Discesa sul pianeta-oceano

Prologo all'esplorazione di Atum

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    PROLOGO

    >>INIZIALIZZAZIONE ENCEFALO/SERVER...
    >>>SCAMBIO BIDIREZIONALE ENCEFALO/SERVER ATTIVO
    >>>SCHEMI MOTORI AGGIORNATI
    >>>SCHEMI NEURALI AGGIORNATI
    >>>NEURODIGITAZIONE ABILITATA
    >>>SCHEMI COMPLESSIVI AGGIORNATI E PRONTI ALL'USO
    >>>AVVIO UNITÀ CHM-746...
    >>>UNITÀ AVVIATA
    >>>AVVIO MOTORI AUSILIARI
    >>>ESTENSIONI MOTORIE PRONTE
    >>>CAVO DI ALIMENTAZIONE SGANCIATO
    >>>AUTONOMIA RESIDUA: 6 GIORNI 21 ORE 15 MINUTI 59 SECONDI


    L'unità esplorativa CHM-746 si sganciò dalla spazio-nave "UEF-Horizontis" e iniziò la discesa a velocità supersonica verso la superficie liquida di Atum, il pianeta-oceano. Nella cabina di pilotaggio c'era Charles Smith, veterano pilota di unità esplorative di classe CHM e FZB.

    Nessun paracadute a frenare la discesa, l'unica cosa da fare era disporre i quattro arti inferiori a "X" e tentare di non bruciare a causa dell'attrito.

    La cabina di CHM-746 era minuscola, circondata da schermi e consolle che fornivano tutti i dati dall'esterno. Il sistema operativo adottato dal gigante di metallo era ridotto alla riga di comando per fornire la massima potenza di calcolo alla CPU e agli accelerometri integrati nell'immenso corpo meccanico. L'unica "comodità" era costituita dal sistema di neurodigitazione, che permetteva di gestire la grande gamma di movimenti di cui era capace l'unità solamente muovendo le braccia e premendo alcuni pedali con i piedi.

    Charles digitò alcuni comandi sulla consolle davanti a lui, che subito si mosse in avanti lasciando libertà di movimento per le braccia. Sotto gli stivali di Charles c'erano ben sei pedali diversi, per gestire i movimenti dei quattro arti inferiori e l'accelerazione e la decelerazione.

    Dopo circa un minuto di caduta libera, Charles premette rapidamente i pedali per disporre gli arti inferiori a "X" ed evitare così eccessivo attrito, poi distese le braccia e attese.

    A quattro minuti dallo sgancio, si intravedevano già gli immensi cumulonembi perenni che sovrastavano l'oceano infinito di Atum. Era la seconda fase della caduta libera: attraversare le nubi. Quelle immense nuvole non erano neanche paragonabili ai cumulonembi più grandi mai visti sulla terra. Torreggiavano per oltre quattromila metri nell'atmosfera, avevano al loro interno tempeste capaci di sradicare un grattacielo e fulmini capaci di fondere il metallo. Un vero inferno.

    Ancora dieci secondi di limpido cielo azzurro, poi CHM-746 precipitò nel buio e nella tempesta.

    Una raffica devastante di vento sollevò il robot quasi fino alla cima della nube, poi lo scaraventò giù e poi ancora su. Charles sistemò le gambe del robot parallele al corpo per dare maggiore penetrazione e attivò i gravito-reattori ausiliari, riuscendo a sfuggire a quei venti devastanti. La discesa proseguì, contornata di fulmini accecanti e bagliori di luce giganteschi.

    Cinque interminabili minuti. Alla fine si intravidero i riflessi dell'oceano, così Charles riassunse la posizione a "X" per rallentare la discesa.

    CHM-746 uscì finalmente dal cumulonembo. In meno di un minuto però precipito nell'oceano. Il boato fu talmente fragoroso da sollevare onde alte una ventina di metri, mentre il robot affondava sempre più giù.

    Scattò l'ultima fase dell'operazione di discesa: risalire in superficie. Charles utilizzò gli arti inferiori come elica, facendo ruotare il bacino del robot rapidamente su sè stesso. La discesa nell'oceano rallentò e infine si invertì. Alla fine l'Unità CHM-746 riemerse in superficie.

    Appena riemerso, Charles si sollevò con i reattori a circa dieci metri dall'acqua, e volò velocemente alla ricerca di un punto per atterrare.
    Dopo circa mezz'ora di viaggio alla velocità del suono, Charles individuò un piccolo isolotto. Spense i reattori e, con l'ausilio dei soli motori secondari, planò sull'isola.

    Non era esattamente un'isola, bensì un banco galleggiante di alghe calcificate. La superficie dell'oceano era piena di queste creature vegetali grandi come una città galleggianti sulla superficie, e quando una di queste creature moriva, l'alta concentrazione di calcio nelle acque dell'oceano la fossilizzava nel giro di pochi anni. Condizioni simili sulla Terra sono presenti solo nelle acque del lago Natron, in Egitto. Sopra questo guscio fossile cresceva poi una rada vegetazione bassa, l'unica forma di vita terrestre possibile su quel pianeta liquido.

    L'unità CHM-746, dopo una caduta di oltre diecimila metri, finalmente toccò il suolo con i suoi quattro arti inferiori. La prima unità da esplorazione umana era atterrata sulla superficie di Atum. Iniziava l'esplorazione del pianeta-oceano.

    FINE DEL PROLOGO

    Edited by HalNineThousands - 17/12/2014, 17:04
     
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    «UEF-Horizontis a Unità CHM-746. Come va sulla superficie?»
    «Tutto tranquillo. Sono atterrato su un'isola fossile a circa due chilometri e mezzo dal punto di atterraggio. Mi sto preparando a mettermi in marcia verso il centro dell'isola»
    «Ricevuto. Fine comunicazione»

    CHM-746 avanzava nella bassa vegetazione sulla costa dell'isola fossile. Non si trattava di vegetali simili a quelli terrestri, anzi assomigliavano di più a delle alghe con radici. Il particolare strano che colpì Charles però fu che la maggior parte di questa rada vegetazione aveva una tonalità di verde incredibilmente pallida. Era come se quelle piante non traessero quasi per niente nutrimento dalla luce della debole stella di Atum.

