Koud

La penultima vittima di Jost Van Kortag

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    Ik voel me koud. Zo koud...

    La neve fioccava leggiadra, quella sera.
    Le graziose casette della città olandese di Utrecht dormivano serenamente, ornate da soffici trine di un candore immacolato e baciate dalle luci dei lampioni e delle decorazioni di Natale che occhieggiavano da ogni angolo.
    I canali giacevano immobili, ammantati da una sottile patina di ghiaccio perlaceo solcata dagli arabeschi prodotti dai pattini durante la giornata.
    Dalla finestra, Erika si beava di quella vista idilliaca, a gambe incrociate sul letto e avvolta nel suo morbido pigiama di flanella mentre sorseggiava una cioccolata calda.

    "Niente scuola" disse tra sé scottandosi appena le labbra con un sorso.

    "Niente verifiche" ancora un sorso.

    "Niente compiti per domani" ancora uno.

    "Solo... Una valanga di regali da scartare!"

    La sorsata questa volta fu più consistente, e il denso liquido marrone le invase la bocca... Ustionandole completamente la lingua.

    "Stronza!" imprecò la ragazza, allontanando da sé la cioccolata colpevole di averle incendiato la bocca e appoggiando sul comodino la tazza, su cui capeggiava la scritta 'I❤️Amsterdam'.
    Una tazza che chiaramente non le faceva da souvenir, considerando che viveva a pochi chilometri dalla capitale.
    Tuttavia le ricordava (assieme allo sfondo del PC, alla bandiera drappeggiata sulla testata del letto e al poster appeso sull'armadio) il suo sogno di trasferirsi laggiù e aprirsi uno studio dove vendere quadri (che prima o poi avrebbe dipinto) e diventare una grande artista.

    Erika sospirò e gettò distrattamente un'occhiata all'orologio digitale sul comodino.

    Le tre. Di notte.

    "Meglio andare a letto... Sennò chi li sente domani quei due... 'Erika, alzatiiii! I regali non si aprono da soliiiii!' Che palle!" sbuffò facendo il verso a sua madre, e rifilata l'ultima occhiata al meraviglioso paesaggio fuori dalla finestra, chiuse le tende e si infilò sotto il piumone spegnendo la luce e affondando la testa nel cuscino.

    Guardò distrattamente la sagoma squadrata della tazza sul comodino accanto a lei, e la colse immediatamente un dubbio: e se la cioccolata, famigerata eccitante e dispensatrice di dopamina, le avesse impedito di dormire?
    "Oh no... Esci dalla mia testa, fottuto pensiero..." si lagnò, ma ormai il danno era fatto: il pensiero di aver ingerito qualcosa che avrebbe potuto tenerla sveglia le avrebbe certamente impedito di dormire.

    Autosuggestione.

    Fottuta autosuggestione.

    La ragazza prese a rigirarsi sotto le coperte, aspettando con impazienza che Morfeo se ne sbattesse della cioccolata e della dopamina e venisse a prenderla.

    Di pancia.

    Di petto.

    Di fianco.

    Altro fianco.

    Ancora di pancia...

    Niente.

    Sbuffò, facendo vagare lo sguardo sulla sua camera avvolta dalle tenebre e sull'armadio rischiarato dal flebile bagliore azzurrino proiettato dalla finestra.
    Si soffermò su quel pallido quadrato di luce, ammirando le minuscole ombre sottili dei fiocchi di neve che fluttuavano monotone verso il basso.

    'Oh, sì... Un'idea decisamente più romantica che contare le pecore...' pensò tra sé, fissando gli occhi su quelle piccole ombre e lasciandosi cullare dal loro ritmico e lento movimento discendente...
    Cadevano... Oh, come cadevano... Uno dopo l'altro... Uno... Dopo... L'altro... Uno... Dopo...
    Sentì le palpebre che iniziavano a pesare, sempre di più, sempre di più...
    Chiuse gli occhi. Evvai, aveva funzionat...

    Ffffrrrrush

    Le palpebre di Erika schizzarono di nuovo su.

    Nulla.
    La stanza era come prima.
    "Stupida cioccolata..." imprecò la ragazza alzando gli occhi al soffitto.
    Era quasi tentata di andare di sotto e prepararsi una camomilla...
    Ma no...
    Chi gliela faceva fare...
    Si stava così bene sotto il piumone...
    Si accomodò meglio tra le coltri, mentre l'occhio guardava distrattamente l'ombra della finestra con i fiocchi di... No, un secondo, cosa...
    Erika guardò con più attenzione il quadrato di luce. Niente, solo ombre di fiocchi di neve.
    Eppure le era sembrato di cogliere un guizzo lungo e sottile, come di una cordicina agitata dal vento...

