fredda, il sole era parzialmente coperto da nuvole grigie e i miei occhi stavano protestando del fatto che mi fossi dovuto svegliare presto in un giorno in cui solitamente potevo dormire fino a tardi.
    Lì ferma davanti all’ingresso riconobbi la macchina dei genitori di Claire e vidi arrivare Bender a piedi. C’erano anche la ragazza strana e il secchione del secondo anno; non ricordo mai i loro nomi.
    Mi sembrava incredibile dover sprecare in quel modo un sabato mattina, soprattutto se pensavo al fatto che avevo preso la punizione solo per cercare di fare qualcosa che rendesse orgoglioso il mio vecchio.

    Presi la busta con il pranzo e mi incamminai verso la biblioteca.

    Mi misi in prima fila chiedendo con lo sguardo a Claire se le andava bene che le sedessi vicino; alla mia destra c’era il secchione, dietro avevamo Bender e nell’ultimo tavolo in fondo si era seduta la ragazza strana… aspettate, si chiamava Allison.
    Il preside arrivò subito e iniziò a farci la solita ramanzina e a spiegarci in cosa consistesse la nostra punizione: dovevamo spendere il sabato in quella biblioteca e scrivere un tema di almeno mille parole su chi credevamo di essere.
    «Lo svolgimento di questo tema non deve essere la stessa parola scritta mille volte.» aveva detto.

    Bender non aveva perso occasione per fare una delle sue scenate.
    Quanto non lo sopportavo, era come se Dio avesse fatto una persona concentrandoci tutti gli aspetti più sgradevoli che gli erano avanzati.
    Comunque aveva continuato a fare l’arrogante e il signor Vernon gli aveva dato altre punizioni, più parlava più sabati doveva passare in biblioteca.

    Temo di non aver mai capito per bene quel ragazzo, ma di fatto penso che non lo abbia mai capito veramente nessuno, probabilmente nemmeno lui sapeva chi era.
    In quella sede ci raccontò dei problemi che aveva in casa: mi sembrò una richiesta di attenzioni, ma forse era solo il disperato grido d’aiuto di un ragazzo costretto a crescere nel costante terrore di un padre violento; ripensandoci non credo sia così strano che fosse diventato un ribelle e arrogante teppistello.

    Quando arrivò il momento del pranzo ci rendemmo conto di quanto eravamo diversi: oltre alle bibite che eravamo andati a prendere io avevo quattro panini, una confezione di latte, delle patatine, della frutta e poca altra roba, il secchione aveva zuppa e succo di mela, Claire tirò fuori alcune porzioni di sushi con tanto di salsa di soia messa in una piccola ciotolina e Allison aveva un panino che rielaborò lanciando via la mortadella e farcendolo con quelli che credo fossero cereali e zucchero.
    Bender… lui mi sembra non avesse nulla con sé.

    Quella fu una giornata molto strana perché a causa di scelte sbagliate, le nostre strade si erano incontrate in quella biblioteca; le strade di cinque persone che non avevano nulla in comune se non la stessa scuola. Tutto ci portava a non frequentarci: le diverse amicizie, il diverso status sociale, quello economico, l’ambito scolastico, la fedina penale, ma quel sabato, chi in un modo, chi in un altro, ci eravamo ritrovati tutti lì.
    All’epoca ero uno degli atleti più promettenti del liceo, come ho già detto, e stavo attentissimo a qualsiasi cosa facessi, non avevo mai fumato, mai bevuto né usato droghe, ma quella volta, forse spinto dai miei improbabili colleghi, provai a fumare dell’erba che aveva Bender.
    Eravamo andati a prenderla dal suo armadietto nonostante non potessimo muoverci dalla biblioteca e per non farci beccare dal preside, Bender aveva fatto da esca ed era stato messo in “isolamento” in un’altra stanza, ma era tornato da noi passando dai condotti dell’areazione. Aveva sfondato il soffitto precipitando sul pavimento della biblioteca e si era dovuto nascondere sotto il tavolo di Claire.

    Ancora sorrido ripensando allo sguardo di Claire quando Bender le posò la testa sulle ginocchia mentre le guardava sotto la gonna.
    Ma temo di star allungando troppo la storia.

    Per farla breve arrivammo ad un punto in cui iniziammo a confidarci.
    Sentivo di poter dire loro qualsiasi cosa, anche ciò che non avrei mai detto ai miei amici più cari; quei quattro erano diventati improvvisamente, solo per quell’occasione, come una famiglia.
    Ci dicemmo i motivi che ci avevano condotto in punizione.
    Brian, ecco come si chiamava il secchione, lui aveva causato un incendio a causa di una pistola a razzi che aveva portato a scuola, disse che aveva avuto l’intenzione di suicidarsi a causa di un brutto voto che aveva preso.
    Allison disse tante cose: di essere una ladra, di essere una ninfomane e alla fine disse di essere venuta lì in biblioteca quel sabato perché non aveva niente di meglio da fare.
    Non ricordo cosa avessero fatto Bender e Claire.