    Un forte rimbombo interruppe le riflessioni di Charles. Qualcosa stava avanzando verso di lui, emettendo un suono simile a un eco ultrasonico.

    Charles attivò le telecamere GR-360 per attivare una visione completa di tutte le radiazioni attorno a lui. Niente nel raggio di chilometri. Nessuna variazione nello spettro delle radiazioni.

    Rassicurato, Charles si mise in marcia verso il centro dell'isola-fossile. Le ruote sferiche dell'unità CHM-746 non avevano difficoltà ad avanzare nel terreno, anche se la superficie aveva una consistenza simile alla cenere ma molto più fine e stranamente vischiosa. Probabilmente era dovuto agli ultimi liquidi interni dell'enorme alga fossilizzata che a causa del riscaldamento della superficie trasudavano dal terreno e creavano questa sorta di fango denso. Ad un tratto però le gambe del robot sprofondarono fino a impedirne i movimenti.

    «Dannazione!!» gridò.

    Tentò in ogni modo di sbloccarsi, ma era praticamente impantanato in quelle sabbie mobili.

    Poi, però, capì di non essere finito in delle comuni sabbie mobili. L'intera unità CHM-746 venne all'improvviso inglobata in un'immensa bolla di quel liquido viscido. Da quella massa informe spuntarono decine di occhi violacei. Non si trattava di sabbie mobili, ma di un'immensa creatura gelatinosa che, mimetizzandosi nel fango putrido che permeava il terreno attendeva qualche preda da inglobare. Dopo qualche secondo l'immensa bolla vivente si addensò fino a diventare roccia durissima e compatta. Lentamente la morsa della creatura divenne fortissima e l'armatura del robot iniziò a incrinarsi.

    Charles tentò di sbloccare in tutti i modi l'unità, ma non c'era verso. La roccia era durissima e la corazza iniziava a cedere alla pressione.

    La spalla sinistra stava per spezzarsi.

    Due delle quattro gambe stavano per frantumarsi in mille pezzi.

    Charles chiuse gli occhi e pregò.

    All'improvviso la morsa della creatura si sciolse completamente, ritornando allo stato semi-liquido. L'unità CHM-746 era quasi intera, solo qualche incrinatura ma niente di irreparabile.

    Ma il problema era un altro.

    Finora Charles non si era accorto del fatto che una trappola così sofisticata doveva essere per forza essere stata tesa dalla creatura per qualcosa di grosso. Molto grosso.

    E quel qualcosa era arrivato e torreggiava davanti a lui.

    Non era precisamente un gigante. Era più un enorme colonna di roccia spuntata forse dal terreno sabbioso, dotata di una serie di rigidi tentacoli e di sedici larghe orbite piene di occhietti grandi come un pallone da basket. Il gigante roccioso emise un forte rimbombo sonoro, poi si mosse all'attacco dell'unità 746. Avanzava letteralmente scivolando sulla sabbia, come un hovercraft.

    Un gigantesco hovercraft alto cento metri al cui confronto l'unità CHM-746 (alta "appena" venti metri) sembrava un giocattolo per bambini.

    Istintivamente Charles schivò il colosso di roccia muovendosi di lato, mentre la creatura, non riuscendo a fermarsi in tempo, precipitò dritta nella trappola liquida che prima imprigionava Charles. Il gigante rimase invischiato nel fango assassino, che si trasformò istantaneamente in pietra e lo intrappolò dentro. La creatura reagì con rabbia, agitando i tentacoli di pietra tentando di sfuggire a quella morsa letale, spazzando letteralmente il terreno sollevando nuvoloni di polvere. Charles, preso alla sprovvista, fu colpito in pieno e ruzzolò via, per poi riprendersi e lanciarsi all'attacco. Dalle braccia dell'unità 746 fuoriuscirono due grandi paia di lame rotanti. Il busto del robot iniziò a ruotare rapidamente come un vortice e, al momento dell'impatto, rimbalzò via rapidamente, per poi altrettanto rapidamente tornare all'attacco, sempre ruotando come una trottola impazzita. Alla fine, dopo un paio di tentativi, riuscì a colpire una delle orbite del colosso, che iniziò a emettere polveri scure e finissime. Dopo un paio di minuti, la creatura di roccia fermò i suoi frenetici movimenti e venne totalmente ingerita dal fango assassino.

    Nel frattempo, la stella rossa che illuminava il pianeta stava tramontando, così Charles decise di fermarsi e attendere di nuovo l'alba. Dopo quest'esperienza non era molto propenso a incontrare altre creature notturne.

    La notte durava appena cinque ore su Atum, così Charles attivò il sistema di standby dell'unità 746, alzò al massimo i sistemi di allarme e rilevamento nemici per stare sicuro e provò a dormire.

    L'indomani lo avrebbe atteso una delle peggiori giornate della sua vita.

    FINE DELLA SECONDA PARTE

    Edited by HalNineThousands - 17/12/2014, 17:12
     
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    Charles si svegliò a circa trenta minuti dal sorgere della stella di Atum. Appena sveglio controllò tutti i sistemi di sorveglianza e le videoregistrazioni fatte mentre dormiva. Per fortuna niente di anomalo, solo il rumore dei venti che spazzavano costantemente la superficie del pianeta e il vasto e piatto orizzonte.

    Il tempo di una rapida colazione a base di barrette idratanti precompresse e si rimise in marcia. Nonostante l'unità 746 avanzasse a oltre 120 chilometri orari le distanze sembravano immense. Dopo circa cinque ore di marcia a velocità sostenuta, i sensori avvertirono Charles di un movimento strano dietro di lui. Si fermò. Charles si guardò attorno usando tutta la gamma di sensori disponibili, eppure non c'era nulla di strano. Poi, analizzando la gamma infrarossa, lo notò. Era un'ombra incredibilmente sfuggente, quasi eterea, ma era il segno che qualcosa lo seguiva.