    Scrollò le spalle mentre tornava a chiudere gli occhi. Spifferi... A quanto pareva ce l'avevano con la sua tend...

    Ffffrrrrrush

    Questa volta la ragazza batté le palpebre, confusa.
    Di nuovo il guizzo. Di nuovo il fruscio.
    Ok, quello spiffero era decisamente troppo forte...
    Iniziava addirittura a sentire fresco! Doveva essersi rotto il telaio della finestra... Forse doveva controllare... Forse...
    Naaah, il letto era troppo comodo. E poi, bastava rimboccarsi le coperte per...

    Ssssippp

    Erika sgranò gli occhi.
    E questo... Questo che diavolo era?
    Una sorta di timore sordo iniziò pian piano a serpeggiarle in petto, insinuandosi tra un battito e l'altro del suo cuore... Proprio come quel sottile filo d'ombra tra i fiocchi di neve...
    La ragazza guardò meglio...

    Ma no... Era la tenda...

    Ma se fosse stata la tenda, non lo avrebbe notato prima?

    Gli occhi di Erika si incollarono all'ombra sull'armadio.
    Quel filo sembrava danzare nell'aria, ipnotico e sinuoso come un cobra... No, un secondo... Ce n'era un altro... O era solo l'ombra del primo? Un altro ancora... Ombra sdoppiata? Ma tutti e tre i fili si muovevano autonomamente... No... Erano quattro... Cinque...
    Erika sbatteva le palpebre e stringeva le pupille, cercando di vedere bene cosa diavolo ci fosse in quell'ombra... Forse doveva procurarsi un paio di occhial...

    Ssssipppp

    Ancora quel rumore... Quel sottile stridio, come di metallo su vetro... Come una forchetta su un piatto... Ssssipppp

    Lo stridio che ti si infila nelle orecchie facendoti inarcare violentemente la schiena e incassare la testa nelle spalle...

    Una tenda non faceva quel rumore.
    Ok il fruscio, ma questo...
    Un ulteriore battito di palpebre rivelò a Erika un'ennesima distorsione in quel quadrato di luce proiettato dalla finestra: una sagoma.
    In basso, sul bordo inferiore della finestra. Una sagoma. Arrotondata in alto e aperta in basso, come continuasse al di sotto...
    La ragazza abbrancò distrattamente il piumone.
    È l'ombra della sedia, si disse. È notte, sono stanca, c'è uno spiffero bastardo che mi agita la tenda e la sedia...
    Quale sedia?!?? Lei non aveva una sedia... Non davanti... Alla finestra...
    Guardò dalla parte opposta rispetto all'ombra, lì dove riusciva a scorgere la fonte luminosa di profilo... Le fugaci ombre sottili danzavano anche sulla tenda.
    No, allora... Allora non era la tenda...
    Con la coda dell'occhio colse un'altra distorsione nell'ombra proiettata sull'armadio.
    La sagoma precedente era ora più alta, e si stagliava fiocamente incorniciata nel quadrato di luce...

    Era... No... Un secondo...

    Sembrava farsi più vicina.
    Più netta.
    I contorni prendevano sempre più forma.
    La sagoma si faceva sempre più scura. Più nera. Più...

    Le dita di Erika artigliarono questa volta convulsamente il piumone, portandolo al petto mentre la ragazza strabuzzava gli occhi.
    Una risatina nervosa le sconvolse per un attimo il petto.

    'Ma che diavolo c'era in quella cioccolata...?' pensò, cercando disperatamente di cacciare quell'assurdo senso di gelo che le era calato sul cuore e sui polmoni sempre più affannati.

    Non servì.

    Tornò lentamente a guardare la finestra.
    Una sagoma. Più nera. Più evidente.
    Più umana.

    Sssipppp

    Uno di quei fili sembrò avvolgersi intorno alla maniglia della finestra.
    Erika era paralizzata. Si sentiva imprigionata, incatenata al letto in un corpo non suo...

    Nnnniiiiiikkkk

    Uno scricchiolio.
    Un refolo di freddo, di gelo, fece gonfiare la tenda.
    La finestra si aprì lentamente verso l'interno...

    Erika rabbrividì.
    Vide uno dei fili insinuarsi piano nella camera.