    Anche io confessai il motivo per cui avevo preso la punizione e i miei nuovi amici mi ascoltarono senza giudicarmi.

    Ancora mi vergogno di quello che era successo.
    Di fatto mi ero comportato da bullo verso un ragazzo, Larry Lester, che non mi aveva fatto assolutamente niente, volevo solo avere una storia da raccontare a mio padre come quelle che mi raccontava lui e un giorno, mentre eravamo negli spogliatoi, iniziai a picchiare quel poveretto senza motivo finendo con il mettergli lo scotch nelle sue parti intime.
    Mi ero sentito malissimo subito dopo, ma non potevo nemmeno andare da lui per scusarmi perché mi avevano imposto di non avvicinarmi.

    Improvvisamente entrò nella stanza Larry mentre Claire e Bender stavano litigando.
    Aveva gli occhi completamente rossi e gonfi che erano ricolmi di rabbia e teneva le mani in tasca.

    Accadde così velocemente, ma nei miei sogni rivivo il tutto con una lentezza sconvolgente.
    Tirò fuori le mani e nella destra stringeva una pistola. Il primo colpo fu per me e mi prese al ginocchio, il dolore fu totale e sentii qualcuno urlare, mi ci vollero quasi due secondi per capire che ero io.
    Bender si alzò per andare contro il ragazzo e Larry gli sparò direttamente in testa.

    Non avevo mai visto uccidere nessuno e nonostante Bender non mi fosse mai stato simpatico, vederlo cascare in terra completamente inerte, mi fece un’impressione orribile.
    Poi Larry puntò l’arma verso gli altri e premette il grilletto altre tre volte. Uno ad uno, i miei amici caddero tutti.
    Cercai di strisciare via, ma lui mi urlò di fermarmi.
    «Non fai più tanto il gradasso ora, vero?»
    «Larry, ti giuro che mi dispiace. Quello che ho fatto è orribile, ma loro non ti avevano fatto niente.»
    «Stai zitto! Loro erano nel posto sbagliato al momento sbagliato, mi dispiace per Brian, era veramente un genio, ma non penso che tanti sentiranno la mancanza di una principessa, di una pazza e di un criminale.
    Adesso è il tuo turno, “grande atleta”.»

    Il ragazzo alzò la pistola e mi sparò un’altra volta, questa volta colpendomi alla pancia. Pochi secondi e il dolore non fu più tanto acuto e il freddo mi si infilò nelle ossa, non riuscivo nemmeno a tenere gli occhi completamente aperti, ma non ero ancora svenuto.
    Credendomi morto Larry si lasciò sfuggire un urlo e si buttò in ginocchio in lacrime. Lentamente si portò l’arma alla tempia destra e fece fuoco.

    Mi risvegliai giorni dopo in ospedale.
    La mia vita era ormai distrutta e tutto per colpa mia.

    Ho passato anni in compagnia di una bottiglia, cercando di affogare i ricordi e i sensi di colpa, ma alla fine sono riuscito a capire che quello che feci fu orribile, ma di certo non giustificava le azioni di Larry. Quel ragazzo doveva già avere dei problemi, io fui solo la goccia che fece traboccare il vaso. Mi dispiace per quello che ho fatto, ma fu un caso se gli altri erano in biblioteca con me e non posso accollarmi le loro morti.

    Però alcune volte, quando sono in officina e prendo la busta con il pranzo, mi ritorna in mente quel sabato e non posso fare a meno di sorridere ripensando a Bender, Claire, Brian e Allison. Ripensando al “Breakfast Club”.

    Edited by KungFuTzo - 26/10/2015, 15:59
     
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  2. IlCavaliereNero94
         
     
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    AR imho mi sembra un po' troppo stereotipata come storia.
     
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    Il tuo commento è corretto, il film si basava proprio su questo. Non so se l'hai mai visto (e te lo consiglio, un film che ha segnato una generazione), ma la storia narra i problemi di adolescenti che si devono scontrare con l'idea stereotipata che gli altri, in particolare il preside e i loro genitori, hanno di loro.
    Ho voluto fare questa storia come tributo ed ho ripreso il tema dello stereotipo proprio per questo (quando il ragazzo li definisce un genio, una principessa, una pazza, un criminale e un atleta è proprio un richiamo al tema che alla fine scrivono).
     
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    Intanto ti correggo il titolo, è "Breakfast" senza la c.

    Chiamo altri colleghi a votare, visto che siamo 2 AR, 1 Drammatico e 1 indeciso (io ho deciso per AR).
     
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    Dico anche io AR e smisto.
     
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