    Una frazione di secondo. Uno schianto.

    Charles si ritrovò a terra, qualcosa lo aveva colpito alle spalle. Non ebbe neanche tempo di rialzarsi. Ancora una serie di colpi.

    Alla fine Charles riuscì a rialzarsi e tentare di fuggire. L'unità 746 rimbalzò agilmente a destra e a sinistra piegandosi sulle quattro ginocchia, poi accelerò rapidamente.

    Troppo lento.

    Ancora cinque, sei colpi. Qualcosa di invisibile lo stava attaccando.

    Alla fine Charles si decise. Allungò la consolle sinistra verso di sé e digitò alcuni comandi. Il braccio sinistro del robot si aprì, si scompose e si ricompose in un sottile cannone al plasma. Senza neanche stabilizzare la mira, Charles sparò una serie di colpi alla cieca attorno a lui. I dardi bianchi saettarono dal cannone e si spensero a circa un chilometro dallo sparo. Qualunque cosa fosse, doveva essere agilissima.

    Ancora colpi a vuoto. Il cannone si stava surriscaldando, così Charles lo riconvertì nel braccio sinistro.

    Neanche il tempo di posare la consolle che ancora quell'essere invisibile lo assalì. Stavolta sul petto dell'unità 746 si formarono tre lunghi squarci.

    Istintivamente Charles allungò le braccia in avanti, e il robot fece lo stesso, guidato dalla neurodigitazione. Stavolta le mani metalliche afferrarono qualcosa, quello che sembrava essere un globo o comunque una forma sferica.

    Charles colpì alcune volte quel "qualcosa" e si rialzò, sempre tenendo stretto quell'oggetto invisibile. Ma la creatura fu talmente rapida a riprendersi da rispedirlo subito a terra, stavolta con una forza tale da sfondare letteralmente il terreno. Precipitarono in un'immensa caverna sotterranea.

    Solo nel buio perenne Charles capì cosa aveva di fronte.

    Doveva aver utilizzato un sistema di riflessi e assorbimenti della luce per mimetizzarsi a quasi tutte le lunghezze d'onda, ma adesso brillava quasi di luce propria. Ricordava vagamente una medusa, ma a differenza degli armoniosi invertebrati terrestri questa creatura era capace di muoversi anche sulla terraferma nonostante mostrasse esternamente delle branchie. Non aveva una forma riconoscibile, il suo corpo era solo un globo trasparente circondato da una miriade di tentacoli piatti e affilati. Si muoveva ruotando velocemente su una lunga "coda" ossea che toccava il suolo e che lo faceva assomigliare vagamente a una trottola. Charles era esterrefatto.

    La creatura non emise suoni, semplicemente si scagliò contro l'unità 746, mentre i suoi tentacoli iniziarono ad accorciarsi e a stringersi attorno al globo centrale della creatura, facendole assumere la forma di un cono rovesciato. Era a tutti gli effetti un immenso turbine vivente.

    Stavolta Charles non si lasciò prendere alla sprovvista e con una serie di lunghi salti si inerpicò lungo le pareti della grotta e, con uno slancio agilissimo, colpì la creatura esattamente all'interno del vorticoso tumulto di tentacoli. Schizzi di sangue verdastro e densissimo esplosero in tutte le direzioni. Ma la creatura non accennava a morire. Menò ancora colpi rapidissimi e il robot non ebbe neanche il tempo di tornare a terra. Dalla caverna, che doveva essere la tana del mostro, spuntarono decine e decine di quelle creature.

    «Non oggi, schifosi!!!» gridò, e si lanciò all'attacco estraendo le lame rotanti dalle braccia del robot.

    Tagliò e fece a pezzi come mai nella sua vita. Schizzi di sangue verdastro dappertutto. frammenti flaccidi e schegge ossee si sparsero sul pavimento della grotta. Ma più colpiva e più ne arrivavano. A Charles non importava, voleva solo uscirne vivo. Agitò le braccia quasi alla cieca, le lame ruotavano velocissime e si surriscaldavano per l'attrito con le carni di quelle creature. Ancora colpi a caso, per oltre venti minuti, fu un susseguirsi di slanci, di arretramenti, di lampi verdi e rumori di lame intente a segare, tagliare, mutilare.

    Charles stava per avere la meglio. Poi, però, la catastrofe. Nella foga della battaglia una delle creature colpì con i suoi tentacoli un punto critico dell'unità 746, l'addome. Lì, in profondità, si trovavano i cavi dell'alimentazione che portavano l'energia dal reattore interno al resto del corpo. Il colpo inferto dalla creatura recise in parte quei cavi.

    L'unità rallentò rapidamente i suoi movimenti, le lame rotanti si fermarono e le luci nella cabina di pilotaggio si affievolirono.

    «NO!! Cosa è successo?»

    Le creature colsero al volo l'occasione e si avventarono sul robot ormai inerme. Lo sopraffarono in pochi secondi.

    Fu colpito ancora varie volte, decine di volte. Ogni colpo lasciava qualche squarcio nella corazza metallica.

    Alla fine l'unità 746 rimase bloccata in una fenditura della caverna, colpita continuamente e brutalmente dal branco imponente di creature. Charles era impietrito. Non riusciva a reagire, dagli schermi vedeva solo lampi grigi, schizzi verdi e luci accecanti che ruotavano come trottole. Non si capacitava di come quelle esili creature riuscissero a essere così distruttive.

    Le spie sulle consolle indicavano che i sistemi interni stavano collassando. Gli accelerometri, i serbatoi d'ossigeno, le articolazioni, i giroscopi e i sistemi di raffreddamento. Tutto si stava frantumando. La corazza sul petto aveva ceduto sul suo margine sinistro esponendo il reattore centrale, mentre una gamba era rimasta incastrata tra i tentacoli delle creature ed era quasi completamente dilaniata. Charles tentò ancora di colpire, ma l'unità reagiva a fatica, lentamente, e gli era impossibile mandare a segno qualche colpo.