    Una catena.
    Una sottile catena argentea.

    La ragazza era un blocco, un blocco di... Di qualcosa... Di ghiaccio forse. Immobile.
    Non riusciva a muoversi.
    Il terrore la teneva saldamente stretta a sé, ancorandola al letto.

    Un'altra catena serpeggiò lentamente verso di lei, stridendo sul muro della camera e incidendovi un profondo solco.

    Ssssrrrrrritchhh

    Il rumore sembrò comprimerle lo sterno. Metallo contro intonaco. Orribile.
    Ancora una catena. Ancora sul muro.

    Ssssrrrritchhhh

    Ancora una. Sulla moquette del pavimento. Questa volta risuonò un leggero grattare, uno strappo, mentre il metallo lacerava il tessuto.
    La tenda giaceva come morta sulla finestra.
    E poi...

    Un passo.

    Erika avrebbe voluto sussultare, ma non ci riusciva.

    Un'altro passo.

    Un groppo d'aria gelida le troncò il fiato nei bronchi.

    Una figura emerse nella sua stanza, come affiorasse dall'acqua.
    Si volse verso di lei.
    La fioca luce proveniente dall'esterno gli illuminò parzialmente il volto. Sembrava un ragazzo, più o meno della sua età.
    I corti capelli bianchi erano tirati indietro, e le iridi brillavano di un gelido rosso cremisi, stagliandosi su un viso dai tratti delicati e armoniosi.
    Un viso pallido, perlaceo, quasi fosse di porcellana.
    Un viso ieratico.
    Un viso bello, velato da una sottile ombra di tristezza.

    "C-c-c-chi... C-chi... S-s-s-sei...?" balbettò Erika, tremante per il gelo che la avvolgeva fuori e dentro.

    Le labbra sottili del ragazzo si schiusero in un sussurro, simile al vento che scuote le foglie morte in autunno.

    "Sono Jost Van Kortag"

    "C-c-come... C-cosa..."

    Erika non sapeva cosa chiedergli. Stava annaspando disperatamente nel terrore più profondo e burrascoso.
    Cosa poteva chiedere a un fantasma appena entrato nella sua stanza, con tanto di catene che gli affioravano dal petto e dalla schiena contorcendosi e frustando l'aria tutto intorno?

    Come era entrato? No, grazie, l'aveva visto in diretta.

    Come stava? Come voleva che stesse un tipo probabilmente morto uno svarione di anni fa?

    Cosa voleva?
    ...

    Cosa volevano di solito i fantasmi?

    Piano, Erika scavò infondo al suo petto e dissotterrò i resti della sua voce.

    "C-c-cosa... C-cosa... V-vuoi... D-da... D-da...?"

    Il ragazzo mosse un passo barcollante verso di lei.

    "Freddo" sussurrò, protendendo le braccia verso di lei. "Tanto... Freddo..."

    Erika si ritrasse, spingendo la schiena contro la testata del letto.
    Le catene continuavano a vorticare e intrecciarsi intorno allo spettro, strisciando sul pavimento e sulle pareti, e incidendo profondi solchi e squarci ovunque.

    Il fantasma mosse un altro passo.

    Erika premette ancora di più la schiena contro la superficie di legno della spalliera.
    Alcune catene strisciarono delicatamente sul piumone...

    Poi, all'improvviso, una di esse bucò il tessuto.

    Erika sussultò.
    Prese a tremare ancor più violentemente, mentre il gelido metallo si avviluppava intorno alla sua caviglia.
    Ma gli occhi della ragazza non riuscivano a staccarsi da quel terrificante spirito.
    Era fermo. Troppo fermo. Immobile. Come fosse... Congelato.
    Mosse un altro passo verso di lei.
    Un passo rigido, uno spasmo della gamba.

    "T-t-ti prego... T-t-ti prego... Non... Non... Non farmi male... T-ti prego..."

    Stava sognando. Stava solo sognando. Era un incubo. Doveva solo chiudere gli occhi...

    Ma non ci riusciva. Il suo corpo sembrava rifiutare qualsiasi comando impartito dal cervello.
    Alzati. Corri. Scappa. Urla. Lanciagli qualcosa. Combatti. Difenditi.
    Niente.
    Il corpo di Erika era stregato. Ipnotizzato. Ammaliato dal... Terrore?
    Jost Van Kortag fece ancora un passo.

    "Ho freddo... Vieni. Così calda... Vieni da me. Vieni, piccolo focolare..."