    "Ormai non c'è veramente più nulla da fare" pensò Charles stremato. "Tra poco queste bestie arriveranno a recidere qualche circuito vitale e morirò, intrappolato in questo rottame senza poter fare nulla"

    Una di quelle creature, però, improvvisamente si allontanò, seguita dalle altre. Il branco stava scemando. Alla fine, dopo altri dieci interminabili minuti, la caverna fu nuovamente vuota, le creature scesero nelle viscere della cavità sotterranea, dove probabilmente c'era un passaggio verso l'oceano sopra cui galleggiava l'isola-fossile, e Charles rimase lì.

    L'unità CHM-746 era irriconoscibile. I danni erano incalcolabili. Petto, addome, braccia, gambe, testa, sensori, valvole e circuiti. Quasi tutto era fuori uso. La corazza esterna era talmente ammaccata e rovinata che sembrava ricoperta di setole. Ironia della sorte, poi, il robot era incastrato in una fenditura nelle pareti della grotta, bloccato lì dalla furia delle bestie che ce lo avevano letteralmente incastrato dentro.

    «Dannazione!» Charles continuava impotente ad agitare le braccia e premere sui pedali. Il robot tentava di muoversi, tutte le luci esterne, quelle poche che funzionavano, erano debolissime e gli arti maciullati si muovevano a scatti.

    Alla fine, dopo minuti di continui tentativi, pensò disperato: "Allora... dovrà proprio finire così..." contemplò il circuito della ventilazione della cabina di pilotaggio, lì, in vista e pronto ad essere reciso e a garantire una morte veloce. "Non posso neanche uscire da qui perché il portellone è bloccato! Dannazione!!"

    Guardò una delle consolle attorno a lui, alcuni pulsanti erano saltati via, ma i tasti erano ancora illuminati.

    «Eppure...» disse «posso ancora fare un ultimo tentativo»

    FINE DELLA TERZA PARTE

    Edited by HalNineThousands - 11/12/2014, 17:32
     
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    Benissimo allora, ribadisco il mio Fantastico e aspettiamo gli altri pareri.
     
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  5. Kingor N&A
         
     
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    Molto ben descritto, complesso, ma efficace e coinvolgente. Complimenti.
    Per me è Fantastico.
     
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    Anche per me si può smistare in fantastico dopo le correzioni.
     
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    Ho corretto tutti gli errori, mi fa piacere che la storia vi piaccia grazie :)
     
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  8. McCandless
         
     
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    Bene allora, ripulisco e smisto (4 pareri per Fantastico).
     
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    Charles stava cercando i reattori ausiliari, quei dannati reattori ausiliari. Lavorare senza interfaccia era snervante, bastava un piccolo, piccolissimo errore di digitazione e tutto quello che era stato fatto andava a rotoli.

    I sistemi interni dell'unità 746 funzionavano grazie a una rete di applicativi interni gestibili manualmente dal pilota. Ogni sistema, dai propulsori alle armi al reattore centrale, aveva un suo applicativo specifico. Charles doveva solo trovare quello giusto e forse sarebbe finalmente uscito da quel cunicolo sotterranneo.

    Il suo piano era semplice: i reattori ausiliari da soli non potevano fornire abbastanza spinta per sollevare tutte le centoventi tonnellate dell'unità meccanizzata, però potevano fornire una spinta in avanti sufficiente a spostarla senza ricorrere alla neurodigitazione degli arti inferiori.

    Con grande pazienza, Charles cercò l'applicativo dei reattori, avviò la configurazione avanzata e programmò il sistema per spingerlo in avanti di una decina di metri alla massima potenza.

    I reattori emisero un forte sibilo, poi un rombo poderoso che sollevò una grande nube di polveri e detriti dalle viscere della fenditura.

    Charles mosse lentamente in avanti la leva che controllava la direzione dei reattori. L'unità 746 iniziò lentamente a muoversi, stridendo la corazza esterna contro le pareti della spaccatura.

    Poi, però, la catastrofe. Il gas surriscaldato emesso dagli ugelli dei reattori iniziò a riscaldare la roccia attorno all'unità, aprendo crepe sempre più grandi. Proprio nel momento in cui i propulsori raggiunsero il massimo della spinta, l'intera porzione di roccia cedette.

    "Ma che...?" Charles non ebbe neanche il tempo di pensare: sotto di lui il terreno si spaccò e si aprì come una voragine.

    Evidentemente sotto la cavità in cui si trovava ci doveva essere una grande rete di tunnel e cunicoli, separati solo da sottili diaframmi di roccia-fossile, perché quando l'unità vi precipitò dentro si scatenò una valanga sotterranea di incredibile portata, che scosse la roccia fin nelle sue più recondite profondità.

    In superficie il terremoto fu talmente forte che si aprirono altrettante fenditure. L'intera cavità che imprigionava l'unità 746 crollò su sé stessa.

    Charles non capiva cosa stesse accadendo, le telecamere esterne erano oscurate dalla massa di detriti che lo stava trascinando nelle viscere dell'isola, sapeva soltanto che, prima o poi, la sua caduta sarebbe finita nel peggiore dei modi.

    Un fragoroso scroscio d'acqua avvertì Charles che non si trovava più nell'isola.

    Ora si trovava sotto l'isola.

    Non credeva ai suoi occhi, finora aveva creduto che Atum fosse un pianeta quasi sterile, ma adesso doveva ricredersi su tutto.

    L'intera faccia inferiore dell'isola-fossile, come una gigantesca barriera corallina rovesciata, ospitava una vera e propria foresta sotterranea, con alberi traslucidi che affondavano le loro radici nella roccia sovrastante e facevano galleggiare le loro chiome lunghissime fino quasi a sparire nell'oscuro oceano senza fondo sotto di essi.

    Charles tentò di toccare uno di questi enormi vegetali sottomarini, ma con sua grande sorpresa la pianta schivò il braccio gigantesco dell'unità con un brusco movimento.

    All'improvviso una sagoma enorme come un siluro sfrecciò sotto di lui. Allarmato, Charles risalì velocemente e si tenne ben saldo al soffitto di roccia che lo sovrastava. Appena la sagoma misteriosa fu abbastanza vicina, divenne improvvisamente ben conosciuta: si trattava di una di quelle enormi torri di roccia viventi che aveva incontrato sulla superficie e che a quanto pare erano capaci anche di nuotare grazie ai loro rigidi tentacoli.

    La creatura non mostrò apparente interesse per Charles, e, usando i rami dei vegetali sottomarini come appigli, si trascinò lontano fino a sparire nell'oscurità.

    In quel momento Charles si accorse che i fari esterni dell'unità non erano accesi, eppure l'intera zona era immersa nella penombra, come se qualcosa emettesse luce a una certa distanza da lui.

    E Charles sapeva cosa emetteva luce nel buio. Certo, poteva trattarsi anche del più innocuo dei bizzarri animali che abitavano nelle profondità, ma era meglio stare allerta. Nelle condizioni in cui era, sarebbe bastata una sola di quelle letali meduse e non avrebbe avuto scampo.

    Dietro di lui avvertì un movimento velocissimo, si voltò ma il movimento ora lo avvertiva davanti. Qualcosa gli stava girando intorno.

    Alla fine, d'istinto, si mosse velocemente in una direzione, senza neanche guardare, sperando di sfuggire alla danza mortale della creatura. Ormai sapeva cosa fosse, lo aveva aspettato lì sotto per finire il lavoro. Doveva fuggire.

    Lo stridore del metallo lo avvertì che un nuovo scontro stava per avere inizio.

    FINE DELLA QUARTA PARTE
     
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    Dal lato oscuro della mia anima.

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    Interessante come racconto, ricco di particolari e scritto davvero molto bene. Aspetto il continuo. :siga:
     
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    Davanti a Charles emerse dall'oscurità qualcosa di colossale, che andava oltre qualsiasi creatura avesse visto finora sul pianeta: un mostruosa composizione di decine di meduse come quelle che aveva già affrontato, legate assieme da un intreccio di tentacoli. I loro nuclei erano semifusi, coperti di fasci nervosi che li collegavano indissolubilmente.

    «Possibile che sia... la creatura-madre?»

    L'enorme essere si mosse verso di lui, agitando le sue estremità flessibili tentando di attaccarlo. Charles, che si trovava a meno di una decina di metri da quell'orrore, fu investito in pieno. Tentò di liberarsi, ma rimase totalmente incastrato in quell'ammasso di tentacoli.

    Il sistema di neurodigitazione non funzionava correttamente, i segnali cerebrali non venivano trasmessi e l'unità 746 si muoveva a malapena.

    I tentacoli continuarono a trascinarlo verso i nuclei centrali della medusa-madre, che si illuminavano sempre di più e pulsavano vivacemente. Alla fine i globi entrarono in contatto con l'unità, emanando all'improvviso fortissime scariche elettriche verso l'esterno.
    Charles sentì la sua mente esplodere in un fortissimo calore, che gli iniziò a corrodere e bruciare la pelle, partendo dalle dita delle mani e proseguendo lungo le braccia e scendendo verso le gambe.

    Lottando contro sè stesso, colpì letteralmente con le dita ustionate la consolle che controllava il cannone al plasma, tentando di dirigerlo verso la creatura. Senza neanche controllare la mira, fece fuoco.

    Il raggio al plasma contrastò le scariche elettriche della medusa-madre, ma quest'ultima, in preda a spasmi elettrici, trascinò l'unità 746 verso di sè fino a conficcare il cannone al plasma in uno dei suoi nuclei. Il cannone, ostruito dalla materia del nucleo, si surriscaldò velocemente. L'aria nella cabina si arroventò fino a raggiungere temperature estreme, superando i cinquanta gradi centigradi.

    «Aaaaaaaaaah!!!» Charles sentì che le ustioni si stavano espandendo di nuovo, avevano raggiunto la sua testa, sentiva le vene del collo pulsare violentemente, gli occhi bruciavano e lacrimavano.

    Il cannone al plasma, ormai al limite del surriscaldamento, esplose.

    Sulla UEF-Horizontis, intanto, le ricerche per trovare l'unità 746 proseguivano incessantemente. Dopo la rilevazione di un sisma anomalo vicino al punto dell'ultimo contatto radio con l'unità, si era ipotizzato a un'improvvisa catastrofe naturale, ma non era plausibile: l'isola-fossile non aveva attività geologica, non possedendo un contatto con il nucleo del pianeta. Diventava evidente che qualcos'altro aveva causato quel terremoto.

    Analizzando le foto da satellite appariva inoltre un grandissimo cratere, proprio all'epicentro del terremoto. La squadra scientifica del ponte di comando richiese così una scansione a gamma spettrale completa, per vedere cosa ci fosse all'interno del cratere.

    Nel frattempo erano state lanciate diverse sonde per scansionare diverse zone dell'isola-fossile in cerca di tracce dell'unità 746, ma non c'erano stati risultati.

    La struttura dell'isola-fossile, non era uguale a come appariva in superficie. Le fratture causate dal terremoto mostravano infatti segni evidenti che, poco al di sotto dello strato superiore più compatto, la composizione cambiava notevolmente, diventando fragile e attraversata da grandi cavità.

    Mentre lo staff scientifico stava analizzado le fratture superficiali, arrivarono finalmente i risultati della scansione a gamma spettrale. Il capitano autorizzò a trasmettere i dati direttamente sullo schermo principale.

    Quello che videro fu incredibile. Il terremoto aveva aperto un profondissimo tunnel all'interno del cratere, che arrivava fino al fondo dell'isola-fossile. Nelle fenditure attraversate dal tunnel i sensori mostravano forme di vita a base di silicio che fuoriuscivano a centinaia e che si dirigevano verso la superficie, dove gradualmente sparivano senza emettere alcuna radiazione. Lungo le pareti del tunnel, inoltre si trovavano tracce di radiazioni protone-protone, identiche a quelle emesse dai reattori dell'unità 746.