    Non c'era voce. Sembrava il sottile sussurro dell'aria tra i rami spogli.

    Un'altra catena afferrò il polso di Erika.
    Lei non reagì se non tremando.

    Un'altra ancora si strinse intorno all'altro polso.
    Fu solo quando la quarta catena bucò ancora il piumone e le abbrancò la caviglia scivolando sinuosa lungo la gamba che l'adrenalina si fece sentire.

    "No! No, non... Non voglio!"

    La ragazza prese a divincolarsi, a contorcersi con foga cercando di liberarsi.
    Le catene serpeggiavano silenziose e fredde lungo il suo corpo, scivolando lungo le braccia, stringendosi sull'addome, sulle cosce, lacerando e bucando il pigiama...

    "Vieni. Ti prego. Scaldami, piccolo sole. Vieni. Ho tanto freddo..."

    Lo spettro era sempre più vicino.

    "No! No, ti prego! Lasciami andare! Lasciami andare! No!"

    Erika continuava a divincolarsi, in preda al terrore più puro.
    Catene... Catene ovunque... Catene dappertutto...
    Le sentì stringersi sempre di più, serrandola in una morsa atroce.
    Anche attorno al collo. Al petto.

    "Vieni da me. Voglio solo il tuo calore... Scaldami. Ho... Freddo..."

    Il fantasma era ormai a pochi centimetri da lei.
    Lo vedeva chiaramente in viso. Nessuna espressione. Solo quella sorta di tristezza, quella malinconia appena accennata che traspariva dalle pupille cremisi...
    Poteva distinguere ora la pelle diafana dai riflessi azzurrini e lividi, come... Come fosse... Congelata...
    No... Non voleva... Non voleva fare anche lei quella fine...
    Le catene le serravano il collo, le sentiva stingersi sempre più attorno alla cassa toracica... Più strette... Ogni volta che espirava... Sempre più strette...

    "Ti prego... Lasciami andare... Ti prego..." ansimò, alla disperata ricerca di aria.

    Doveva ancora diplomarsi... Doveva studiare storia dell'arte a Firenze... Doveva dipingere... Doveva vivere ad Amsterdam... Doveva... Doveva... Vivere...

    Freddo. Sentiva sempre più freddo.

    La vista si oscurava.

    I suoni scemavano.

    Il sangue le rombava sordamente nelle orecchie.

    L'ultima cosa che vide furono gli occhi cremisi di Jost Van Kortag.


    "No... No..."
    Lo spettro stringeva convulsamente il corpo esanime della ragazza, ormai libera dalle catene. E inerte.

    "No... È... Fredda... No..."

    Gelida come il ghiaccio. Morta. Come tutti gli altri.
    Non gli avrebbe dato alcun calore, ormai.
    Perché dovevano sempre complicare le cose? Perché?
    Chiedeva solo un po' di calore... Un po' di requie da quel gelo eterno che lo tormentava...
    Ma loro no, loro dovevano sempre rendere tutto più difficile... Dannatamente più difficile...

    Depose con cura il cadavere sul letto, componendolo e accomodandole le mani sul petto.
    Le catene si agitavano pigramente nell'aria, dando segni di impazienza.

    "Va bene, va bene... Ancora un attimo... Poi avremo tutto il calore che vogliamo."

    Dal nulla, materializzò un minuscolo mazzetto di bucaneve e un biglietto, sistemandoli entrambi tra le mani della ragazza.

    Poi, così come era arrivato, se ne andò.
    Accompagnato solo dal suo freddo eterno e dalle sue catene.
    E dalla sua continua ricerca di calore umano.
    Calore che avrebbe avuto, prima o poi. Doveva solo continuare a cercare...
    Cercare...
    Cercare...


    Sul biglietto, una scritta in caratteri svolazzanti.

    Non ho avuto ciò che cercavo. Ma lo avrò. Lo avrò.
    Dovessi cercarlo per un'altra eternità.
    Dovessi uccidere il mondo intero. Lo avrò.
    Le mie più sentite scuse.
    Jost Van Kortag


    Edited by Jost Van Kortag - 18/8/2014, 14:18
     
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  2. IlCavaliereNero94
         
     
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    Drammatico. Bella storia anche se tutta la tiritera dei quadri e della cioccolata mi è sembrata alquanto inutile
     
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  4. ennuiennuiennui
         
     
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    M'è piaciuta! Complimenti
     
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    Grazie! Sono contento che sia piaciuta... :fap:
     
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