    In quel momento, per pochi minuti, il contatto con l'unità 746 fu ristabilito. Il database della Horizontis si riempì di porzioni di registrazioni audio e video. Le registrazioni complete, della durata di due-tre minuti, mostravano le creature-medusa attaccare l'unità e il combattimento che ne seguiva.

    Era chiaro che non c'era più tempo: bisognava localizzare nuovamente l'unità e inviare rapidamente una squadra di soccorso. Venne messo in stato di pre-allerta lo stormo Condor, formato da tre caccia ibridi a lungo raggio, capaci di muoversi rapidamente sia nello spazio che nell'atmosfera. Venne preparato l'armamento della Horizontis nel caso fosse necessario intervenire direttamente dall'orbita del pianeta, mentre tutto la squadra di ingegneri venne chiamata sul ponte per tentare di ristabilire il contatto con l'unità 746.

    Nessuno però era preparato a ciò che stava per accadere.

    L'esplosione del cannone al plasma aveva aperto una gigantesca voragine sulla roccia sopra l'unità 746. I nuclei della medusa-madre, investiti in pieno dalla deflagrazione, bruciarono, si rigonfiarono pieni di materia organica necrotizzata e in una frazione di secondo dell'immensa creatura rimanevano solo brandelli e tentacoli inanimati. Ma non era ancora finita. Il cratere formato dall'esplosione non aveva retto a lungo alla pressione dell'acqua e cedette. Vapori e acqua surriscaldata invasero rapidamente la cavità appena aperta, ruggendo come cento uragani e con la potenza di uno tsunami. Charles, ormai quasi privo di conoscenza, si lasciò trascinare dal vortice rovente. Sentiva ogni struttura collassare sopra e sotto di lui, le telecamere primarie andarono distrutte e le telecamere secondarie mostravano solo una grande massa d'acqua vorticare impazzita.

    Sulla UEF-Horizontis, l'ufficiale scientifico rilevò sui sensori un'improvvisa impennata di temperatura e pressione all'interno.

    «Capitano, sto ricevendo dati anomali dai sensori: è come se una grandissima fonte di energia termica stesse risalendo dal fondale dell'isola!»

    Il capitano non ebbe tempo di rispondere, sugli schermi fu possibile vedere una zona dell'isola-fossile illuminarsi, riempirsi di crepe e infine crollare su sè stessa esplodendo poi verso l'alto violentemente. Una colonna di vapori roventi, seguita da acqua ad alta pressione, fuoriuscì dall'apertura, sfiorando le nubi perenni e ricadendo rapidamente verso il basso. Appena i vapori si furono diradati, fu possibile vedere, a pochi metri dall'immenso cratere, quello che restava dell'unità 746, in pessime condizioni. Il braccio sinistro, l'intera corazza da un lato e gran parte del torso erano pieni di ammaccature e sfegi enormi. Uno dei quattro arti inferiori sembrava masticato e disarticolato, mentre il braccio destro aveva quattro grandi tagli lungo il margine esterno.

    Charles riprese i sensi. Vide che ora finalmente il contatto radio era tornato, doveva contattare in fretta la Horizontis.

    Si avvicinò al microfono e si sforzò di parlare.

    La trasmissione arrivò sulla Horizontis con un leggero ritardo, a causa del modulo radio danneggiato:

    «Qui sulla superficie si trovano creature... mostruose, che mi hanno messo facilmente fuori gioco...» tossì forte «Richiedo urgente soccorso, non so per quanto resisterò... ancora...»

    «Ti abbiamo localizzato, unità 746, stiamo inviando una squadra di soccorso al più presto» rispose il comandante, ma la comunicazione si chiuse all'improvviso.

    Intervenne l'ufficiale scientifico: «Capitano, sto rilevando un'altra impennata di energia termica, con una potenza dell'87 percento più intensa rispetto a prima»

    «Cosa?»

    «Le simulazioni prevedono il collasso dell'intera porzione dell'isola su cui si trova CHM-746»

    «Dobbiamo muoverci, allora. Preparate lo stormo Condor!»

    FINE DELLA QUINTA PARTE
     
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    Falcon, Meteor e Centurion, i tre piloti dello stormo Condor, si distaccarono quasi simultaneamente dai tre tubi di lancio della Horizontis a bordo dei loro rispettivi caccia orbitali. La discesa verso Atum, il pianeta oceano, non sarebbe durata molto, ma c'era un ostacolo minaccioso a sbarrare loro la via: le nubi. I caccia orbitali non erano progettati per le atmosfere molto dense, e un simile ostacolo li avrebbe messi a dura prova.

    L'obiettivo della missione era recuperare l'unità da esplorazione CHM-746, gravemente danneggiata e in serio pericolo a causa di una gigantesca faglia che l'aveva quasi inghiottita. Per permettere tale operazione i tre caccia erano stati equipaggiati con raggi inerti di carico capaci di sollevare e trasportare anche centinaia di tonnellate.

    «Centurion a Falcon, rilevo nubi sul livello orbitale 13»

    «Ricevuto, densità atmosferica?»

    «Nella norma» rispose Meteor «Nessun segnale anomalo dalla superficie»

    «Ok, procediamo alla discesa»

    I tre velivoli si tuffarono in picchiata verso l'atmosfera, aprendo gli alettoni sulle fiancate per stabilizzare il volo nell'atmosfera. Appena raggiunsero le nubi, una tempesta inaudita si scatenò attorno a loro. Fulmini, grandine, venti pazzeschi e tuoni assordanti per un attimo sembrarono avere la meglio sui tre caccia, che andarono in stallo e rotearono vorticosamente su sé stessi per alcuni secondi. Poi ripresero il controllo e, per rimanere stabili, accelerarono rapidamente. Ancora alcuni secondi di inferno attorno a loro e poi, con un boato fragoroso, fuoriuscirono dalle nubi perenni sfrecciando nell'aria come tre proiettili.

    «Ho stabilito un contatto visivo con l'unità 746» Centurion discese rapidamente verso una gigantesca faglia aperta sulla superficie dell'isola-fossile.

    «In che stato si trova?» chiese Meteor.

    «E' gravemente danneggiata, dobbiamo recuperarla in fretta»

    I tre caccia si allinearono e si avvicinarono alla faglia.

    «Preparate i raggi di carico!» disse Falcon.

    Dai velivoli partirono alcuni raggi di puntamento, preludio ai raggi di carico veri e propri.

    «Siamo allineati, Falcon!» disse Meteor.

    «Ok, allora iniziamo a sollevare l'unità dal suolo»

    I caccia emisero tre raggi multicolore, incredibilmente densi e luminosi, che centrarono in pieno l'unità 746. Lentamente, l'automa fu sollevato dal terreno.

    La faglia però si allargò ancora di più, mentre una seconda colonna d'acqua rovente la attraversava e sfiorava di nuovo il cielo.

    Il robot, colpito dal getto ad alta pressione, sfuggì ai raggi di carico e cadde rovinosamente al suolo.

    Charles, scosso violentemente dalla caduta, rinvenne. Si guardò attorno quasi spaesato. Alcuni display attorno a lui si erano staccati dalle pareti della cabina, altri erano in frantumi sul pavimento. Da quel che restava delle telecamere principali vide la sua posizione: era in una spaccatura secondaria generata dalla faglia, non molto profonda ma incredibilmente stretta, incastrato tra le due pareti di rocce. La consolle dei comandi manuali era andata distrutta, provò a toccarla ma fu immediatamente colpito da alcune scintille: meglio non usarla. Per uscire da lì doveva per forza usare i controlli a neurodigitazione. Il casco e i sensori di movimento per le braccia giacevano vicino al sedile della cabina, sembravano in buono stato a parte una vistosa crepa sul visore. Doveva tentare.

    «Merda!» imprecò Centurion. L'unità 746 era fuori dal loro campo visivo. «Voi riuscite a vederla?»

    «No, è caduta in un crepaccio» rispose Meteor.

    «Rilevo ancora una debole interferenza radio: è qui vicino» disse Falcon.

    Charles infilò il casco, poi i bracciali con i sensori e infine riavviò il sistema. Una fitta alle tempie lo avvisò che qualcosa era andato storto con la sincronia e il suo cervello era sotto sforzo. Non importava. Manovrando attentamente con i pedali rimise l'unità in posizione dritta, poi, con attenzione, provò a risalire facendo leva con gli arti superiori. Non doveva avere fretta, ma il rumore della faglia che si apriva a pochi metri da lui lo tormentava, gli faceva tremare le braccia e l'adrenalina peggiorava la situazione.

    Finalmente Meteor vide l'unità 746: «L'ho vista, è sul fondo di un crepaccio»

    «Quanto è profondo?» chiese Centurion.

    «Una ventina di metri»

    «E' troppo per i raggi di carico, dannazione!»

    Intervenne Falcon: «Meteor, quanto è largo quel crepaccio»

    «Cinque o sei metri»

    «Potremmo provare a passarci in mezzo...»

    «No, è troppo stretto»

    «E se provassimo ad allargarlo con i blaster?» propose Centurion.

    «Rischieremmo di colpire qualche punto critico della faglia» rispose Meteor.

    «Che scelte abbiamo, allora?»

    Falcon rimase un attimo in silenzio, poi ebbe un'intuizione: «Per passare lì in mezzo potremmo richiudere gli alettoni sulle fiancate»

    Meteor rispose: «Come faremo a volare senza gli alettoni? Perderemmo il controllo in qualche secondo!»

    «Ci affideremo ai soli propulsori, come in una manovra d'emergenza!»

    «Funzionerebbe per qualche minuto, ma nell'atmosfera rischieremmo di sovraccaricare i motori»

    «Dobbiamo tentare! Non abbiamo scelta!»

    La fitta alle tempie di Charles si stava intensificando. Gli girava la testa, per non perdere l'equilibrio doveva continuamente forzare la schiena sul sedile. Era avanzato di appena qualche metro, però aveva udito dei motori sopra di lui: qualcuno era venuto a salvarlo, ma bloccato lì non avrebbe potuto fare molto, doveva avvicinarsi alla superficie.

    Falcon fu il primo a tentare la manovra. In picchiata scivolò all'interno della faglia principale, con una stretta virata si diresse verso il crepaccio in cui era bloccato Charles e, con i motori spinti al massimo, richiuse gli alettoni e ci si tuffò dentro.

    Non funzionò, i propulsori nell'atmosfera non potevano sviluppare tutta la loro potenza a causa dell'aria e il caccia stava perdendo quota. Sfiorò una delle pareti di roccia, rimbalzò verso quell'altra e alla fine, per non schiantarsi, dovette risalire fuori dalla fenditura e riaprire gli alettoni.

    A Charles mancava solo un ultimo, piccolissimo sforzo.

    «Ho trovato!» Centurion snocciolò il suo piano nel più breve tempo che poteva: far prendere velocità ad uno dei caccia usando i raggi di carico, poi lanciarsi nella fenditura e, sempre con l'ausilio dei raggi, restare alla giusta altezza per poter recuperare l'unità 746.

    Il caccia più leggero era proprio il suo, così si offrì per tentare. Falcon si sarebbe occupato della spinta iniziale e Meteor avrebbe aiutato Centurion a tirare fuori l'unità dal crepaccio con i suoi raggi di carico.

    All'improvviso, però, la catastrofe: la faglia principale si allargò rapidamente. Stava accadendo qualcosa, dovevano sbrigarsi. Centurion ritrasse gli alettoni e, con il solo ausilio dei raggi di carico di Falcon, si posizionò nella giusta direzione per infilarsi nella fenditura. Falcon accelerò velocemente, trascinando dietro di sé Centurion che, contemporaneamente, spingeva al massimo i suoi motori per la risalita. Gradualmente si abbassò all'interno del crepaccio, sparando un fascio continuo di raggi, ma all'ultimo si accorse che la traiettoria era troppo alta.

    «Con questa inclinazione non riesco a raggiungerlo, è troppo in basso»

    «Riprendo quota, Centurion, ti stai avvicinando alla fine della fenditura»

    Charles vide Centurion che veniva verso di lui come una saetta, qualche metro sopra di lui. Istintivamente tentò di salire gli ultimi metri per poter essere colpito dai suoi raggi di carico.

    «Aspetta, Falcon! Si è sollevato di qualche metro, ora ce la faccio!!»

    In quel preciso istante, la faglia si allargò smisuratamente. L'intera isola si spaccò in due, mentre il mare riempiva l'enorme cavità formatasi.

    Charles vide due enormi muraglie d'acqua avanzare dall'orizzonte verso di lui. In quel preciso istante, però, venne sollevato dai raggi di Centurion e fu allontanato dall'enorme massa d'acqua che velocemente stava facendo affondare l'intera isola.

    Qualche istante e le due metà dell'isola si spaccarono completamente, si inclinarono una verso l'altra e si scontrarono, affondando nell'oceano senza fondo per poi riemergere in tanti minuscoli frammenti.

    Lo stormo Condor e l'unità 746 volarono velocemente fuori da quell'inferno liquido, scampando per un soffio alle due gigantesche montagne di roccia che si abbatterono tra loro. Con una manovra a spirale risalirono oltre le nubi di Atum, dove, appena al di fuori dell'atmosfera, li attendeva una struttura di supporto per poter trasportare il robot fino alla Horizontis.

    Durante la risalita, però, i venti e la tempesta iniziarono a sopraffare i tre caccia, appesantiti ulteriormente dall'unità 746.

    Charles, allo stremo delle forze, vide attraverso i pochi sensori ottici ancora funzionanti che la situazione stava precipitando. Era a pezzi, le mani gli tremavano, la testa gli doleva terribilmente e sentiva che al minimo sforzo gli sarebbero saltati gli occhi dalle orbite. Ma doveva fare qualcosa. Frugando tra quel che restava delle consolle di controllo trovò quella che regolava la potenza di fuoco delle armi.

    «Falcon! Meteor! Stiamo perdendo quota!!» urlò Centurion.

    «Il vento è troppo forte, con l'unità agganciata non siamo abbastanza aerodinamici!!» rispose Meteor.

    Charles collegò i cavi delle armi al plasma con il sistema di neurodigitazione. In questo modo poteva sovraccaricare il sistema di armamento ben oltre i limiti di sicurezza, anche se non sapeva per quanto avrebbe retto.

    Falcon, in testa alla formazione, stava per perdere il controllo del suo velivolo: qualche secondo e sarebbe precipitato.

    Sfidando le devastanti forze della natura, Charles concentrò tutta la sua attenzione sui blaster posizionati sul petto del robot. Tre potentissimi raggi si diramarono verso l'alto, sfiorando i tre caccia che lo sorreggevano e raggiungendo la fine dell'atmosfera.

    «Falcon! Centurion! Meteor!» gridò nel microfono della radio «Accelerate quanto più potete!! Non so per quanto reggerò ancora!!!»

    I raggi al plasma, a contatto con le nubi cariche di fulmini, esplosero violentemente spazzando le nubi attorno a loro. Si venne a creare un enorme spazio vuoto, circondato da un turbine di fuoco accecante.

    Lo stormo Condor accelerò rapidamente, approfittando dell'assenza del vento.

    Charles non resse più, si tolse d'impulso il casco per non dover sopportare oltre il dolore lancinante, perdendo i sensi pochi istanti dopo. I blaster esplosero violentemente nel petto dell'unità, sfondando la corazza del torso e distruggendo le batterie interne. Il robot si spense improvvisamente.

    Subito le nubi, spinte dal vento fortissimo, iniziarono a richiudere il passaggio appena aperto.

    Falcon tornò in testa alla formazione, Centurion passò in coda per sorreggere quello che restava dell'unità 746 con i suoi raggi di carico. Meteor, che reggeva la parte superiore del robot, spinse i suoi motori alla massima potenza. Le nubi ormai lasciavano aperto solo un minuscolo spiraglio, bisognava fare in fretta.

    Con un'ultima, fortissima accelerazione, i tre caccia, seguiti dall'unità 746, schizzarono fuori dalle nubi, superando l'atmosfera e raggiungendo il vuoto dello spazio.

    L'unità 746, caricata rapidamente sulla struttura di supporto prediposta dalla Horizontis, e, scortata dai tre caccia, risalì fino al punto di contatto con la spazionave. La tensione, accumulata in quelle drammatiche ore, finalmente si sciolse: dopo alcuni controlli, i medici dichiararono che Charles non era in pericolo di vita. Aveva subito ferite gravissime ed era ancora privo di sensi a causa dell'uso prolungato dei comandi neurali malfunzionanti, ma si sarebbe ripreso senza danni permanenti.

    Bisognava immediatamente avvertire i governi sulla Terra dell'incidente avvenuto per evitarne altri durante l'esplorazione del pianeta, così la Horizontis, uscita definitivamente dall'influenza gravitazionale di Atum, accelerò fino a velocità-luce, sparendo nell'iperspazio.

    Gli ultimi frammenti dell'isola-fossile si stavano iniziando ad allontanare tra loro trascinati dalle correnti. I resti delle creature che abitavano i suoi oscuri recessi galleggiavano senza vita sulle acque. Il sole di Atum stava tramontando, e di esso si scorgeva a malapena un disco rosso all'orizzonte. Quelli erano gli unici momenti in cui la sua luce giungeva direttamente sulla superficie, esponendo la superficie alle radiazioni della stella.

    In quello stesso momento, un'enorme creatura emerse dalle acque, come disturbata dal cataclisma e dal naufragio dell'isola-fossile. Per un attimo fissò il sole alieno, poi, distendendo quattro grandi arti membranosi dal suo torso, si rituffò nel mare, sparendo nell'oscurità abissale.

    FINE
     
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    Davvero niente male come finale. :sisi:
     
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